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mercoledì 27 marzo 2013

Fermo amministrativo: contro le ganasce fiscali si va dal giudice ordinario


Consiglio di Stato

Sezione V

Sentenza 13 settembre 2005, n. 4689


FATTO E DIRITTO

1. La Sezione I del Tribunale Amministrativo Regionale della (Lpd), con sentenza n. 2331/2004, del 26 maggio 2004, - disattesa l'eccezione di inammissibilità per difetto di giurisdizione della resistente soc. (Lpd) (Lpd), attuale appellata immediatamente resa, in forma semplificata, a seguito della camera di consiglio del 19 maggio 2004, fissata per l'esame della domanda cautelare, ha accolto il ricorso proposto dalla Soc. (Lpd) (Lpd) avverso la comunicazione di fermo dell'autoveicolo Martoletti ML 10, effettuata dalla suddetta soc. (Lpd) (Lpd), in qualità di concessionaria della riscossione della Provincia di Bari, per mancato pagamento di carichi a ruolo scaduti, portati in due cartelle di pagamento regolarmente notificate, riferiti a precedenti avvisi di liquidazione notificati a cura dell'Agenzia delle entrate di Brindisi, impugnati dalla interessata davanti alla competente CTP. Parte resistente è stata altresì condannata al risarcimento del danno e delle spese giudiziarie in favore della ricorrente.

Avverso l'anzidetta sentenza si grava la (Lpd) (Lpd), la quale deduce in primo luogo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo chiedendo che la sentenza appellata venga riformata, con declaratoria di inammissibilità, sul tale base, del ricorso di primo grado, o, subordinatamente, con reiezione nel merito, per mancanza di fondamento del suddetto ricorso, in ogni caso, con vittoria di spese del doppio grado del giudizio.

Si è costituita in giudizio l'appellata che resiste all'appello, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

La Sezione ha dapprima accordato al tutela cautelare richiesta dall'appellante, sospendendo, con ordinanza motivata n. 4356/2004 del 24 settembre 2004, l'efficacia della sentenza appellata. Successivamente la causa è stata chiamata all'udienza di merito del 22 marzo 2005 e trattenuta in decisione.

2. L'appello è manifestamente fondato nella parte in cui è volto, in via principale, a denunciare il difetto di giurisdizione.

Come sopra precisato, la controversia investe il fermo amministrativo disposto da una concessionaria della riscossione di entrate tributarie, a norma dell'art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, introdotto (nella formulazione anteriore alla riforma di cui all'art. 1, d.lgs. 27 aprile 2001, n. 193) dall'art. 16, d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, che ha modificato l'intero titolo II del d.P.R. n. 602 del 1973.

La sezione I del Tribunale amministrativo Regionale della (Lpd), sulla scia di propri precedenti in termini (ord. n. 216 del 5 marzo 2003 e sent. n. 1567 del 3 aprile 2003) ha ritenuto la giurisdizione amministrativa, sul presupposto della natura provvedimentale della misura adottata e della relativa comunicazione.

La tesi è erronea e deve essere disattesa.

L'innovazione che il decreto legislativo del 2001 ha introdotto alla disciplina dell'istituto, quale originariamente previsto dal d.P.R. n. 602 del 1973, con le modifiche succedutesi fino al 1999, non ha innovato la natura giuridica del fermo, essendo intervenuta, esclusivamente a svincolare il concessionario dalla intermediazione della direzione regionale delle entrate e dal previo esperimento negativo del pignoramento del bene mobile registrato, conferendogli direttamente la possibilità di disporre il fermo dei beni mobili registrati, sul solo presupposto della scadenza del termine stabilito dal primo comma dell'art. 50 dello stesso decreto, senza attribuire al concessionario poteri di natura amministrativo-tributaria, propri dell'Amministrazione, bensì muovendosi nella logica - propria del diritto comune - della attribuzione (al creditore) di strumenti idonei a ricercare e conservare i cespiti del patrimonio del debitore idonei a garantire, in sede esecutiva, la soddisfazione del credito, sia pure con la peculiarità connesse al titolo per il quale si procede alla riscossione coattiva.

Invero, nella stesura originale del d.P.R. n. 602 (e cioè prima della riforma del 1999), l'istituto del fermo amministrativo è stato aggiunto, al testo del d.P.R. del 1973, dall'art. 5, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 (art. 91-bis), per i veicoli a motore ed alcune categorie di autoscafi, attribuendosene la competenza a disporlo alla direzione regionale delle imposte sui redditi, allorché il concessionario avesse dimostrato l'impossibilità di eseguire il pignoramento per mancato reperimento del bene.

