Ai fini del Tfr nessun computo delle ore di straordinario se saltuarie e occasionali
Cass. civ. Sez. lavoro, 03-04-2007, n. 8293
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAVAGNANI Erminio - Presidente
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Consigliere
Dott. CUOCO Pietro - Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio - Consigliere
Dott. MORCAVALLO Ulpiano - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
...OMISSISVLD...,
domiciliato in ROMA presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato CHIARAMONTE SALVATORE,
giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
ENEL PRODUZIONE S.P.A.;
- intimato -
e sul 2^ ricorso n. 23226/2004 proposto da:
ENEL
PRODUZIONE S.P.A., in persona del legale presentante pro tempore, in
proprio e quale procuratrice dell'ENEL S.P.A. già elettivamente
domiciliata in ROMA VIALE REGINA MARGHERITA 125, presso lo studio
dell'avvocato SACCHETTI PATRIZIA, che la rappresenta e difende
unitamente all'avvocato D'AMORE CARLO, giusta delega in atti, e da
ultimo d'ufficio presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
...OMISSISVLD...;
- intimato -
avverso la sentenza n. 915/2003 della Corte d'Appello di SALERNO, depositata il 16/09/03 - R.G.N. 384/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/01/07 dal Consigliere Dott. Ulpiano MORCAVALLO;
udito
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO
Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale; ed
assorbito l'incidentale.
Svolgimento del processo
Con
sentenza del 4 gennaio 2001 il Tribunale di Termini Imerese, in
funzione di giudice del lavoro, condannava l'ENEL s.p.a. al pagamento in
favore di ...OMISSISVLD..., già dipendente della società, di differenze
retributive a titolo di rideterminazione del T.F.R. come conseguenza
dell'affermata computabilità del compenso per lavoro straordinario
continuativo, prestato nel periodo precedente al 31 maggio 1982 (1
giugno 1979 - 1 maggio 1982), nell'indennità di anzianità maturata alla
data di cessazione del rapporto.
La decisione,
appellata dalla ENEL PRODUZIONE s.p.a., succeduta all'ENEL s.p.a.,
veniva riformata dalla Corte d'appello di Palermo che, con la sentenza
in epigrafe specificata, respingeva la domanda del B. con condanna di
quest'ultimo alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
In particolare, per quanto rileva nella presente sede, la Corte
territoriale: a) ha escluso che nella specie fosse maturata la
prescrizione eccepita dalla società, osservando, al riguardo, che il
diritto al t.f.r. sorge alla cessazione del rapporto di lavoro e solo da
tale epoca decorre il termine di prescrizione, mentre, a tali fini, non
può attribuirsi rilievo alla comunicazione degli accantonamenti nel
corso del rapporto; b) ha ritenuto che la norma contrattuale (art. 43
dei contratti collettivi del 1979 e del 1983) prevedente la
corresponsione di quattro mensilità aggiuntive al momento della
risoluzione del rapporto era finalizzata ad incentivare l'esodo dei
lavoratori più anziani e non aveva alcun nesso con l'indennità di
anzianità e con la relativa quantificazione, onde non poteva ritenersi
migliorativa della disciplina legale; c) ha affermato, tuttavia, che al
lavoro straordinario svolto periodicamente dal dipendente non poteva
riconoscersi carattere di continuità, atteso che, in particolare, dalle
buste paga prodotte in giudizio era risultata la corresponsione del
compenso per straordinario nelle retribuzioni di solo diciotto mesi,
nell'arco del periodo considerato, con un numero significativo, pari a
venti mesi, di non effettuazione di prestazioni straordinarie, onde non
poteva escludersi la riferibilità delle ore eccedenti l'orario normale
ad esigenze transitorie e imprevedibili.
Di
questa sentenza ha chiesto la Cassazione il B., deducendo due motivi di
impugnazione. L'ENEL PRODUZIONE s.p.a. ha resistito con controricorso
proponendo, con lo stesso atto, ricorso incidentale condizionato
articolato in due motivi.
Motivi della decisione
Preliminarmente i due ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., essendo proposti avverso la stessa sentenza.
Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2121 e 2697 c.c.
e vizi di motivazione. Si lamenta che la Corte territoriale abbia
escluso la obbligatorietà e continuità del lavoro straordinario sulla
sola base della non ricorrenza di tali prestazioni in ognuno dei mesi
esaminati, mentire avrebbe dovuto considerare la media mensile delle ore
straordinarie nell'arco dell'intero periodo, atteso che - per costante
giurisprudenza - il requisito della continuità richiede semplicemente
una mera regolarità o periodicità delle ore eccedenti entro un
apprezzabile lasso di tempo e ammette, peraltro, una certa variabilità; e
si aggiunge che l'affermazione dei giudici d'appello riguardo alla
riferibilità dello straordinario ad esigenze imprevedibili contraddice
quanto dagli stessi giudici ritenuto circa l'irrilevanza, ai fini del
computo nel calcolo dell'indennità di anzianità, dei motivi per i quali
le ore straordinarie vengono richieste dal datore di lavoro.
Il secondo motivo denuncia violazione dell'art. 91 c.p.c., censurandosi la condanna alle spese operata dai giudici d'appello e, comunque, l'entità della liquidazione.
Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2120 c.c., della L. n. 297 del 1982, art. 2, in relazione agli art. 2934 e 2935 c.c.,
e segg., unitamente a vizi di motivazione, per non avere il giudice a
quo considerato che, essendo stato comunicato al lavoratore, in
conformità al disposto della citata L. n. 297 del 1982, art. 2,
penultimo comma, il prospetto degli accantonamenti utili ai fini della
futura liquidazione del T.F.R., ivi compreso quello corrispondente
all'importo dell'indennità di anzianità maturata fino al momento
dell'entrata in vigore della detta legge, con indicazione delle singole
voci retributive assunte a base del relativo calcolo, il destinatario
era nella condizione di maturare, fin dal momento di questa
comunicazione, piena consapevolezza dell'esclusione del compenso per
lavoro straordinario dal coacervo di quelle, cosicchè avrebbe potuto e
dovuto proporre nel termine di prescrizione decennale l'azione di
accertamento del suo diritto all'accantonamento anche della quota
corrispondente al menzionato compenso. Inutilmente decorso, nella
specie, tale termine, l'intervenuta prescrizione dell'azione di
accertamento precluderebbe l'esperibilità anche dell'attuale azione di
condanna, essendo l'una il necessario presupposto dell'altra.
Il secondo motivo del medesimo ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c.,
e segg., in una con vizi di motivazione. Si censura l'affermazione
della Corte territoriale secondo cui l'attribuzione al lavoratore, oltre
al T.F.R., di quattro mensilità di retribuzione (c.d. mensilità
aggiuntive) non integra un trattamento più favorevole di quello che
costui avrebbe ottenuto conteggiando il compenso per straordinario ante
31 maggio 1982 e si sostiene che la disciplina contenuta nell'art. 43
C.C.N.L. 1983, sostanzialmente riproduttiva di quella precedente (1979),
mostra chiaramente che la corresponsione dell'anzidetta erogazione ha
carattere generalizzato, vale cioè per tutti i casi di cessazione del
rapporto, e va, pertanto, ad integrare la indennità di anzianità; il
che, del resto, trova conferma in numerose decisioni di legittimità.
Per
ordine logico, devono esaminarsi dapprima le censure del ricorso
incidentale, ancorchè proposte in via condizionata, in quanto involgenti
questioni preliminari di mento che, sebbene non rilevabili d'ufficio,
sono comunque inserite nel iberna decidendum del giudizio di legittimità
(cfr. Cass. 28 agosto 2004 n. 17192; 26 settembre 2003 n. 14333; 27
febbraio 2001 n. 2822; 21 dicembre 2002 n. 18255;
in senso contrario, 6 agosto 2004 n. 15161; 26 gennaio 2006 n. 1690).
Il primo motivo di tale ricorso non è fondato.
L'interesse
ad agire, in termini generali, senza confondersi con il diritto,
costituendo una condizione per far valere il diritto medesimo mediante
l'azione, si identifica nell'esigenza di ottenere un risultato utile
giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del
giudice.
