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mercoledì 27 marzo 2013

Assenza non giustificata dall'ufficio - sentenza Corte dei Conti n. 313/2005




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Corte dei conti

Sezione giurisdizionale dell'Umbria

Sentenza 23 agosto 2005, n. 313

 FATTO

Con Atto di Citazione n. G2005/02 del 7 febbraio 2005 (ritualmente notificato all'interessata) il Procuratore Regionale dell'Umbria della Corte dei Conti - previo Invito a dedurre del 16 novembre 2004, ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 19/1994 - ha citato in giudizio davanti alla Sezione Giurisdizionale Regionale dell'Umbria della Corte dei Conti la Sig.ra (omissis) (nella qualità di dipendente del Comune di Gubbio) per sentirla condannare al pagamento in favore dell'Erario della somma complessiva di Euro 10.982,38, oltre alla rivalutazione monetaria, agli interessi legali ed alle spese di giudizio, ritenendola responsabile del corrispondente danno erariale subito dal citato Comune.

Con Provvedimento del 21 febbraio 2005 (anch'esso ritualmente notificato all'interessata) il Presidente della predetta Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria della Corte dei Conti ha fissato al giorno 7 giugno 2005 l'Udienza per la discussione del giudizio in questione, assegnando a tutto il giorno 18 maggio 2005 il termine utile alle parti per il deposito di atti e documenti in Segreteria.

Entro la predetta data del 18 maggio 2005 è stata depositata in Segreteria Memoria difensiva e di costituzione in giudizio prodotta dagli Avv.ti Massimo Perari ed Alessio Pottini del Foro di Perugia, per conto della convenuta.

Nell'Atto di Citazione il Procuratore Regionale ha rappresentato di aver ricevuto notizia dal Comune di Gubbio (che ha trasmesso al riguardo la Delibera di Giunta n. 348 del 10 luglio 2003) che l'impiegata, Sig.ra (omissis), durante l'orario di servizio sarebbe stata trovata più volte assente dal suo ufficio senza autorizzazione, senza timbratura del cartellino e senza alcuna giustificazione.

L'Atto di Citazione ha riferito che la Procura Regionale ha incaricato di indagini il Corpo dei Vigili Urbani di Gubbio, che ha riferito con apposito Rapporto del 4 novembre 2004, dal quale si evince:

- che il dirigente competente per settore ed il Segretario Comunale - dopo aver notato alcune assenze ingiustificate della Sig.ra P. - in data 24 aprile 2003 hanno sottoposto la predetta dipendente a formale controllo, riscontrando l'assenza di 1,05 ore senza il prescritto permesso e senza la timbratura del cartellino;

- che la Sig.ra P., invitata a fornire spiegazioni, con nota del 30 aprile 2004 ha dichiarato che "parte del tempo della predetta assenza ingiustificata (quantificata presuntivamente dal Dirigente in almeno 45 minuti) è stato dedicato alla colazione al di fuori dell'edificio comunale" (in particolare, l'interessata ha precisato, al riguardo, che "non è mai accaduto che la sottoscritta si assentasse più volte dal posto di lavoro per motivi personali senza la necessaria autorizzazione, tranne che sporadicamente e per brevissimi periodi di tempo per la colazione di metà mattina, consuetudine radicata indistintamente in tutto il personale dipendente");

- che "le ripetute assenze dal servizio della Sig.ra P. sono state confermate da vari dipendenti comunali, come risulta dal Verbale redatto il 23 giugno 2003 dal Segretario Comunale e dall'Avvocato Comunale (inoltre, la Conferenza dei Dirigenti con Verbale del 10 giugno 2003 ha affermato che non rispondono a verità le assenze generalizzate di cui alle dichiarazioni della Sig.ra P.);

- che "dall'esame dei prospetti riepilogativi delle timbrature della Sig.ra P. ... non risultano, nei mesi precedenti al fatto contestato, timbrature per uscite dal servizio di metà mattina, a presumibile motivo di colazione";

- che il danno patrimoniale derivante dalle indicate assenze non giustificate potrebbe essere quantificato - tenuto conto della "periodicità quotidiana con la quale di solito viene consumata la colazione" e che "per la Sig.ra P. è consuetudine assentarsi dal servizio in maniera non conforme alla normativa vigente per 45 minuti al giorno" - in Euro 4.982,38, calcolando "un'assenza di 45 minuti giornalieri a partire da 5 anni antecedenti alla data del fatto accertato, tenuto, a tal proposito, conto del termine quinquennale di prescrizione";

- che "per quanto concerne il presunto danno all'immagine dell'Amministrazione Comunale" occorre tenere presente, ai fini della sua quantificazione, che in due quotidiani (la Nazione del giorno 8 giugno 2003 ed il Corriere dell'Umbria del 10 giugno 2003) è stata riportata la notizia (senza, peraltro, far riferimento alcuno alla fonte da cui promana la detta informazione) che "all'interno del Comune di Gubbio si sarebbe verificato un caso di mobbing (anzi, uno dei due quotidiani parla addirittura di due casi)" ed "in essi non si fa riferimento al nome della Sig.ra P.".

A seguito delle menzionate indagini la Procura Regionale con Invito a fornire deduzioni del 16 novembre 2004 ha contestato alla Sig.ra P.: a) il danno patrimoniale in senso stretto, per Euro 4.982,38; b) ed il danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio, per Euro 6.000,00.

Con Note controdeduttive depositate il 14 gennaio 2005 la Sig.ra P. ha ritenuto non fondata l'accusa per entrambi i danni contestati, osservando, in particolare, di non aver mancato di denunciare al nuovo Dirigente, Dott. S., l'eccessivo carico di lavoro al quale è stata sottoposta a seguito della nuova riorganizzazione dell'intero settore e della conseguente redistribuzione delle mansioni tra i dipendenti, facendo presente di aver sempre riscosso stima da parte dei colleghi e dei superiori per le "sue riconosciute doti di professionalità, serietà ed attaccamento al lavoro".

