Mobbing ed interdizione temporanea
CASSAZIONE PENALE - LAVORO (RAPPORTO) - MISURE CAUTELARI PERSONALI - PENA - REATO IN GENERE - SOCIETA'
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 18-03-2009) 13-07-2009, n. 28553
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 18-03-2009) 13-07-2009, n. 28553
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1.- Nel quadro di articolate indagini su estese manifestazioni di mobbing in ambiente lavorativo verificatesi presso l'A.S.M. SpA di (OMISSIS), azienda municipalizzata per lo smaltimento dei rifiuti urbani, scandite da molteplici attività dei vertici aziendali volte a conseguire l'acquiescenza dei lavoratori (in particolare presso il termovalorizzatore) alle carenze degli impianti di sicurezza e di prevenzione di infortuni, sottoponendo gli stessi lavoratori a ripetuti provvedimenti di dequalificazione, di depotenziamento dei rispettivi ruoli e a minacce di sanzioni disciplinari ingiustificate, il procedente pubblico ministero presso il Tribunale di Terni contestava a O.M., direttore generale della ASM, reati continuati di maltrattamenti, abuso di ufficio, lesioni personali, violenza privata e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.
Con atto del 9.9.2008 lo stesso Pubblico Ministero rinnovava la richiesta ex art. 290 c.p.p., di applicazione nei confronti dell' O. della misura cautelare dell'interdizione temporanea dall'esercizio dell'attività di direttore generale della ASM e di presidente di aziende private, municipalizzate o a capitale misto, richiesta già rigettata dal g.i.p. il 10.6.2008, individuando un rilevante dato di novità accreditante la fondatezza delle accuse mosse all'indagato in una informativa integrativa della ASL del 7.7.2008 (nuove audizioni dei lavoratori oggetto di mobbing).
Il g.i.p. del Tribunale di Terni con ordinanza in data 25.9.2008 respingeva anche la nuova richiesta di misura interdittiva, osservando che - impregiudicata una eventuale completa verifica dibattimentale delle accuse mosse all' O. e ai molti altri coindagati - le emergenze delle indagini non delineavano la sussistenza dei presupposti per l'adozione della sollecitata misura interdittiva, la vicenda continuando a lambire non secondari aspetti di mera rilevanza civilistica o giuslavoristica sovrapposti, spesso in contesti di ardua differenziazione, a quelli ritenuti dotati di rilevanza penale.
Il Pubblico Ministero proponeva appello contro l'ordinanza reiettiva del g.i.p., ripercorrendo le risultanze delle indagini preliminari e censurando le conclusioni del g.i.p. elusive della tutela penale richiesta dai fatti verificati in seno alla gestione aziendale del personale della ASM SpA, aggravati dalla ripetitività dei contegni antigiuridici dell' O., rimasto a ricoprire la carica di direttore generale pur dopo l'avvio dell'inchiesta penale.
2.- Il Tribunale distrettuale di Perugia, quale giudice dell'appello cautelare, con l'ordinanza in data 10.11.2008, richiamata in epigrafe, ha accolto l'impugnazione del p.m. ed ha applicato a O.M. la misura cautelare interdittiva del divieto di esercitare per mesi due l'attività di direttore generale e di presidente di aziende private, municipalizzate o a capitale misto.
Il Tribunale in limine ha respinto le eccezioni preliminari formulate in rito dalla difesa dell'indagato in tema di presunto giudicato cautelare (in riferimento al primo provvedimento del g.i.p. di rigetto della richiesta cautelare non impugnato dal P.M.) e di tardività dell'appello del P.M..
Nel merito i giudici di appello hanno ritenuto la posizione dell' O. raggiunta da gravi indizi di colpevolezza in ordine agli ascritti reati di maltrattamenti, lesioni personali e violenza privata (il reato di cui all'art. 323 c.p., non consentendo, per pena edittale, l'applicazione di misure cautelari) sulla base dei molteplici elementi probatori raccolti in corso di indagine e della loro univoca rilevanza penale, ulteriore e diversa (oltre che con essi non confliggente) rispetto ai concorrenti profili di natura civilistica avvolgenti l'intera vicende (misure disciplinari adottate nei confronti dei lavoratori dell'ASM, ricorsi proposti dai lavoratori davanti al giudice del lavoro, ecc.). Elementi contrassegnati dalle dichiarazioni testimoniali dei lavoratori vittime di condotte "costrittive" dei vertici aziendali ed in primo luogo del direttore generale O., dichiarazioni caratterizzate da verificata attendibilità e spesso riscontrate da certificazioni sanitarie relative agli stati di infermità sopportati dai lavoratori "mobbizzati". Alla gravità del quadro indiziario il Tribunale ha, poi, ritenuto congiungersi la sussistenza di esigenze cautelari connesse al pericolo di prosecuzione dell'attività criminosa e al pericolo di inquinamento delle fonti di prova, emergendo il realizzarsi di atteggiamenti vessatori o intimidatori dell' O. fino allo stesso mese di (OMISSIS).
