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il dirigente quale garante "ope legis" della sicurezza
Corte
di Cassazione – Sezione IV Penale - Sentenza n. 42136 del 12 novembre
2008 - Pres. Galbiati – Est. Blaiotta – P.M. Delehaye - Ric. R. M. - La
veste di dirigente non richiede necessariamente poteri di spesa.
Questi, indipendentemente dalla delega e per attribuzione “ope legis”, è
garante della sicurezza sul lavoro nell’ambito della sfera di
responsabilità gestionale.
INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 01-10-2008) 12-11-2008, n. 42136
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 01-10-2008) 12-11-2008, n. 42136
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Il Tribunale di Rovereto ha affermato la responsabilità R. M. ordine al reato di cui all'art. 590 cod. pen.,
in danno del lavoratore P.L., commesso con violazione della normativa
sulla sicurezza del lavoro. La sentenza è stata confermata dalla Corte
d'appello di Trento.
L'infortunio si è
verificato sulla linea di produzione automatica di scaldaacqua. Il
lavoratore, dopo aver notato che una macchina non eseguiva correttamente
le lavorazioni previste, entrava all'interno della linea di produzione,
che rimaneva in funzione in modalità automatica, ed afferrava con la
mano sinistra un involucro metallico mantenendolo in posizione per
consentire all'apparato di eseguire il ciclo di lavorazione. Dopo che
tale procedura era stata eseguita diverse volte, un involucro in
lavorazione veniva spinto contro la macchina schiacciando un dito della
mano del lavoratore con conseguenti lesioni personali.
All'imputato,
direttore dello stabilimento in cui avvenivano le lavorazioni in
questione, è stato mosso l'addebito di aver consentito che i lavoratori
accedessero usualmente all'interno della catena di lavorazione per
consentirne il funzionamento; e di non aver adottato misure tecniche
volte ad evitare che gli organi delle macchine in lavorazione fossero
protetti, segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza. Il
primo giudice ha ritenuto che l'attività pericolosa posta in essere dal
lavoratore infortunato non era certo sconosciuta ai responsabili
dell'azienda e tanto meno costituiva una personale e stravagante scelta
della lavoratore. Essa, al contrario, rappresentava la prassi per
consentire la lavorazione di pezzi difettosi.
Il
giudice d'appello ha parzialmente rivisitato tale ricostruzione degli
accadimenti. Si è infatti affermato che allorchè l'infortunato si
accorse del malfunzionamento dell'impianto avvertì il capoturno che
consultò l'imputato nella veste di direttore dello stabilimento ed
ordinò di proseguire la produzione intervento manualmente sugli
scaldaacqua. In quel momento si consumò, per l'imputato, la violazione
del dovere di sicurezza.
2. Ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore, deducendo diversi motivi.
2.1
Con il primo si prospetta che l'imputato è destinatario dell'accusa in
relazione alla sua qualifica di direttore di stabilimento e procuratore
speciale della società. In primo grado il giudice ha ritenuto che
l'imputato non ricoprisse il ruolo di responsabile della sicurezza in
assenza di idonee deleghe; e che egli quindi dovesse rispondere del
fatto nella veste di preposto. Tale impostazione trascura completamente
il fatto che all'interno dell'organizzazione vi erano altri due livelli
di preposti, il capo turno ed il capo reparto.
La
Corte d'appello, investita della questione ha attribuito al ricorrente
il ruolo dì dirigente, senza che tale profilo fosse mai stato oggetto di
vaglio dibattimentale. In realtà l'imputato non aveva alcun potere di
spesa, ma esclusivamente un potere organizzativo. Inoltre il sinistro si
è verificato esclusivamente per omissione dell'obbligo di vigilanza
sulla esecuzione della lavorazione da parte del dipendente, che gravava
sul capo turno e sul capo reparto. In sostanza all'imputato sono state
contestate violazioni di obblighi che non rientravano nelle sue
attribuzioni ma in quelle dei preposti. Ancora, il lavoratore ben
avrebbe potuto compiere gli interventi in questione con la catena di
lavorazione in modalità manuale e non automatica. La scelta di procedere
agli interventi con la catena di lavorazione in modalità automatica non
può essere in alcun modo addebitata al direttore dello stabilimento:
non vi è prova che l'imputato abbia mai fornito una indicazione in tal senso.
2.2
Con il secondo motivo di ricorso si prospetta mancanza di correlazione
fra l'imputazione e la sentenza. L'imputato è stato rinviato a giudizio
quale delegato del datore di lavoro. Si è data dimostrazione che tale
veste non esisteva ed il primo giudice ha allora ritenuto che la
responsabilità potesse essere fondata sulla base della qualità di
preposto, mentre il giudice d'appello ha ritenuto che si fosse in
presenza di un dirigente. Tuttavia, in violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. si omesso di procedere alla modifica dell'imputazione.
3.
Il terzo motivo deduce che nel giudizio di appello si è dimostrato il
risarcimento del danno e si è quindi chiesta l'esclusione della parte
civile. La Corte d'appello non ha assunto alcuna determinazione al
riguardo ed ha anzi liquidato a carico dell'imputato le spese di parte
civile. Si versa quindi in una situazione di totale carenza di
motivazione.
Il difensore ha successivamente depositato motivi aggiunti.
4.