Dopo aver segnalato che da quando aveva osato lamentare l'eccessivo carico di lavoro i rapporti con il proprio Dirigente si erano deteriorati, la Sig.ra P. ha fatto presente che con Determinazione del 12 maggio 2003 è stata assegnata temporaneamente all'Ufficio Archivio e Protocollo, "con notevole demansionamento", e, poi, dal 4 novembre 2003, all'Ufficio di Segreteria Generale, mettendo anche in evidenza che la gravosità del lavoro ed "il crescendo di pressioni esercitate dal superiore avevano generato uno stato di malessere caratterizzato da varia sintomatologia ansiosa depressiva", diagnosticata dalla Struttura Psicologica Clinica e Psicoterapica dell'A.S.L. n. 2 dell'Umbria, "Reazione mista ansioso depressiva di media gravità con diagnosi di verosimile dipendenza causale dei disturbi dagli eventi stressanti occorsi sul posto di lavoro".

La Sig.ra P. ha, inoltre, rappresentato di essersi assentata solo sporadicamente dal servizio per semplici coffee break, "la cui durata non ha mai superato i 15 o 20 minuti", consumati insieme a colleghi, dirigenti ed amministratori, e che "la pausa cappuccino di mezza mattinata rappresenta, tra gli impiegati pubblici, abitudine talmente sedimentata da dirsi ormai quasi una sorta di istituzione", contro la quale "ora o in passato alcun dirigente del Comune di Gubbio ha mai puntato il dito", tranne che nei suoi confronti in contrasto con i principi di imparzialità e di pari trattamento, per aver osato criticare l'operato di un superiore, dal quale è stata poi perseguitata per mesi, "ora con richiami pedanteschi, ora con trasferimenti punitivi, ora con atteggiamenti non collaborativi".

Non condividendo tali controdeduzioni e ritenendo non pertinenti "le affermazioni della convenuta in ordine alla gravosità del carico di lavoro ed alla mancanza di personale di supporto al proprio Ufficio", il Procuratore Regionale ha convenuto in giudizio la Sig.ra (omissis) (nella indica qualità), chiamandola a rispondere del predetto complessivo danno di Euro 10.982,38 subito dal Comune di Gubbio.

L'Atto di Citazione ha affermato che "non vi possono essere dubbi in ordine alla fattispecie di danno ed alla condotta illecita posta in essere dalla dipendente P., che, tra l'altro, ha ammesso di essersi assentata dal servizio sia nelle giustificazioni prodotte all'Amministrazione e sia nelle deduzioni fornite all'indicato Invito a dedurre, ed "ha solo giustificato ... (il proprio) comportamento con la considerazione che tali assenze erano usuali in tutto il personale comunale" e che "tale consuetudine è radicata indistintamente in tutto il personale dipendente".

Dopo aver osservato che tali giustificazioni "potrebbero solo estendere le fattispecie di danno anche nei confronti di altri dipendenti, ma certamente non potrebbero costituire una esimente per la condotta illecita posta in essere", e che "l'Amministrazione Comunale ha sconfessato che sussiste una situazione di assenteismo generalizzato del tipo descritto dalla convenuta", la Procura Regionale ha messo in evidenza che, "mentre risultano le assenze della Sig.ra P., non risultano, per converso, le timbrature del cartellino della stessa nell'apposita apparecchiatura sia per il giorno del controllo (24 aprile 2003) e sia per tutto il periodo precedente".

L'Atto di Citazione ha condiviso la quantificazione in Euro 4.982,38 di tale danno operata nel citato Rapporto redatto dal Corpo dei Vigili Urbani di Gubbio ("un'assenza di 45 minuti giornalieri a partire da 5 anni antecedenti alla data del fatto accertato, tenuto, a tal proposito, conto del termine quinquennale di prescrizione").

L'Atto di Citazione ha rappresentato, inoltre, che nel caso di specie sussiste anche il "danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio".

Al riguardo, la Procura Regionale ha richiamato giurisprudenza della Corte dei Conti e - precisato, in particolare, che "il danno all'immagine non è connesso all'accertamento di un reato" - ha fatto presente che "dal tenore degli articoli (della stampa) risulta evidente un discredito per l'Ente Locale", che deriva "dalla condotta illecita della convenuta, la quale ... si è assentata arbitrariamente dall'Ufficio, coinvolgendo nella vicenda anche il restante personale del Comune, che - come si evince dagli accertamenti effettuati dall'Ente Locale - sono risultati completamente estranei alla vicenda".

La Procura Regionale ha quantificato tale danno in via equitativa ex art. 1226 c.c. in Euro 6.000,00, rimettendosi alle valutazioni del Collegio, "qualora la sua quantificazione fosse ritenuta inesatta".

A seguito del riportato Atto di Citazione la Sig.ra (omissis) si è costituita in giudizio con Comparsa dell'Avv. Massimo Perari e dell'Avv. Alessio Pottini depositata in data 18 maggio 2005, contestando la domanda attrice perché infondata.

La difesa - dopo aver ripercorso la vicenda in causa e riportate (ribadendole) le argomentazioni già esposte con le riferite note controdeduttive all'invito a dedurre - ha messo, innanzitutto, in rilievo la "insufficienza del quadro probatorio" posto a base dell'Atto di Citazione, osservando al riguardo che "l'aver attribuito alla Sig.ra P. assenze abituali dal lavoro che si sarebbero protratte oltre il tempo minimo necessario per consumare lo snack è assunto privo di valido e sufficiente supporto probatorio ed è frutto di una grossolana ed evidente distorsione dei fatti", atteso che: a) il rapporto dei Vigili Urbani del 4 novembre 2004 "si è limitato a prendere atto degli stessi documenti e delle stesse dichiarazioni allegate all'esposto del luglio 2003", con l'"unica novità" costituita dalla "tabella riepilogativa delle ore sottratte al lavoro" in base ad un "calcolo presuntivo opinabile"; b) "l'unico soggetto che risulti aver riferito di assenze frequenti e prolungate è proprio quel dirigente (Dott. S.) che non si era preoccupato di nascondere alla convenuta la propria personale ostilità" con "rimproveri sistematici e pedanteschi... anche per iscritto" e con una "azione repressiva ... in contrasto con i principi di imparzialità e di pari trattamento dell'agire della P.A.", perché "se un comportamento non è consentito, allora deve essere vietato a tutti e non solo ad alcuni"; c) le "conferme giunte dai dipendenti C., F. e L." provengono da "persone che, in quanto soggette all'autorità del Dott. S., possono averne subito un comprensibile e determinante condizionamento psicologico"; d) "non ha pregio il tentativo di controparte di assegnare alle dichiarazioni scritte della convenuta senso e dimensioni eccedenti il loro contenuto", tenuto conto che nella nota della predetta convenuta "si parla di uscite sporadiche e brevissime".