Nell'azione di mero accertamento,
esso presuppone uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un
rapporto giuridico, tale da arrecare all'interessato un pregiudizio
concreto ed attuale (v., per tutte, Cass., sez. un., 10 agosto 2000 n.
565 e, più di recente, Cass. 7 giugno 2003 n. 9172; 14 novembre 2002 n.
16022; 5 marzo 2001 n. 3157).
La giuridicità
di una qualsiasi situazione di vantaggio, come tale protetta
dall'ordinamento in modo immediato e diretto in capo ad un determinato
soggetto, sì da assurgere al rango di diritto, mentre si concreta in un
coacervo di poteri o di facoltà che ne costituiscono lo specifico
contenuto e valgono a distinguere l'una dall'altra, poichè rappresentano
l'intrinseco di ciascuna, postula un requisito che, per essere a tutte
comune, si configura come estrinseco e si identifica nella necessaria
certezza della sua esistenza, della quale, in presenza dei suindicati
presupposti, è consentito l'accertamento giudiziale.
Orbene,
quando sia posta oggettivamente in discussione la certezza di una
situazione giuridica, intesa come bene in sè, senza che vengano in
rilievo i suoi specifici contenuti identificativi, e tanto si ponga come
fonte di attuale pregiudizio per il titolare di quest'ultima, lo stato
di incertezza si sostanzia in una illegittima situazione di fatto
continuativa, che si protrae de die in diem, così da rinnovare
quotidianamente le condizioni di interesse ad agire, per ottenerne dal
giudice la rimozione.
Si tratta, in sostanza,
di un fatto che non può considerarsi istantaneo, ma si apprezza per la
sua stessa permanenza, sicchè, prima che questa cessi, non è dato
identificare un unico momento destinato a costituire il dies a quo della
prescrizione dell'azione di accertamento, mentre la sua cessazione fa
venir meno il presupposto di tale azione, determinando, per definizione,
l'insussistenza del fattore di incertezza.
In
questi termini, può dirsi che l'azione meramente dichiarativa è dotata
del requisito dell'imprescrittibilità, mentre prescrittibile è il
diritto, quando la sua esistenza venga invocata non in sè e per sè, ma
strumentalmente al concreto conseguimento del particolare bene della
vita che costituisce il contenuto del diritto medesimo.
Ne
consegue che la relazione ravvisabile fra azione di mero accertamento
del diritto ed azione diretta alla sua concreta attuazione opera in
senso esattamente inverso a quello preteso da parte ricorrente, perchè,
mentre la mancata sperimentazione della prima, non soggetta a termini di
prescrizione, risulta del tutto irrilevante ai fini della persistente
sperimentabilità della seconda, è la possibile prescrizione di questa
che può precludere l'azione di mero accertamento, per difetto di
interesse, in quanto, una volta estinto il diritto, con conseguente
impossibilità di realizzazione pratica del suo contenuto, viene meno, di
norma, ogni utilità dell'accertamento della sua mera esistenza, così
difettando il ricordato presupposto dell'invocazione dell'officium
judicis (cfr.
Cass. 9 aprile 2003 n. 9575; 16 gennaio 1997 n. 382; 23 ottobre 1991 n. 11215; 6 maggio 1991 n. 4886).
Corollario
delle esposte considerazioni è quello dell'indifferenza della causa
dello stato di incertezza che legittima all'azione di accertamento, la
cui imprescrittibilità scaturisce dal perpetuarsi di uno stato siffatto e
non dalla natura delle ragioni che lo determinano, sicchè le
conclusioni cui si è pervenuti non mutano, sia nel caso in cui la
composizione della base di computo del trattamento di fine rapporto sia
stata conosciuta mediante la comunicazione degli accantonamenti, sia in
quello in cui tale composizione possa venire in discussione a seguito
dell'eventuale erogazione di anticipazioni. Quel che conta, infatti, è
la situazione di incertezza che da luogo all'azione di accertamento,
attraverso la quale il lavoratore può far valere il suo diritto: il
quale, giova precisare, può essere tutelato, distintamente, mediante
l'azione di accertamento, fin tanto che persista l'interesse ad
eliminare lo stato di incertezza, e mediante l'azione di condanna, una
volta che il rapporto sia cessato (cfr., in analoga fattispecie, Cass.
n. 11536/2006, cit.; 11 marzo 2005 n. 5362).
