Niente telefonate dopo la mezzanotte. Basta uno squillo per far scattare la multa
Giro di vite della Cassazione contro gli squilli molesti. Anche una sola telefonata, secondo Piazza Cavour, può considerarsi petulante e tale da arrecare disturbo alle persone. .
CASSAZIONE PENALE
Cass. pen. Sez. I, (ud. 12-11-2009) 05-01-2010, n. 36
Cass. pen. Sez. I, (ud. 12-11-2009) 05-01-2010, n. 36
Svolgimento del processo
1. Con sentenza la sentenza in epigrafe il Tribunale di Chieti ha dichiarato F.N. responsabile del reato di cui all'art. 660 c.p. commesso il (OMISSIS) ai danni di D.P.F., condannandolo, in concorso di circostanze attenuanti generiche, alla pena di Euro 300,00 di ammenda.
1.1. Il fatto imputato al F. consisteva nell'avere telefonato nottetempo alla moglie, D.P.F., dicendole tra l'altro "sei finita".
La vicenda si iscriveva nel contesto di una separazione personale, con contrasti tra i coniugi. La telefonata era stata effettuata "oltre la mezzanotte", sicchè non aveva pregio la tesi difensiva, secondo cui il ricorrente intendeva soltanto contestare alla moglie il fatto che non gli aveva consentito di vedere il figlio, sollecitando il suo rispetto degli impegni. La telefonata a quell'ora era infatti idonea a disturbare il sonno e rendeva evidente l'intento di molestare, perchè, a mezzanotte, non poteva avere alcuna concreta utilità sollecitatoria.
2. Ricorre l'imputato a mezzo del difensore, avvocato Giovanni Legnini, che chiede l'annullamento della sentenza impugnata denunziando:
2.1. mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla prova della commissione del fatto, lamentando in particolare che nessuna valutazione era stata fatta circa l'attendibilità della persona offesa, sicchè le sue dichiarazioni potevano valere al più come mero indizio; fra i coniugi esistevano difatti da tempo ampi contrasti, per la separazione e l'affidamento del figlio, e dunque la situazione concreta, alla quale la sentenza impugnata faceva pure cenno, imponeva di dubitare della attendibilità della denunziante;
2.3. violazione di legge ed erronea applicazione dell'art. 660 c.p. perchè difettavano nella situazione in esame gli elementi della "petulanza" ovvero del "biasimevole motivo": quanto alla petulanza, la stessa andava esclusa perchè l'imputato aveva effettuato una sola telefonata, attorno la mezzanotte, al cellulare della ex-moglie (cita cass. sez. 1, 22.6.1998 n. 7044); del pari andava escluso il "biasimevole motivo" perchè la telefonata non era dettata dall'intento d'interferire nella sfera di libertà della ex-moglie ma era stata fatta allo scopo di chiedere informazioni sul figlio, Mattia, che avrebbe dovuto incontrarsi con il padre il giorno precedente (dalle 18 alle 21) senza che ciò fosse avvenuto (il ragazzo era stato portato al mare dalla madre facendo rientro alle 20,30), nè rivelava comunque uno specifico malanimo che trasformava il motivo legittimo in dispetto; sicchè la circostanza che la telefonata fosse stata considerata "molesta" dalla donna o il fatto che fosse avvenuta alle 24 (e non nel "cuore della notte", unico argomento usato dal giudice a quo per affermare la sussistenza del reato) non erano sufficienti ad integrare il reato contestato.
Motivi della decisione
1. Ritiene il Collegio che il ricorso sia inammissibile.
1.1. Il primo motivo, dedicato alla valutazione di attendibilità della persona offesa, è inammissibile perchè introduce prospettazioni di fatto non consentite nel giudizio di legittimità.
E' indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che la deposizione della persona offesa dal reato può essere anche da sola assunta come fonte di prova, ove sia ritenuta oggettivamente e soggettivamente credibile, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, se non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità. Mentre la valutazione circa la sua attendibilità attiene interamente al merito e non è sindacabile in questa sede ove risulti, come nel caso in esame, plausibile e sorretta da sufficiente considerazione del contesto in cui la stessa s'inserisce e dei suoi riflessi nella vicenda particolare in esame.
1.2. Parimente inammissibile è ad avviso del Collegio il secondo motivo, con il quale si evoca la violazione dell'art. 660 c.p. sul rilievo che difettavano gli estremi della "petulanza" ovvero del "biasimevole motivo", perchè con esso nella realtà si censura l'apprezzamento, anch'esso squisitamente di merito, circa l'idoneità della condotta a recare disturbo e circa l'intenzione dell'agente di molestare la persona offesa piuttosto che di rivendicare il suo diritto a vedere il figlio. Ma sul punto il rilievo che l'ora in cui era stata effettuata la telefonata, attorno alla mezzanotte, dimostrava sia l'obiettiva molesta intrusione in ore riservate al riposo sia l'evidente intenzione del ricorrente di molestare la moglie piuttosto che di vedere il bambino, che a quell'ora avrebbe dovuto dormire, appare frutto di considerazioni plausibili in fatto, epperciò non censurabile in questa sede.
Impertinenti devono perciò ritenersi le considerazioni sull'assenza del requisito della petulanza (che richiederebbe la reiterazione dei comportamenti molesti e si porrebbe come una modalità alternativa della condotta rispetto a quella, anche unisussistente, caratterizzata dall'intenzione biasimevole), avendo la sentenza impugnata basato la decisione sull'esistenza appunto dell'unico biasimevole motivo di recare molestia.
2. All'inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) - di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2010
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