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lunedì 1 gennaio 2024

TAR 2016: richiesto '..risarcimento iure herediatatis e iure proprio dei danni patiti a seguito di esposizione ad amianto..'

 

"..Il Tribunale Amministrativo Regionale .. definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto condanna il Ministero della Difesa a corrispondere in favore dei ricorrenti la somma di euro 487.200,00 (quattrocentottasettemiladucento/00).."


 

 

TAR 2016: richiesto '..risarcimento iure herediatatis e iure proprio dei danni patiti a seguito di esposizione ad amianto..'


N. 00868/2016 REG.PROV.COLL.
N. 04137/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4137 del 2010, proposto da: -OMISSIS-
rappresentati e difesi dall'avv.  
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliata in Napoli, via Diaz, 11;
per il risarcimento iure herediatatis e iure proprio dei danni patiti a seguito di esposizione ad amianto da parte del de cuius dei ricorrenti -OMISSIS-con conseguente insorgenza-OMISSIS-;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2015 la dott.ssa Diana Caminiti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1. -OMISSIS-, con il presente ricorso hanno esposto che:
- il de cuius era stato arruolato nella Marina Militare Italiana, con matricola n. -OMISSIS-, epoca di congedo con grado di sottoufficiale rivestendo la qualifica di meccanico navale;
- per lungo tempo era stato a contatto con elevate quantità di amianto, sia per la mera permanenza a bordo durante la giornata lavorativa, sia (ed ancor più) per lo specifico esercizio delle sue mansioni, in quanto era costretto ad indossare guanti e tute d'amianto, nonché a maneggiare “materassi cotti d'amianto”;
- successivamente, a seguito di -OMISSIS-manifestatisi sin dal settembre 2008, in data 20 febbraio 2009 gli era stata diagnosticato “-OMISSIS-”, -OMISSIS- diagnosticato anche successivamente, quale conseguenza di detta esposizione all'amianto che lo aveva poi condotto in data 2 maggio 2010 alla morte.
Tanto premesso, hanno chiesto che venisse accertato e dichiarato il loro diritto al risarcimento sia iure heredidatis per il danno biologico e morale subito del de cuius, sia iure proprio in relazione al danno da perdita del rapporto parentale, quantificando il risarcimento in euro 683.280,00 per il danno iure hereditatis da dividersi pro quota, ed in euro 225.000,00pro capite per il danno iure proprio.
1.1. Allegano al riguardo i ricorrenti che l’-OMISSIS-, nel periodo dal 1948 al 1957, era stato imbarcato sui navigli di Stato con grado di sottoufficiale, rivestendo la qualifica di meccanico navale, lavorando in ambienti caratterizzati da una forte concentrazione di amianto, rischio generico e, soprattutto, era stato costretto nell'espletamento delle proprie mansioni che prevedevano la manutenzione e riparazione - c.d. ischio specifico - a maneggiare i c.d. "materassi cotti di amianto" che coibentavano le tubature e i collettori superiori ed inferiori, nonché, per le particolari qualità ignifughe, guanti e "tute d'amianto", sia per utilizzo personale che per aiutare i colleghi di lavoro ad indossarle, in quanto molto pesanti.
2. Si è costituito il Ministero della Difesa, con deposito di documenti e di memoria difensiva, instando per il rigetto del ricorso, in considerazione dell’assenza di nesso di causalità fra la malattia insorta nel de cuius dei ricorrenti, che lo avrebbe condotto poi alla morte, e la prestazione di attività lavorativa a bordo delle navi della Marina Militare, nonché per la non configurabilità della responsabilità del Ministero medesimo, datore di lavoro, in considerazione dell’assenza di prescrizioni specifiche inerenti l’amianto all’epoca in cui l’-OMISSIS- ebbe ad essere imbarcato sulle predette navi.
3. Con memoria difensiva depositata in data 24 luglio 2014, peraltro parte ricorrente ha dedotto, quanto al profilo del nesso causale, che il Ministero della Difesa aveva riconosciuto la dipendenza da causa di servizio della patologia di cui è causa ed in data il 4 aprile 2012 aveva attestato che -OMISSIS- -OMISSIS- era equiparato alle Vittime del Dovere, sulla base del parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, n. 677 del 20 marzo 2012 , che aveva riconosciuto il -OMISSIS- -OMISSIS- "riconducibile alle particolari condizioni ambientali ed operative causalmente connesse al servizio prestato a bordo di Unità navali".
4. In considerazione di quanto attestato da parte ricorrente in merito alla sussistenza del predetto nesso causale e dei punti da ritenersi ancora controversi, la Sezione ha disposto verificazione con ordinanza 00268/2013 del 11/01/2013, sulla base dei seguenti rilievi “Ritenuto necessario, al fine del decidere, disporre verificazione da eseguire in contraddittorio con le parti e, per l'effetto, ai sensi dell'art. 66 cod. proc. amm. disporre quanto segue:
I) alla verificazione provvederà il preposto al seguente organismo, con facoltà di delega:
Servizio medicina legale del Policlinico Università Federico II di Napoli;
II) i quesiti a cui il verificatore dovrà rispondere sono i seguenti:
a) il verificatore, previa acquisizione dei necessari documenti, dovrà provvedere ad accertare, tenuto conto del quadro clinico presentato dal de cuius dei ricorrenti, -OMISSIS- -OMISSIS-, quali conseguenze, in termini di danno biologico (inteso secondo le disposizioni di cui agli artt. 138 e 139 Decr. Leg.vo 209/2005, del D.P.R. 243/2006, nonché secondo le pronunzie della giurisprudenza intervenute nella materia), abbia comportato l’insorgenza della patologia di -OMISSIS- -OMISSIS-, dalla data dell’insorgenza al decesso, con valutazione in termini di punteggio o di percentuale dell’incidenza sulla sua integrità psicofisica, e conseguente monetizzazione delle lesioni subite;
b) il verificatore dovrà altresì relazionare, avuto riguardo alla letteratura esistente in materia, in ordine alla conoscenza, nel periodo dal 1948 al 1957, della pericolosità dell’esposizione all’amianto ed in particolare, dell’amianto impiegato nella costruzioni delle navi militari e dell’utilizzo di tute e guanti di amianto, di materassi cotti di amianto e di coperte di amianto – utilizzo riferito da parte ricorrente e non contestato dall’Amministrazione resistente – nonché in ordine alla prevenibilità dei danni conseguenti a detta esposizione con particolari accorgimenti consentiti dalla tecnica dell’epoca”;
4.1. Il verificatore individuato dall’incaricato Policlinico, Prof. -OMISSIS-, ha provveduto al deposito della propria relazione in data 3 luglio 2014 così concludendo “Il Sig. -OMISSIS-, come detto, fu arruolato in qualità di sottoufficiale della Marina Militare, con qualifica specifica di meccanico navale dal 1948 al 1957.
Orbene, va sul punto evidenziato il dato della nota ubiquitaria presenza di amianto soprattutto nell'apparato motore delle navi militari, in cui egli prestò servizio.
L'amianto, soprattutto nella sua forma più friabile e quindi maggiormente assimilabile dall'organismo, veniva incluso in tutti i dispositivi di coibentazione delle parti calde dell'apparato motore (collettori di scarico, tubazioni di adduzione del carburante, turbine, tubazioni del vapore e caldaie) e come antirombo-isolante e termico-tagliafuoco delle paratie interne. Veniva, inoltre, incluso in pressoché tutte le altre componenti strutturali delle navi (INAIL, IV Rapporto ReNaM, 2012).
