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martedì 16 giugno 2015

Diritto alla formazione e 150 ore Con sentenza n. 19682/2009, la Cassazione ha affermato che il lavoratore cui è stato impedito, senza giustificato motivo, il diritto ad usufruire del permesso delle 150 ore per la frequenza di un corso formativo, ha diritto al risarcimento del danno, atteso che ha perso una chance formativa attraverso la quale avrebbe potuto ottenere una maggiore qualificazione con migliori prospettive di carriera



Diritto alla formazione e 150 ore

Con sentenza n. 19682/2009, la Cassazione ha affermato che il lavoratore cui è stato impedito, senza giustificato motivo, il diritto ad usufruire del permesso delle 150 ore per la frequenza di un corso formativo, ha diritto al risarcimento del danno, atteso che ha perso una chance formativa attraverso la quale avrebbe potuto ottenere una maggiore qualificazione con migliori prospettive di carriera




Sez. lavoro, 11-09-2009, n. 19682
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 875/2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Brescia dichiarava legittimo l'operato della Casa di Riposo (OMISSIS) che aveva reiteratamente negato a M.R., negli anni 2000, 2001 e 2002, il diritto a fruire del permesso delle 150 ore annue per la frequenza ai corsi regionali per il conseguimento della qualifica di assistente socio-assistenziale.
Avverso la detta sentenza la M. proponeva appello chiedendo che, accertato il suo diritto a fruire del detto permesso fin dalla prima istanza (e non solo per il 2003 - 2004 quando in corso di causa le era stata concessa l'autorizzazione), le venisse risarcito il danno subito sia per le tasse di iscrizione pagate inutilmente sia per la perdita di chance derivata dal non aver conseguito la qualifica formale di ASA, con le conseguenze in termini di incrementi stipendiati e maggiore possibilità di lavoro.
La Casa di Riposo appellata si costituiva tardivamente eccependo il difetto di legittimazione attiva della ricorrente e chiedendo la conferma, della sentenza di primo grado.
La Corte di appello di Brescia, con sentenza depositata il 29-4-2005, in riforma della pronuncia di primo grado, condannava l'appellata al risarcimento del danno in favore della M. nella misura di Euro 2.200,00, con interessi e rivalutazione dalla data della domanda, oltre al pagamento delle spese del doppio grado.
In sintesi la Corte territoriale, ritenuta "ogni questione relativa al diritto della lavoratrice a fruire del permesso per frequentare il corso regionale di qualificazione professionale" "superata dalla concessione, intervenuta medio tempore, del permesso per le 150 ore", rilevato inoltre che la M. "inviò ben 6 raccomandate negli anni dal 2000 al 2002" e che "nel 2000 le istanze non ottennero risposta e comunque il diritto venne negato anche negli anni successivi mentre non vi è dubbio che la lavoratrice avesse, in assenza di altre lavoratrici che avessero fatto analoga richiesta e che la precedessero nell'ordine fissato dal contratto collettivo, pieno diritto al riconoscimento delle 150 ore", ravvisati altresì i requisiti generali per la responsabilità contrattuale, per "perdita di chance", tutto ciò considerato, determinava in 200,00, Euro il rimborso delle tasse di iscrizione ai corsi poi non frequentati e, equitativamente, in 2.000,00 Euro il danno complessivo alla professionalità specifica, all'immagine e alla vita di relazione.
Per la cassazione di tale sentenza la Casa di riposo (OMISSIS) ha proposto ricorso con tre motivi. La M. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'art. 436 c.p.c., "ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 - error in iudicando”, lamenta che il Giudice di Appello non ha tenuto in considerazione le deduzioni difensive da essa svolte in grado di appello intorno ai motivi di gravame, ritenendo tardiva la sua costituzione.
