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Cassazione Civile
Sez. lavoro, Sent. n. 22858 del 09 settembre 2008
c.c. art. 2043Sez. lavoro, Sent. n. 22858 del 09 settembre 2008
c.c. art. 2049
c.c. art. 2087
c.c. art. 2103
D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 145, art. 4
L. 10 aprile 1991, n. 125
Integra la nozione di mobbing
la condotta del datore di lavoro protratta nel tempo e consistente nel
compimento di una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali,
ed, eventualmente, anche leciti) diretti alla persecuzione od
all'emarginazione del dipendente, di cui viene lesa - in violazione
dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'art. 2087 cod. civ.
- la sfera professionale o personale, intesa nella pluralità delle sue
espressioni (sessuale, morale, psicologica o fisica); né la circostanza
che la condotta di mobbing
provenga da un altro dipendente posto in posizione di supremazia
gerarchica rispetto alla vittima vale ad escludere la responsabilità del
datore di lavoro - su cui incombono gli obblighi ex art. 2049 cod. civ.
- ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto
lesivo, dovendosi escludere la sufficienza di un mero (e tardivo)
intervento pacificatore, non seguito da concrete misure e da vigilanza.
(Nella specie, la S.C., nel cassare la sentenza impugnata, ha rilevato
che il giudice di merito aveva valutato le condotte in termini non solo
incompleti ma anche con un approccio meramente atomistico e non in una
prospettiva unitaria, con sottovalutazione della persistenza del
comportamento lesivo, durato per un periodo di sei mesi, più che
sufficiente ad integrare l'idoneità lesiva della condotta nel tempo, che
- nella sostanziale inerzia del datore di lavoro - era consistita
nell'inopinato trasferimento, da parte di un altro dipendente
gerarchicamente sovraordinato, di una dipendente (incaricata della
trattazione di un progetto aziendale di rilevanza europea) dal proprio
ufficio in un'area "open", senza che venisse munita di una propria
scrivania e di un proprio armadio, con sottrazione delle risorse utili
allo svolgimento dell'attività, con creazione di reiterate situazioni di
disagio professionale e personale per aver dovuto trattare in un luogo
aperto al passaggio di chiunque, attività riservate e per essere stata,
in più occasioni, insultata con espressioni grossolane). (Cassa con
rinvio, App. Torino, 29 novembre 2004)
Sez.
lavoro, Sent. n. 22858 del 09-09-2008 (ud. del 11-03-2008), F.E. c.
Capgemini Italia S.p.A. (già Cap Gemini Italia S.p.a. già Cap Gemini
Rnst & Young S.p.A.) (rv. 604787)
LAVORO (RAPPORTO) - RESPONSABILITA' CIVILE
Cass. civ. Sez. lavoro, 09-09-2008, n. 22858
Cass. civ. Sez. lavoro, 09-09-2008, n. 22858
Svolgimento del processo
Con
ricorso al Tribunale di Torino F.E. (che aveva precedentemente esperito
in via d'urgenza due ricorsi: per chiedere il ripristino di pregresse
mansioni e per impugnare un trasferimento), chiese la condanna della CAP
GEMINI ITALIA S.p.a., di cui era dipendente, al pagamento della somma
di L. 831.765.996 a titolo di risarcimento dei danni da lei subiti
(danno biologico, danno morale, danno patrimoniale, danno esistenziale)
per il comportamento del datore di lavoro, nella persona del direttore
della sede di lavoro dott. G.P., qualificabile anche come mobbing e
costituito da avances sessuali, minacce, ingiurie, sottrazione di
responsabilità lavorative, boicottaggio in progetti, demansionamento,
illegittimo trasferimento; chiese anche che si accertasse che la sua
malattia (causa d'una lunga assenza dal lavoro), determinata del
comportamento aziendale, non era idonea a costituire periodo di
comporto.
Il Tribunale respinse la domanda
della F. e quella della Società (diretta al risarcimento di danni per
lite temeraria). Con sentenza del 29 novembre 2004 la Corte d'Appello di
Torino respinse l'impugnazione proposta dalla F. e l'incidentale
impugnazione proposta dalla Società.