La difesa ha, inoltre, sottolineato la "irrilevanza dei fatti addebitati", ed ha richiamato in merito giurisprudenza amministrativa, osservando che la Sig.ra P. "non era affatto solita andare a consumare il cappuccino fuori dal Palazzo durante l'orario di servizio" se non sporadicamente "per un avvertito bisogno di un recupero psicofisico", dovendo "smaltire da sola il lavoro di 3 impiegati" a seguito della ristrutturazione dell'Ufficio, "a tutto vantaggio della sua produttività", senza mai superare i 10-15 minuti, come è avvenuto la mattina del 24 aprile 2003. A giudizio della difesa "consumare il cappuccino a metà mattinata fuori del Palazzo costituisce comunque abitudine molto diffusa tra i dipendenti e normalmente tollerata dai superiori", tant'è che "al bar ritrovava colleghi, dirigenti ed amministratori del Comune" e "sovente consiglieri ed assessori offrivano la colazione agli impiegati".

La difesa della convenuta ha, poi, ritenuto "insussistente il danno erariale contestato".

Per quanto attiene al "danno da assenze ingiustificate", a giudizio della difesa il comportamento della Sig.ra P. è "privo di rilevanza e di concreto disvalore", nella considerazione che "le pause caffè, oltre a conformarsi ad un costume ormai comunemente accettato, per il loro carattere breve e sporadico appaiono sfornite di qualsiasi lesività", dovendo comunque tenere conto che "ogni possibile pregiudizio deve intendersi compensato dal vantaggio tratto dall'Amministrazione ogni volta che la (citata) Sig.ra P. ha svolto turni di straordinario senza pretendere la pur prevista maggiorazione".

La difesa ha, peraltro, sostenuto che il contestato danno, anche ove ne venisse accertata l'esistenza, per il "metodo di calcolo adottato" ("assenza dall'ufficio tutte le mattine per 45 minuti..., andando a ritroso - per 5 anni - entro il limite della prescrizione quinquennale") risulta "vistosamente esagerato e privo di riscontri", dovendosi, invece, "assumere come base la retribuzione corrispondente a segmenti temporali non più lunghi di 15 minuti e moltiplicarla per 20-30 (tale essendo il numero delle volte in cui la convenuta è presumibilmente uscita a prendere il caffè)", ovvero provvedere - più opportunamente - ad una "liquidazione di tipo equitativo, che tenga conto di tutti gli aspetti (scarsa importanza dei fatti, particolari condizioni di stress..., ampia diffusione di comportamenti analoghi da parte dei colleghi e degli impiegati pubblici in genere)".

Per quanto attiene al "danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio", a giudizio della difesa, tale addebito non è fondato: a) perché in base alla giurisprudenza in materia per configurare il danno in questione occorre che "al dipendente sia stato attribuito dalla stampa un reato già accertato con Sentenza o, quanto meno, oggetto di processo penale"; e nel caso specifico ciò non è riscontrabile; b) perché in base alla giurisprudenza in materia "non è sufficiente, sulla base di un ritenuto astratto automatismo, il mero riferimento al discredito per l'Ente di appartenenza, occorrendo dare la prova della sussistenza di un pregiudizio specifico e concretamente valutabile e risarcibile"; e nel caso specifico "nessun elemento fattuale pare deporre a favore dell'effettivo patimento di un pregiudizio patrimoniale riconducibile alla diffusione di notizie sui fatti de quibus"; c) perché i due articoli di stampa posti a base del contestato danno "non vertono affatto sui fatti di cui è causa" e non fanno alcun riferimento ai caffè consumati nelle ore di servizio, né alcun cenno alla convenuta, atteso che il primo articolo si occupa del trasferimento di un dipendente da un ufficio all'altro del Comune di Gubbio, che avrebbe procurato un notevole stress al soggetto interessato (non indicato), e che il secondo articolo si occupa di due impiegati (anche essi non indicati), che avrebbero meditato di far causa per mobbing al Comune di Gubbio.

In conclusione, i difensori della convenuta hanno chiesto: a) in via principale, di dichiarare la infondatezza degli addebiti e di rigettare la domanda attrice; b) in via subordinata, di ridurre l'importo del risarcimento richiesto, tenuto conto che il danno all'immagine non è configurabile e che quello da assenze ingiustificate andrebbe liquidato secondo uno dei criteri in precedenza indicati.

Alla discussione avvenuta alla odierna Udienza pubblica del 7 giugno 2005, il P.M. ed il difensore della Sig.ra P. hanno illustrato le rispettive posizioni ed, argomentando ulteriormente, hanno concluso in conformità agli scritti.

La causa è, quindi, passata in decisione.

DIRITTO

I - PREMESSA

La pretesa attrice di cui all'Atto di Citazione in giudizio n. G2005/02 del 7 febbraio 2005 del Procuratore Regionale dell'Umbria della Corte dei Conti nei confronti della Sig.ra (omissis) (nella qualità di dipendente del Comune di Gubbio) ha alla base - come è stato specificatamente riportato in FATTO - la valutazione del danno erariale di complessivi Euro 10.982,38 (diecimilanovecentoottantadue/38), oltre alla rivalutazione monetaria, agli interessi legali ed alle spese di giudizio, subito dal citato Comune.