In base a quanto sopra si è pertanto portati a ritenere che per lungo tempo il Sig. -OMISSIS- ha lavorato in un ambiente in cui era presente asbesto, per cui vi è ragionevole presunzione di elevata probabilità di esposizione a tale sostanza.
Nulla può, invece, dirsi in quanto non supportato da alcun elemento che la documenti e circostanzi, sul dato anamnestico che compare nella cartella clinica della Fondazione Pascale del febbraio 2009 circa l'attività di termofrigorista, che in tal modo non assume rilevanza probatoria di alternativa esposizione professionale ad amianto.
Sebbene non ci si possa esprimere in termini di certezza assoluta per le caratteristiche intrinseche della diagnostica del -OMISSIS- -OMISSIS-, per quanto sopra esposto appare elevata la probabilità che la patologia diagnosticata al Sig. -OMISSIS- consistesse proprio in un -OMISSIS- -OMISSIS-.
La diagnosi istologica, risalente al febbraio 2009, fu: "-OMISSIS-con spiccata -OMISSIS-, in cui sono compresi piccoli gettoni -OMISSIS-+, VIM+, -OMISSIS-+, WT1+. Diagnosi: reperto morfologico di -OMISSIS- bifasico".
Sebbene non sia stato rispettato l'utilizzo ed il riscontro di marcatori positivi e negativi di -OMISSIS-, la positività rilevata finisce per essere più che suggestiva di diagnosi di predetta patologia…..
In conseguenza di tutto quanto sopra (tipologia della-OMISSIS-presentata ed affidabilità della diagnosi effettuata, idoneità dell'amianto a produrla, alta presumibilità di esposizione lavorativa alla sostanza, adeguatezza dei tempi di esposizione e dell'intervallo di latenza), deve esprimersi un giudizio di elevata probabilità che il Sig. -OMISSIS- fu affetto da -OMISSIS- -OMISSIS-, causalmente (o quanto meno in via concausale preponderante) riferibile alla predetta esposizione lavorativa.
Sempre in riferimento a quanto precedentemente considerato circa le fondamentali caratteristiche della patogenesi nei mesoteliomi da amianto va altresì aggiunto e sottolineato che appaiono del tutto congrui nel caso di specie i tempi di esposizione all'amianto nell'ambiente lavorativo, il periodo di latenza nell'espressione anatomo-clinica della malattia (50-60 anni) e il tempo intercorso tra la diagnosi di -OMISSIS- e l'exitus (circa 2 anni).
Definita la validità della diagnosi effettuata, giudizi in termini di probabilità più spinta o addirittura di certezza non sono obiettivamente proponibili per la citata minoritaria (20-30%) possibilità di alternativi riferimenti etiologici del -OMISSIS- -OMISSIS-.
Il decesso del p., sopravvenuto il 2/5/2010, deve porsi in logica connessione causale con il predetto -OMISSIS- -OMISSIS-, attraverso il documentato sviluppo di una grave compromissione delle condizioni generali ed in particolare di quella respiratoria. L'ultima dimissione dall'ambiente ospedaliero avvenne 3 mesi prima dell'exitus con -OMISSIS--OMISSIS- omolaterale.
Il danno biologico in sé connesso con la suddetta malattia-OMISSIS-, valutabile nel periodo intercorrente tra l'insorgenza della stessa e la morte, non può che considerarsi, secondo criteri scientifici desunti dalla comune esperienza clinica, elevatissimo e di fatto coincidente con il 100% in riferimento alla gravissima compromissione delle condizioni cliniche del paziente e alla qualità dei trattamenti antiblastici e chirurgici subiti.
Sicché di fatto, deve riconoscersi la sussistenza -in sé- di un danno biologico del 100% dal settembre 2008 (epoca di prima documentata manifestazione clinica del -OMISSIS-, produttiva di un copioso versamento -OMISSIS- -OMISSIS-) al 2/5/2010. Non è riconoscibile una distinta inabilità temporanea totale in quanto la stessa si sovrappone, di fatto, alla totale invalidità permanente.
11 predetto tasso di danno biologico, in riferimento all'età in cui si manifestò il -OMISSIS- e a quella in cui sopravvenne il decesso, può essere quantizzato per differenza, applicando le tabelle per lesioni macropermanenti dei Tribunali di Milano e Roma, in Euro 11.981.000.
5. A seguito del deposito della relazione tecnica sia parte ricorrente che il Ministero della Difesa hanno depositato memoria difensiva e note tecniche. In particolare, il Ministero ha posto in dubbio sia la diagnosi della malattia sofferta dall’-OMISSIS-, che lo condusse poi alla morte, che la sussistenza del nesso eziologico fra la stessa e l’attività lavorativa prestata, insistendo in ogni caso per l’esclusione della responsabilità.
6. Con ordinanza collegiale n. 00419/2015 del 22 gennaio 2015 la Sezione peraltro ha così disposto “Rilevato che il Prof. -OMISSIS- individuato quale verificatore per un verso ha risposto ad un quesito non disposto dal Tribunale, relativo alla sussistenza del nesso eziologico fra il servizio prestato e la patologia insorta nel de cuius dei ricorrenti, da ritenersi riconosciuta dalla stessa P.A. con il riconoscimento del beneficio dell’equo indennizzo e dei benefici connessi al riconoscimento di vittima del dovere, in forza del parere sulla dipendenza da causa di servizio reso dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio (per cui irrilevanti sono sul punto le difesa articolate dalla P.A. in merito all’insussistenza del nesso eziologico) per altro verso non ha esaurientemente risposto al quesito “avuto riguardo alla letteratura esistente in materia, in ordine alla conoscenza, nel periodo dal 1948 al 1957, della pericolosità dell’esposizione all’amianto” – avuto riguardo anche a quanto previsto nel Regio Decreto 14 giugno 1909 n. 442 in materia di lavori insalubri – “ed in particolare, dell’amianto impiegato nella costruzioni delle navi militari e dell’utilizzo di tute e guanti di amianto, di materassi cotti di amianto e di coperte di amianto – utilizzo riferito da parte ricorrente e non contestato dall’Amministrazione resistente – nonché in ordine alla prevenibilità dei danni conseguenti a detta esposizione con particolari accorgimenti consentiti dalla tecnica dell’epoca” avendo riferito solo in merito alla certezza della conoscenza scientifica della correlazione eziologica fra amianto e -OMISSIS- -OMISSIS-;
Ritenuto altresì la necessità che il Prof. -OMISSIS- specifici i criteri di calcolo per la liquidazione del danno biologico, quantificato in euro 11.981.000 (undicimilioninovecentottantunomila/00);
Ritenuta pertanto la necessità che il Prof. -OMISSIS- renda opportuni chiarimenti in merito, da rendersi nel termine di trenta giorni dalla notifica o dalla comunicazione della presente ordinanza;
Ritenuta di dovere rinviare la causa all’udienza pubblica del 4 giugno 2015….”.
7. Il Prof. -OMISSIS- ha provveduto al deposito della predetta relazione integrativa in data 3 giugno 2015, relazionando quanto segue: “le prime segnalazioni di patologie correlate all'esposizione ad amianto risalgono agli inizi del 1900, allorquando (1906) venne per la prima volta descritto un caso di -OMISSIS-diffusa la cui genesi venne attribuita, almeno come ipotesi, all'azione dell'amianto.