3.- Contro la descritta ordinanza del giudice dell'appello cautelare ha proposto ricorso per cassazione il difensore di O.M., deducendo i seguenti vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione.
1. Violazione dei principi regolanti il giudicato cautelare. Erroneamente citando gli artt. 322 bis e 324 c.p.p., il ricorrente lamenta la mancata declaratoria di inammissibilità e/o tardività dell'appello del P.M. contro l'ordinanza del g.i.p. del 25.9.2008, per essersi già formato il giudicato cautelare in relazione alla medesima richiesta cautelare del P.M. respinta dal g.i.p. con l'ordinanza del 10.6.2008 non impugnata dal P.M., che - d'altro canto - con la nuova richiesta di misura cautelare interdittiva non ha proposto nuovi o diversi elementi di valutazione rispetto alla prima rigettata richiesta cautelare.
2. Violazione dell'art. 407 c.p.p.. Il Tribunale di Perugia ha apprezzato, ai fini dell'applicazione della misura cautelare nei confronti dell' O., elementi indiziari non utilizzabili perchè acquisiti dopo la scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari nei confronti dell'indagato iscritto nel registro delle notizie di reato fin dal (OMISSIS) per il reato di lesioni personali plurime.
3. Erronea applicazione dell'art. 273 c.p.p., sotto duplice profilo. Da un lato i giudici dell'appello cautelare hanno ritenuto ininfluente ai fini della ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell' O. la circostanza che pressochè tutti i procedimenti disciplinari promossi dall'azienda e per essa dal direttore generale sono stati confermati nella competente sede civile (giudice del lavoro), ma hanno omesso di considerare che la riconosciuta legittimità dell'operato dell' O. nei rapporti con il personale esclude la rilevanza penale dei fatti, conclamando una corretta applicazione da parte dell'indagato dello ius corrigendi che è pacificamente riconosciuto anche al datore di lavoro. Da un altro lato il Tribunale ha tralasciato di constatare che i procedimenti disciplinari sono stati promossi dall'indagato solo in ragione della sua qualità di direttore generale dell'ASM, ma i fatti oggetto delle singole iniziative disciplinari sono stati segnalati o riferiti dai superiori gerarchici dei lavoratori (la formalizzazione dei procedimenti si configura come atto dovuto del direttore generale).
4. Difetto di motivazione su elementi segnalati dalla difesa dell'indagato in opposizione all'appello cautelare del P.M. accolto dal Tribunale. In particolare con le memorie difensive è stata allegata una consulenza tecnica medico-legale redatta dal prof. B., critica sui rapporti di valutazione psicodiagnostica concernenti il disadattamento dei lavoratori della ASM considerati in imputazione. Ma il Tribunale ha completamente ignorato tale apporto scientifico, dando assoluto credito agli accertamenti svolti dalla ASL di (OMISSIS).
5. Con memoria depositata il 12.3.2008 il difensore del ricorrente ha ribadito le doglianze espresse con il ricorso ed ha delineato un motivo nuovo integrato dalla violazione dell'art. 274 c.p.p., in punto di esigenze cautelari, della cui esistenza il Tribunale perugino non avrebbe offerto idonea dimostrazione. In realtà alla tematica si giustappone un ulteriore sostanziale motivo nuovo rappresentato dall'addotto travisamento dei fatti da provare o, più esattamente, dal travisamento della prova con riguardo alle evenienze segnalate nella consulenza tecnica dell'indagato già prima citata, laddove si rileva la violazione del protocollo nazionale per il riconoscimento dei casi di mobbing, alla formulazione dei giudizi medici collegiali raccolti dalla ASL di (OMISSIS) non avendo partecipato (oltre a medici del lavoro) uno psichiatra ma soltanto uno psicologo.