La vicenda in causa riguarda le irregolarità e la condotta illecita che - a giudizio della Procura Regionale - sarebbe stata posta in essere dalla convenuta, che sarebbe stata trovata più volte (ed, in particolare, in data 24 aprile 2003) assente dal suo ufficio durante l'orario di servizio, senza autorizzazione, senza timbratura del cartellino magnetico e senza alcuna giustificazione, per essersi recata a fare colazione al di fuori dell'edificio comunale.

L'Atto di Citazione ha rappresentato, in particolare, che la stessa convenuta "ha ammesso di essersi assentata dal servizio sia nelle giustificazioni prodotte all'Amministrazione e sia nelle deduzioni" fornite all'Invito a dedurre, giustificando il proprio comportamento soltanto "con la considerazione che tali assenze erano usuali in tutto il personale comunale" e che "tale consuetudine è radicata indistintamente in tutto il personale dipendente".

Precisato che "l'Amministrazione Comunale ha sconfessato che sussiste una situazione di assenteismo generalizzato", l'Atto di Citazione ha condiviso la quantificazione in Euro 4.982,38 di tale danno operata dal Corpo dei Vigili Urbani di Gubbio (interessato dalla Procura Regionale) con apposito Rapporto del 4 novembre 2004 ("un'assenza di 45 minuti giornalieri a partire da 5 anni antecedenti alla data del fatto accertato - 24 aprile 2003 -, tenuto, a tal proposito, conto del termine quinquennale di prescrizione").

Oltre all'indicato danno patrimoniale in senso stretto, la Procura Regionale ha rinvenuto anche il "danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio" (quantificato, in via equitativa, in Euro 6.000,00), derivante "dalla condotta illecita della convenuta, la quale... si è assentata arbitrariamente dall'Ufficio, coinvolgendo nella vicenda anche il restante personale del Comune, che - come si evince dagli accertamenti effettuati dall'Ente Locale - sono risultati completamente estranei alla vicenda".

L'Avv. Massimo Perari e l'Avv. Alessio Pottini, per la convenuta, hanno contestato - come specificatamente riportato in FATTO - le deduzioni e le richieste formulate con il riferito Atto di Citazione, eccependo:

a) la "insufficienza del quadro probatorio" posto a base della domanda attrice, osservando, in particolare che "l'aver attribuito alla Sig.ra P. assenze abituali dal lavoro che si sarebbero protratte oltre il tempo minimo necessario per consumare lo snack è assunto privo di valido e sufficiente supporto probatorio ed è frutto di una grossolana ed evidente distorsione dei fatti";

b) la "irrilevanza dei fatti addebitati", osservando, in particolare, che la Sig.ra P. solo sporadicamente, e per non più di 15 minuti, si recava a consumare il cappuccino fuori del Palazzo durante l'orario di servizio (avendo bisogno di un "recupero psicofisico"), e che l'abitudine di consumare il cappuccino a metà mattinata è "molto diffusa tra i dipendenti" ed è "normalmente tollerata dai superiori", tranne che nei suoi confronti, oggetto di un'azione repressiva e di "rimproveri sistematici e pedanteschi..., anche per iscritto" da parte del Capo Ufficio;

c) la "insussistenza del danno da assenze ingiustificate e, comunque, la sua erronea quantificazione", osservando, in particolare, che "ogni possibile pregiudizio deve intendersi compensato dal vantaggio tratto dall'Amministrazione ogni volta che la Sig.ra P. ha svolto turni di straordinario senza pretendere la pur prevista maggiorazione" e che, in ogni caso, "il metodo di calcolo adottato" (prima indicato) risulta "vistosamente esagerato e privo di riscontri", dovendosi, invece, "assumere come base la retribuzione corrispondente a segmenti temporali non più lunghi di 15 minuti e moltiplicarla per 20-30" assenze, ovvero provvedere - più opportunamente - ad una "liquidazione di tipo equitativa", che tenga conto della scarsa importanza dei fatti, delle particolari condizioni di stress dell'interessata, e dell'ampia diffusione di comportamenti analoghi da parte dei colleghi e degli impiegati pubblici in genere;

d) la "insussistenza del danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio", osservando, in particolare, che nel caso di specie non è rinvenibile alcun reato da parte della Sig.ra P. accertato con Sentenza o oggetto di processo penale e che, comunque, non è stata data alcuna prova di un pregiudizio specifico e concreto subito dal Comune, tenuto conto, peraltro, che i due articoli di stampa posti a base del contestato danno "non vertono affatto sui fatti di cui è causa e non fanno alcun riferimento ai caffè consumati nelle ore di servizio, né alcun cenno alla convenuta (il primo articolo si occupa di un trasferimento di ufficio, causa di stress al soggetto interessato , non indicato; il secondo articolo si occupa di un caso di mobbing nei confronti di due impiegati del Comune di Gubbio, anche essi non indicati).

In conclusione, i difensori della convenuta hanno chiesto:

- in via principale, di dichiarare la infondatezza degli addebiti e di rigettare la domanda attrice;

- in via subordinata, di ridurre l'importo del risarcimento richiesto, tenuto conto che il danno all'immagine non è configurabile e che quello da assenze ingiustificate andrebbe liquidato secondo uno dei criteri in precedenza indicati.

II - MERITO

Richiamato quanto sopra, passando al merito della causa, sulla base delle contestazioni mosse il Collegio è tenuto, nella fattispecie concreta del presente giudizio, a verificare la reale sussistenza del danno erariale contestato, e la sua quantificazione, e ad accertare la sussistenza, in capo alla convenuta, della responsabilità amministrativa contabile in presenza del nesso di causalità della condotta illecita commissiva od omissiva tenuta dalla stessa ed in presenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, come richiesto dalla vigente normativa in materia, recata, da ultima, dall'art. 58 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (ora art. 93 del T.U. n. 267 del 18 luglio 2000); dall'art. 2 della legge 8 ottobre 1984, n. 658; dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19; dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20; e dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639.

Come si è anticipato, il Procuratore Regionale ha contestato alla Sig.ra P.: a) il danno patrimoniale in senso stretto, per Euro 4.982,38; b) ed il danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio, per Euro 6.000,00.