Negli anni immediatamente successivi vennero descritti in Francia e in Italia numerosi altri casi (mortali), finché, nel 1930 il problema divenne di notevole rilevanza tanto che l'International Labour Office di Ginevra sottolineò l'urgenza che venisse studiato.
Nel 1935 venne descritto il primo caso di carcinoma polmonare in esposti ad asbesto, seguito da altre segnalazioni nella seconda metà degli anni '30.
Il primo studio epidemiologico su un gruppo di lavoratori esposti nel settore tessile risale al 1955 e conferma l'esistenza di tale associazione evidenziando un rischio 14 volte più elevato rispetto a quello della popolazione generale non esposta professionalmente.
Al XIV Congresso Internazionale di Medicina del Lavoro Buchanan comunicò che secondo un'indagine dell'Ispettorato del Lavoro Inglese era stata rilevata un'alta incidenza di-OMISSIS-, di -OMISSIS- della-OMISSIS-in lavoratori esposti ad amianto.
Numerose conferme vennero, poi, nei decenni successivi.
Sartorelli (Trattato di Medicina del Lavoro. Piccin Editore, Padova, 1981) ricorda che:
- la silicosi grave fu riconosciuta ed indennizzata già all'epoca della prima guerra mondiale nei minatori d'oro del Sud-Africa che eseguivano la perforazione a secco del quarzo aurifero (6472 casi di silicosi conclamata indennizzati tra ilo 1912 e il 1916);
- in Italia nel primo decennio di applicazione dell'assicurazione obbligatoria contro la silicosi e l'asbestosi (L. del 12/4/1943) i dati statistici raccolti dimostravano un'alta incidenza di forme avanzate, anche con segnalazioni di casi di silicosi a rapida evoluzione mortale (" silicosi acuta") causati da pochi mesi di lavoro in ambienti estremamente polverosi;
- la drammaticità della situazione fu messa in particolare evidenza da uno studio eseguito da Baldi nel 1952 che pose in rilievo come su 321 operai provenienti da lavorazioni molto pericolosa, riconosciuti affetti da silicosi o silicotubercolosi nella Clinica del Lavoro di Milano nel periodo 1943-47, il 55% risultò deceduto nel 1950;
-una associazione tra asbestosi e-OMISSIS-, già sospettata nel 1935 da Lynch e Smith negli Stati Uniti, fu in seguito confermata sulla base di vari studi epidemiologici…..
Da quanto sopra si ricava che la pericolosità dell'esposizione ad amianto era certamente già conosciuta all'epoca dei fatti per cui è causa tanto che già diversi decenni prima erano stati compiuti specifici interventi legislativi in proposito, quali:
-Regio decreto n. 1720 del 7 agosto 1936 che riprendeva quanto già espresso chiaramente nei precedenti regio decreto 14 giugno 1909 n. 442 (contenente il regolamento per l'applicazione del testo unico sulla legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, con inserimento tra i "lavori insalubri o pericolosi nei quali la applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli è vietata o sottoposta a speciali cautele... anche ... la filatura e la tessitura dell'amianto" ed esclusione del lavoro delle donne e dei fanciulli "nei locali ove non sia assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo") e decreto legislativo 6 agosto 1916 n. 1136. Tale decreto recava una tabella dei lavori pericolosi, faticosi e insalubri, ove ai punti 5 e 20 si indicavano rispettivamente:
a) le lavorazioni dell'amianto, ancorchè limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura;
b) la macinazione di calce, gesso, cementi, pozzolana, amianto, talco, grafite, marmo, ecc.;
-inserimento dell'asbestosi fra le malattie professionali nella L. 12 aprile n. 45, per l'appunto recante l'estensione dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali ala silicosi e all'asbestosi".
Negli anni '30 la letteratura scientifica dedicata all'igiene del lavoro e destinata ai medici di fabbrica ed all'imprenditoria ribadiva misure precauzionali già delineate tra la fine dell'ottocento ed il primo decennio del Novecento, tra cui la raccomandazione (Loriga, 1937) di non praticare trasporto e caricamento di materiali polverosi "con ceste, con sacchi e carriole", così come il "travasamento fatto a braccia d'uomo" e di impiegare mascherine di protezione respiratoria che non avessero "una camera d'aria di capacità superiore ai 125-150 cm" (per garantire adesione al viso) ed avessero, invece, "una valvola” per l'uscita dell'aria espirata indipendente dal filtro per cui passa l'aria inspirata…
Quanto all'entità monetaria del danno biologico permanente deve premettersi che per mero errore di battitura esso è stato in relazione indicato come di Euro 11.981.000.
In realtà esso deve correttamente intendersi come di Euro 11981,00. Tale danno biologico, pari al 100% e determinato dalla gravissima malattia-OMISSIS- causalmente ricollegabile all'esposizione ad amianto, fu presente nel periodo intercorrente tra l'insorgenza della malattia e la morte (settembre 2008-maggio 2010).
In riferimento all'età in cui si manifestò il -OMISSIS- e a quella in cui sopravvenne il decesso, esso è stato quantizzato per differenza, applicando le tabelle per lesioni macropermanenti dei Tribunali di Milano e Roma.
Quanto all'entità monetaria del danno biologico permanente deve premettersi che per mero errore di battitura esso è stato in relazione indicato come di Euro 11.981.000.
In realtà esso deve correttamente intendersi come di Euro 11.981,00. Tale danno biologico, pari al 100% e determinato dalla gravissima malattia-OMISSIS- causalmente ricollegabile all'esposizione ad amianto, fu presente nel periodo intercorrente tra l'insorgenza della malattia e la morte (settembre 2008-maggio 2010).
In riferimento all'età in cui si manifestò il -OMISSIS- e a quella in cui sopravvenne il decesso, esso è stato quantizzato per differenza, applicando le tabelle per lesioni macropermanenti dei Tribunali di Milano e Roma.
8. In considerazione del tardivo deposito della relazione peritale, avvenuto il giorno precedente alla fissata udienza di discussione, l’udienza pubblica è stata rinviato al 19 novembre 2015, onde consentire alle parti il giusto contraddittorio, avuto riguardo ai termini perentori di deposito di documenti e di memorie difensive, quali prescritti dall’art. 73 comma 1 c.p.a. .
9. Parte ricorrente al riguardo ha provveduto al deposito di memoria conclusionale in data 25 settembre 2015, contestando in particolare la liquidazione del danno biologico iure hereditatis operata dal verificatore nella relazione di chiarimenti, rilevando che l'importo di euro 11.981,00 indicato altro non era che il valore del punto base del danno non patrimoniale estrapolato dal verificatore dalle tabelle del Tribunale di Milano del 2013, parametro, che concorrerebbe alla quantificazione del danno unitamente agli ulteriori parametri quali l'età del danneggiato, il grado di invalidità (100%), nonché l'aumento personalizzato che deve comprendere anche la quota di danno morale, come affermato dalla giurisprudenza formatasi successivamente alla sentenza n. 26972/2008 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per cui il danno biologico andava liquidato nella misura richiesta in ricorso dagli stessi ricorrenti, avuto riguardo alle tabelle del Tribunale di Milano anno 2009, ratione temporis applicabili alla fattispecie di cui è causa.
10. Per contro il Ministero della Difesa ha dedotto che il consulente nominato non aveva provveduto alla trasmissione della sua relazione ai consulenti di parte, al fine di consentire agli stessi di controdedurre prima di depositare la relazione finale ed ha quindi richiesto il rinvio dell’udienza di discussione, fissata per il 5 novembre 2015, al fine di consentire al consulente di parte di replicare in merito alle conclusioni del C.T.U.
11. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 5 novembre 2015.
12. In via preliminare va osservato come non ricorrano le condizioni per il rinvio richiesto dal Ministero della Difesa in quanto il Tribunale non ha disposto C.T.U., ma verificazione, per cui non si applicano le norme del codice del processo amministrativo (art. 67 comma 3 ) e del codice di procedura civile (art. 195 comma 3) circa il preventivo invio della relazione ai consulenti di parte affinché il C.T.U. possa rispondere, nella relazione finale, alle controdeduzioni dei consulenti di parte. Ed invero pur dovendo la verificazione svolgersi in contraddittorio, secondo i principi propri del giusto processo, lo stesso contradditorio non è formalizzato come per la consulenza tecnica d’ufficio e può ben può esplicarsi sia durante la fase degli accertamenti, potendo in detta fase i consulenti fare le loro osservazioni all’organo verificatore, sia all’esito del deposito della relazione conclusiva, potendo le controdeduzioni alla medesima essere prese in considerazione dal Tribunale sia ex se, essendo il giudice, come noto, peritus peritorum, non vincolato dai risultati della verificazione, sia ai fini di un eventuale richiesta di chiarimenti al verificatore.
12.1. Ciò posto, il Collegio, proprio in considerazione della circostanza che il Prof. -OMISSIS- aveva depositato la relazione integrativa il giorno antecedente l’udienza di discussione del 4 luglio 2015 e che pertanto sulla stessa non poteva svolgersi il giusto contraddittorio, ha rinviato la discussione all’udienza pubblica del 5 novembre 2015, al fine di consentire alle parti di avvalersi dei termini liberi prescritti dall’art. 73 comma 1 c.p.a. per il deposito di documenti e memorie difensive, ivi comprese le controdeduzioni alla relazione di verificazione, ma l’Amministrazione soccombente non ha inteso al riguardo, nonostante il rinvio dell’udienza, depositare alcuna controdeduzione alla relazione di chiarimenti del verificatore.
13. Ciò posto in termini di rito, va preliminarmente rilevato come la giurisprudenza amministrativa abbia reiteratamente affermato (cfr., Cons. di Stato sez. V, n° 2515 del 27.5.2008; T.A.R. Campania-Napoli, n. 3536 del 7.5.2008; T.A.R. Lazio-Roma n. 8008 del 2.9.2008; T.A.R. Lazio-Roma n° 8106 del 14.9.2006; T.A.R. Abruzzo-Pescara n. 339 del 23.3.2007; T.A.R. Campania-Napoli n. 8106 del 14.9.2006; T.A.R. Campania-Napoli n. 6737 del 6.6.2006; T.A.R. Lazio-Roma, n. 2375 del 4.4.2006; T.A.R. Calabria-Catanzaro, n. 1927 del 29.5.2003) che la domanda del dipendente volta alla condanna dell'Amministrazione al risarcimento del danno biologico si presti ad essere qualificata sia come azione di natura extracontrattuale, se proposta ai sensi dell'art. 2043 c.c., e dunque appartenente alla giurisdizione del giudice ordinario, sia come azione per l'accertamento della responsabilità contrattuale della Pubblica Amministrazione, quando essa sia invece correlata alla violazione da parte dell’Amministrazione di appartenenza dell'obbligo di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori dipendenti; e tale ricostruzione è stata più volte avallata in sede di regolamento di giurisdizione dalla Suprema Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 5785 del 4.3.2008; Cass. SS.UU., n. 7394 del 28.7.1998), la quale con recente pronunzia (cfr. Cass. SS.UU. n. 5468 del 6.3.2009), nell’annullare la decisione n. 6678 del 14.11.2006 della sez. V del Consiglio di Stato che sul punto aveva negato la giurisdizione del G.A., ha ribadito che“la soluzione della questione del riparto della giurisdizione, rispetto ad una domanda di risarcimento danni per la lesione della propria integrità psico-fisica proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell'Amministrazione, è strettamente subordinata all'accertamento della natura giuridica dell'azione di responsabilità in concreto proposta, in quanto, se è fatta valere la responsabilità contrattuale dell'ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario”, precisando, altresì, che “non rileva, ai fini dell'accertamento della natura giuridica dell'azione di responsabilità proposta, la qualificazione formale data dal danneggiato in termini di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, ovvero mediante il richiamo di norme di legge (art. 2043 e ss., 2087 c.c.), indizi di per sé non decisivi, essendo necessario considerare i tratti propri dell'elemento materiale dell'illecito posto a base della pretesa risarcitoria, onde stabilire se sia stata denunciata una condotta dell'amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi, indifferentemente, nei confronti della generalità dei cittadini e nei confronti dei propri dipendenti, costituendo, in tal caso, il rapporto di lavoro mera occasione dell'evento dannoso; oppure se la condotta lesiva dell'amministrazione presenti caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto d'impiego e le sia imputata la violazione di specifici obblighi di protezione dei lavoratori (art. 2087 c.c.); nel qual caso la responsabilità ha natura contrattuale conseguendo l'ingiustizia del danno alle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto di lavoro si articola e sostanziandosi la condotta lesiva nelle specifiche modalità di gestione del rapporto di lavoro. Soltanto nel caso in cui, all'esito dell'indagine condotta secondo gli indicati criteri, non possa pervenirsi all'identificazione dell'azione proposta dal danneggiato, si deve qualificare l'azione come di responsabilità extracontrattuale”.
13.1 Orbene, nel caso in esame i ricorrenti, quali congiunti ed eredi di -OMISSIS- -OMISSIS-, deceduto a seguito di -OMISSIS- -OMISSIS-, agiscono sia iure hereditatis che iure proprio per il risarcimento del danno latu sensu non patrimoniale, da riconnettersi all’attività lavorativa prestata dall’-OMISSIS- quale dipendente della Marina Militare, deducendo il mancato apprestamento delle cautele da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro, necessarie ad evitare l’insorgere della patologia di -OMISSIS- -OMISSIS- che lo avrebbe condotto poi alla morte per esposizione ad amianto.
13.2. Sulla scorta di tali elementi, è così indiscutibile, a giudizio del Tribunale, che la formulata domanda risarcitoria trovi il proprio fondamento nella responsabilità conseguente all’inosservanza dei precisi obblighi che l’art. 2087 cod. civ. (“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”) pone a carico del datore di lavoro rispetto ai dipendenti; norma ritenuta applicabile anche nei confronti della Pubblica Amministrazione: la sua cognizione, quindi, riguardando una questione riferibile al rapporto di impiego di personale non contrattualizzato della P.A., è devoluta alla giurisdizione esclusiva del G.A. .
13.3 Nel merito, la domanda correlata al risarcimento del danno biologio iure hereditatis è fondata nei limiti di seguito precisati.
