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LA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE E' TEMPESTIVA SE AVVIENE QUANDO I FATTI APPAIONO RAGIONEVOLMENTE SUSSISTENTI - In base all'art. 7 St. Lav. (Cassazione Sezione Lavoro n. 28448 del 28 novembre 2008, Pres. De Luca, Rel. Ianniello).
LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 28-11-2008, n. 28448
Cass. civ. Sez. lavoro, 28-11-2008, n. 28448
Svolgimento del processo
Con
sentenza depositata il 3 agosto 2004, la Corte d'appello di Brescia, in
riforma della sentenza in data 13 giugno 2003 del locale Tribunale, ha
respinto la domanda di C.M. di annullamento del licenziamento
disciplinare comunicatogli dalla datrice di lavoro Poste Italiane s.p.a.
in data 18 aprile 2002, a seguito delle contestazioni di cui alla
lettera del 27 marzo 2002. In proposito, il Tribunale aveva interpretato
la lettera di contestazione disciplinare come avente ad oggetto il
fatto del passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna del
C., emessa su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p.,
come tale da considerare infrazione di origine esclusivamente
contrattuale collettiva e pertanto necessitante, ai fini della
legittimità della relativa sanzione, della preventiva affissione del
codice disciplinare che la contemplava. L'accoglimento delle domande era
pertanto derivato dall'accertamento della mancata preventiva pubblicità
data a tale codice.
Viceversa, la Corte
territoriale, diversamente da quanto affermato dal giudice di primo
grado, ha accertato che il fatto contestato era in realtà rappresentato
direttamente dall'appropriazione indebita di somme di denaro versate al
C., quale dipendente delle Poste Italiane addetto alla cassa, da due
clienti in data 11 novembre 1993 e 3 gennaio 1994 e quindi un fatto
costituente reato, per contestare il quale ha ritenuto superflua la
garanzia della preventiva pubblicità del codice disciplinare. Ciò posto,
la Corte d'appello ha accertato la sussistenza del fatto contestato e
lo ha valutato come talmente grave da non consentire la prosecuzione
neppure provvisoria del rapporto di lavoro col C., respingendo altresì
le eccezioni di tardività della contestazione formulate dalla difesa di
quest'ultimo.
Avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia, C. M. propone ora ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resiste alle domande la società Poste Italiane con proprio rituale controricorso.
Ambedue le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1
- Col primo motivo di ricorso, C.M. censura la sentenza impugnata
deducendone la contraddittoria motivazione quanto alla interpretazione
assunta relativamente al contenuto della lettera di contestazione,
ritenuta riferibile non al mero fatto del passaggio in giudicato della
sentenza di condanna citata, ma al fatto che aveva dato luogo alla
condanna, con conseguente ritenuta non necessità della applicazione
della garanzia della pubblicità del codice disciplinare ai fini della
regolarità della contestazione e quindi della validità del conseguente
licenziamento.
II motivo è infondato.
Va
ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte
(cfr., recentemente, Cass. 10 giugno 2008 n. 15339), l'interpretazione
di una disposizione contrattuale, cui va equiparata quella contenuta in
un atto unilaterale recettizio (art. 1324 c.c.), anche di
natura non negoziale (in ragione della funzione dello stesso, come nel
caso in esame in cui la contestazione disciplinare appare un mero atto
di un complesso procedimento cui partecipa anche il destinatario, che si
conclude con l'eventuale negozio giuridico unilaterale di irrogazione
della sanzione), costituisce operazione che si sostanzia in un
accertamento di fatto, come tale riservato al Giudice di merito e
pertanto incensurabile in cassazione se non per vizi attinenti ai
criteri legali di ermeneutica o ad una motivazione carente o
contraddittoria nella relativa applicazione.
Nel
caso in esame, in assenza di censure relativamente a criteri di
ermeneutica seguiti dalla Corte d'appello di Brescia, i rilievi del
ricorrente si appuntano sulla motivazione della sentenza, la
contraddittorietà della quale viene identificata nel fatto di avere i
Giudici ritenuto equivalenti nel contenuto le contestazioni disciplinari
del 16 novembre 1999 e del 27 marzo 2002, mentre la seconda (cui era
seguito il licenziamento), a differenza della prima, sarebbe stata
espressa in termini tali da riferire chiaramente l'oggetto della
contestazione al fatto della esistenza della sentenza di condanna del C.
passata in giudicato.
La prima lettera era formulata nei termini seguenti:
"...le
contestiamo quanto di seguito specificato: il G.I.P. del Tribunale
ordinario di Brescia ha emesso, nei suoi confronti, il decreto che
dispone il giudizio in quanto imputato del reato di cui all'art. 81 c.p., comma 2, e art. 314 c.p.,
perchè in qualità di applicato allo sportello dell'ufficio postale di
(OMISSIS), violando i doveri inerenti ad un pubblico servizio, con più
azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in data 11 novembre
1993 ed in data 3 gennaio 1994, avendo per ragione del suo servizio la
disponibilità delle somme di L. 100.000, a seguito di versamento
effettuato da T.T. e di L. 100.000, a seguito di versamento effettuato
da M.C., se ne appropriava apponendo anzichè il timbro dell'apparecchio
MAEL in dotazione al citato ufficio PT, il timbro "guller " a lei
assegnato. Tali gravi illeciti si configurano quale manifestazione di
mancanza di senso di rettitudine e di correttezza e assumono rilievo ai
fini della lesione del rapporto fiduciario, facendola ritenere inidonea
alla prosecuzione del rapporto di lavoro con questa società e rendendola
passibile della applicazione della sanzione disciplinare di cui
all'art. 32 lett. e) del C.C.N.L".