IIa - DANNO PATRIMONIALE IN SENSO STRETTO

Il Procuratore Regionale ha sostenuto, sostanzialmente, che l'impiegata, Sig.ra (omissis), durante l'orario di servizio sarebbe stata trovata più volte (ed, in particolare, in data 24 aprile 2003) assente dal suo ufficio, senza autorizzazione, senza timbratura del cartellino magnetico e senza alcuna giustificazione, per essersi recata a fare colazione al di fuori dell'edificio comunale.

Le ingiustificate assenze dal servizio costituirebbero - a giudizio dell'attore - il fatto colposo, da cui sarebbe scaturito il danno erariale in senso stretto per indebita percezione di emolumenti non dovuti in relazione ai periodi di assenze ingiustificate dal servizio.

In ordine alla vicenda in causa il primo e più importante aspetto da considerare è quello relativo alla determinazione dell'orario di servizio e dell'orario di lavoro (o del tempo di lavoro) che il dipendente pubblico è tenuto a rendere all'Amministrazione di appartenenza, e le modalità del relativo controllo, per la fondamentale ragione che l'orario ed il tempo di lavoro servono, da un lato, per definire la misura della prestazione dovuta dal dipendente pubblico, e, dall'altro lato, per commisurare la retribuzione ad esso spettante in relazione all'orario ed al tempo di lavoro prestato, costituendo tali elementi il sinallagma contrattuale prestazione/retribuzione, che caratterizza il rapporto di lavoro.

Con la contrattualizzazione a regime di diritto privato del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti (c.d. "privatizzazione") la materia dell'orario di servizio e dell'orario di lavoro è stata disciplinata dall'art. 60 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, che ha anche risolto una serie di incertezze normative e giurisprudenziali riscontrate da tempo in tale materia.

Questa norma è stata, poi, abrogata dall'art. 22 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, che ha nuovamente disciplinato la materia (rimasta affidata alla contrattazione collettiva), fissando regole e criteri per l'articolazione dell'orario di servizio nelle Amministrazioni Pubbliche, per la determinazione dell'orario mensile e settimanale di lavoro ordinario da rendere nell'ambito dell'orario di servizio e dell'orario d'obbligo contrattuale, introducendo e definendo i concetti dell'orario di servizio, dell'orario di apertura al pubblico e dell'orario di lavoro (e relative articolazioni) dei dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche, e precisando anche i conseguenti controlli da operare (il comma 3 di tale norma ha stabilito, a tale ultimo riguardo, che "l'orario di lavoro, comunque articolato, è accertato mediante forme di controllo obiettivo e di tipo automatizzato").

A seguito delle riferite disposizioni legislative, la disciplina dell'orario di servizio e dell'orario di lavoro nelle Amministrazioni Pubbliche, e dei relativi criteri organizzativi, è stata illustrata dalla Presidenza del Consiglio/Dipartimento della Funzione Pubblica con le Direttive/Circolari n. 8/93 del 9 marzo 1993 (G.U. n. 60 del 13 marzo 1993), n. 3/94 del 16 febbraio 1994 (G.U. n. 43 del 22 febbraio 1994), n. 7/95 del 24 febbraio 1995 (Suppl. Ord. n. 36 alla G.U. n. 73 del 28 marzo 1995) e n. 21/95 dell'8 novembre 1995 (G.U. n. 270 del 18 novembre 1995), sottolineando più volte - per quello che interessa in questa sede - che l'osservanza dell'orario di lavoro costituisce un obbligo del dipendente pubblico, anche del personale con qualifica dirigenziale, quale elemento essenziale della prestazione retribuita dalla Amministrazione Pubblica" e che "l'orario di lavoro, comunque articolato, deve essere documentato ed accertato mediante controlli di tipo automatici ed obiettivi, come disposto dalle vigenti normative in materia".

A quest'ultimo riguardo le predette Direttive/Circolari hanno precisato che "i sistemi automatizzati di rilevazione dell'orario di lavoro dovranno... essere utilizzati per determinare direttamente la retribuzione principale e quella accessoria, da corrispondere a ciascun dipendente", per cui "ciò comporta che ad ogni eventuale assenza, totale o parziale dal posto di lavoro (che non sia giustificata dalla vigente normativa in materia) consegue - oltre alla proporzionale automatica riduzione della retribuzione - anche l'attivazione, da parte dei Dirigenti responsabili, delle procedure disciplinari previste dalla normativa vigente".

In proposito, - sottolineato che anche "i permessi brevi fruiti dai dipendenti pubblici per esigenze personali" (tra i quali rientrano certamente anche le consumazioni al bar fuori dell'edificio presso il quale i dipendenti pubblici sono in servizio) devono essere autorizzati e recuperati successivamente secondo modalità definite dal Dirigente, e sottolineato che, ai sensi delle Direttive/Circolari più volte citate, "i Dirigenti sono responsabili dell'osservanza dell'orario di lavoro da parte del personale dipendente" - va, infine messo in evidenza che - ai sensi delle medesime Direttive/Circolari - "eventuali violazioni dei dirigenti responsabili e del personale dipendente, conseguenti a dolo o colpa grave, che comportano una mancata prestazione, con relativo danno erariale, concretano una violazione penale, oltre che responsabilità disciplinare e contabile".

In materia di orario di lavoro, - dopo varie ed ulteriori disposizioni intervenute in sede di contrattazione collettiva - recentemente è stata emanata la Direttiva/Circolare n. 8/2005 del 3 marzo 2005 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (redatta d'intesa con il Dipartimento della Funzione Pubblica "per le parti riguardanti anche il personale dipendente dalle Pubbliche Amministrazioni"), con la quale è stato illustrato il d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, integrato e modificato dal d.lgs. 19 luglio 2004, n. 213, adottati ai fini del recepimento pieno anche nel nostro Ordinamento della Direttiva dell'Unione Europea n. 93/104/CE del 23 novembre 1993, e successive modificazioni ed integrazioni, con l'obiettivo di dare un assetto organico alla disciplina del tempo di lavoro e dei riposi, "garantendo un ampio spazio di intervento all'autonomia collettiva per ciò che riguarda la modulazione dei tempi di lavoro (orario normale multiperiodale, gestione degli straordinari, limiti di orario massimo, ecc.) in rapporto alle esigenze produttive ed organizzative".

