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venerdì 18 marzo 2016

Cassazione: Pennichella sul posto di lavoro? Non è giusta causa di licenziamento



Pennichella sul posto di lavoro? Non è giusta causa di licenziamento

L'abitudine di schiacciare un pisolino fa di certo bene alla salute ma se la pennichella viene fatta sul posto di lavoro? Per la Cassazione non si è passibili di licenziamento per "giusta causa" a patto che si tratti di un episodio sporadico. Con la sentenza 6437/2010 la sezione Lavoro della suprema Corte ha accolto il ricorso di una guardia giurata che era stata licenziata dalla società di vigilanza per cui lavorava giacchè "si addormentava in servizio". Sia ben chiaro, la Cassazione non esclude la possibilità di un provvedimento anche severo nei confronti di chi si addormenta sul posto di lavoro ma, il licenziamento appare una misura eccessiva. La Corte ricorda che "il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente anche dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica disciplina del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore".
LAVORO (RAPPORTO DI)
Cass. civ. Sez. lavoro, 17-03-2010, n. 6437
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 70/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Verona in accoglimento della domanda, proposta da P.C. nei confronti della s.p.a. @@@@@@@, dichiarava la nullità del licenziamento intimato con lettera del (OMISSIS), ordinava la reintegra del P. e condannava la società al risarcimento dei danni.
Il giudice, in particolare, rilevava che la società, violando la L. n. 300 del 1970, art. 7 nella lettera di recesso, per motivare la giusta causa, aveva richiamato la recidiva "nell'addormentarsi in servizio" (con riferimento ad un precedente episodio del (OMISSIS)) in precedenza non contestata: e ciò sebbene si trattasse di un elemento costitutivo della sanzione ex art. 91 e 127 del ccnl commercio, laddove l'art. 81 prevedeva la sola sospensione in assenza di recidiva.
La società proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda.
Il P. si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza depositata il 5-4-2006, in accoglimento dell'appello rigettava le domande proposte dal P. e lo condannava alla restituzione degli importi ricevuti in esecuzione della sentenza di primo grado.
In sintesi la Corte territoriale, "qualificato" il licenziamento non come "disciplinare", bensì come "licenziamento per giusta causa", ha ritenuto "superfluo esaminare se siano state o meno scrupolosamente rispettate le procedure in tema di licenziamento disciplinare".
Per la cassazione di tale sentenza il P. ha proposto ricorso con tre motivi.
La società ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e formulando il relativo quesito ex art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, in sostanza deduce che la Corte territoriale erroneamente ha operato una distinzione tra "licenziamento disciplinare" e "licenziamento per giusta causa" e, ritenendo che per tale seconda categoria non necessiterebbe il ricorso alla contestazione dell'addebito, ha ritenuto legittimo il licenziamento de quo, considerandolo "per giusta causa".
In particolare il ricorrente lamenta che, in tal modo, la sentenza impugnata ha totalmente disatteso la nozione ontologica del licenziamento disciplinare, ormai consolidata.
Il motivo è fondato.
In base al principio costantemente affermato da questa Corte e che qui va ribadito, "il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente anche dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica disciplina del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 3 circa la contestazione dell'addebito ed il diritto di difesa" (v. fra le altre Cass. 13-8-2007 n. 17652, Cass. S.U. 1-6- 1987 n. 4823, Cass. S.U. 16-12-1987 n. 9302, Cass. 5-12-1989 n. 5365, vedi anche, fra le altre, sulle conseguenze della violazione delle dette garanzie, Cass. S.U. 26-4-1994 n. 3965, Cass. 19-6-1998 n. 6135 e Cass. 12-4-2003 n. 5855).
La sentenza impugnata, qualificando il licenziamento de quo come "per giusta causa" ma non come "licenziamento disciplinare", e ritenendo nella fattispecie "superfluo" esaminare se fossero state o meno scrupolosamente rispettate le procedure in tema di licenziamento disciplinare, ha disatteso in pieno il suddetto principio e tanto basta per cassare la impugnata sentenza con rinvio, restando assorbiti il secondo e il terzo motivo, riguardanti questioni ulteriori, riproponibili dinanzi al giudice di rinvio.
Quest'ultimo viene designato nella Corte di Appello di Brescia, la quale provvederà attenendosi al principio di cui sopra, statuendo anche sulle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa la impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Brescia.
Così deciso in Roma, il 23 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2010
 

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