Nella seconda lettera, la contestazione era la seguente:
"...
Con sentenza del 20 dicembre 2001 emessa dal Tribunale ordinario di
Brescia... le è stata applicata la pena di un anno, otto mesi e 25
giorni di reclusione per il reato di cui art. 81 c.p., comma 2, e art. 314 c.p.,
perchè in qualità di applicato allo sportello dell'ufficio postale di
(OMISSIS), in violazione dei doveri inerenti ad un pubblico servizio,
con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in data 11
novembre 1993 ed in data 3 gennaio 1994, avendo per ragione del suo
servizio in entrambe le circostanze la disponibilità delle somme di L.
100.000, a seguito di versamenti effettuati da due clienti, se ne
appropriava omettendo di contabilizzare i versamenti. Per quanto sopra
si è reso passibile di sanzione disciplinare a norma degli artt. 52 e 54
del C.C.N.L. dell'11 gennaio 2001".
Con ampia
motivazione, i Giudici di merito hanno ritenuto che oggetto di ambedue
le contestazioni fosse lo stesso fatto che aveva dato luogo prima al
rinvio a giudizio del C. e poi alla sua condanna penale.
In
proposito, i Giudici sviluppano argomentazioni sostanzialmente fondate
sul riferimento nei due casi alla normale evoluzione della vicenda tra
il decreto di citazione a giudizio che aveva occasionato la prima
contestazione, il cui procedimento era stato quindi sospeso su richiesta
del lavoratore in attesa della sentenza e la sentenza di patteggiamento
nonchè sulla mancata qualificazione di quest'ultima nella seconda
lettera nei termini, di previsione contrattuale, di sentenza già passata
in giudicato e sulla specifica indicazione, viceversa, dei fatti che
avevano dato luogo prima al rinvio a giudizio e poi alla sentenza di
condanna (specificazione che sarebbe stata inutile, ove il fatto
contestato fosse stato quello diverso del passaggio in giudicato di una
sentenza penale di condanna).
I Giudici hanno
inoltre rinvenuto ulteriore conferma dell'interpretazione sostenuta nel
fatto che anche la norma contrattuale richiamata nella seconda lettera è
relativa all'ipotesi di distrazione o sottrazione di somme oltre che a
quella di condanna con sentenza passata in giudicato, ritenuta peraltro
quest'ultima riferibile unicamente a fatti estranei alla violazione di
doveri professionali e tuttavia tali da incidere negativamente
sull'elemento fiduciario che è alla base del rapporto di lavoro.
A
parte la specifica denuncia di errore nella interpretazione di
quest'ultima disposizione contrattuale, fondata in quanto il contratto
collettivo non distingue a seconda del reato di cui alla condanna, ma
comunque non decisiva sul piano della ricorrenza del vizio denunciato,
in quanto investe un argomento ulteriore ed autonomo della sentenza
rispetto a quelli indicati a sostegno dell'interpretazione della seconda
lettera di contestazione, la censura in esame appare generica in quanto
diretta a sovrapporre alla valutazione dell'oggetto di tale
contestazione operata dai Giudici, che dichiara di non condividere, una
propria diversa interpretazione dello stesso, che sottopone in maniera
inammissibile in questa sede di legittimità ad una nuova valutazione di
questa Corte, quasi che si trattasse di un giudizio di terza istanza.
2 - Col secondo motivo, viene dedotta la violazione o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, e degli artt. 1175, 1375, 2106 e 2119 c.c., con riguardo al principio di tempestività della contestazione e/o dell'applicazione della sanzione disciplinare.
In
proposito, la difesa del ricorrente ricorda di avere formulato, sia in
primo che in secondo grado, due eccezioni di tardività della
contestazione di sanzione disciplinare:
- la
prima riguardava il fatto che sarebbero trascorsi più di cinque anni tra
il momento in cui le Poste, tra il maggio e il luglio 1994, erano
venute a completa conoscenza del fatto, ammesso dallo stesso dipendente,
confusamente giustificatosi nell'immediato allegando errori peraltro
non specificati e la data in cui avevano formulato la prima
contestazione disciplinare il 16 novembre 1999, dopo il rinvio a
giudizio, infine reiterata con lettera del 27 marzo 2002;
-
la seconda investiva la lettera di contestazione del 27 marzo 2002, in
quanto formata e comunicata all'interessato a distanza di più di tre
mesi dalla pronuncia della sentenza di applicazione della pena su
richiesta delle parti del 21 dicembre 2001, senza che Poste Italiane
s.p.a. avesse fornito alcuna giustificazione del ritardo e senza che di
esso vi fosse in realtà alcun bisogno, dato che gli accertamenti
ispettivi erano avvenuti nel 1994.