Richiamato quanto sopra, si mette in rilievo che in presenza di accertata dolosa o colposa inadempienza nella dovuta prestazione lavorativa da parte dei pubblici dipendenti, è pacifica e consolidata la giurisprudenza della Corte dei Conti nel riconoscere la responsabilità amministrativa contabile dei predetti dipendenti pubblici, ritenendo che il danno è, in questi casi, quanto meno pari alla spesa sostenuta dall'Amministrazione Pubblica datrice di lavoro per la retribuzione complessivamente erogata a favore dei dipendenti pubblici in questione nel periodo in cui essi non hanno reso la dovuta prestazione lavorativa, fatti salvi comunque gli ulteriori danni che possono essere stati causati a motivo della assenza arbitraria nella gestione dei servizi ai quali i predetti dipendenti pubblici erano addetti o preposti (cfr., fra le tante, Sez. Giurisd. Reg. Molise, Sent. n. 226 del 22 novembre 1996; Sez. Giurisd. Reg. Toscana, Sent. n. 275 del 20 maggio 1996; Sez. Giurisd. Reg. Veneto, Sent. n. 238 del 29 novembre 2000; Sez. Giurisd. Reg. Marche, Sent. n. 807 del 28 ottobre 2003; Sez. Giurisd. Reg. Sicilia, Sent. n. 2375 del 23 agosto 2004; Sez. Giurisd. Reg. Liguria, Sent. n. 704 del 19 maggio 2005; e di questa Sezione Giurisdizionale Regionale dell'Umbria, tra le varie, Sent. n. 50/E.L./96 del 17 gennaio 1996; Sent. n. 152/R/96 dell'11 marzo 1996; Sent. n. 290/E.L./97 del 21 luglio 1997; Sent. n. 831/R/98 del 2 ottobre 1998; Sent. n. 52/R/99 dell'8 febbraio 1999; Sent. n. 379/E.L./99 dell'1 luglio 1999; Sent. n. 424/R/2000 del 31 luglio 2000; Sent. n. 2/E.L./2004 del 9 gennaio 2004, ecc.).

Facendo applicazione al caso di specie del richiamato e condiviso indirizzo giurisprudenziale, si deve convenire con la Procura Regionale sulla irregolare ed eticamente riprovevole condotta tenuta, nella circostanza, dalla Sig.ra P., la quale - quantomeno il 24 aprile 2003 (data del controllo formale) - si è assentata dal suo ufficio durante l'orario di servizio, senza autorizzazione, senza timbratura del cartellino magnetico e senza alcuna giustificazione, per essersi recata a fare colazione al bar al di fuori dell'edificio comunale.

In sostanza, nella fattispecie che ci occupa, la convenuta è venuta meno, con colpa grave, ai suoi precisi obblighi di servizio, allorché - senza la prescritta autorizzazione, senza timbratura del cartellino magnetico e senza alcuna giustificazione - si è assentata dal suo ufficio per i motivi innanzi detti, sottraendo un certo periodo di tempo all'orario di lavoro ed al tempo di lavoro contrattualmente definito.

Nella vicenda in esame il danno patrimoniale sussiste ed è chiaramente da imputare alla violazione del sinallagma prestazione/retribuzione contrattualmente definito, non essendo stato recuperato da parte della convenuta il tempo di lavoro arbitrariamente e colposamente sottratto all'Amministrazione Pubblica datore di lavoro, pur in presenza di regolare percezione della intera retribuzione.

Né, al riguardo, si rende possibile accedere alle argomentazioni della difesa della convenuta in ordine ad una eventuale compensazione del tempo di lavoro sottratto, di cui si discute, con ore di lavoro straordinario prestate e non retribuite, sia perché non si rinviene in proposito alcuna possibilità giuridica di pervenire a tale compensazione, (essendo stata del tutto arbitrario e non autorizzato l'allontanamento della dipendente pubblica dal posto di lavoro), e sia perché le ore di lavoro straordinario alle quali si fa cenno sono del tutto ipotetiche e non precisate, e senza alcuna traccia negli atti del fascicolo processuale.

Né può essere condivisa anche l'altra argomentazione della difesa della convenuta circa l'abitudine diffusa dei pubblici dipendenti del c.d. "cappuccino" di metà mattinata, normalmente tollerata e, perciò, non antigiuridica e non lesiva, considerato che il limitato periodo di tempo in questione è chiaramente usufruibile con l'utilizzo dei c.d. "permessi brevi" da recuperare successivamente con le modalità disposte dal Dirigente.

Il Collegio deve, peraltro, osservare che nel caso di specie la Procura Regionale non ha fornito una esatta e corretta quantificazione dell'ipotizzato danno patrimoniale in senso stretto, in ordine al quale deve dirsi che è certamente provato il fenomeno, ma non la durata nel tempo né la durata delle singole assenze.

In sostanza, partendo da una rilevazione di un fatto accertato (quello dell'assenza arbitraria del 24 aprile 2003 di 1 ora e 5 minuti rilevata a seguito di formale controllo, in ordine alla quale si suppone che non tutto l'indicato periodo di tempo sia stato dedicato alla colazione di metà mattinata), si deve ritenere che non è certamente ipotizzabile che possa essere calcolata - ai fini della quantificazione del danno erariale - "un'assenza di 45 minuti giornalieri a partire da 5 anni antecedenti alla data del fatto accertato, tenuto, a tal proposito, conto del termine quinquennale di prescrizione".

Il metodo utilizzato per la quantificazione del danno patrimoniale operato dalla Procura Regionale, se non è propriamente "stravagante" - come è stato definito dalla difesa della convenuta nella Udienza dibattimentale -, non è certamente corretto ed affidabile, perché non è sorretto da alcuna prova, essendo esso soltanto deduttivo e non basato su alcun atto o rilevazione (tranne quella del 24 aprile 2003) che possa in qualche modo giustificare la ipotizzata durata delle singole assenze giornaliere (tutte di 45 minuti) e la ipotizzata durata nel tempo (tutti i giorni per 5 anni!).