In sostanza la ricorrente deduce che la costituzione tardiva "non può impedire la possibilità per il convenuto di interloquire sui motivi dell'impugnazione - anche tardivamente - oltre il termine previsto dall'art. 436 c.p.c., comma 1, per la sua costituzione tempestiva".
Il motivo in parte è inammissibile, perchè privo di autosufficienza, e in parte non coglie nel segno la impugnata decisione.
In primo luogo la ricorrente, violando il principio di autosufficienza del ricorso, non indica, neppure sinteticamente, (e tanto meno riporta specificamente) le deduzioni difensive (contenute nella propria memoria di costituzione tardiva in appello) che non sarebbero state considerate dalla Corte di Appello.
Quest'ultima, poi, in realtà, non ha affatto omesso di considerare le deduzioni della Casa di Riposo, in quanto, pur dando atto della sua costituzione tardiva, tra l'altro ha ritenuto "accertato il diritto alla concessione del permesso fin dalla prima istanza, non avendo nessuna delle obiezioni svolte dalla datrice di lavoro trovato riscontri o rivestito carattere di serio impedimento".
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando omessa ed insufficiente motivazione circa la sussistenza del diritto della M. ad usufruire dei permessi per motivi di studio richiesti, dopo aver richiamato la disciplina dell'art. 10 dello Statuto dei lavoratori e dell'art. 15 del ccnl integrativo del 14-9-2000, in sostanza afferma che tale richiamo "consente di osservare come alcuna responsabilità possa essere attribuita al datore di lavoro odierno deducente per la mancata fruizione dei permessi retribuiti relativamente agli anni 2000, 2001 e 2002 da parte della resistente M.".
Al riguardo, in particolare, la ricorrente deduce che:
"per l'anno 2000, non veniva richiesto il riconoscimento di alcun monte ore permessi per il diritto allo studio, bensì una fantomatica regolarizzazione della frequentazione della dipendente al primo corso ASA organizzato" (come da doc. n. 1 e 2 del fascicolo di primo grado dell'odierna resistente);
"per l'anno 2001, non iniziava il corso al quale si era iscritta la resistente" a causa di problemi organizzativi da parte del Centro di Formazione Professionale (corso iniziato, dopo ripetuti rinvii, l'8-1-2002, senza che potesse attribuirsi responsabilità alcuna ad essa ricorrente);
per l'anno 2002, la M. "non frequentava il corso a cui non si era neppure iscritta";
per l'anno 2003 la stessa "non presentava alcun certificato di iscrizione nè autocertificazione alcuna della iscrizione ai corsi di studio, non ottemperando a quanto disposto dall'art. 15 cit. ... ovvero non dimostrando neppure il titolo fondante la richiesta dei permessi di studio" (con riferimento, peraltro, ad un corso destinato ad una categoria di soggetti tra i quali ella non rientrava - "cfr. doc. n. 23 fase, di primo grado).
Peraltro la ricorrerne aggiunge che la M., pur lamentando di non aver potuto partecipare ai citati corsi per responsabilità del datore di lavoro, si era "sempre rifiutata di aderire alle iniziative di formazione organizzate al suo interno dalla Casa di Riposo".
Il motivo è in gran parte inammissibile e per il resto è infondato.
Innanzitutto trattasi in gran parte di questioni nuove, involgenti nuovi accertamenti di fatto, non trattate nell'impugnata sentenza, e la ricorrente non indica con quale atto ed in quali termini le abbia specificamente sollevate davanti ai giudici di merito.
Come questa Corte ha ripetutamente affermato, "nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello" (v. Cass. 27-8-2003 n. 12571, Cass. 5-7-2002 n. 9812, Cass. 9-12-1999 n. 13819). Nel contempo è stato anche precisato che "nel caso in cui una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, indicando altresì in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, così da permettere alla Corte di Cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa" (v. Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336).
La ricorrente, inoltre, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, richiama alcuni documenti prodotti dalle parti in primo grado senza riportarne il contenuto (v. tra le altre Cass. 26-7-2002 n. 11052, Cass. 20-2-2003 n. 2527, Cass. 17-7-2007 n. 15952).
