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mercoledì 9 luglio 2014

Cassazione: sanzioni amministrative conseguenti alla violazione dei limiti di velocità previsti dall'art. 142 del codice della strada, il legislatore non ha adottato, in relazione alle apparecchiature di controllo automatico (c.d. "autovelox") in dotazione alle Forze di polizia, nessuna disposizione che commini la decadenza delle omologazioni rilasciate



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Cassazione Civile
Sez. II, Sent. n. 17361 del 25 giugno 2008
Fattispecie:
- autovelox

D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 142

In tema di sanzioni amministrative conseguenti alla violazione dei limiti di velocità previsti dall'art. 142 del codice della strada, il legislatore non ha adottato, in relazione alle apparecchiature di controllo automatico (c.d. "autovelox") in dotazione alle Forze di polizia, nessuna disposizione che commini la decadenza delle omologazioni rilasciate; ne consegue che, nel giudizio di opposizione alla relativa sanzione amministrativa, non sussiste alcun ulteriore onere probatorio, a carico dell'Amministrazione, relativo alla perdurante funzionalità delle predette apparecchiature. (Rigetta, Giud. pace Venezia, 22 Agosto 2005)
Sez. II, Sent. n. 17361 del 25-06-2008 (ud. del 31-01-2008), F.P. c. Comune di Venezia (rv. 604078)
CIRCOLAZIONE STRADALE   -   SANZIONI AMMINISTRATIVE E DEPENALIZZAZIONI
Cass. civ. Sez. II, 25-06-2008, n. 17361
Fatto - Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con sentenza del 22 agosto 2005, il giudice di pace di Venezia respingeva l'opposizione proposta da R.A. e F. P. avverso il verbale di contestazione di infrazione del codice della strada per eccesso di velocità emesso dal comune di Venezia il 21 aprile 2004 con il n. (OMISSIS). A tal fine il giudicante rigettava tanto le doglianze relative alla affidabilità dell'apparecchiatura autovelox per mancata omologazione, omessa taratura e periodicità dei controlli, quanto i rilievi formali in ordine alla formazione del verbale.
F. e R. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 14/18 novembre 2005, affidandosi a sei motivi di ricorso. Il comune di Venezia si è costituito con controricorso.
E' stata fissata la trattazione della causa con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio. Le parti hanno depositato memoria.
Con il primo motivo è denunciata nullità della sentenza conseguente alla tardiva costituzione del comune, che aveva depositato la memoria autorizzata solo il giorno prima dell'udienza del 30 giugno 2005, così verificandosi acquiescenza dell'ente sui motivi di ricorso.
Con il secondo motivo i ricorrenti, sempre denunciando un vizio del procedimento, assumono che sia stato violato l'art. 111 Cost., comma 2, in relazione alla questione posta sulla verifica annuale e relativa taratura dell'apparecchio autovelox: si sostiene che parte ricorrente aveva eccepito in seconda udienza che il ricorso trovava fondamento anche nel libretto di istruzioni, ma il giudice aveva ritenuto la domanda nuova, mentre trattatasi di specificazione di quanto già esposto originariamente o, al più, di motivo aggiunto, che il giudice doveva peraltro valutare nell'esame del rapporto sottostante la pretesa dell'amministrazione.
Con il terzo motivo è censurato il deposito della sentenza oltre 15 gg. dalla lettura del dispositivo, con la citazione di una sentenza della Corte di cassazione successiva alla data deliberazione, così nuocendo alle ragioni di parte ricorrente, disattese per motivi diversi da quelli effettivamente rilevanti.
Il quarto e quinto motivo espongono violazione o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare dell'art. 201 C.d.S. per utilizzo dell'autovelox 1047C-2 con modalità fissa, in assenza di organi di polizia, senza omologazione apposita. Inoltre l'apparecchio non potrebbe offrire valida prova perchè non sottoposto a verifica iniziale o periodica, nè a taratura.