Ebbene, - considerato che, oltre alla assenza rilevata il 24 aprile 2003, alcune assenze arbitrarie dal lavoro da parte della Sig.ra P. per fare colazione al bar al di fuori dell'edificio comunale si sono certamente verificate (perché ciò, senza indicarne il numero esatto, è stato ammesso dalla stessa convenuta, sia nelle Note controdeduttive all'Invito a dedurre, e sia nella Comparsa di costituzione in giudizio) - si deve ritenere che sembra più verosimile e più credibile che le assenze arbitrarie e non autorizzate in questione si siano verificate con saltuarietà per una durata di 15/20 minuti, e non risalenti inevitabilmente a 5 anni addietro, come, peraltro, ammesso dalla stessa convenuta, sia pure giustificando ciò con una prassi generalizzata (sconfessata - però - dagli organi ufficiali del Comune di Gubbio).

Sulla base di tali considerazioni e valutazioni, e tenuto conto che allo stato degli atti non vi è assoluta certezza sul numero e sulla durata delle indicate assenze non autorizzate - che, come sopra detto, si sono certamente verificate in un numero non definito -, si deve concludere che la quantificazione del danno patrimoniale in senso stretto da assenze ingiustificate, di cui al presente giudizio, non può che essere definita in via equitativa ex art. 1226 c.c.. Per tali motivi, il Collegio determina il predetto danno patrimoniale in senso stretto nella somma globale di 500,00 Euro, comprensiva di interessi legali e rivalutazione monetaria.

A completamento di quanto sopra argomentato, va anche fatto presente che ben più grave e diversa sarebbe stata la valutazione del Collegio nel caso in cui fosse stata provata e documentata adeguatamente l'assenza arbitraria e non autorizzata dall'Ufficio o nel caso in cui l'impiegato assentatosi senza autorizzazione fosse stato adibito a servizi in diretto contatto con il pubblico, o, comunque, ad altri servizi e settori più rilevanti, con conseguenti riflessi anche su altre tipologie di danno (quale, in particolare, il danno da disservizio).

IIb - DANNO ALL'IMMAGINE ED AL PRESTIGIO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

La Procura Regionale ha contestato, inoltre, alla Sig.ra P. il "danno all'immagine ed al prestigio" del Comune di Gubbio, quantificando tale partita di danno in via equitativa ex art. 1226 c.c. in Euro 6.000,00.

La difesa della convenuta ha contrastato anche tale richiesta attorea, chiedendone il rigetto.

Per quanto attiene il "danno all'immagine ed al prestigio della P.A." è ben nota, ormai, la posizione e la impostazione concettuale assunta in merito a tale forma di danno erariale da questa Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria (si citano, tra le tante, Sent. n. 501/E.L./1998; Sent. n. 1087/R/1998; Sent. n. 147/R/1999; Sent. n. 582/E.L./1999; Sent. n. 622/E.L./1999; Sent. n. 505/R/2000; Sent. n. 557/R/2000; Sent. n. 620/E.L./2000; Sent. n. 98/E.L./2001; Sent. n. 511/R/2001; Sent. n. 275/E.L./2004; Sent. n. 278/E.L./2004; Sent. n. 49/E.L./2005; ecc.; tutte perfettamente in linea con la giurisprudenza prevalente e maggioritaria in materia, come definita anche in sede di Appello - vedasi al riguardo, in particolare, Sez. Centr. Giurisd. d'Appello, Sent. n. 78/2003/A e Sent. n. 340/2003/A - e dalle Sezioni Riunite in sede Giurisd. della Corte dei Conti con la Sentenza n. 10/Q.M./2003).

In questa sede si ritiene, peraltro, di dover ribadire che il "danno all'immagine ed al prestigio della P.A." - contrariamente a quanto fatto presente dalla difesa della convenuta - rientra nella connotazione del "danno patrimoniale in senso ampio" ex art. 2043 c.c., in collegamento con l'art. 2 Cost., e "non si correla necessariamente ad un comportamento causativo di reato penale", non rientrando nell'ambito di applicabilità dell'art. 2059 c.c. (fermo restando, in ogni caso, il principio della separatezza del giudizio per responsabilità amministrativa contabile rispetto a quello penale, come rilevabile dal novellato art. 3 c.p.p.), ma può ben discendere anche "da un comportamento gravemente illegittimo ovvero gravemente illecito extrapenale". A quest'ultimo riguardo, è stato, inoltre, precisato che - ove non si tratti di fattispecie derivante da reati penali - "non tutti gli atti o comportamenti genericamente illegittimi o illeciti compiuti da un amministratore, da un dipendente (anche di fatto), o da un agente pubblico (che pure non giovano certamente al prestigio ed all'immagine della P.A.) sono causalmente idonei a determinare una menomazione di detta immagine e di detto prestigio", venendo in rilievo - a questi fini (e, perciò, rilevanti nel giudizio di responsabilità amministrativa contabile) - "solo i comportamenti gravemente illegittimi ovvero gravemente illeciti (anche di carattere extrapenale)", purché "idonei - nella loro consistenza fenomenica" - a produrre quella "grave perdita di prestigio e della immagine" e quel "grave detrimento della personalità pubblica".

Va, inoltre, fatto rilevare che il "danno all'immagine ed al prestigio della P.A." compiuto da parte di un soggetto legato alla P.A. da un rapporto di lavoro, di impiego o di servizio (anche di fatto) viene in rilievo unitamente ad altri fondamentali e necessari concomitanti elementi, quali il necessario "clamor" e la risonanza e l'amplificazione della notizia da parte dei vari mezzi di informazione, che "non integrano (però) la lesione, ma ne indicano la dimensione", stando ad evidenziare gli "indici di dimensione via via maggiori che il medesimo evento lesivo può assumere a seconda delle circostanze".

