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mercoledì 27 marzo 2013

Il Mancato Uso, Da Parte Di Un Vigilante, Del Giubbotto Antiproiettile Assegnatogli, Non Esonera Il




Il Mancato Uso, Da Parte Di Un Vigilante, Del Giubbotto Antiproiettile Assegnatogli, Non Esonera Il Datore Di Lavoro Dalla Responsabilita' Per Il Suo Ferimento In Servizio - L'azienda è tenuta ad un costante controllo (Cassazione Sezione Lavoro n. 18376 del 3 luglio 2008, Pres. Senese, Rel. Cuoco).
NFORTUNI SUL LAVORO
Cass. civ. Sez. lavoro, 03-07-2008, n. 18376
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso in riassunzione del 24 giugno 1998 T. B., esponendo che il 25 agosto 1992, nel prestare servizio come guardia giurata alle dipendenze dell'Istituto di vigilanza privata IL #################### S.a.s., a seguito della ferita riportata nel corso d'una rapina, era rimasto invalido al 100% e paraplegico, ed aggiungendo che il fatto era ascrivibile a colpa della Società per non averlo dotato di giubbotto antiproiettile, chiese che il Pretore di Napoli (sezione di Frattamaggiore) condannasse la Società al pagamento della somma di L 2.000.000.000 a titolo di risarcimento del danno biologico.
Chiamando in garanzia la ASSICURAZIONI GENERALI S.p.a., la Società contestò la propria responsabilità, sostenendo di aver dato il giubbotto al dipendente, che lo aveva restituito prima di recarsi in ferie, senza poi riprenderlo con la ripresa dell'attività lavorativa.
Il Tribunale respinse il ricorso. Con sentenza dell'11 marzo 2005 la Corte d'Appello di Napoli accolse l'impugnazione del T., riconoscendo la responsabilità della Società per aver contribuito alla determinazione dell'evento nella misura del 60%; confermò la reiezione della domanda di garanzia proposta dalla Società.
Afferma il giudicante che l'obbligo datorile ex art. 2087 cod. civ., che sussiste anche nell'ipotesi in cui il lavoratore rifiuti le misure antinfortunistiche, a maggior ragione sussiste nell'ipotesi in cui questi contribuisca con il proprio comportamento colposo alla determinazione dell'evento. Limite della responsabilità è solo il comportamento abnorme del lavoratore, in quanto idoneo ad escludere, in relazione al comportamento datorile, il rapporto di giuridica causalità.
Nel caso in esame, è stato accertato che il datore aveva dotato del giubbotto il lavoratore, e che questi, dopo averlo restituito per il periodo feriale, aveva ripreso il lavoro senza rilevare il giubbotto dalla Società.
In questo comportamento il giudicante riconosce un elemento di colpa;
non tuttavia i caratteri dell'abnormità. Deduce che la responsabilità del datore, pur ridotta per il contributo causale della colpa del dipendente, non è esclusa. E ne determina la ridotta misura nel 60%.
La prescrizione annuale ex art. 2952 cod. civ., che decorre dal giorno in cui il terzo ha chiesto all'assicurato il risarcimento, nel caso in esame, in assenza di eccezione di interruzione (che, non potendo essere rilevata d'ufficio, non può essere costituita dalla mera produzione di pur idonei documenti), aveva compiuto il suo corso. E pertanto la domanda di garanzia nei confronti della Società assicuratrice era infondata.
Per esigenza di completezza il giudicante aggiunge che, poichè il contratto di assicurazione prevedeva il risarcimento del danno (eccedente la liquidazione INAIL) nella specifica ipotesi in cui il datore sia civilmente responsabile per l'infortunio del dipendente "in conseguenza di reato colposo perseguibile d'ufficio e giudizialmente accertato, commesso dall'assicurato o da un suo dipendente e di cui debba rispondere ex art. 2049 cod. civ., e poichè nel caso in esame non era stato ipotizzato un reato colposo addebitabile al datore o al lavoratore od ai suoi colleghi, la copertura assicurativa era comunque insussistente.