14. Ed invero l’azione volta a conseguire il risarcimento del danno biologico (definibile quale “lesione alla integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale… risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato”, alla luce del disposto di cui agli artt. 138 e 139 Decr. Leg.vo 209/2005, nonché di quelli di cui all’art. 5 D.P.R. 3.3.2009 n. 37 e di cui agli artt. 1, 3 e 4 D.P.R. 30.10.2009 n. 181, trattandosi di disposizioni costituenti espressione di principi generali) risulta cumulabile con la pretesa all’equo indennizzo posto che, mentre il risarcimento, “quanto ad oggetto e finalità, tende a ristabilire l’equilibrio nella situazione del soggetto turbata dall’evento lesivo e a compensare per equivalente la perduta integrità fisio-psichica”, invece l’equo indennizzo “proprio per il concetto e di discrezionalità ad esso inerente, e per la sua non coincidenza con l’entità effettiva del pregiudizio subito dal dipendente, appare avvicinabile ad una delle varie indennità che l’Amministrazione conferisce ai propri dipendenti in relazione alle vicende del servizio, con funzioni di graduazione e di equa distribuzione di compensi aggiuntivi” (così Cons. di Stato sez. IV, n° 2009 del 31.3.2009, e, in senso analogo Cass. Civ. n° 13887 del 23.7.2004); con la conseguenza che “dall’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno alla persona (patrimoniale o biologico) non può essere detratto quanto già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di inabilità o di reversibilità, oppure a titolo di assegni, di equo indennizzo, o di qualsiasi altra speciale erogazione connessa alla morte od all’invalidità” in quanto, “perché possa applicarsi il principio della <<compensatio lucri cum damno>> è necessario che il vantaggio economico sia arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto che ha prodotto il danno”, e invece le erogazioni da ultimo indicate “si fondano su un titolo diverso rispetto all’atto illecito e non hanno finalità risarcitorie” (cfr. Cass. Civ. n° 10291 del 27.7.2001; Cass. Civ. n° 11440 del 18.11.1997; T.A.R. Campania-Napoli n° 3536 del 7.5.2008; T.A.R. Campania, Napoli VII sez. n. 01084 del 25/02/2013).
Parimenti non ostativo alla pretesa risarcitoria esperita nella presente sede è il riconoscimento dell’indennità correlata all’equiparazione del dante causa dei ricorrenti alle vittime del dovere, in considerazione della funzione indennitaria e non compensativa-risarcitoria - quale quella da ricondursi al risarcimento del danno biologico - di detta prestazione.
15. Ciò posto, va in primis chiarito che la proposta domanda risarcitoria è stata limitata al solo danno biologico e al danno morale nei termini sopra precisati (figura quest’ultima non configurabile come categoria autonoma di danno, secondo quanto affermato da Cass. SS. UU. n. 26973 dell’11.11.2008); in senso analogo da ultimo Cass. Sez. 3, sentenza n.21716 del 23/09/2013 (secondo cui “Il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. preclude la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale, ecc.), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo restando, però, l'obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l'incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione”).
15.1.Va, poi, in secondo luogo evidenziato che dalla documentazione in atti sono emersi elementi idonei a dar conto della sussistenza della patologia insorta nel de cuius dei ricorrenti, nonché dell’eziologia di questa. In particolare, quest’ultima è risultata legata all’esposizione dell’-OMISSIS- all’amianto durante la prestazione della sua attività lavorativa a bordo della navi della Marina Militare, secondo quanto riconosciuto del resto dalla stessa P.A, che (giova ribadirlo) ha equiparato, sulla base del parere del Comitato di Verifica per le Cause di Sevizio, l’-OMISSIS- alle vittime del dovere. Peraltro lo stesso verificatore, al quale pure non era stato demandato detto quesito, ha ritenuto in termini di elevata probabilità che il Sig. -OMISSIS- fu affetto da -OMISSIS- -OMISSIS-, causalmente (o quanto meno in via concausale preponderante), riferibile alla predetta esposizione lavorativa.
16. Orbene, una volta accertata la derivazione causale della patologia dall’ambiente di lavoro, deve dirsi contestualmente determinata una inversione dell’onere della prova in ordine alla responsabilità dell’Amministrazione di appartenenza del militare per mancata osservanza delle misure minime di sicurezza necessarie a salvaguardare l’integrità fisica dei dipendenti (sul punto cfr. Cass. Civ. n° 17017 del 2.8.2007; T.A.R. Campania, Napoli VII sez. n. 01084 del 25/02/2013).
16.1. Né rileva in senso contrario quanto ritenuto da Consiglio di Stato sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1388 secondo cui “La responsabilità del datore di lavoro in ipotesi di patologie contratte dal lavoratore (ovvero, in ipotesi di aggravamento di pregresse patologie) va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; con la conseguenza che incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta o del comportamento datoriale, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro o dei comportamenti in concreto subiti, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, e solo se il lavoratore ha fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l' onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile all'inosservanza di tali obblighi”, atteso che nell’ipotesi di specie il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio da parte della medesima Amministrazione vale ad esentare il ricorrente dalla prova dell’indicato nesso causale.
17. In relazione peraltro alla sussistenza della responsabilità dell’Amministrazione datrice di lavoro per la malattia contratta in seguito ad esposizione ad amianto, avuto riguardo alle conoscenze dell’epoca, il Tribunale ritiene concludenti non solo le osservazioni del verificatore, quale riportate nella relazione integrativa, da intendersi congruamente motivata e condivisibili, , ma gli stessi arresti della più recente giurisprudenza civile.
17.1. Ed invero, come ribadito anche di recente dalla Suprema Corte (Cass. 3.8 2012 n. 13956 nonché Cass. 8.10.2012 n. 17092; Cass. sez. lav. n. 18626 del 5/8/2013;Cass. Sez. Lav. sentenza n. 10425 del 14/05/2014), la responsabilità dell'imprenditore - e dalla P.A. datrice di lavoro - per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità fisica dei lavoratore discende o da norme specifiche o, quando queste non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale di cui all'art. 2087 c.c., la quale impone all'imprenditore l'obbligo di adottare nell'esercizio dell'impresa tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, si rendano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori (v. fra le altre Cass. 19-4-2003 n. 6377, Cass. 1-10-2003 n. 16645).
In particolare, con riferimento all'inalazione di polveri di amianto, la Cassazione (nel confermare la sentenza di merito che aveva ritenuto responsabili ex art. 2087 c.c. le Ferrovie dello Stato per non aver predisposto, negli anni sessanta, le cautele necessarie a sottrarre il proprio dipendente al rischio amianto), ha asserito che "la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c., non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, tuttavia non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma deve ritenersi volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico" (v. Cass. 14-1-2005 n. 644). Parallelamente (in relazione ad una fattispecie concernente il periodo 1975/1995 la Suprema Corte ha affermato che la detta responsabilità pur non essendo di carattere oggettivo, deve ritenersi volta a sanzionare l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio (Cass. 1-2-2008 n. 2491 e Cass. 11-7-2011 n. 15156). Inoltre ha altresì ritenuto la irrilevanza della circostanza che il rapporto di lavoro si fosse svolto (in quel caso) dall'anno 1956 sino al gennaio 1980, mentre specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto sono state introdotte per la prima volta col D.P.R. 10 febbraio 1982, n. 15 (Cass. 30-6-2005 n. 14010). Infatti si è rimarcato in tale ultima sentenza che "la pericolosità della lavorazione dell'amianto era nota da epoca ben anteriore all'inizio del rapporto di lavoro de quo. Già il R.D. 14 giugno 1909 n. 442 che approvava il regolamento per il T.U. della legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, all'art. 29, tabella B, n. 12, includeva la filatura e tessitura dell'amianto tra i lavori insalubri o pericolosi nei quali l'applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata o sottoposta a speciali cautele, con una specifica previsione dei locali ove non era assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo. Analoghe disposizioni dettava il regolamento per l'esecuzione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, emanato con D.Lgt. 6 agosto 1916, n. 1136, art. 36, tabella B, n. 13 e il R.D. 7 agosto 1936, n. 1720 che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l'occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri in cui era consentita l'occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all'osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n. 5, la lavorazione dell'amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura. Lo stesso R.D. 14 aprile 1927, n. 530, tra gli altri agli artt. 10, 16, e 17, conteneva diffuse disposizioni relative alla aerazione dei luoghi di lavoro, soprattutto in presenza di lavorazioni tossiche. D'altro canto l'asbestosi, malattia provocata da inalazione da amianto, era conosciuta fin dai primi del 900 e fu inserita tra le malattie professionali con la L. 12 aprile 1943 n. 455. In epoca più recente, oltre alla Legge Delega 12 febbraio 1955, n. 52, che, all'art. 1, lett. F, prevedeva di ampliare il campo della tutela, al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 e alle visite previste dal D.P.R. 20 marzo 1956 n. 648, si. deve ricordare il regolamento 21 luglio 1960, n. 1169 ove all'art. 1 si prevede, specificamente, che la presenza dell'amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare il rischio; si può, infine, ricordare che il premio supplementare stabilito dal T.U. n. 1124 del 1965, art. 153 per le lavorazioni di cui all'allegato n. 6, presupponeva un grado di concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi”.
