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martedì 16 giugno 2015

Il dipendente pubblico diligente può svolgere attività di amministratore condominiale (Corte dei Conti, sezione Prima centrale, sentenza 16.9.2009 n. 554)


Il dipendente pubblico diligente può svolgere attività di amministratore condominiale
(Corte dei Conti, sezione Prima centrale, sentenza 16.9.2009 n. 554) 

 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE

Composta dai seguenti magistrati:


Ha pronunziato la seguente

SENTENZA
Sentenza 554/2009/A

Nel giudizio di appello iscritto al n. 29265 del Registro di Segreteria, promosso dal Procuratore Regionale per il Lazio,

nei confronti di XXXX .. rappresentato e difeso dall’Avvocato .

avverso la sentenza n. 2535/2006 in data 19.10.2006 – 11.12.2006 della Sezione Giurisdizionale Regionale per il Lazio.

Visto l’atto di appello e i documenti della causa;

Uditi, nella pubblica udienza del 3 febbraio 2009, il Consigliere dott.ssa Rita Loreto ed il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale dott. .

Ritenuto in

FATTO

Con atto di citazione depositato in data 26 settembre 2005 il Procuratore Regionale per il Lazio conveniva in giudizio il signor XXXX .., poiché il medesimo, il qualità di impiegato di IX qualifica funzionale, Direttore Coordinatore del XXXX, con rapporto di lavoro a tempo pieno, aveva svolto dal 15 marzo 1997 al 30 luglio 2003, senza la prescritta autorizzazione, l’attività di amministratore di condomini al di fuori dell’ipotesi prevista dalla lett. b), punto 5, della circolare n. 6/97 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, percependo compensi mensili per euro 95.491,00.
Con nota del 2 aprile 2003 la Direzione Regionale delle Imposte Indirette per il Lazio e l’Umbria diffidava inutilmente il XXXX, che per precedenti analoghe violazioni aveva già ottenuto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per 7 giorni, a versare il su indicato importo al bilancio.
In considerazione di tali esiti dell’indagine disposta dal Servizio Ispettivo della Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, la Procura Regionale chiedeva la condanna del XXXX al risarcimento del danno erariale, avendo egli violato il principio sancito dall’art. 1, comma 60, della legge n. 662/1996, secondo il quale a tutti i dipendenti pubblici è fatto divieto di svolgere attività extraistituzionale senza la previa autorizzazione.
In danno veniva quantificato in euro 95.491,00, pari alla somma percepita indebitamente dal XXXX o, in via subordinata, almeno pari alla minor somma scaturente dalla differenza fra quanto percepito mensilmente e quanto effettivamente spettante come retribuzione part-time.
Con la sentenza impugnata la Sezione di primo grado ha assolto il signor XXXX, in mancanza di idonea prova che da tale attività sia derivato un danno all’Erario, dalla Procura indicato genericamente come “sottrazione di energie lavorative ed intellettuali alla pubblica amministrazione a fini privati”; né tale danno potrebbe desumersi dal mancato versamento all’Erario dei compensi percepiti, accertato e perseguito in sede disciplinare, in quanto tale obbligo, secondo i primi giudici, discende direttamente dalla legge e prescinde comunque dalla produzione di un danno all’Amministrazione connesso ad un comportamento gravemente colposo.
Avverso la citata sentenza ha proposto appello il Procuratore Regionale, chiedendo la riforma della decisione in quanto carente ed erronea nella motivazione.
Dopo aver ricordato che l’appellato, in rapporto di servizio a tempo pieno, ha svolto attività di amministratore di condominio di un complesso abitativo composto da 408 appartamenti, l’organo requirente ha ribadito che il XXXX, svolgendo attività extraistituzionale senza la prescritta autorizzazione, ha agito in violazione delle norme che regolamentano le incompatibilità dei pubblici dipendenti; in conseguenza di ciò, è pacifica la spettanza ex lege all’Erario di compensi illecitamente percepiti, con una valutazione operata ex ante dal legislatore. Nel caso specifico, quindi, la Sezione territoriale avrebbe richiesto una probatio diabolica della negativa incidenza sulla prestazione lavorativa pubblica, desumibile invece – secondo il regime delle presunzioni – sulla base dei dati dell’esperienza comune; in secondo luogo, tale prova si rivela del tutto superflua ai fini del decidere, stante quanto inderogabilmente stabilito con norma speciale in tema di incameramento delle retribuzioni indebitamente percepite. A tal proposito il Procuratore Regionale ha citato conforme giurisprudenza delle Sezioni territoriali della Corte dei conti e del Consiglio di Stato in materia di esclusività del rapporto di lavoro del pubblico dipendente.
Con breve memoria in data 27 novembre 2007 si è costituito il signor XXXX, con il patrocinio dell’Avv. Piero Relleva, chiedendo che l’appello sia dichiarato inammissibile e subordinatamente rigettato.
Alla odierna pubblica udienza, udito il Consigliere relatore dott.ssa ..il quale ha chiesto l’accoglimento dell’appello del Procuratore Regionale.