Per la cassazione di questa sentenza l'Istituto di vigilanza privata IL #################### S.a.s. propone ricorso, articolato in 4 motivi e coltivato con memoria; ASSICURAZIONI GENERALI S.p.a. e T. B. resistono con distinti controricorsi.
Motivi della decisione
L Con il primo motivo, denunciando per l'art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2087 cod. civ. nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente sostiene che:
1.a. l'art. 2087 cod. civ. non delinea la responsabilità oggettiva del datore; attraverso l'art. 1218 cod. civ., "implica una collaborazione fra imprenditore e prestatore d'opera per il rispetto di tutte quelle disposizioni di legge ritenute idonee ad impedire il verificarsi di lesioni all'integrità fisica del lavoratore, sicchè anche il lavoratore è obbligato a rispettare la normativa antinfortunistica ed a comportarsi secondo normale prudenza, con la conseguenza che il giudice è tenuto ad accertare la condotta e l'osservanza o meno da parte dello stesso di dette regole al fine dell'identificazione del nesso di causalità relativamente all'evento dannoso";
1.b. nel caso in esame (come dagli atti processuali emerge), pur non essendo il giubbotto normativamente prescritto, da lungo tempo la Società ne aveva disposto l'uso, dotandone i lavoratori; ed il T. l'aveva sempre indossato;
1.c. poichè, per il mancato uso del giubbotto, il 24 agosto 1992 il lavoratore era stato redarguito ed aveva promesso di indossarlo, il datore di lavoro aveva l'aspettativa e la fondata convinzione che egli l'avrebbe indossato;
1.d. il comportamento del lavoratore era stato pertanto imprevedibile; essendovi stata "un'ipotesi di forza maggiore", la Società "s'era trovata nella più assoluta impossibilità di evitare l'evento";
1.e. il giudice non ha considerato che la violazione dell'obbligo di correttezza e buona fede (previsto dagli artt. 1175 e 1375 cod. civ.) rende impossibile (ex art. 1218 cod. civ.) l'adempimento dell'obbligazione;
1.f. il provvedimento disciplinare, astrattamente ipotizzabile per l'indisciplina, nel caso in esame non era attuabile nel breve tempo fra violazione ed evento.
2. Con il secondo motivo, denunciando per l'art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1175, 1375, e 2087 cod. civ., nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente sostiene che buona fede e correttezza esigono che il contraente cooperi a realizzare e preservare anche l'interesse della controparte; il lavoratore, impegnandosi ad indossare il giorno seguente il giubbotto, aveva deliberatamente assunto una condotta che aveva tratto in inganno il datore.
3. Questi motivi, che essendo interconnessi devono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
4. Su un piano generale è da osservare quanto segue.
4.a. Per quanto l'art. 2087 cod. civ. non configuri un'ipotesi di responsabilità oggettiva, il lavoratore che lamenti di aver subito a causa dell'attività lavorativa un danno alla salute, ha l'onere di provare l'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi (Cass. 20 giugno 2003 n. 9909).
4.b. Quando il lavoratore abbia provato tali circostanze, il datore di lavoro che intende negare la propria responsabilità ha l'onere di dimostrare di aver adottato le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (Cass. 3 agosto 2007 n. 17066; Cass. 19 luglio 2007 n. 16003; Cass. 20 giugno 2003 n. 9909).
E la prova ha per oggetto l'adozione delle misure dirette ad evitare l'evento verificatosi, che non si esauriscono tuttavia nell'osservanza di specifiche disposizioni di legge, in relazione al tipo specifico di attività imprenditoriale svolta (Cass. 19 luglio 2007 n. 16003): comprendono anche quelle (cd. innominate) che siano necessarie in base alla particolarità del lavoro, all'esperienza ed alla tecnica (art. 2087 cod. civ.).