4.- Il ricorso proposto nell'interesse di O.M. non può trovare accoglimento per infondatezza o per indeducibilità dei delineati motivi di censura, che per buona parte lambiscono contorni di genericità, essendo costituiti dalla replica di rilievi già formulati in sede difensiva innanzi al Tribunale di Perugia e da questo congruamente vagliati.
1. Il motivo concernente la supposta inammissibilità (e/o tardività) dell'appello del P.M. contro l'ordinanza del g.i.p. reiettiva della richiesta cautelare per la preclusione derivante dal c.d. giudicato cautelare (per essere stata già respinta la richiesta cautelare del P.M. con un precedente provvedimento del g.i.p. non impugnato) è destituito di fondamento. Con corretto ragionamento, infatti, l'ordinanza impugnata ha evidenziato come legittimamente il procedente P.M. abbia fondato la seconda nuova richiesta di applicazione della misura interdittiva su nuovi elementi di prova sopravvenuti e atti a surrogare il paradigma indiziario ricomposto nei confronti dell' O. (informativa ASL del (OMISSIS); informazioni testimoniali rese da C.L. al P.M. il (OMISSIS); referto INAIL (OMISSIS) con cui si riconosce al lavoratore della ASM persona offesa G. una malattia professionale ritenuta ascrivibile a fatti di mobbing).
In vero la formazione del giudicato cautelare, in applicazione del generale principio del ne bis in idem, ha una sua ragion d'essere - con effetti preclusivi endoprocessuali di istanze o impugnazioni per i medesimi fatti - unicamente a fronte della prospettazione di una stessa situazione anteriormente valutata ovvero di questioni già decise. Nessuna preclusione può operare quando, come nel caso relativo all'indagato O., l'istante o impugnante rappresenti la sopravvenuta acquisizione di elementi indiziari nuovi o integrativi di quelli già disponibili, i quali - mutando i referenti dell'anteriore situazione fattuale - giustificano la rinnovata analisi e valutazione della regiudicanda cautelare (cfr.: Cass. Sez. 1^, 19.1.2007 n. 15906, Petta, m. 236278; Cass. Sez. 2^, 26.6.2008 n. 34607, Pavan, m. 240703).
2. Il secondo motivo di impugnazione (logicamente connesso al primo), relativo alla inutilizzabilità degli atti valutati dal Tribunale perchè sopravvenuti alla scadenza dei termini delle indagini preliminari, è parimenti infondato. Anche in questo caso giuridicamente corretta deve considerarsi la deduzione dei giudici dell'appello cautelare che hanno respinto l'omologa eccezione preliminare sollevata dalla difesa dell'indagato. Si osserva nell'ordinanza impugnata: "come comprovato dalla documentazione prodotta dal P.M., ì termini in questione non risultano scaduti, dovendosi aver riguardo alla data in cui il nominativo dell' O. è stato iscritto per le fattispecie che interessano specificamente la richiesta di misura cautelare e alle proroghe intervenute tempestivamente".
Non è revocabile in dubbio che il termine di massima durata delle indagini preliminari prorogate, alla scadenza del quale divengono inutilizzabili gli atti di indagine posteriori, decorre non dalla prima iscrizione dell'indagato nel registro delle notizie di reato, ma dalla iscrizione progressiva - in caso di pluralità di reati via via accertati - dello specifico titolo del reato o dei reati per i quali si procede ad un determinato incombente processuale ovvero si richiede l'adozione di una determinato provvedimento giudiziario (v.: Cass. S.U., 21.6.2000 n. 16, Tammaro, m. 216248; Cass. Sez. 1^, 10.1.2006 n. 5484, PM in proc. Genovese, m. 235100).
3. Le censure espresse in tema di addotta inidoneità dei gravi indizi di colpevolezza ritenuti dal Tribunale perugino sussistenti a carico dell' O. (terzo motivo di ricorso) e le censure strettamente connesse in tema di carenza di motivazione per omesso vaglio delle conclusioni di una consulenza tecnica dell'indagato (quarto motivo di ricorso) sono manifestamente infondate e in sostanza insuscettibili di proposizione nel giudizio di legittimità. Per un verso non può non constatarsi che il Tribunale ha preso già in considerazione le odierne doglianze del ricorrente (sia pur enunciate in veste di resistente all'appello interposto dal P.M.), alle quali ha fornito adeguata e logica risposta, evidenziandone la palese fragilità.