Premette
il giudicante che i danni richiesti dalla ricorrente sono causalmente
connessi al preteso mobbing aziendale; che i fatti successivi al ricorso
di primo grado (l'essersi la F. trovata al rientro dalla malattia senza
nulla da fare) restano estranei alla controversia; e che le pretese
molestie sessuali, che non avevano avuto riscontro nell'istruttoria di
primo grado, non sono state poste a fondamento dell'appello.
Nel
merito, il giudicante ritiene che i fatti, dedotti dalla ricorrente e
criticamente esaminati in sentenza nel loro effettivo svolgersi, non
sussistono.
Nel corso del rapporto la F. si
trovò effettivamente a non avere un proprio ufficio nè un armadio: ciò
fu tuttavia determinato da fatti contingenti (lo spostamento degli
uffici in altra zona della città), che, egualmente coinvolgendo altri
dipendenti, non costituì per la ricorrente depauperamento della propria
immagine professionale.
In ordine al progetto
"(OMISSIS)", specificamente assegnato alla F., la mancata assegnazione
di adeguate risorse era stata probabilmente determinata (come emerso in
istruttoria) dal fatto che l'azienda non lo ritenesse strategico; e la
successiva assegnazione del progetto a (OMISSIS), da un canto atteneva
alla realizzazione (fase successiva alla progettazione, di cui la
ricorrente si era occupata), e d'altro canto rientrava nella strategia
aziendale di spostare i dipendenti su compiti man mano diversi.
Al
fondo, il giudicante ritiene illuminante la testimonianza di L.
(pregresso manager, particolarmente attendibile anche in quanto escusso
quando non era più dipendente della Società).
Attraverso
le dichiarazioni del teste il giudicante deduce che il G. aveva avuto
con la F. un comportamento connaturale al suo carattere, e se ne era
scusato; e che non solo non aveva fatto nulla per danneggiare la
dipendente, bensì aveva manifestato la propria stima nei suoi confronti.
Deduce inoltre che la Società "fece di tutto per trovare all'appellante
adeguata collocazione aziendale".
Per la
cassazione di questa sentenza F.E. propone ricorso articolato in 5
motivi; la CAP GEMINI ITALIA S.p.a. resiste con controricorso, coltivato
con memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, denunciando per l'art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 violazione degli artt. 2103 e 2110 cod. civ. nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente sostiene che:
1a.
erroneamente ritenendo che fosse stata effettuata solo ai fini
dell'individuazione del mobbing, il giudicante non si è pronunciato
sulla domanda di reintegrazione nella sede e nelle mansioni svolte
(formulata con il ricorso di urgenza, con il ricorso di primo grado ed
in appello); egualmente, per quanto attiene alla domanda relativa
all'esclusione del periodo di malattia dal termine di comporto;
1b.
ciò costituiva violazione del principio della corrispondenza fra
chiesto e pronunciato, e determinava omessa pronuncia su domanda della
ricorrente.
2. Con il secondo motivo, denunciando per l'art. 360 c.p.c.,
nn. 3 e 5 violazione e falsa applicazione "di norme di diritto in punto
di mobbing" nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione,
la ricorrente sostiene che:
2a.
"nell'accertare la violazione di diritto, la Corte di Cassazione deve
applicare d'ufficio il diritto vigente, e se questo si è modificato,
deve applicare lo jus superveniens ovvero tener conto delle decisioni
della Corte costituzionale";
2b. la nozione di
mobbing ha avuto un'evoluzione nel pensiero giurisprudenziale (della
Corte costituzionale e della Corte di Cassazione), di cui il giudicante
non ha tenuto conto;
2c. "anche atti di per sè
leciti o comunque insindacabili dal giudice, se inseriti in un contesto
più ampio, caratterizzato da quella complessiva condotta avente come
effetto la persecuzione e l'emarginazione del lavoratore, costituiscono
mobbing, e, considerati nella loro riconduzione a sistema, sono fonte di
responsabilità civile". 3. Con il terzo motivo, denunciando per l'art. 360 c.p.c., n. 5 omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla fattispecie mobbing, la ricorrente sostiene che:
3a.