4.c. L'adozione delle misure necessarie comprende non solo il fatto direttamente ed esclusivamente riferibile al datore (ad esempio, il munire l'azienda d'un particolare impianto), bensì, ove il concreto funzionamento delle misure esiga la collaborazione del dipendente, il controllare che da parte del lavoratore questa collaborazione vi sia (Cass. 17 febbraio 1998 n. 1687, Cass. 19 agosto 1996 n. 7636).
In tale ipotesi, poichè il controllo presuppone che il lavoratore sia adeguatamente informato e formato in ordine alla necessità della collaborazione e delle conseguenze derivanti dalla relativa omissione, adottare le misure necessarie è anche informare e formare adeguatamente il dipendente in relazione a questa necessità.
E quando il comportamento del dipendente è da attuarsi quotidianamente, è necessario che il datore esegua il relativo controllo con adeguata continuità.
E poichè accettare una prestazione dal lavoratore effettuata senza la sua collaborazione determinerebbe l'inefficienza delle misure necessarie, l'adempimento datorile esige il rifiuto della prestazione.
L'onere probatorio del datore si estende a questi aspetti dell'adempimento.
4.d. Il principio della correttezza e della buona fede contrattuale ex art. 1375 cod. civ., esige tuttavia che, quando per la tutela (dell'integrità fisica e della personalità morale) del prestatore è necessario anche un suo comportamento, questi, dando la propria collaborazione (diretta alla propria stessa tutela), effettui tale comportamento.
L'omissione della dovuta collaborazione da parte del prestatore costituisce pertanto violazione dell'obbligo di correttezza e buona fede (ex artt. 1175 e 1375 cod. civ.).
Poichè la collaborazione del lavoratore è diretta ad evitare l'evento, la violazione del predetto obbligo costituisce comportamento colpevole che concorre (potenzialmente) alla determinazione dell'evento stesso.
L'obbligo del dipendente a tale comportamento presuppone l'adempimento dell'obbligo datorile come precedentemente specificato (sub "4.c.").
L'indicata violazione da parte del dipendente esclude la responsabilità del datore solo ove sia stata (ex art. 41 cod. pen.) causa di per sè sola sufficiente a determinare l'evento. Ed è onere del datore dare di ciò la prova.
4.e. Dall'angolazione del comportamento del lavoratore, la responsabilità del datore è esclusa ove si provi che la condotta del lavoratore è indipendente dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro; ed in tal modo si provi l'estraneità del rischio affrontato dal lavoratore nei confronti di quello connesso alle esigenze ed alle modalità del lavoro da svolgere (Cass. 19 agosto 2004 n. 16253; per questo rapporto, ed in materia analoga, anche Cass. 18 gennaio 2008 n. 1068). L'indipendenza e l'estraneità si identificano nell'assenza di causale connessione fra comportamento del datore ed evento lesivo, e conducono (anche in applicazione dell'art. 41 cod. pen.) a considerare in tale ipotesi la condotta del lavoratore come causa di per sè sola sufficiente a determinare l'evento, e quindi a qualificarla (nei confronti dell'attività contrattualmente prevista) come abnorme.
Questa abnormità costituisce uno spazio che si colloca a confine dell'adempimento datorile; e consente di escludere che la relativa responsabilità abbia natura oggettiva.
L'esterna soggettiva imprevedibilità della condotta del lavoratore, anche se fa emergere la possibilità d'una sua colpa, non s'identifica con l'oggettiva abnormità della condotta stessa (la seconda riguarda il fatto oggettivo - condotta del lavoratore - in sè considerato; la prima riguarda l'ipotizzazione di questo fatto da parte del datore).
La valutazione dell'abnormità (anomalia) del comportamento è apprezzamento di fatto, che, funzione del giudice di merito, esente di errori logici o giuridici, in sede di legittimità è insindacabile.