In ordine
alla prima deduzione, la Corte si sarebbe limitata ad affermare che la
scelta di attendere la conclusione delle indagini penali non sarebbe
stata lesiva del diritto di difesa, in quanto il dipendente era stato
sentito nell'immediatezza dei fatti, era stato poi denunciato dalla
stessa società e aveva approntato le proprie difese nel corso delle
indagini penali, affermazione che non sarebbe in alcun modo in linea con
i principi ripetutamente affermati da questa Corte relativamente alla
necessaria immediatezza della contestazione disciplinare.
Quanto
alla seconda eccezione di tardività, la Corte avrebbe secondo il
ricorrente affermato in maniera meramente apodittica che il ritardo non
sarebbe eccessivo, tenuto conto delle notevoli dimensioni della società.
Il
motivo è fondato nella censura riguardante la prima lettera di
contestazione disciplinare, poi ritenuta meramente ripresa nel contenuto
dalla seconda dopo un periodo di sospensione concordata del relativo
procedimento disciplinare.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la tempestività della contestazione di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, comma 2,
va valutata in relazione al momento in cui i fatti a carico del
lavoratore, costituenti illecito disciplinare, appaiano ragionevolmente
sussistenti (cfr., da ultimo, Cass. 27 marzo 2008 n. 7983, 4 aprile 2007
n. 8461, 30 gennaio 2006 n. 2023, 11 gennaio 2006 n. 241).
Una
tale regola (valida anche nel caso in cui il fatto da contestare abbia
anche rilevanza penale: Cass. n. 7983/08 cit.) risponde alla esigenza di
tener conto dei contrapposti interessi delle parti:
quello
del datore di lavoro orientato a non avviare procedimenti disciplinari
senza che siano stati acquisiti dati essenziali della vicenda di fatto e
quello del lavoratore a vedersi contestare un fatto ad una ragionevole
distanza temporale dalla loro commissione (Cass. 18 gennaio 2007 n.
1101) per potere efficacemente svolgere le proprie difese, ma anche al
fine di non perpetuare una situazione di incertezza sulla sorte del
rapporto di lavoro (Cass. 20 giugno 2006 nn. 14113 e 14115).
Orbene,
nel caso di specie risulta dalla stessa sentenza impugnata che i fatti
contestati al C. sono stati sempre ammessi dallo stesso, sia pure
adducendo giustificazioni evidentemente pretestuose.
Dalle
due denuncie all'autorità giudiziaria redatte dagli ispettori postali
O. e G., rispettivamente il (OMISSIS) e il (OMISSIS), il cui contenuto è
riprodotto nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza
dello stesso, si desume chiaramente che al più tardi nel luglio 1994, la
società era a perfetta conoscenza che le due clienti prima indicate
avevano versato nelle mani dell'addetto alla cassa dell'ufficio postale
C. M., rispettivamente, in data 11 novembre 1993 e 3 gennaio 1994,
determinate somme di denaro, non contabilizzate dal dipendente, non
risultanti in cassa e non pervenute ai destinatati, con rilascio in
ambedue i casi di una ricevuta irregolare, peraltro riportante un timbro
di cui era dotato esclusivamente il C.. Inoltre questi, sentito dagli
ispettori aveva ammesso i fatti, sostenendo genericamente e in maniera
platealmente inverosimile che si era trattato di meri errori.
Risultava
pertanto alla Corte d'appello in maniera evidente che già dal luglio
1994 i fatti da contestare al C. erano ormai accertati con una
ragionevole certezza, per cui il ritardo di oltre cinque anni nella
relativa contestazione (la prima) non poteva trovare su tale piano
alcuna giustificazione, alla stregua dei principi enunciati in materia
di immediatezza della contestazione disciplinare.
La
Corte territoriale ha pertanto fatto erronea applicazione della regola
di origine legale della ragionevole tempestività della contestazione
disciplinare di cui all'art. 7, comma 2, S.L..
Il
secondo motivo di ricorso è pertanto fondato sul punto considerato, con
assorbimento di ogni altra censura mossa col medesimo motivo.
La
sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto,
con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Milano, che si
atterrà al seguente principio di diritto con riguardo alla regola della
tempestività delle contestazioni disciplinari: "In materia di
contestazione disciplinare di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, comma 2,
la tempestività della stessa va valutata con riguardo al momento in cui
i fatti da contestare appaiano ragionevolmente sussistenti,
nell'interesse, da un lato, del datore di lavoro a promuovere il
procedimento disciplinare una volta acquisiti importanti elementi di
fatto della vicenda e dall'altro, del lavoratore al più rapido avvio del
procedimento, a tutela della integrità delle proprie difese e per
evitare il perpetuarsi di una situazione di incertezza in ordine alla
sorte del rapporto di lavoro".
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettando il primo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di Milano, anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2008
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