Nel più ordinato assetto della riscossione coattiva, impresso dalla riforma del 1999, il fermo amministrativo si estende alla generalità dei beni mobili registrati, ma conserva l'originaria connotazione di strumento inteso alla conservazione del bene alla soddisfazione del credito tributario, affidato alla determinazione dell'ufficio finanziario regionale, allorché l'esecuzione forzata non sia stata possibile, per mancato reperimento del bene.

Esso è stato inserito, sistematicamente, negli atti della riscossione (Titolo II) e, specificamente, al Capo III, espressamente intitolato "Disposizioni particolari in materia di espropriazione di beni mobili registrati", in immediata successione al capo intitolato "Espropriazione forzata" (capo II), nella cui Sezione I sono contenute le disposizioni generali in tema di riscossione coattiva, , fra cui quelle dettate dall'art. 50 (termine per l'inizio dell'esecuzione), il cui comma 1 è espressamente richiamato nel comma 1 del vigente testo dell'art. 86.

La precedente disciplina - con l'attribuire la competenza di disporre il fermo alla direzione regionale delle entrate ed il condizionarne l'esperimento al mancato reperimento del bene da pignorare - lasciava l'iniziativa del fermo all'Amministrazione titolare del diritto di credito, ed al concessionario la sua esecuzione, mediante l'iscrizione nel pubblico registro, dopo di che quest'ultimo non era esonerato dal perseguire il bene attraverso la procedura di pignoramento, con le conseguenti responsabilità.

Ciò rallentava ovviamente, in maniera sensibile il procedimento di riscossione coattiva, accentuando l'aleatorietà del recupero; l'attribuzione diretta, al concessionario, della potestà di dare corso alla misura conservativa, con il solo limite del decorso del termine stabilito dall'art. 50 comma 1 e salve, in ogni caso, le dilazioni o le sospensioni di pagamento accordate, si inserisce nel quadro delle misure di semplificazione ed accelerazione delle procedure, che il legislatore nazionale ha, nella più recente produzione normativa, delegato al Governo, in questa come in altre materie.

Sia prima, sia successivamente alla riforma del 2001, peraltro, il fermo amministrativo dei beni mobili registrati assolve ad una funzione di conservazione del cespite patrimoniale del debitore, in vista della espropriazione forzata intesa alla realizzazione del credito tributario, per molti versi assimilabile (con le peculiarità dovute alla natura del bene) alla iscrizione ipotecaria sui beni immobili prevista dall'art. 77 dello stesso decreto.

Come appare evidente, dalla collocazione sistematica e dal testo della norma che lo prevede (nella formulazione attuale ed in quelle precedenti) lo strumento, pur non collocandosi ancora nella fase della esecuzione, o degli atti esecutivi, costituisce un mezzo cautelativo ed anticipatorio degli effetti espropriativi dell'esecuzione, che sottrae il bene innanzitutto all'uso al quale è destinato (e da cui potrebbero derivare conseguenze dirette sulla idoneità a soddisfare, con l'esecuzione, la realizzazione coattiva, totale o parziale, del credito) ed alla circolazione giuridica in danno del creditore.

In tale contesto, l'enunciato secondo cui, trascorso il termine previsto dal primo comma dell'art. 50 (sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento) il concessionario "può" disporre il fermo amministrativo del bene mobile registrato, conferisce, al soggetto responsabile della riscossione, non già un singolare potere autoritativo e discrezionale in vista degli interessi pubblici specifici affidati alla cura dell'Amministrazione concedente, bensì una potestà che si colloca (concettualmente) nel quadro dei diritti potestativi del creditore (ossia quella di promuovere atti conservativi sul patrimonio del debitore in vista della esecuzione forzata) che trovano nel diritto comune la naturale collocazione e nel giudice ordinario quello naturale, in quanto la soggezione del debitore all'esercizio della potestà ha la sua fonte nel debito certo, liquido ed esigibile, che vincola il debitore alla sua estinzione (con i mezzi ordinari o con l'esecuzione forzata), e nel rapporto obbligatorio la sua intrinseca giustificazione.

Come correttamente dedotto dall'appellante, la controversia relativa al fermo, sia nella fase della sua esecuzione che in quella della sua disposizione, della quale viene dato avviso al debitore, non riguarda né il tributo per il quale si procede alla riscossione, né la materia del pubblico servizio anche nella più lata accezione assunta dal testo dell'art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (come sostituito dalla l. n. 205 del 2000, e prima dell'intervento demolitore della Corte costituzionale), ma si muove su di un binario del tutto differente, che ha nel giudice ordinario l'autorità giurisdizionale deputata a conoscere delle relative controversie (nel limite in cui le stesse non siano sottratte alla cognizione di alcun giudice) come specificato dall'art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973 (che non ammette le opposizioni di cui all'art. 615 c.p.c., fatta eccezione per quelle relative alla pignorabilità dei beni).