4.f. Dall'oggettiva angolazione dell'evento (infortunio), è poi ipotizzabile che questo, nella datorile osservanza delle prescrizioni (come precedentemente definita) e nell'assenza d'un abnorme comportamento del lavoratore, sia determinato da causa estranea, di per sè sola sufficiente a determinarlo, e qualificabile (la stessa causa) come abnorme (caso fortuito: ove si collocano anche i fatti ricollegabili allo spazio dell'art. 2051 cod. civ.).
Il fortuito costituisce l'ulteriore spazio a confine dell'adempimento datorile.
4.g. La responsabilità del datore è pertanto esclusa dall'abnormità del comportamento del lavoratore o dalla fortuità dell'evento verificatosi.
La prova datorile dell'osservanza delle prescrizioni s'identifica pertanto con la (alternativa) prova dell'abnormità (del comportamento del lavoratore o dell'evento).
5. Nel caso in esame, poichè le misure normativamente obbligatorie sono anche quelle necessarie ex art. 2087 cod. civ. (come precedentemente affermato sub "4.b."), il fatto che l'adozione del giubbotto non fosse ancora prescritta da specifiche disposizioni non esclude la responsabilità della Società.
La necessità che il datore controlli l'effettiva collaborazione del dipendente nella particolare misura di sicurezza del giubbotto (sub "4.c"), esclude che, nel caso in esame, il mero affidamento del giubbotto al dipendente costituisse piena osservanza delle misure necessarie alla tutela del lavoratore.
Ciò è a dirsi anche per la necessità che il controllo sia effettuato con adeguata continuità. Questa necessità non consente di ritenere che l'accertamento effettuato il 24 agosto 1992 (il lavoratore non indossava il giubbotto, e fu invitato ad indossarlo) fosse sufficiente ad escludere la responsabilità aziendale per l'evento verificatosi il giorno successivo (l'accertata mancanza di collaborazione nell'adozione della misura di sicurezza costituiva nuova ragione per accertare a breve termine se la - promessa - collaborazione fosse stata poi effettivamente data). E l'osservazione del giudicante, per cui l'accertato inadempimento del dipendente intensificava la necessità d'un (pur contingente) controllo datorile, appare esente da errori logici e giuridici.
La censura precedentemente riportata sub "1.b.", "1.c." è pertanto infondata.
6. "L'impossibilità di evitare l'evento" (invocata dal ricorrente) presuppone, da un canto, che vi sia stata osservanza delle prescrizioni normative dirette ad evitarlo; e d'altro canto che l'omissione del lavoratore (quale violazione del dovere di correttezza e buona fede) costituisca di per sè sola causa sufficiente a determinare l'evento.
Nel caso in esame mancano entrambi i presupposti: la ritenuta inosservanza dell'obbligo datorile (quale controllo effettuato con adeguata continuità), e la sua concorrente causa dell'evento (che esclude la di per sè sola sufficiente causalità della violazione da parte del lavoratore).
Ciò conduce all'infondatezza della censura precedentemente riportata sub "1.d.". 7. La violazione dell'obbligo da parte del dipendente (per l'omessa collaborazione nell'applicazione della misura necessaria: il giubbotto), è stata valutata da parte del giudice di merito non come causa di per sè sola sufficiente a determinare l'evento, bensì come fatto determinante il ritenuto concorso di colpa.
Nè la ricorrente ha indicato (ed ancor meno provato, pur avendo il relativo onere probatorio: sub "4.b.", "4.d.") di aver adottato le misure (vigilanza, controllo) che l'accertato difetto di cooperazione del dipendente imponeva.
La censura precedentemente riportata sub "1.f." è pertanto infondata.
8. Poichè l'adozione di provvedimento disciplinare non è misura normativamente necessaria (nè da espressa disposizione nè per l'art. 2087 cod. civ.) nè comunque idonea a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, la censura sub "1.f." è inconferente.
