L'indennità di missione è dovuta nel caso di trasferimento d'autorità
N. 00738/2002 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 738 del 2002, proposto dai signori -
contro
il Ministero dell'Interno ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, sezione 2ª n. 00911/2001, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2010 il Consigliere -
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I signori - hanno proposto ricorso al TAR della Liguria chiedendo il riconoscimento del diritto alla corresponsione del beneficio economico di cui all’art. 1 della l. 10 marzo 1987, n. 100.
I suddetti, rispettivamente colonnello e maresciallo aiutante della Guardia di finanza, sostengono di aver titolo al predetto trattamento economico di missione in relazione al loro trasferimento d’autorità da Torino a Genova e l’assegnazione alla sezione di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica del Tribunale di Genova.
Il primo giudice, accogliendo l’eccezione dell’Avvocatura dello Stato, intervenuta a difesa delle Amministrazioni intimate, ha ritenuto che l’indennità richiesta non spetti, in quanto prescritta ex art. 2948 c.c.
La sentenza viene appellata dai soccombenti ---, i quali contestano la statuizione di intervenuta prescrizione, sia perché non si applicherebbe alla indennità in questione l’art. 2948 nn. 4 e 5, cod. civ., non essendo crediti lavorativi, sia perché comunque si applicherebbe la prescrizione decennale ex art. 2946 c.c., come ogniqualvolta è necessario un provvedimento ricognitivo dei presupposti di fatto da parte della Pubblica amministrazione.
Superata la questione di prescrizione, si sostiene la fondatezza della pretesa agita avanti al TAR sulla scorta di giurisprudenza formatasi in materia.
Le Amministrazioni intimate non si sono costituite in giudizio.
Le parti appellanti, con successiva memoria, hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi.
Il ricorso in appello è fondato.
Va, anzitutto affrontata la censura relativa all’erronea applicazione del termine di prescrizione quinquennale, ex art. 2948, n. 4 c.c., laddove, nella specie, opererebbe l’ordinario termine decennale, trattandosi di credito non discendente direttamente dalla legge, bensì insorgente a seguito di uno specifico provvedimento ricognitivo dell’Amministrazione.
La tesi è fondata.
La prescrizione decennale, come è giurisprudenza consolidata, opera in luogo di quella quinquennale tutte le volte che il credito retributivo non sia immediatamente determinato o determinabile, ma presupponga una previa attività dell’Amministrazione di ricognizione dei presupposti di fatto, ai fini della quantificazione dell’entità del credito stesso (cfr. VI Sez., n. 4149/00). In questi casi, fino a quando tale attività non sia posta in essere, il dipendente può far valere le proprie ragioni di pretesa entro il termine ordinario di prescrizione.
Il caso concreto può farsi rientrare in tale ipotesi, posto che la speciale indennità accordata ai militari dalla L. n. 100 del 1987, che non ha natura retributiva, ma di ristoro dei disagi che l’interessato affronta nel reperire una diversa sistemazione in una nuova sede di servizio ( cfr. IV Sez., n. 5239/08) non può essere riconosciuta senza che l’Amministrazione abbia valutato le posizioni individuali dei soggetti contemplati dalla norma, al fine di accertare la sussistenza delle condizioni richieste per l’attribuzione del beneficio economico in questione (cfr. VI Sez. n. 1042/02).
Le conclusioni di cui sopra consentono di affrontare il merito della spettanza o meno della indennità in questione.
Ai sensi dell’art. 1, comma 1, della l. n. 100/1987, “a decorrere dal 1° gennaio 1987, al personale delle Forze armate, dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di Finanza, trasferito d’autorità prima di aver trascorso quattro anni di permanenza nella sede, spetta il trattamento economico previsto dall’articolo 13 della legge 2 aprile 1979, n. 97, come sostituito dall’art. 6 della legge 19 febbraio 1981, n. 27”.