il giudicante non aveva tenuto integralmente conto della testimonianza
del Ga.; questi aveva dichiarato che era stato il G. a dirgli di
collocare, a seguito del trasferimento, la F. nello spazio hoteling;
quivi la F., a differenza degli altri dipendenti che lavoravano
abitualmente in sede, non aveva una scrivania fissa, nè un armadio (i
suoi documenti erano tutti accatastati), ed era sistemata in una zona
priva di finestre, e riservata ai dipendenti che lavoravano all'esterno;
aveva inoltre dichiarato che, pur avendo egli assegnato alla F., in un
secondo momento, altra collocazione, il G. disse che la signora doveva
tornare al posto dove si trovava prima;
3b. in
tal modo la F., responsabile d'un progetto a rilevanza europea, veniva
d'improvviso costretta a riporre i documenti, spesso riservati, relativi
a tale progetto, in scatoloni per così dire di fortuna, conservati al
di sotto di scrivanie rotanti, che potevano essere assegnate
giornalmente ad impiegati diversi;
3c. a
differenza di quanto affermato dalla recente elaborazione
giurisprudenziale la quale esige la valutazione complessiva dei fatti
mobizzanti, le circostanze dedotte dalla ricorrente "erano state
considerate singolarmente, assumendo nella decisione e nella motivazione
del giudice esclusivamente rilevanza autonoma, ossia in sè e per sè
considerate": nè il giudicante aveva motivato questa valutazione;
3d.
egualmente è a dirsi per la mancata assegnazione di risorse al progetto
(OMISSIS), assegnato alla F.; per l'attuazione di questo progetto alla
F. erano necessarie altre risorse; e fin quando ella ne era
responsabile, al progetto le risorse non furono destinate; egualmente
per il fatto di averle negato il corso di lingua inglese (necessario per
partecipare ad incontri con colleghi stranieri); ciò emergeva dalle
testimonianze del B. e del Ga., che il giudicante aveva immotivatamente
omesso di esaminare e valutare;
3c. egualmente
significativa era stata poi la rimozione della F. dall'incarico
(OMISSIS), per il fatto in sè, nonchè per la repentinità e le modalità
della relativa attuazione (con trasferimento della F. a (OMISSIS), per
coadiuvare la dipendente cui - con la sua rimozione - il progetto era
stato affidato, e pur non essendo ella un tecnico addetto alla fase
esecutiva);
3f. il non aver inserito questi
fatti nel contesto "dinamico evolutivo del mobbing" aveva condotto il
giudicante ad una "rappresentazione parziale della realtà". 4. Con il
quarto motivo, denunciando per l'art. 360 c.p.c., n. 5 omessa
insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente sostiene che
la sentenza, pur ripetutamente esponendo elementi favorevoli alla F. (la
sua indebita collocazione nell'area hoteling, in cui erano sistemati
solo gli esterni; il suo trasferimento a (OMISSIS) pur non essendo ella
addetta alla fase esecutiva), non deduce le necessarie conseguenze.
5. Con il quinto motivo, denunciando per l'art. 360 c.p.c., n. 5 omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente sostiene che:
5a.
l'individuazione del tempo necessario a determinare il mobbing è un
procedimento logico complesso, in cui è necessario considerare
l'ambiente socio - culturale in cui il conflitto si svolge, le reazioni
psicologiche del mobbizzato e lo specifico lavoro svolto;
5b.
il giudicante aveva semplicisticamente ed immotivatamente ritenuto che
la protrazione del comportamento nel periodo di sei mesi (in cui la F.
lo aveva subito) non fosse sufficiente a concretizzare il mobbing. 6.