9. Con il terzo motivo, denunciando per l'art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell'art. 2935 cod. civ., nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente sostiene che:
9.a. la decorrenza della prescrizione dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 cod. civ.) presuppone che il diritto da far valere sia completo in tutte le sue componenti, e che ne sia consentito il pieno esercizio;
9.b. nel caso in esame, la lettera del 22 gennaio 1993, in cui il lavoratore lamenta che la Società assicuratrice non abbia iniziato trattative per il risarcimento, non contiene un'effettiva richiesta di risarcimento (ai sensi dell'art. 2952 cod. civ.); nè al tempo le lesioni erano state accertate in modo definitivo.
10. Con il quarto motivo, denunciando per l'art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell'art. 2935 cod. civ. nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente sostiene che:
10.a. il contratto prevedeva l'obbligo della Società di pagare il risarcimento del danno patrimoniale eccedente la liquidazione INAIL, e dovuto "qualora risulti civilmente responsabile per l'infortunio subito dal dipendente in conseguenza del reato colposo perseguibile d'ufficio e giudizialmente accertato, commesso dall'assicurato stesso o da un suo dipendente di cui debba rispondere ex art. 2049 cod. civ.";
10.b. comune intenzione delle parti ("messa in luce dalla dizione riportata in più parti della polizza") era la stipulazione d'un contratto di assicurazione (con una polizza di cui all'art. 1917 cod. civ.), in modo che la società assicuratrice avrebbe dovuto tenere indenne l'assicurato da qualsiasi somma che avrebbe dovuto sborsare a titolo di risarcimento per essere civilmente responsabile ai sensi di legge: addossare all'assicuratore qualsiasi esborso dovuto per la responsabilità civile dall'assicurato;
10.c. la locuzione "in conseguenza di reato colposo perseguibile d'ufficio e giudizialmente accertato, essendo in contrasto con la predetta volontà contrattuale, era (per l'art. 1932 cod. civ.) da considerarsi nulla.
11. I motivi, che essendo interconnessi devono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
11.a. Il definitivo accertamento delle lesioni non è presupposto per il decorso del termine di prescrizione (ex art. 2952 cod. civ., comma 3) del diritto al risarcimento del danno subito a causa delle lesioni.
La richiesta di risarcimento del danno, anche se effettuata prima che si abbia certezza dell'entità delle lesioni e del conseguente danno, è idonea a costituire l'inizio del corso della predetta prescrizione.
Nè la Società indica la ragione per cui l'espressione recata dalla lettera e riportata in ricorso ("il signor T.B. mi incarica di richiedervi il ristoro del pregiudizio subito") non costituisca richiesta idonea ex art. 2952 cod. civ. alla predetta decorrenza.
11.b. Il giudicante, interpretando la clausola contrattuale (precedentemente riportata sub "10.a.") afferma che, essendo assolutamente esclusi dal novero dei responsabili per effetto di reato colposo giudizialmente accertato, sia lo stesso ricorrente che eventuali suoi colleghi nonchè il datore di lavoro, in quanto l'infortunio è conseguenza di tentato omicidio commesso da un terzo, "appare evidente che non ricorra alcuno dei presupposti previsti".
Anche se l'esame del complesso dell'atto (art. 1363 cod. civ.) è necessario e non subordinato criterio d'interpretazione (Cass. 14 ottobre 2002 n. 14593; Cass. 6 febbraio 2008 n. 2781), è pur necessario che chi tale criterio invoca dia autosufficienti elementi (per l'autosufficienza: Cass. 11 ottobre 1995 n. 10611; Cass. 24 febbraio 2000 n. 2112) per la relativa applicazione.
Nel caso in esame, la ricorrente non indica alcun elemento che consenta di individuare l'assunta "dizione riportata in più parti della polizza" ed attraverso la stessa dedurre la "comune intenzione". 12. Il ricorso deve essere respinto, ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate per ciascun dei resistenti in Euro 10,00 oltre ad Euro 2.000,00 per onorario ed oltre alle spese generali e ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Roma il 7 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2008

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