D'altro canto, come rilevato dalla Suprema Corte (Cass. 30-6-2005 n. 14010 cit.), l'imperizia, nella quale rientra l’ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico - scientifiche, è uno dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe pertanto risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro.
Da quanto esposto discende che all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro del dante causa dei ricorrenti era ben nota l'intrinseca pericolosità delle fibre dell'amianto.
Si imponeva, quindi, il concreto accertamento della adozione di misure idonee a ridurre il rischio connaturale all'impiego di materiale contenente amianto, in relazione alla norma di chiusura di cui all'art. 2087 c.c. .
Ciò senza tralasciare di sottolineare che, in costanza del rapporto di lavoro dell’-OMISSIS-, proprio in considerazione della già da tempo riconosciuta pericolosità dell’amianto, era sopravvenuto il D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 il cui art. 21 stabilisce che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedire o ridurre, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro soggiungendo che "le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione", cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri. Devono altresì esser tenute presenti altre norme dello stesso D.P.R. n. 303/1956 ove si disciplina il dovere del datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive: così l’art. 9, che prevede il ricambio d'aria; l’art. 15, che impone di ridurre al minimo il sollevamento di polvere nell'ambiente mediante aspiratori; l'art. 18, che proibisce l'accumulo delle sostanze nocive; l'art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri; l'art. 20, che difende l'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l'uso di aspiratori; l'art. 25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione.
Da questa ricostruzione storico-giuridica dell'art. 2087 c.c. in relazione alla fattispecie di cui è causa va tratta la conclusione che l'onere della prova grava(va) sull’Amministrazione datrice di lavoro che avrebbe dovuto dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno (prova liberatoria) attraverso l'adozione di cautele previste in via generale e specifica dalle suddette norme, dovendo ritenersi accertato il nesso causale tra l'evento (-OMISSIS- -OMISSIS- ad exitusmortale del dante causa degli odierni ricorrenti) e l'attività svolta dal medesimo in ambienti a contatto con l'amianto.
17.2. Quel che rileva è, dunque, il mancato assolvimento della suddetta prova liberatoria da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro, trattandosi di responsabilità contrattuale per omessa adozione, ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., delle opportune misure di prevenzione atte a preservare l'integrità psico-fisica del lavoratore nel luogo di lavoro, pur tenendosi conto della concreta realtà lavorativa e della maggiore o minore possibilità di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico. È, quindi, irrilevante la circostanza che il rapporto di lavoro si sia svolto in epoca antecedente all'introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto, quali quelle contenute nel d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, successivamente abrogato dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (in tal senso anche Cass. Sez. Lav., sentenza n. 18626 del 05/08/2013 cit. secondo cui “qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, essendo irrilevante la circostanza che il rapporto di lavoro si sia svolto in epoca antecedente all'introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto, quali quelle contenute nel d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, successivamente abrogato dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 8;, nonché Cass. Lav., sentenza n. 10425 del 14/05/2014 secondo cui “In tema di responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, escludendo l'esposizione della sostanza pericolosa, anche se ciò imponga la modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie”).
18. Ciò posto, senza dubbio risarcibile è il danno biologico e morale, da ricondursi all’unitaria categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., richiesto dai ricorrenti iure hereditatis.
18.1 Il verificatore ha al riguardo quantificato il danno biologico nella misura del 100%, della menomazione dell’integrità fisica, ritenendo assorbito in detta liquidazione anche il danno da inabilità temporanea, da ritenersi sovrapposto a quello da inabilità permanente in considerazione del sopravvenuto decesso del de cuius, arrivando peraltro ad una liquidazione non chiara del medesimo danno biologico.
18.2 Il Tribunale peraltro avuto riguardo ai recenti arresti della giurisprudenza civile ritiene che allorquando, come nell’ipotesi di specie, in conseguenza della malattia cui si correla la domanda di risarcimento del danno biologico il danneggiato muoia (e pertanto la sua richiesta avvenga iure heredidatis) la liquidazione vada effettuata in maniera diversa rispetto all’ipotesi in cui il danneggiato, pur subendo un danno biologico permanente, continui a vivere secondo le normali aspettative di vita.
Infatti secondo Cassazione Civile Sez. 3, sentenza n. 22228 del 20/10/2014 “La determinazione del risarcimento dovuto a titolo di danno biologico "iure hereditatis", nel caso in cui il danneggiato sia deceduto dopo un apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo (nell’ipotesi di specie sedici giorni), va parametrata alla menomazione dell'integrità psicofisica patita dallo stesso per quel determinato periodo di tempo, con commisurazione all'inabilità temporanea da adeguare alle circostanze del caso concreto, tenuto conto del fatto che, detto danno, se pure temporaneo, ha raggiunto la massima entità ed intensità, senza possibilità di recupero, atteso l'esito mortale”. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva erroneamente liquidato il danno biologico "iure hereditatis" rapportandolo all'invalidità permanente totale, come se il danneggiato fosse sopravvissuto alle lesioni per il tempo corrispondente alla sua ordinaria speranza di vita).
In senso analogo si è del resto espressa la Cassazione civile Sez. 3 con sentenza n. 23183 del 31/10/2014 ritenendo che “In caso di sinistro mortale, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofico), sicché, mentre nel primo caso la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea, nel secondo la natura peculiare del pregiudizio comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro, che tenga conto della "enormità" del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte”. (Nella specie la S.C. ha respinto il ricorso avverso la sentenza di merito che aveva liquidato in via equitativa, quale danno biologico terminale patito dalla vittima, rimasta in vita 7 giorni, la somma di euro 2.500,00 "pro die").
18.3. Al riguardo il Tribunale ritiene che detti criteri siano validi non solo allorquando tra la data di insorgenza della patologia (o il sinistro) intercorra un lasso di tempo breve (ma comunque apprezzabile, in modo da radicare il diritto al risarcimento del danno iure heredidatis - secondo quanto anche di recente ribadito da Cass. Sez. UU, sentenza n. 15350 del 22/07/2015 secondo cui “In materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità "iure hereditatis" di tale pregiudizio, in ragione - nel primo caso - dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero - nel secondo - della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo”)- ma anche allorquando tale lasso di tempo sia più lungo, (nell’ipotesi di specie quasi due anni) ed il decesso avvenga comunque in conseguenza della patologia cui si correla la richiesta di risarcimento del danno, trattandosi di malattia ad exitus mortale.