Con il sesto motivo, denunciando per l'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 e 2087 e 2103 cod. civ., degli artt. 2 e 32 e 41 Cost. e dell'art. 185 cod. pen. nonchè omessa ed insufficiente motivazione, la ricorrente sostiene che:
6a.
ella aveva chiesto il risarcimento del danno nei suoi molteplici
aspetti: danno patrimoniale in senso stretto, danno biologico, danno
morale, danno esistenziale, danno alla professionalità, alla dignità ed
all'immagine professionale e sociale, danno alla vita di relazione,
danno conseguente alla perdita di chanches lavorative;
6b.
e la domanda di risarcimento era stata "prospettata sin dal primo grado
anche come sganciata ed autonoma rispetto alla figura onnicomprensiva
di mobbing, e basata sulle disposizioni degli artt. 2043, 2087 e 2103
cod. civ., nonchè degli artt. 2 e 32 Cost. e degli artt. 185 e 2059 cod. civ.;
6c.
la sentenza aveva ricollegato i lamentati danni esclusivamente a fatti
qualificati come mobbing, immotivatamente omettendo "di valutare che
ogni singolo comportamento rilevato integrasse gli estremi del danno
biologico o morale od alla vita di relazione così come richiesto";
6d.
in particolare, il giudice di merito avrebbe dovuto esaminare la
documentazione mendica e le perizie medico - legali prodotte dalla
ricorrente, eventualmente disponendo ulteriori mezzi istruttori.
7. I motivi del ricorso, che essendo interconnessi devono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
La
sentenza impugnata considera i fatti dedotti dalla ricorrente quale
espressione del mobbing. 8. Su un piano generale è da osservare quanto
segue.
8a. Il mobbing (come espressamente
dedotto e prospettato dalla ricorrente) è costituito da una condotta
protratta nel tempo e diretta a ledere il lavoratore.
Caratterizzano
questo comportamento la sua protrazione nel tempo attraverso una
pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, anche
intrinsecamente legittimi: Corte cost. 19 dicembre 2003 n. 359;
Cass.
Sez. Un. 4 maggio 2004 n. 8438; Cass. 29 settembre 2005 n. 19053; dalla
protrazione, il suo carattere di illecito permanente:
Cass.
Sez. Un. 12 giugno 2006 n. 13537), la volontà che lo sorregge (diretta
alla persecuzione od all'emarginazione del dipendente), e la conseguente
lesione, attuata sul piano professionale o sessuale o morale o
psicologico o fisico.
Lo specifico intento che
lo sorregge e la sua protrazione nel tempo lo distinguono da singoli
atti illegittimi (quale la mera dequalificazione ex art. 2103 cod. civ.).
Fondamento dell'illegittimità è (in tal senso, anche Cass. 6 marzo 2006 n. 4774) l'obbligo datorile, ex art. 2087 cod. civ., di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore.
Da
ciò, la responsabilità del datore anche ove (pur in assenza d'un suo
specifico intento lesivo) il comportamento materiale sia posto in essere
da altro dipendente. Anche se il diretto comportamento in esame è
caratterizzato da uno specifico intento lesivo, la responsabilità del
datore (ove il comportamento sia direttamente riferibile ad altri
dipendenti aziendali) può discendere, attraverso l'art. 2049 cod. civ.,
da colpevole inerzia nella rimozione del fatto lesivo (in tale ipotesi
esigendosi tuttavia l'intrinseca illiceità soggettiva ed oggettiva di
tale diretto comportamento - Cass. 4 marzo 2005 n. 4742 - ed il rapporto
di occasionalità necessaria fra attività lavorativa e danno subito:
Cass. 6 marzo 2008 n. 6033).
8b. Lo spazio del
mobbing, presupponendo necessariamente (nella sua diretta od indiretta
origine) la protrazione d'una volontà lesiva, è pertanto più ristretto
di quello (nel quale tuttavia s'inquadra)delineato dall'art. 2087 cod. civ., comprensivo di ogni comportamento datorile, che può essere anche istantaneo, e fondato sulla colpa.