L’art. 8 del d.lgs. n. 271/1989 prevede, al comma 1, che “gli interessati all’assegnazione alle sezioni di polizia giudiziaria presentano domanda all’amministrazione di appartenenza entro trenta giorni dalla pubblicazione delle vacanze indicando, se lo ritengono, tre sedi di preferenza” e, al comma 3, che, “Quando mancano le domande o queste sono in numero inferiore al triplo delle vacanze, ciascuna amministrazione indica al procuratore generale, individuato a norma del comma 2, coloro che possono essere presi in considerazione ai fini dell'assegnazione alle sezioni sino a raggiungere, tenendo conto anche delle eventuali domande, un numero triplo a quello delle vacanze”.
La sezione condivide l’orientamento giurisprudenziale (cfr., fra le altre, VI Sez., n. 71 del 2001) secondo cui il discrimine tra trasferimento d'ufficio e a domanda del personale delle forze armate debba cogliersi nel diverso rapporto che intercorre nelle due ipotesi tra interesse pubblico e interesse personale del dipendente; per cui nel primo caso il trasferimento è reputato indispensabile per realizzare l'interesse pubblico, mentre nel secondo è solo riconosciuto compatibile con le esigenze amministrative. Ne consegue che il trasferimento di unità di personale presso le sezioni di polizia giudiziaria ha natura di trasferimento d'autorità, in quanto è destinato a soddisfare prioritariamente l'interesse dell'amministrazione, mentre la domanda prevista dall'art. 8 del d.lgs. n. 271/1989 è solo una dichiarazione di assenso o di disponibilità all'assegnazione alle suddette sezioni (Cons. Stato, sez. IV, 15 dicembre 2000, n. 6624 e 24 maggio 1995, n. 353).
E’ vero che, successivamente al ricorso di primo grado e alla sentenza appellata, è intervenuto l’art. 3, comma 74, della l. 24 dicembre 2003, n. 350, secondo cui “L'articolo 8 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, si interpreta nel senso che la domanda prodotta dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza è da considerare, ai fini dell'applicazione della legge 10 marzo 1987, n. 100, come domanda di trasferimento di sede”.
Siffatta norma, tuttavia, pur autoqualificandosi come interpretativa, non può trovare applicazione per fatti precedenti alla sua entrata in vigore, pena l’incostituzionalità della stessa. Ciò in quanto, affinché una norma interpretativa, e quindi retroattiva, possa essere considerata costituzionalmente legittima, è necessario – diversamente a quanto accade nel caso di specie - che: la stessa si limiti a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente; non integri il precetto di quest'ultima; e, infine, non adotti un'opzione ermeneutica non desumibile dall'ordinaria esegesi della stessa. Fermo restando che l'efficacia retroattiva della legge di interpretazione autentica è soggetta al limite del rispetto del principio dell'affidamento dei consociati alla certezza dell'ordinamento giuridico, con la conseguente illegittimità costituzionale di una disposizione interpretativa che indichi una soluzione ermeneutica non prevedibile rispetto a quella affermatasi nella prassi (Cons. Stato, sez. IV: 20 aprile 2006, n. 2247; 7 aprile 2006, n. 1928; 1° marzo 2006, n. 970; 7 marzo 2005, n. 872).
Il ricorso in appello, pertanto, deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado e dichiarato il diritto degli appellanti alla corresponsione del beneficio economico di cui all’art. 1 della l. n. 100/1987. Le spese del doppio grado di giudizio vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, accoglie il ricorso in appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e dichiara il diritto degli appellanti alla corresponsione del beneficio economico di cui all’art. 1 della l. n. 100/1987.
Condanna le parti soccombenti al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3000,00.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 16 febbraio 2010 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori:
Luigi Cossu, Presidente
Antonino Anastasi, Consigliere
Anna Leoni, Consigliere, Estensore
Vito Carella, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/05/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
Nessun commento:
Posta un commento