Con il primo motivo si lamenta che la Corte d'appello ha fondato la
responsabilità dell'imputato sul fatto che questi avesse autorizzato
l'introduzione del lavoratore nella linea di produzione per eseguire
l'operazione da cui è derivato l'infortunio. La stessa Corte, tuttavia
ha completamente mancato di indicare quali siano gli elementi di prova
dei quali possa dedursi tale decisiva emergenza. Si è dunque in presenza
di una totale carenza di motivazione. In realtà, la circostanza di cui
si discute è tutt'altro che certa, come emerge da alcune dichiarazioni
dibattimentali che vengono analiticamente indicate.
5.
Con il secondo motivo aggiunto si prospetta travisamento della prova.
Infatti, nell'affermare l'esistenza di un ordine di procedere alle
lavorazioni nel modo contestato, la Corte d'appello ha travisato le
dichiarazioni di un teste e dello stesso infortunato, che si è limitato a
riferire di fatti appresi per sentito dire.
6.
Con il terzo motivo aggiunto si deduce che la Corte d'appello ha
mancato di specificare quale genere di colpa venga mossa all'imputato.
Infatti l'ingresso all'interno della linea di lavorazione da parte del
lavoratore non può per ciò solo considerarsi causa di addebito colposo:
la stessa persona offesa ha riferito che l'ordine impartito era quello
di fare il possibile. Si tratta di un comando piuttosto generico che
viene arbitrariamente riempito dalla sentenza specificando che l'ordine
di proseguire la produzione avrebbe dovuto essere attuato intervenendo
manualmente sugli scaldaacqua.
7. Con il quarto motivo si prospetta violazione di legge.
L'imputato,
nella qualità di dirigente, non rivestiva una posizione di garanzia che
imponesse l'obbligo di vigilanza che era invece attribuito al preposto.
8.
Con il quinto motivo si prospetta omessa motivazione circa la rilevanza
del comportamento colposo della persona offesa. La questione era stata
devoluta in appello non è stata esaminata dalla Corte. Tale valutazione
sarebbe stata di notevole rilievo sia ai fini della responsabilità che
ordine alla quantificazione della pena e del risarcimento del danno.
9.
Con l'ultimo motivo si prospetta illogicità del richiamo del giudice
d'appello alla motivazione della sentenza del Tribunale, poichè la
sentenza d'appello perviene alla affermazione di responsabilità sulla
base di distinti addebiti colposi.
3. Il ricorso è fondato nei sensi che saranno specificati in appresso.
3.1
I primi due motivi di ricorso sono infondati. La contestazione mossa
all'imputato si fonda testualmente sulla sua veste di direttore di
stabilimento e quindi di dirigente. Mai gli è stata attribuita la veste
di preposto che, con tutta evidenza, non gli si confaceva.
L'uso
del termine preposto che compare in un brano della sentenza di merito è
del tutto atecnico e non implica un mutamento della qualificazione
soggettiva. D'altra parte, la veste di dirigente non comporta
necessariamente poteri di spesa; e fonda autonomamente la veste di
garante per la sicurezza nell'ambito della sfera di responsabilità
gestionale attribuita allo stesso dirigente. Tale ruolo è indipendente
dalla delega, istituto che trova applicazione quando il datore di lavoro
trasferisce su altro soggetto, in tutto o in parte, doveri e poteri
(anche di spesa) che gli sono propri.
3.2 E' invece fondato il terzo motivo atteso il silenzio della pronunzia impugnata sul tema inerente alla parte civile.
3.3
E' infine fondato, decisivo ed assorbente il primo motivo aggiunto.
Come si è accennato, il primo giudice ha ritenuto di fondare la
responsabilità sulla scelta aziendale che ha ritenuto implicata nel
consentire con regolarità procedure di lavorazione non corrette. Il
giudice d'appello ha invece ritenuto, motu proprio, di ricostruire
diversamente gli accadimenti. Ha infatti implicitamente ritenuto che si
fosse in presenza di un episodio isolato e che in particolare, quando il
lavoratore si avvide del cattivo funzionamento dell'impianto, avverti
il capoturno che consultò l'imputato nella veste di direttore dello
stabilimento il quale ordinò di proseguire la produzione intervenendo
manualmente sugli scaldaacqua. Sulla base di tale comunicazione
telefonica ha ritenuto di configurare la responsabilità del ricorrente.
Tale
rivisitazione della materia probatoria è radicalmente carente di
motivazione. La Corte non specifica minimamente da quali concrete,
oggettive emergenze fattuali si traggano le enunciazioni che riguardano
il menzionato colloquio, nè spiega sulla base di quali elementi possa
inferirsi che, nel corso del colloquio stesso, il dirigente abbia
disposto la prosecuzione delle lavorazioni in modo irregolare. Neppure
l'esame della sentenza del primo giudice consente di acquisire
informazioni fattuali sul punto, che è stato evidentemente ritenuto non
rilevante nell'ambito della diversa analisi della vicenda. Si versa,
dunque, in una situazione di completa mancanza di motivazione su un
punto che risulta decisivo sulle sorti del processo, atteso che sul
colloquio e sul suo contenuto si basa, come si è visto, l'affermazione
di responsabilità.
La sentenza deve essere quindi annullata con rinvio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Sezione distaccata della Corte d'appello di Trento in Bolzano.
Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2008 Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2008
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