In particolare, poi, la Corte di Appello al riguardo ha affermato che la M. "inviò ben 6 raccomandate negli anni dal 2000 al 2002 per reclamare il proprio diritto ad ottenere il permesso di 150 ore per frequentare il corso regionale per personale ASA che le avrebbe consentito il formale raggiungimento della qualifica professionale che di fatto già rivestiva presso la Casa di Riposo", aggiungendo, in particolare, che "nel 2000 le istanze non ottennero risposta e comunque il diritto venne negato anche negli anni successivi mentre non vi è dubbio che la lavoratrice avesse, in assenza di altre lavoratrici che avessero fatto analoga richiesta e che la precedessero nell'ordine fissato dal contratto collettivo, pieno diritto al riconoscimento delle 150 ore (e non già alle 50 che, a fronte dell'istanza del 2002, le vennero concessa per poter far beneficiare di altrettante ore anche a due sue colleghe)”.
Tale accertamento di fatto, congruamente motivato, resiste alle censure della ricorrente, anche sul piano specifico, in quanto: per il 2000 la interprelazione, dei giudici di merito, della richiesta di "regolarizzazione", avanzata dalla lavoratrice, risulta del tutto logica; per il 2001 la mancata partecipazione al corso (pur espletato con ritardo dal Centro di Formazione Professionale) è, comunque, risultata causata dal diniego della Casa di Riposo; per il 2002 il riconoscimento di sole 50 ore è, in ogni caso, risultato illegittimo; per il 2003, che, del resto, non era oggetto della domanda e che neppure è stato oggetto della decisione impugnata, ogni censura risulta inammissibile.
Circa, poi, l'asserito rifiuto della M. di partecipare alle iniziative di formazione professionale organizzate all'interno della Casa di Riposo, parimenti va rilevato che trattasi di questione nuova, involgente un nuovo accertamento di fatto, e che la ricorrente neppure ha indicato con quale atto e in che termini la questione stessa sia stata sollevata davanti ai giudici del merito.
Nel complesso, quindi, le censure della ricorrente, attraverso la denuncia di un vizio di motivazione, si risolvono, in sostanza, in una inammissibile richiesta di revisione del "ragionamento decisorio" e di riesame del merito (cfr., fra le altre, da ultimo Cass. 7-6-2005 n. 11789, Cass. 6-3-2006 n. 4766), in ordine alla responsabilità per inadempimento da parte della Casa di Riposo nella fattispecie concreta.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4), lamenta che la sentenza impugnata è viziata per essersi il Giudice "pronunciato su domande introdotte tardivamente nel grado d'appello dalla resistente, facendo esse riferimento ad eventi successivi alla proposizione del ricorso di primo grado e, pertanto, sicuramente ultra petita".
In particolare la ricorrente deduce che, essendo stato, il ricorso di primo grado, depositato il 4-3-2003, non si comprende come potesse essere oggetto del petitum del giudizio di primo e secondo grado l'accertamento del diritto al beneficio dei permessi per motivi di studio per l'anno 2003, relativi ad una richiesta che è - si badi - dell'8 luglio 2003".
La censura non coglie nel segno la impugnata decisione, la quale, seppure ha considerato anche che "medio tempore" è, successivamente, intervenuta la "concessione del permesso per le 150 ore", ha espressamente incentrato la propria decisione agli anni "dal 2000 al 2002", nulla disponendo per il 2003, che non era oggetto della domanda.
La Corte d'Appello non è quindi incorsa in alcuna ultrapetizione.
Il ricorso va pertanto respinto e in ragione della soccombenza la ricorrente va condannata al pagamento delle spese, in favore della resistente, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, in favore della resistente, liquidate in Euro 23,00, oltre Euro 2000,00, per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 16 luglio 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2009

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