Con il sesto motivo la sentenza è criticata perchè non avrebbe considerato la rilevanza della mancata indicazione, nel verbale, del giudice di pace competente e delle modalità di ricorso. Conviene esaminare in ordine logico quest'ultimo motivo, il cui accoglimento secondo il ricorrente renderebbe nullo l'atto amministrativo, assorbendo ogni altro vizio del provvedimento e del giudizio di opposizione.
Il motivo è formulato in maniera inammissibile e risulta comunque infondato. Sotto il primo profilo va rilevato che la sentenza impugnata ha disatteso il ricorso sul punto i assumendo che nel verbale alla voce ricorso art. 203 e segg. delle "modalità di estinzione" era ben segnalata l'Autorità competente a ricevere l'opposizione. Per contestare la sentenza parte ricorrente, atteso che la motivazione smentisce il presupposto di fatto lamentato, avrebbe dovuto denunciare il vizio di motivazione, invece di dolersi di una violazione di una legge che non risulta applicata dalla sentenza in modo difforme da quello sollecitato. In secondo luogo, per far emergere l'erroneità della motivazione in relazione alla legislazione vigente, l'istante avrebbe dovuto, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, precisare, mediante integrale trascrizione della medesima, la risultanza contestata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l'esame diretto degli atti, di delibarne la decisività. (Cass 11886/06; 12362/06).
Peraltro la tesi esposta in ricorso è infondata, giacchè giurisprudenza ormai consolidata del Supremo Collegio reputa che in tema di sanzioni amministrative, l'omessa o erronea indicazione nel provvedimento sanzionatorio del termine per proporre l'opposizione e dell'autorità competente a decidere sullo stesso, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 4, non può1 considerarsi nè una mera irregolarità priva di ogni effetto, nè un'omissione che automaticamente rende il provvedimento impugnabile in ogni tempo, ma può, se del caso, e cioè in concorso con le altre circostanze della fattispecie concreta, comportare la scusabilità dell'errore eventualmente commesso dall'interessato, il quale, tuttavia, ha l'onere di dimostrare, e il giudice il dovere di rilevare, la decisività dell'errore (cass 11405/06; 12895/06). Nel caso di specie l'irregolarità asserita non ha pregiudicato in alcun modo parte ricorrente ai fini del ricorso, inoltrato tempestivamente e regolarmente trattato.
Per motivi analoghi risulta inammissibile anche il primo motivo:
parte ricorrente non indica quale concreta limitazione difensiva sia derivata dalla tardività della costituzione in giudizio del Comune o comunque dal deposito tardivo delle memorie, sicchè vano risulta il richiamo degli artt. 24 e 11 Cost.. Nè la norma di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23, che viene indicata per sostenere che da tale ritardato deposito scaturisce automaticamente la nullità della sentenza, contiene una simile previsione; consta invece nella giurisprudenza di questa Corte l'affermazione che nel procedimento di opposizione all'ordinanza - ingiunzione irrogativa di sanzioni amministrative, la previsione della trasmissione, posta dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, comma 2, a carico dell'autorità che ha emesso il provvedimento impugnato, degli atti relativi all'infrazione al giudice che li abbia richiesti, a prescindere dalla costituzione in giudizio di detta autorità, non preclude a quest'ultima la facoltà1 di costituirsi e di depositare poi ogni altro documento ritenuto opportuno per spiegare le proprie difese, nè dispensa il giudice dal dovere, di cui all'art. 116 cod. proc. civ., di compiere una valutazione completa di detti documenti, ponendoli a sostegno dell'accertamento relativo alla violazione commessa. (Cass 12821/03; v. anche n. 14016/02).
Manifestamente infondato è anche il preteso vizio processuale denunciato con il terzo motivo. Il termine per il deposito della motivazione della sentenza resa al termine del procedimento speciale di cui alla L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 è infatti termine ordinatorio, senza che alcuna disposizione preveda che la violazione di esso comporti nullità della sentenza. Nè ha rilevanza il fatto che sia stata citata in motivazione una sentenza di legittimità emessa dopo la lettura del dispositivo della sentenza impugnata. Le sentenze della Corte non costituiscono infatti jus superveniens di cui sarebbe preclusa la rilevanza in una controversia già definita, ma interpretazioni del diritto vivente, richiamate dal giudice di merito a motivazione del percorso argomentativo che ha fondato la decisione già resa.