Come indicato anche nelle precedenti citate Sentenze della Corte dei Conti, tale forma di danno erariale va inquadrato:

a) nell'ambito della categoria del "danno patrimoniale ingiusto per violazione di un diritto fondamentale della persona giuridica pubblica", rapportandolo, quindi, - come già evidenziato - al "danno patrimoniale in senso ampio" ex art. 2043 c.c. in collegamento con l'art. 2 Cost.;

b) nell'ambito della fattispecie del "danno esistenziale", inteso quale "tutela della propria identità, del proprio nome, della propria reputazione e credibilità";

c) nell'ambito della categoria del "danno/evento" (e non del "danno/conseguenza"), considerato che, poiché l'"oggetto del risarcimento non può che essere una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva e la liquidazione del danno non può riferirsi se non a perdite, a questi limiti soggiace anche la tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali causati dalla lesione di diritti od interessi costituzionalmente protetti, quali il diritto all'immagine, con la peculiarità che essa deve essere ammessa, per precetto costituzionale, indipendentemente dalla dimostrazione di perdite patrimoniali, oggetto del risarcimento, senza la diminuzione o la privazione di valori inerenti al bene protetto";

d) nell'ambito delle fattispecie per le quali - non essendo richiesta la prova delle spese necessarie al recupero del bene giuridico leso - si può fare affidamento - per la concreta determinazione dell'ammontare del danno erariale - sulla "valutazione equitativa del Giudice", ai sensi dell'art. 1226 c.c., sulla base dei "parametri di tipo oggettivo, soggettivo e sociale" come definiti dalla giurisprudenza maggioritaria e prevalente della Corte dei Conti di cui si è detto ed, in particolare, da diverse Sentenze della Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria;

e) nell'ambito delle fattispecie per le quali sussiste in ogni caso "l'onere per l'attore di indicare le presunzioni, gli indizi e gli altri parametri che intende utilizzare sul piano probatorio".

Precisato ciò in termini generali, nella fattispecie concreta del caso di specie occorre tenere presente che - in relazione alla ricostruzione dei fatti ed agli elementi probatori forniti dalla Procura Regionale per tale specifica partita di danno - non sembra che possa essere concretamente individuato un "danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio", non rinvenendosi negli atti di causa elementi di prova veramente concreti e veramente efficaci che possano utilmente dimostrare la sussistenza di tale danno erariale.

Al riguardo, occorre considerare che la Procura Regionale ha configurato tale danno soprattutto in ragione del discredito che avrebbe colpito il Comune di Gubbio a seguito della diffusione di notizie sulla vicenda in questione ed, in particolare, a seguito della pubblicazione di due articoli della stampa locale riguardanti detta vicenda.

Convenendo in ciò con la difesa della convenuta, va osservato che i due articoli di stampa posti a base della contestata partita di danno (l'uno sulla "Nazione" dell'8 giugno 2003 e l'altro sul "Corriere dell'Umbria" del 10 giugno 2003) non attengono ai fatti di cui è causa (solo in uno, in una parentesi, si accenna al "cappuccino" senza alcun altro collegamento), e non fanno alcun riferimento alla convenuta (che non viene mai nominata). Infatti, il primo brevissimo articolo (dal titolo "Trasferimento che sa di mobbing") si occupa del trasferimento di un dipendente da un Ufficio ad un altro Ufficio del Comune di Gubbio, che avrebbe procurato un notevole stress al soggetto interessato (non indicato), "intenzionata a presentare formale denuncia", ed il secondo articolo, anche esso brevissimo, (dal titolo "Due dipendenti puntano i piedi") si occupa di due dipendenti (anche essi non indicati) che avrebbero meditato di far causa per mobbing al Comune di Gubbio.

III - CONCLUSIONI GENERALI

In conclusione, sulla base delle constatazioni, delle considerazioni e delle valutazioni che precedono, il Collegio

- non valutando necessario, in base alla documentazione contenuta nel fascicolo processuale, acquisire ulteriore documentazione istruttoria né di integrare il contraddittorio;

- e considerando assorbite ogni altra eccezione, argomentazione e deduzioni formulate dalle parti;

ritiene di dover condannare la Sig.ra (omissis) al pagamento della somma complessiva, determinata in via equitativa ex art. 1226 c.c., di 500,00 Euro (comprensivi di interessi legali e rivalutazione monetaria), ritenendo la convenuta responsabile, per colpa grave, del "danno patrimoniale in senso stretto" subito dal Comune di Gubbio (nei termini sopra illustrati); mentre - come è stato già detto - non individua negli atti di causa elementi di giudizio tali da poter riscontrare, nel caso di specie, anche la sussistenza (nei termini anche essi sopra illustrati) del danno erariale per "danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio".

Sul complessivo importo delle somme dovute dalla citata convenuta, come sopra determinate, vanno, inoltre, corrisposti gli interessi legali (ex art. 1282, comma 1, c.c.) dalla data di pubblicazione della presente Sentenza fino all'effettivo soddisfo.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.
LA CORTE DEI CONTI

Sezione Giurisdizionale Regionale dell'Umbria, definitivamente pronunciando in ordine al Giudizio di Responsabilità amministrativa contabile n. 10.433/E.L. del Registro di Segreteria, indicato in epigrafe, nei confronti della Sig.ra (omissis)

CONDANNA

la citata Sig.ra (omissis) - convenuta nel giudizio di responsabilità amministrativa contabile sopra menzionato - al pagamento, nei termini specificati in motivazione, della somma complessiva di Euro 500,00 (cinquecento/00), comprensivi di interessi legali e rivalutazione monetaria, in favore del Comune di Gubbio, per il "danno patrimoniale in senso stretto" da esso subito.

ASSOLVE

la citata Sig.ra (omissis) - convenuta nel giudizio di responsabilità amministrativa contabile sopra menzionato - dal danno erariale per "danno all'immagine ed al prestigio del Comune di Gubbio", nei termini specificati in motivazione.

DISPONE

che sul complessivo importo dovuto dalla indicata convenuta vanno corrisposti gli interessi legali dalla data della pubblicazione della presente Sentenza fino all'effettivo soddisfo.

LIQUIDA

a favore dello Stato, le spese di giudizio - che seguono la soccombenza, come specificato in motivazione - nella misura, alla data della pubblicazione della presente Sentenza, di Euro 308,08 (diconsi trecentootto/08).

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