8c. Avendo fondamento nell'art. 2087 cod. civ.,
l'astratta configurazione del mobbing costituisce la specificazione
della clausola generale contenuta in questa disposizione. Da ciò
discende che:
- come specificazione, il
mobbing è parte integrante della disposizione di legge da cui trae
origine, di questa in tal modo assumendo giuridica natura;
-
per tale natura, la sua formulazione è funzione di legittimità
(funzione riservata al giudice di merito - ed esclusa dalla sede di
legittimità - è solo l'accertamento dell'esistenza - o dell'inesistenza -
del fatto materiale da ricondurre poi al modulo normativo);
- funzione di legittimità è anche la sussunzione del fatto (come accertato) nel modulo normativo;
- nella relativa inosservanza, la specificazione della clausola generale è deducibile (attraverso l'art. 360 c.p.c.,
n. 3) in sede di legittimità. 8d. Per la natura (anche legittima) dei
singoli episodi e per la protrazione del comportamento nel tempo nonchè
per l'unitarietà dell'intento lesivo, è necessario che da un canto si
dia rilievo ad ogni singolo elemento in cui il comportamento si
manifesta (assumendo rilievo anche la soggettiva angolazione del
comportamento, come costruito e destinato ad essere percepito dal
lavoratore).
D'altro canto, è necessario che i
singoli elementi siano poi oggetto d'una valutazione non limitata al
piano atomistico, bensì elevata al fatto nella sua articolata
complessità e nella sua strutturale unitarietà. 8c. In questo quadro
assume rilievo anche la L. 10 aprile 1991, n. 125, come modificata dal D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 145, ed in particolare l'art. 4, comma 2 ter, quale disposizione ricognitiva e specificativa di più generiche norme.
9.
Nel caso in esame (ed esternamente allo spazio della discrezionalità
aziendale, che caratterizza l'affidamento delle specifiche mansioni e la
distribuzione delle singole collocazioni aziendali), alcuni elementi
dedotti dalla F. (ed autosufficientemente riportati in ricorso) dal
giudicante non sono stati esaminati, ovvero, pur accertati, non sono
stati valutati per dedurre (o pur negativamente escludere) la relativa
rilevanza ai fini della domanda:
9a. il fatto
che, a seguito del "trasferimento di ufficio", la F. (dirigente cui era
stato assegnato il progetto (OMISSIS), che ella - senza contestazione -
sostiene essere "di rilevanza europea") era stata inserita "in un'area
open" che non era quella degli dirigenti, e privata di "una propria
scrivania ed un proprio armadio" ("tant'è che i documenti riguardanti il
progetto (OMISSIS) si trovavano in scatoloni accatastati vicino alla
scrivania da lei usata": sentenza, p. 8);
9b.
il disagio (ritenuto dalla stessa sentenza) della F., che "si era
mostrata imbarazzata" per lo svolgimento d'una "riunione relativa al
progetto (OMISSIS) che richiedeva riservatezza" (e solo a seguito di ciò
la riunione "si tenne comunque in un locale apposito messo a
disposizione");
9c. l'iniziativa del G., il
quale, pur essendo il Ga. responsabile della suddivisione degli spazi;
ebbe a dire espressamente che la ricorrente doveva essere collocata
nello spazio hoteling open ed il fatto che successivamente, poichè il
Ga., essendosi liberata una scrivania, aveva invitato la ricorrente a
prendervi posto,: il G. quello stesso giorno disse che la signora doveva
tornare al posto dove si trovava (testimonianza del Ga., come riportata
in ricorso);
9d. il disagio lamentato dalla
F. al L.: per la sua collocazione aziendale, per la reiterata (ed
insoddisfatta) richiesta di risorse necessarie al suo progetto, per
"l'essere stata ostacolata" nel lavoro, per gli "insulti ricevuti anche
in pubblico" (sentenza, pp. 11, 12);
9c. le
"frasi a dir poco deprecabili" pronunciate dal G. ("personaggio abituato
a battute grossolane"), "e che mai un superiore gerarchico dovrebbe
profferire nei confronti d'un sottoposto" e rivolte alla F. ("Mi hai
rotto i coglioni, hai capito brutta stronza che devi fare quello che
dico io"); e le parole rivolte al Ga., "che lavorava in ginocchio presso
la scrivania della F." ("E' inutile che t'inginocchi, tanto non te la
da"): espressioni poste in evidenza dalla stessa sentenza;
9f.