Considerato in

DIRITTO

Il Collegio deve preliminarmente accertare se nella fattispecie ricorrono tutti i presupposti per l’esercizio dell’azione di responsabilità.

Osserva il Collegio che il Procuratore appellante, prima nell’atto di citazione in giudizio e, quindi, nel proprio atto di appello, ha sottolineato la sussistenza di un danno erariale nella fattispecie all’esame, poiché il signor XXXX, svolgendo l’attività di amministrazione di condominio, avrebbe sottratto illecitamente energie lavorative e intellettuali alla pubblica amministrazione, distraendole a fini privati.

Sottolinea ancora il requirente che in tale ipotesi la sussistenza del danno erariale discende dalla mancata prestazione di attività lavorativa del dipendente pubblico, per l’alterato equilibrio del sinallagma che si pone, alla base del rapporto di servizio con l’Amministrazione, nel caso in cui il dipendente, abusando del suo ufficio ed in violazione dei doveri di imparzialità ed esclusività, abbia svolto attività lavorativa privata.

Il Collegio ritiene tali argomentazioni non meritevoli di accoglimento.

Risulta infatti dagli atti che il signor XXXX non ha mai celato alla propria amministrazione di appartenenza lo svolgimento dell’attività di amministratore condominiale e, soprattutto, che tale situazione non ha mai in alcun modo limitato o condizionato i propri compiti istituzionali, l’espletamento del lavoro d’ufficio ed il rispetto rigoroso dell’orario di lavoro.

Si vuole in altri termini precisare che il danno erariale, dalla Procura appellante ritenuto conseguenza automatica dell’esercizio di attività extraistituzionale e sostanziantesi nella illecita sottrazione di energie lavorative ed intellettuali alla P.A., deve essere comunque dimostrato attraverso la prova di una riscontrata minore resa del servizio, con abbassamento anche qualitativo delle prestazioni lavorative, come potrebbe, ad esempio, attestare una accertata situazione di disordine amministrativo o contabile riconducibile al funzionario; ma nella vicenda che ne occupa tale evenienza non è stata riscontrata: non risulta infatti che l’indagine amministrativa avviata nel 1998 dalla Direzione Compartimentale dell’Agenzia delle Dogane abbia imputato al XXXX, in qualità di Direttore coordinatore del XXXX, alcun disservizio o disordine amministrativo generatore di effetti negativi nella gestione del predetto pubblico servizio.

Né eventuali ripercussioni negative sul lavoro, per effetto dello svolgimento dell’attività di amministratore di condominio, risultano essere emerse con il procedimento disciplinare, con cui al XXXX è stata unicamente imputata la mancata autorizzazione allo svolgimento dell’attività privata.

Peraltro la vicenda si caratterizza per l’assoluta singolarità del caso, in quanto il signor XXXX ha iniziato la propria attività di amministratore limitandola al condominio presso cui vi era la propria abitazione, e solo in seguito, per motivazioni di carattere eccezionale legate a riscontrati ammanchi di cassa, egli è stato costretto, per assicurare la corretta gestione dei servizi comuni, ad estendere l’attività all’intero comprensorio nel quale era ubicato anche il proprio condominio.

Sulla base di tali presupposti, e stante l’assoluta peculiarità della fattispecie, il Collegio ritiene di condividere le argomentazioni dei primi giudici in merito alla mancata dimostrazione del danno erariale concreto ed attuale arrecato all’Amministrazione di appartenenza e ricollegabile all’esercizio dell’attività di amministratore di condominio del dr. XXXX, non ritenendo di poter affermare la sussistenza di danno erariale quale effetto automatico della violazione delle norme sulla mancata autorizzazione di attività extraistituzionali.

Per tali motivi l’appello del Procuratore va rigettato, con conferma della decisione impugnata.

P.Q.M.

La Corte dei conti – Sezione Prima Giurisdizionale Centrale – definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria domanda ed eccezione,

• RIGETTA l’appello del Procuratore Regionale per il Lazio avverso la sentenza n. 2535/2006 emessa dalla Sezione Giurisdizionale Regionale per il Lazio in data 19.10.2006 – 11.12.2006.

Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 3 febbraio 2009.

L’Estensore Il Presidente

F.to .

Depositata in Segreteria il 16/09/2009



IL DIRIGENTE

F.to .

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