Non fondato è anche il secondo motivo.
In
più occasioni questa Corte ha enunciato il principio di diritto secondo
il quale, in tema di indennità di fine rapporto, il confronto fra la
disciplina legale e quella convenzionale, agli effetti previsti dall'art. 1419 c.c.
impone, da un lato, la considerazione unitaria di tutte le disposizioni
pattizie che incidono sulla determinazione della base di calcolo
dell'indennità stessa, anche attraverso la previsione di maggiorazioni
aggiuntive, e, dall'altro, la valutazione, parimenti unitaria, derivante
dall'integrale applicazione della norma di legge (Cass. 1 febbraio 1994
n. 988; 7 maggio 1991 n. 5068).
Ma ha anche
avuto modo di precisare che l'anzidetto principio è applicabile soltanto
se, all'esito dell'operazione di ermeneutica contrattuale che deve
compiere il giudice del mento, si giunge a qualificare la maggiorazione
aggiuntiva come componente del trattamento di fine rapporto, mentre
l'individuazione di un titolo diverso ed autonomo conduce alla
conseguenza che il datore di lavoro deve riconoscere sia quel
trattamento (calcolato ai sensi di legge) che l'erogazione aggiuntiva,
senza decurtazioni di sorta (Cass. 6 dicembre 2002 n. 17418; 4 giugno
1994 n. 5418; 1 febbraio 1994 n. 988).
A conforto di tale conclusione la Corte ha richiamato il disposto della L. n. 297 del 1982, art. 4, comma 5,
il quale prevede che restano salve le indennità corrisposte alla
cessazione del rapporto aventi natura e funzioni diverse da quelle
dell'indennità di anzianità, di fine lavoro, di buonuscita, comunque
denominate, sottolineando come, con tale previsione, il legislatore
abbia inteso precisare che gli aspetti inderogabili della disciplina
sono attinenti solo al "titolo" del trattamento di fine rapporto,
sussistendo la possibilità, per il datore di lavoro, di corrispondere al
lavoratore, in occasione della cessazione del rapporto, erogazioni
aggiuntive, a titolo diverso e distinto da quello del detto trattamento,
rispetto al quale si collocano a latere.
A
quest'ultima conclusione è giunta la Corte d'appello, la quale ha
interpretato la norma convenzionale che dispone l'erogazione in favore
dei dipendenti di quattro mensilità aggiuntive nel senso che la stessa
non ha inteso dettare una disposizione derogatoria della disciplina
legale dell'indennità di buonuscita. Ha aggiunto la Corte territoriale
che la previsione contrattuale riguarda l'incentivazione all'esodo
anticipato del lavoratore a tutela anche di un interesse del datore di
lavoro e, pertanto, configura un emolumento concettualmente distinto dal
trattamento di fine rapporto. A fronte di una tale puntuale
interpretazione del giudice di merito, condotta alla luce delle
richiamate disposizioni legislative, le osservazioni critiche svolte in
ricorso sono indirizzate, sostanzialmente, a sostenere un diverso
risultato interpretativo della norma contrattuale, considerato
preferibile a quello accolto nella sentenza censurata, soprattutto in
base all'argomento - di tipo "residuale" - che l'assimilazione delle
mensilità aggiuntive al t.f.r. sarebbe meglio compatibile con tutte le
ipotesi contrattuali per le quali l'emolumento è previsto. Ma una
prospettazione siffatta, oltre ad essere poco convincente di per se, in
quanto pretende di "ricondurre" nell'area del t.f.r. ogni emolumento di
dubbia natura, è comunque ritenuta inammissibile dalla giurisprudenza
della Corte (v. Cass. 21 novembre 2003 n. 17749; 20 agosto 1997 n. 7738;
26 giugno 1996 n. 5893; 2 febbraio 1996 n. 914; in analoghe
fattispecie, cfr. le citate Cass. nn. 5362/2005 e 11536/2006) in quanto
insufficiente a porre in dubbio l'accertamento di fatto in cui si
risolve l'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune e
ad integrare un vizio denunciabile in sede di legittimità; mentre è
opportuno precisare che, rispetto alla interpretazione della medesima
clausola di un contratto collettivo di diritto comune, è ben possibile
che, in sede di legittimità, si giunga a diverse conclusioni, giacchè la
decisione della Corte dipende, di volta in volta, dai limiti tracciati
dalle censure proposte, il cui ambito circoscrive la verifica che essa
può esercitare sulla correttezza del metodo interpretativo adottato dal
giudice del merito e la congruità della relativa motivazione (Cass. 13
giugno 2003 n. 9499).