E' stato osservato (TAR Campania, Sez. I, n. 12025 del 16 settembre 2004) che l'esecuzione del fermo, affidata ora direttamente al concessionario, non costituisce altro che l'espressione dello jus eligendi (diritto di scelta) ordinariamente riconosciuto, nelle procedure esecutive, al creditore procedente tra i diversi mezzi di aggressione del patrimonio dell'esecutato o tra diversi beni passibili di esecuzione forzata; si tratta, dunque, di una facoltà di diritto comune destinata ad incidere nella sfera giuridica del debitore (ne non vi si può sottrarre se non con l'estinzione del debito), accostabili alle potestà amministrative, soltanto per il tratto comune della soggezione di chi è destinato a subirle, senza che, per questo, il potere esercitato esca dalla sfera delle relazioni intersoggettive per essere ricondotto ai rapporti governati dal diritto pubblico, la cui tutela appartiene alla cognizione del giudice amministrativo.

Deve dunque concludersi nel senso che il fermo amministrativo è atto funzionale alla esecuzione, che - pure con le connotazioni particolari derivanti dalla natura del rapporto obbligatorio in forza del quale il debitore è tenuto al pagamento e della legislazione speciale che lo prevede, accordando poteri extra ordinem al creditore ed allo stesso incaricato della riscossione - deve comunque essere inquadrato (per di più nella sistemazione più corretta derivante dalla riforma del 2001, che ha opportunamente individuato nello stesso responsabile della riscossione il soggetto abilitato a disporlo) fra gli strumenti di conservazione dei cespiti patrimoniali sui quali può essere soddisfatto coattivamente il credito, che l'ordinamento ordinariamente appresta alla generalità creditori (in base alla scelta politica, di carattere generale e di diritto comune, di una tutela più incisiva degli interessi dei creditori, nel rapporto intersoggettivo debito-credito), così come prodromica all'esecuzione è la notificazione della cartella esattoriale che assolve, nel procedimento di riscossione, alla medesima funzione della notificazione del precetto di pagamento di diritto comune.

In tale quadro, la cognizione delle controversie ad esso relativo si sottrae alla giurisdizione del giudice amministrativo, sia a quella costitutiva di legittimità (non essendovi provvedimento amministrativo lesivo di interessi legittimi del titolare del bene che ne assoggettato) sia a quella esclusiva, eccezionalmente demandata a tale giudice.

Una certa propensione a ricondurre l'istituto nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, chiarissima in talune non condivisibili pronunce di primo grado del giudice amministrativo, fra cui quella in esame (Tar Abruzzo, Pescara, 19 luglio 2004, n. 704; Tar (Lpd), Bari, sez. I, 6 maggio 2004, n. 2065, 16 aprile 2003, n. 1764, 8 aprile 2003, n. 1812, 3 aprile 2003, n. 1567; Tar (Lpd), Lecce, sez. I, 7 luglio 2004, n. 4880) e percepibile anche nell'ordinanza cautelare della Sezione IV del Consiglio di Stato n. 3259 del 13 luglio 2004 (che, invero, non contiene una motivazione espressa sul punto della giurisdizione) è ormai risolta, in radice, in senso contrario, dal ridimensionamento delle attribuzioni del giudice amministrativo, conseguente alla sentenza della Corte costituzionale 5-6 luglio 2004, n. 204, che ha significativamente modificato il testo dell'art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (come sostituito dalla l. n. 205 del 2000), dichiarandone, tra l'altro, l'illegittimità del primo comma, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli» anziché «le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla l. 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché».

Deve, dunque, darsi atto che è invece, corretto l'orientamento prevalente (oltre al TAR Campania, sopra citato, TAR Emilia Romagna, n. 2516 del 25 novembre 2003; TAR Calabria n. 2110 del 20 giugno 2003; TAR Lombardia, n. 1140 del 5 maggio 2003, TAR Veneto, n. 886 del 30 gennaio 2003), che, coerentemente alla giurisprudenza di merito del giudice ordinario (Tribunale di Novara, 9 maggio 2003) nega, in materia, la giurisdizione amministrativa.

3. L'appello, pertanto, deve essere accolto, e, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere interamente riformata, con declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di giurisdizione, e condanna della originaria ricorrente (resistente in questo grado), in favore dell'appellante, alle spese di entrambi i gradi del giudizio, che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, accoglie l'appello in epigrafe e, per l'effetto, in riforma totale della sentenza 2331/2004 del Tribunale Amministrativo Regionale della (Lpd), Sezione I, dichiarata inammissibile, per difetto di giurisdizione, il ricorso n. 848/04 Reg. Gen. TAR (Lpd);

Condanna la soc. (Lpd) (Lpd) s.r.l. in persona del legale rappresentante in carica, al pagamento, in favore dell'appellante, delle spese dei due gradi del giudizio che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00 oltre IVA e CPA, come per legge;

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa


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