Inoltre nei gradi di impugnazione ogni sentenza della stessa Corte sarebbe stata comunque utilizzabile, sicchè il motivo di ricorso risulta comunque inammissibile per carenza di interesse.
Secondo, quarto e quinto motivo possono essere trattati congiuntamente perchè sono relativi alla contestata utilizzabilità dell'apparecchiatura autovelox per far risultare la violazione commessa dal conducente del veicolo, fermo che il vizio processuale di cui al secondo motivo non sussiste, perchè dalla sentenza (pag. 5 prima parte) non risulta che sia stata accolta l'eccezione di domanda nuova, meramente riportata in narrativa ma non risolta in motivazione.
Due sono in sostanza le lamentele dei ricorrenti: a) l'omesso, prova di idoneo documento di revisione periodica dell'apparecchiatura e relativo obbligo di taratura; b) la carenza di apposita omologazione che consentisse il funzionamento automatico senza presidio dell'organo di polizia.
Il primo rilievo è infondato. La Corte ritiene infatti di confermare quanto già in altri casi deciso (cfr sent. 23978 del 19 11 2007, pag. 22, relativa a sanzione accertata nel 2005), affermando che le apparecchiature elettroniche utilizzate per rilevare le violazioni dei limiti di velocità stabiliti, come previsto dall'art. 142 C.d.S., non devono essere sottoposte ai controlli previsti dalla L. n. 273 del 1991, istitutiva del sistema nazionale di taratura. Tale sistema di controlli, infatti, attiene alla materia ed metrologica diversa rispetto a quella della misurazione elettronica della velocità ed è competenza di autorità amministrative diverse, rispetto a quelle pertinenti al caso di specie.
Anche il secondo rilievo, sviluppato nel quarto e quinto motivo di ricorso e ai punti 4 e 5 della memoria, risulta privo di fondamento.
Preliminarmente occorre chiarire che non giova ai ricorrenti la sentenza n. 277 del 2007 della Corte costituzionale, che ha dichiarato infondata la questione sottopostale (art. 45 C.d.S.) per erronea individuazione della norma indicata come termine di comparazione, così non pronunciandosi sulla necessità di verifiche successive del funzionamento degli apparecchi. In secondo luogo mette conto qui riportare il contenuto della citata sentenza n. 23978 del 2007, che ha risolto analogo ricorso. Si legge colà che il legislatore non ha adottato nessuna disposizione che commini la decadenza delle omologazioni rilasciate alle apparecchiature in utilizzo. E la sentenza così prosegue:
"In particolare, si è ritenuto che:
- la necessità di omologazione dell'apparecchiatura di rilevazione automatica, ai fini della validità del relativo accertamento, va riferita al singolo modello e non al singolo esemplare, come si desume, sul piano logico e letterale, dal D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 345, comma 2, così come modificato dal D.P.R. 16 settembre 1996, n. 610, art. 197, secondo cui non ciascun esemplare ma "le singole apparecchiature" devono essere approvate dal Ministero dei lavori pubblici (Cass. 5.7.06 n. 15324, 24.3.04 n. 5889);
- ... l'errore tecnico, imputato al Ministero dei Lavori Pubblici nell'esercizio del potere di classificazione degli apparecchi elettronici di rilevazione della velocità può essere fatto valere dall'interessato solo per il tramite di un vizio di legittimità dell'atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere), ma non domandando al giudice, eventualmente anche a mezzo di consulente tecnico, un sindacato di merito di tipo sostitutivo del giudizio espresso dalla P.A. (Cass. 2.8.05 n. 16143);