In tali casi, avuto riguardo alla citata giurisprudenza, non è il danno da inabilità temporanea ad essere assorbito dal danno da inabilità permanente (come ritenuto dal verificatore), ma semmai è il contrario, seppure, avuto riguardo alla personalizzazione del danno ai fini della sua liquidazione debba tenersi conto della componente psichica (c.d. danno catastrofico).
In altri termini la liquidazione del danno biologico in termini di invalidità permanente si correla all’esistenza in vita del danneggiato, che continua pertanto a vivere, nonostante la subita menomazione, secondo le normali aspettative di vita (pur essendo configurabile anche allorquando il danneggiato muoia per causa indipendente dalla patologia cui si correla il danno biologico). Laddove invece detta patologia evolva, come nell’ipotesi di specie, nell’exitus mortale, la liquidazione del danno biologico andrà effettuata avuto riguardo al citato orientamento giurisprudenziale, senza adottare il criterio tabellare dell'invalidità temporanea (inadeguato a tener conto della "particolarità" del pregiudizio), dovendo applicarsi un criterio equitativo puro. La Suprema Corte in materia di liquidazione del danno terminale anche in altre pronunce (ex multis, Cass. n. 18163/2007 e Cass. n. 1877/2006), ha infatti sottolineato che, "se pure temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte", evidenziando la necessità di tener conto di "fattori di personalizzazione" ed escludendo pertanto che la liquidazione possa essere effettuata "attraverso la meccanica applicazione di criteri contenuti in tabelle che, per quanto dettagliate, nella generalità dei casi sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità, temporanee o permanenti, di soggetti che sopravvivono all'evento dannoso".
Pertanto il Tribunale ritiene di fare applicazione di detti principi, con la precisazione che il danno terminale liquidato è comprensivo di un danno biologico da invalidità temporanea totale (che si è protratto dalla data dell'insorgenza della patologia fino a quella del decesso), cui si somma una componente di sofferenza psichica (danno catastrofico), secondo un criterio equitativo puro.
18.4. Ciò posto si ritiene di dover liquidare all’attualità il danno non patrimoniale iure heredidatis, complessivamente considerato - avuto riguardo alle due componenti innanzi evidenziate - tenuto conto da un lato dei gravissimi disagi connessi all’indicata patologia ad esito mortale, della sofferenza connessa alla durata della malattia ed alla verosimile consapevolezza per tutta la sua durate del suo esito mortale e dall’altro del non notevolissimo scarto tra la durata effettiva della vita dell’-OMISSIS- e la durata connessa alle normali aspettative di vita - in euro 800,00 pro die (ottocento/00) per il totale di 609 giorni (dal 1 settembre del 2008 alla data del decesso avvenuto il 2 maggio 2010), secondo quanto indicato dal verificatore, risalendo il primo accertamento della sofferta patologia alla data del 4 settembre 2008.
Pertanto il danno non patrimoniale spettante ai ricorrenti iure heredidatis e da corrispondersi ad opera del Ministero della Difesa viene liquidato in complessivi euro 487.200,00 (quattrocentottasettemiladucento/00), da dividersi pro quota in favore di ciascuno dei ricorrenti in base alla loro posizione successoria.
18.5.Nella liquidazione complessiva peraltro dovrà tenersi presente che il debito in questione è di valore, per cui la sua liquidazione deve consentire la rimessa in pristino del patrimonio del danneggiato all’attualità (così Cass. Civ. n. 29191/2008; Cass. Civ. n. 10022 del 24.6.2003; Cass. Civ. n. 748 del 24.1.2000).
Ed invero l’obbligazione a carattere risarcitorio, come noto, è obbligazione di valore e pertanto in relazione alla stessa si applicano sia la rivalutazione che gli interessi.
La rivalutazione ha infatti la funzione di reintegrare il danneggiato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non si fosse verificato, adeguando l’importo della somma in valori monetari correnti alla data in cui è compiuta la liquidazione giudiziale.
Peraltro la somma suindicata, liquidata secondo un criterio equitativo puro, deve intendersi già rivalutata all’attualità.
Sulla somma così determinata andranno peraltro calcolati gli interessi, che hanno la funzione di coprire il ritardo (cd interessi "compensativi") al tasso d’interesse legale, secondo i criteri al riguardo dettati da sent. Cass., ss.uu., n. 1712/1995 secondo cui "gli interessi, determinati nel loro ammontare dal giudice, vanno calcolati dalla data del fatto non sulla somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria".
La somma liquidata - rivalutata all’attualità - ai fini del calcolo degli interessi andrà pertanto devalutata all’epoca dell’insorgenza della malattia (1/09/2008) e via via rivalutata di anno in anno (cfr al riguardo anche Consiglio di Stato sez. VI, 21/05/2014, n. 2612, secondo cui “Secondo i principi che presiedono al regime degli accessori che maturano sui crediti di valore, questi ultimi devono essere maggiorati di rivalutazione monetaria ed interessi compensativi, per il cui calcolo trova applicazione il principio secondo cui tali interessi, dovuti dalle singole date di maturazione del credito, non possono essere calcolati sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata alla data della liquidazione, ma vanno calcolati di tempo in tempo, con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, ad esempio, su base semestrale), con riguardo ai quali la somma equivalente al valore del bene si incrementa nominalmente in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria o in base ad un indice medio fino al momento della liquidazione”).
19. Parimenti da accogliersi, nei limiti di seguito specificati, è la domanda di risarcimento iure proprio da perdita del rapporto parentale formulata dai ricorrenti.
19.1.Secondo il più che stratificato orientamento giurisprudenziale formulato in ordine alla risarcibilità dei danni c.d. "riflessi" subiti dalle vittime secondarie della condotta integrante una fattispecie di illecito, "ai prossimi congiunti della vittima di un reato (nella specie omicidio colposo) spetta iure proprio il diritto al risarcimento del danno, avuto riguardo al rapporto affettivo che lega il prossimo congiunto alla vittima, non essendo ostativi ai fini del riconoscimento di tale diritto né il disposto dell'art. 1223 del codice civile né quello di cui all'art. 185 del codice penale, in quanto anche tale danno trova causa diretta e immediata nel fatto illecito" (cfr. Cassazione civile, sez. un., 1° luglio 2002, n. 9556; Cassazione civile, sez. III, 28 novembre 2007, n. 24745).
L'assetto sistematico sancito dai giudici di legittimità in ordine all'individuazione dei soggetti legittimati ad agire per il risarcimento dei danni derivanti dalla morte del prossimo congiunto è stato, infatti costruito sulla nozione della causalità e, quindi, sulla propagazioneintersoggettiva delle conseguenze di uno stesso fatto illecito (per danno morale soggettivo da morte di congiunto cfr. Cass.nn. 2915/71, 1016/73, 11396/97).
Un illecito di tale genere può, infatti, essere definito "plurioffensivo" in quanto è idoneo a ledere interessi diversi in capo ad altrettanti diversi soggetti.
In caso di fatto illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato pertanto è titolare di un autonomo diritto al risarcimento di tutto il danno, morale (cioè la sofferenza interiore soggettiva sul piano strettamente emotivo, nell'immediatezza dell'illecito, ma anche duratura nel tempo nelle sue ricadute, pur se non per tutta la vita) e dinamico-relazionale (altrimenti definibile "esistenziale"), consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana (Cass. 20972 del 2012).