Passando all'esame del ricorso principale, osserva il Collegio che il primo motivo non e fondato.
Pronunciando
in analoghe controversie, questa Corte ha avuto modo di precisare che
l'affermazione della continuità del lavoro straordinario reso per un
certo tempo, mentre non può fondarsi sull'accertamento di una semplice
reiterazione delle prestazioni eccedenti l'orario normale, trova invece
giustificazione allorchè il carattere costante e sistematico di queste
ultime venga individuato nella duplice condizione di una verificata
regolarità o frequenza o periodicità della prestazione e di una
ragionata esclusione dei caratteri di occasionalità, transitorietà o
saltuarietà; in particolare, si è aggiunto, occorre misurare la
riconoscibilità di regolarità, frequenza o anche mera periodicità di una
prestazione eccedente l'orario ordinario con riguardo al suo ripetersi
con costanza ed uniformità "per un apprezzabile periodo di tempo", così
da divenire abituale nel quadro dell'organizzazione del lavoro (cfr. ex
multis Cass. 14 ottobre 2004 n. 20278 e la giurisprudenza ivi
richiamata). In base a tali principi deve ritenersi del tutto congrua,
nella specie, l'affermazione del giudice di merito dell'inesistenza
della continuità dello straordinario, essendo essa fondata sul puntuale
esame delle buste paga prodotte in giudizio, che ha evidenziato la
irregolarità e incostanza delle prestazioni straordinarie lungo l'arco
temporale considerato, in particolare essendo risultato che il
lavoratore aveva percepito la retribuzione per lavoro straordinario in
soli diciotto mesi nel triennio in questione. D'altra parte, come questa
Corte ha più volte affermato, la continuità dello straordinario ai fini
della sua computabilità ai fini dell'indennità di anzianità, se pure
ammette una certa oscillazione quantitativa e distributiva nella
effettuazione delle prestazioni e prescinde dalle ragioni che ne
giustificano lo svolgimento, richiede comunque la ricorrenza delle ore
eccedenti (anche in quantità diverse) in ciascuno del periodi di paga
considerati, o almeno in quasi tutti, sì da potersi escludere la
configurazione di tali prestazioni come saltuarie, occasionali o
transitorie (cfr., in analoga controversia relativa a sentenza della
medesima Corte territoriale, la già citata Cass. n. 5362/2005).
Non fondato è anche il secondo motivo.
L'attribuzione
delle spese a carico del B. è conseguita all'accoglimento dell'appello,
sia pure sotto uno dei profili dell'impugnazione, e al rigetto della
domanda da lui proposta, in coerenza con il principio generale della
soccombenza, la cui applicazione o la cui eventuale deroga - comunque
entro il limite della impossibilità di condannare la parte totalmente
vittoriosa - è rimessa al giudice dell'appello in caso di riforma della
sentenza di primo grado (cfr. Cass. 23 agosto 2003 n. 12413; 5 aprile
2003 n. 5386). Sotto il profilo della liquidazione, poi, le censure del
ricorrente sono inammissibili, in quanto generiche e, in assenza di
riferimenti specifici alle singole voci della tariffa professionale, non
tali da consentire un adeguato controllo della liquidazione effettuata
dal giudice di merito (cfr. Cass. 9 aprile 2003 n. 5581).
Conclusivamente, i due ricorsi, come sopra riuniti, devono essere rigettati.
Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2006.
Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2007
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