- il termine di validità dell'omologazione da parte dei competenti organi ministeriali attiene non ad un arco di tempo durante il quale l'apparecchiatura può essere validamente utilizzata ed oltre il quale tale utilizzazione non è più legittima - dacchè tale operatività, una volta omologato il modello, dipende soltanto dalla permanente funzionalità della singola apparecchiatura - ma ad un arco di tempo durante il quale le apparecchiature di quel modello possono continuare ad essere commercializzate dal costruttore; ciò che si evince chiaramente sia dal D.M. 30 novembre 1998, n. 6025, art. 3, sia dal D.M. 20 marzo 2000, n. 1824, art. 2, sia dalle premesse dei detti decreti, nelle quali risulta come la determinazione ministeriale sia adottata sulla richiesta del produttore onde autorizzare la commercializzazione del prodotto in quanto riscontrato conforme agli standard normativamente richiesti;
pertanto, la scadenza del termine d'omologazione del modello d'apparecchiatura incide soltanto sulla possibilità per il costruttore di continuare a vendere le apparecchiature di quel modello e non sull'ulteriore utilizzabilità, oltre la scadenza di quel termine, delle apparecchiature già esistenti da parte degli organi operativi che ne siano dotati; diversamente opinando, si perverrebbe all'assurda conseguenza per cui un'apparecchiatura acquistata in prossimità della scadenza dell'omologazione diverrebbe inutilizzabile a far data da tale scadenza pur se perfettamente funzionante ed idonea allo scopo in ragione degli accertamenti in base ai quali era stata concessa l'omologazione del modello (Cass. 26.4.07 n. 9950);
- nel caso di violazione dei limiti di velocità rilevata attraverso apparecchiature "autovelox", la mancata contestazione immediata della violazione, qualora l'organo accertatore abbia dato atto a verbale dei motivi che hanno reso impossibile procedere alla stessa e tali motivi configurino una delle ipotesi previste dall'art. 384 C.d.S., lett. e), del regolamento di esecuzione del codice della strada, non è consentito al giudice un apprezzamento al riguardo, con l'indicazione di apparecchi più adeguati (o con la prospettazione di una diversa organizzazione del servizio), risolvendosi una tale valutazione in una inammissibile ingerenza nel modus operandi dellapubblica amministrazione, in linea di principio non sindacabile dal giudice ordinario (Cass. 7.11.03 n. 16713, 2.8.05 n. 16143);
in tema di rilevazione dell'inosservanza dei limiti di velocità dei veicoli a mezzo di apparecchiature elettroniche, nè il codice della strada (art. 142, comma 6) nè il relativo regolamento di esecuzione (D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 345) prevedono che il verbale di accertamento dell'infrazione debba contenere, a pena di nullità, l'attestazione che la funzionalità del singolo apparecchio impiegato sia stata sottoposta a controllo preventivo e costante durante l'uso, giacchè, al contrario, l'efficacia probatoria di qualsiasi strumento di rilevazione elettronica della velocità dei veicoli perdura sino a quando non risultino accertati, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall'opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionalità dello strumento stesso, o situazioni comunque ostative al suo regolare funzionamento, senza che possa farsi leva, in senso contrario, su considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse all'idoneità della mancanza di revisione o manutenzione periodica dell'attrezzatura a pregiudicarne l'efficacia ex art. 142 C.d.S. (Cass. 5.7.06 n. 15324, 16.5.05 n. 10212, 20.4.05 n. 8233, 10.1.05 n. 287, 22.6.01 n. 8515, 5.6.99 n. 5542);" A questo insegnamento la Corte rimane fedele, non essendo scalfito dalla considerazioni di parte ricorrente, che si ostinano a riproporre la necessità di un onere probatorio aggiuntivo dell'amministrazione, oltre quello relativo all'accertamento strumentale dell'eccesso di velocità, relativo alla funzionalità della apparecchiature sulla base, come da ultimo si è riportato, di astratte congetture.
Discende da quanto esposto la manifesta infondatezza del ricorso e la condanna dei soccombenti alla refusione delle spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 680,00 di cui 100,00 per spese e Euro 580,00 per onorari.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 31 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2008

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