Quindi, se l'illecito abbia gravemente compromesso il valore persona, come nel caso della definitiva perdita del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto, in proporzione alla durata e alla intensità del vissuto, alla composizione del restante nucleo che può prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo sia all'età della vittima primaria che a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma, ed ad ogni altra circostanza del caso concreto - che deve esser allegata e provata, ancorché presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza, essendo danni-conseguenza, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare - ad una liquidazione comprensiva di tutto il pregiudizio non patrimoniale subito (Cass. 1410, 24015 del 2011; Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 9231/13; depositata il 17 aprile; si veda anche Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 giugno - 11 luglio 2013, n. 29735).
19.2. Dette conclusioni sono pertanto valide anche nell’ipotesi in cui la responsabilità civile sia sganciata dalla responsabilità penale, e quindi anche in assenza di reato, una volta ammessa la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., quale danno conseguenza, anche in assenza di reato, in relazione a lesioni dei diritti della persona costituzionalmente garantiti.
Ed invero il danno subito in conseguenza della morte del prossimo congiunto, per la definitiva perdita del rapporto parentale, concretandosi nell'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, nonché all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della famiglia, la cui tutela è individuabile negli artt. 2, 29 e 30 Cost., si colloca nell'area del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 cod. civ. . Esso, come innanzi precisato, quale tipico danno–conseguenza, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, potendosi tuttavia ricorrere a valutazioni prognostiche e presunzioni sulla base degli elementi obbiettivi forniti dal danneggiato, quali l'intensità del vincolo familiare, la situazione di convivenza, la consistenza del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti, la compromissione delle esigenze di questi ultimi (Cass. civ., sez. 3, sentenza n. 15022 del 15/07/2005).
19.3. Secondo i più recenti arresti della giurisprudenza in materia peraltro il c.d. ‘danno edonistico’, per la perdita del rapporto parentale, deve essere valutato unitamente al risarcimento del danno morale iure proprio. Difatti, secondo la Suprema Corte il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. preclude la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale, ecc.), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo restando, però, l’obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio, in sede di personalizzazione della liquidazione (v. Cass., 23 settembre 2013, n. 21716; Cassazione Civile, sez. III, sentenza 08/07/2014 n° 15491; Cassazione Civile, sez. III, sentenza 08/07/2014 n° 15491).
19.4. Al riguardo il danno allegato dai ricorrenti, in quanto appartenenti alla famiglia nucleare del danneggiato (rispettivamente moglie e figli), deve ritenersi provato per presunzione secondo l’id quod plerumque accidit, trattandosi di stretti congiunti del danneggiato.
Ai fini probatori, è infatti indubbio che il profondo sconvolgimento della vita familiare dei componenti del nucleo familiare e delle loro abitudini di vita non debba essere necessariamente oggetto di una prova ad hoc. Infatti, lo stesso - sulla base dell’idquod plerunque accidit e in assenza di prova contraria - deve ritenersi eziologicamente riconducibile alla scomparsa del congiunto, essendo conforme alla comune esperienza che la morte di un marito o di un padre - essendo tal ultimo legato, in vario modo e misura, ai componenti del nucleo di appartenenza - sia idonea a determinare la frattura traumatica delle relazioni sentimentali e affettive in atto al momento della morte, producendo un’infinita serie di pregiudizi che si riflettono negativamente sull’esistenza dei prossimi congiunti successivamente alla morte del congiunto e che fanno sì che la loro vita di relazione non sia più la stessa.
19.5. Peraltro ai fini della personalizzazione del danno e tenuto conto da un lato dell’età di -OMISSIS- -OMISSIS- alla data decesso (anni 79) - e pertanto del non presumibile eccessivo scarto fra durata delle vita effettiva e di quella presunta - della relazione presumibilmente in atto fra il danneggiato e ciascuno dei ricorrenti, si ritiene equo commisurare tale danno (avuto riguardo alle tabelle del Tribunale di Milano anno 2014) in euro 220.000,00 (duocentoventimila/00) complessivi in favore della vedova-OMISSIS-, privata negli ultimi anni di vita del legame con il marito convivente, in euro 200.000,00 (duecentomila/00) in favore di ciascuno dei figli conviventi (ovvero, sulla base di quanto risultante dal ricorso, -OMISSIS- -OMISSIS-e -OMISSIS--OMISSIS-) ed in euro 180.00,00 (centottantamila/00) in favore di -OMISSIS- -OMISSIS-, residente in Montecastrilli e pertanto non convivente all’epoca del decesso con -OMISSIS- -OMISSIS-, essendo dato di comune esperienza che la sofferenza psichica connessa alla perdita del rapporto parentale e della abitudini di vita ad esso connesse sia maggiore in ipotesi di convivenza.
19.6. Anche dette somme, in quanto liquidate sulla base delle tabelle del Tribunale di Milano anno 2014, devono intendersi rivalutate all’attualità, e, ai fini del calcolo degli interessi, andranno devalutate alla data del decesso di -OMISSIS- -OMISSIS-, (2 maggio 2010), e rivalutate di anno in anno.
20. Conclusivamente il Ministero va condannato a corrispondere in favore dei ricorrenti la somma di euro 487.200,00 (quattrocentottasettemiladucento/00), per il danno non patrimoniale iure heredidatis, da divividersi pro quota in favore di ciascuno, avuto riguardo alle quote ereditarie, euro 220.000,00 (duocentoventimila/00) in favore della vedova-OMISSIS-, euro 200.000,00 (duecentomila/00) in favore di -OMISSIS--OMISSIS-e -OMISSIS--OMISSIS- ed euro 180.00,00 (centottantamila/00) in favore di -OMISSIS- -OMISSIS-, oltre agli interessi al tasso legale, da calcolarsi secondo quanto innanzi indicato.
21. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione.
22. Il compenso spettante al verificatore viene del pari liquidato come da dispositivo- avuto riguardo ai criteri di cui al combinato disposto dell’art. 21 Decreto Ministero Giustizia 30 maggio 2002, dell’art. 275 e dell’art. 52 comma 1 D.P.R. 115/2002, tenuto conto delle due relazioni redatte e della complessità degli accertamenti - e posto totalmente a carico dell’Amministrazione soccombente, in quanto attinente alla domanda di risarcimento del danno, totalmente accolta.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto condanna il Ministero della Difesa a corrispondere in favore dei ricorrenti la somma di euro 487.200,00 (quattrocentottasettemiladucento/00), per il danno non patrimoniale iure heredidatis, da dividersi pro quota in favore di ciascuno dei ricorrenti, avuto riguardo alle quote ereditarie, euro 220.000,00 (duocentoventimila/00) in favore di-OMISSIS-, euro 200.000,00 (duecentomila/00) ciascuno in favore di -OMISSIS--OMISSIS-e -OMISSIS--OMISSIS- ed euro 180.00,00 (centottantamila/00) in favore di -OMISSIS- -OMISSIS-, oltre agli interessi legali, secondo quanto indicato in parte motiva.
Condanna l’Amministrazione resistente alla refusione delle spese di lite nei confronti di parte ricorrente, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre oneri accessori, se dovuti come per legge, con attribuzione.
Pone le spese della verificazione, liquidate complessivamente in euro 1.200,00= (milleduecento,00=), totalmente a carico della resistente Amministrazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art.22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pagano, Presidente
Arcangelo Monaciliuni, Consigliere
Diana Caminiti, Primo Referendario, Estensore
 


 


L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 


 


 


 


 


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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