Il Tribunale ha affrontato sia il tema della legittimità o non dei procedimenti disciplinari riconducibili all'indagato, di cui ha rimarcato l'inconferenza valutativa con il conforto della giurisprudenza di questa Corte regolatrice (l'ordinanza richiama la decisione Cass. Sez. 6^, 8.3.2006 n. 31413, Riva, secondo cui la condotta vessatoria integrante mobbing non è esclusa dalla formale legittimità delle iniziative disciplinari assunte nei confronti dei dipendenti mobbizzati), sia la lineare riconducibilità sostanziale e non solo formale (in virtù della sua carica aziendale) all' O. dei contegni prevaricatori attuati nei confronti di numerosi dipendenti (non a caso il Tribunale ha menzionato l'episodio della "nuova" aggressione verbale attuata nei confronti del dipendente C. dall'indagato, pur già edotto delle indagini in corso nei suoi confronti). In tale contesto il rilievo concernente il mancato esame della consulenza tecnica del prof. B. non solo è incongruo sul piano formale (non delineandosi un obbligo di specifica risposta da parte del Tribunale non essendo l' O. la parte appellante) ma è altresì sostanzialmente del tutto infondato. Il Tribunale ha offerto, infatti, una indiretta risposta ai rilievi formali del consulente sulla formazione dei collegi di valutazione della significatività medico - diagnostica degli episodi di mobbing, per il semplice motivo che la solidità del quadro indiziario è stata apprezzata in particolar modo in base alle dichiarazioni dei singoli lavoratori ASM raggiunti da comportamenti di mobbing (richiami, censure, procedimenti disciplinari, mansioni ridotte, ecc.). Agli argomenti di valutazione delle complessive risultanze probatorie, poi ed in ultima analisi, il ricorrente contrappone una propria personale (e intuibilmente riduttiva) rilettura in punto di fatto di tali risultanze, delle quali invoca una improponibile (censure in punto di fatto non consentite) rivisitazione in questa sede di legittimità. 4. Il "motivo nuovo" afferente alla asserita inadeguata valutazione delle esigenze cautelari legittimanti ex art. 274 c.p.p., l'adozione della misura cautelare interdittiva è con tutta chiarezza indeducibile, poichè non presenta alcun collegamento con i motivi esposti con l'originario ricorso, interamente imperniato sulla critica del quadro indiziario delineato dall'impugnata ordinanza del Tribunale di Perugia.
In base al combinato disposto dell'art. 585 c.p.p., comma 4, (in rel. artt. 311 e 611 c.p.p.) e art. 167 disp. att. c.p.p., la prospettazione di motivi "nuovi" è consentita nei limiti in cui siffatti motivi riguardino capi o punti della decisione impugnata già oggetto di censura nell'originario atto d'impugnazione ai sensi dell'art. 581 c.p.p., (cfr., ex pluribus: Cass. Sez. 5^, 22.9.2005 n. 45725, Capacchione, m. 233210: "i motivi nuovi a sostegno dell'impugnazione, previsti nelle norme concernenti il ricorso per cassazione in materia cautelare art. 311 c.p.p., comma 4, devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di gravame ai sensi dell'art. 581 c.p.p., lett. a").
Le ulteriori censure ("nuove") esposte con la memoria difensiva depositata il 12.3.2008, deducenti il travisamento della prova in relazione a tutti i profili dell'analisi decisoria del Tribunale di Perugia, sono anch'esse indeducibili per le ragioni già esposte, siccome incentrate su una non consentita ricostruzione e reinterpretazione alternativa di meri elementi fattuali correlati ai diacronici sviluppi delle condotte oggetto di indagine penale, logicamente apprezzati nella motivazione dell'ordinanza impugnata alla stregua di una corretta applicazione dei criteri di valutazione della prova e, per ciò stesso, non ripercorribili o revisionabili in questa sede di legittimità.
Al rigetto dell'impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, demandandosi alla cancelleria le comunicazioni di rito connesse alla esecutività del provvedimento cautelare impugnato.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 reg. esec. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2009
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