la qualificazione ("gravi") che il teste L. (sul quale il giudicante
fonda la decisione) da dei comportamenti del G. e che lo stesso G. gli
aveva riferito;
9g. il giudizio dello stesso
L. (che aveva la "funzione di supportare e difendere comunque i capi -
progetto", che a lui facevano riferimento: sentenza, p. 13)
sull'attività della F. ("andava in quel momento particolarmente
seguita", con il "fornire le dotazioni necessarie"; "se si trattava di
trovare altre persone da dedicare a (OMISSIS), occorreva o dislocare
risorse già interne o procedere a nuove assunzioni"), e la sua decisione
di "fissare periodiche riunioni nel corso delle quali verificare lo
stato di avanzamento dei lavori";
9h. il fatto
che il G. (il 30 giugno 2000) aveva garantito al L. "che la signora
sarebbe rimasta al progetto e che lui l'avrebbe supportata pienamente",
ed breve distanza di tempo (il 11 luglio 2000) rimosse la F. dalla
responsabilità del progetto (OMISSIS); la "contrarietà" e la sorpresa
del L. per le "valutazioni completamente diverse", espresse undici
giorni prima dal G. (sentenza, p. 13);
9i. la
contraddittorietà delle (pur ritenute) valutazioni del G., che "non
credeva" in un progetto di cui tuttavia da tempo la F. era responsabile,
e che poi garantì di "supportare" il progetto stesso, e che poi rimosse
la F. affidando ad altri ed in altra sede l'esecuzione del progetto
stesso.
10. Di questi elementi il giudicante
non ha poi costruito alcuna connessione nel quadro di un unitario
comportamento, al fine di darne una complessiva unitaria valutazione.
Ciò,
anche dall'angolazione soggettiva: quale (pur come mera negazione del)
deliberato intento lesivo (da parte del dipendente aziendale) e (pur)
colposa inerzia datorile.
11. Il giudicante
non ha poi valutato i singoli fatti, per accertare (pur al solo fine di
negarla) la lamentata (pretesa) illegittimità del loro specifico
contenuto.
12. D'altro canto, fondata è anche
la censura che la ricorrente muove all'affermazione della Corte
d'Appello secondo cui "il periodo febbraio - luglio ... pare troppo
esiguo per la concretizzazione d'un processo di mobbing" (sentenza, p.
10).
Se è vero, infatti, che il mobbing non
può realizzarsi attraverso una condotta istantanea, è anche vero che un
periodo di sei mesi è più che sufficiente per integrare l'idoneità
lesiva della condotta nel tempo.
Nè ad
escludere la responsabilità del datore, quando (come nella specie) il
mobbing provenga da un dipendente posto in posizione di supremazia
gerarchica rispetto alla vittima, può bastare un mero - tardivo -
intervento "pacificatore" (come quello che la sentenza impugnata
attribuisce al L.), non seguito da concrete misure e da vigilanza ed
anzi potenzialmente disarmato di fronte ad un'aperta violazione delle
rassicurazioni date dal presunto "mobbizante" (cfr. deposizione L.,
sentenza pag. 13: "rimasi molto contrariato da questo suo cambiamento,
anche perchè 11 giorni prima mi aveva espresso valutazioni completamente
diverse").
13. Il ricorso deve essere
accolto. E la causa deve essere rinviata a contiguo giudice di merito,
che applicherà gli indicati principi (come specificati sub "8" e sub
"12"), ed accerterà e valuterà quanto dedotto dalla ricorrente, (e
precedentemente indicato sub "9"), nel contempo esaminando, nel quadro
della corretta valutazione dell'intera vicenda, le domande ex artt. 2103 e 2110 cod. civ.
del cui omesso esame la ricorrente si duole nel primo motivo, e
provvedendo anche alla disciplina delle spese del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La
Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia alla
Corte d'Appello di Genova, anche per le spese del giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma, il 11 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2008
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