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mercoledì 2 maggio 2018

N. 67 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 febbraio 2018 Ordinanza del 6 febbraio 2018 del Tribunale di Torino nel procedimento civile promosso da D.G. A. contro Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dell'interno. Circolazione stradale - Patente di guida - Requisiti morali per ottenere il rilascio - Applicazione dei commi 1 e 2 dell'art. 120 del decreto legislativo n. 285 del 1992 nei confronti delle persone condannate per reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009 - Applicazione delle misure del diniego e della revoca della patente di guida quale conseguenza automatica di una condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990. - Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), art. 120, come sostituito dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). (GU n.18 del 2-5-2018 )



N. 67 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 febbraio 2018

Ordinanza  del  6  febbraio  2018  del  Tribunale   di   Torino   nel
procedimento civile  promosso  da  D.G.  A.  contro  Ministero  delle
infrastrutture e dei trasporti e Ministero dell'interno.

Circolazione stradale - Patente  di  guida  -  Requisiti  morali  per
  ottenere il rilascio - Applicazione dei commi 1 e 2  dell'art.  120
  del decreto legislativo n. 285 del 1992 nei confronti delle persone
  condannate per reati commessi prima dell'entrata  in  vigore  della
  legge n. 94 del 2009 - Applicazione  delle  misure  del  diniego  e
  della revoca della patente di guida quale conseguenza automatica di
  una condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74  del  d.P.R.  n.
  309 del 1990.
- Decreto legislativo 30 aprile 1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
  strada), art. 120, come sostituito dalla legge 15 luglio  2009,  n.
  94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).
(GU n.18 del 2-5-2018 )

                    TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO
                        Prima Sezione Civile

    Nel  procedimento  cautelare  iscritto  al  n.  r.g.   27601/2017
promosso da: A. D.G. (c.f. ...) elettivamente domiciliato  in  presso
il difensore avv. Marchioni Paolo che lo  rappresenta  e  difende  in
forza di procura depositata telematicamente in allegato  al  ricorso,
ricorrente;
    Contro:
        Ministero delle infrastrutture  e  dei  trasporti  -  Ufficio
della motorizzazione di Novara (c.f. 97532760580) domiciliato in  via
Arsenale n. 21 - 10121 Torino presso l'Avvocatura dello Stato Torino;
        Ministero dell'interno - Ufficio territoriale del Governo  di
Novara (c.f. 97149560589) domiciliato in via Arsenale n. 21  -  10121
Torino presso l'Avvocatura dello Stato Torino,
resistenti.
    Il Giudice dott. Marco Ciccarelli,
    a scioglimento della riserva assunta all'udienza del  24  gennaio
2018, ha pronunciato la seguente ordinanza.
Premesso.
    A. D.G. allega che:
    a) in data 7 giugno 2017 ha presentato domanda  per  ottenere  il
rilascio di nuova patente di guida, a seguito di esame;
    b) dopo il  superamento  della  prova  scritta,  ha  ricevuto  la
notifica, in data 13 settembre 2017, del provvedimento del  direttore
della Motorizzazione civile di Novara con cui si disponeva il diniego
al rilascio della patente (e la conseguente non ammissione del D.  G.
alla prova pratica d'esame) per la  «non  sussistenza  dei  requisiti
morali di cui all'art. 120, comma 1 C.d.S.»;
    c) l'art.  120  C.d.S.,  nel  testo  modificato  dalla  legge  n.
94/2009, prevede che non possano conseguire la patente - fra  l'altro
- le persone condannate per i reati di cui  agli  articoli  73  e  74
testo unico n. 309/1990;
    d) il D.G. e' stato  condannato  a  5  anni  di  reclusione  e  €
16.523,62 di multa, con sentenza  della  Corte  d'appello  di  Torino
dell'11 maggio 1993, per due fattispecie di violazione  dell'art.  73
decreto  del  Presidente  della  Repubblica   n.   309/90,   commesse
rispettivamente il 9 e il 19 novembre  1991;  la  pena  detentiva  e'
stata integralmente scontata il 6 luglio 1996 e la pena pecuniaria e'
stata pagata il 12 marzo 2001;
    e) l'impossibilita' di conseguire la patente e'  suscettibile  di
arrecare al ricorrente un danno grave e  irreparabile,  non  soltanto
per le ricadute sulla sua liberta' di circolazione,  ma  perche'  gli
preclude di accettare la proposta di lavoro formulata dalla ditta  di
autotrasporti Italseccia di Pero (Ml), che intenderebbe  assumere  il
D.G. come autista di furgoni.
    Il ricorrente sostiene che il divieto di  conseguire  la  patente
previsto dal (nuovo testo del) l'art. 120 C.d.S. costituisce una vera
e propria  sanzione  accessoria  penale  (secondo  l'accezione  fatta
propria dall'art. 7 CEDU). La sua applicazione a fatti commessi prima
dell'entrata in vigore della norma  (cioe'  il  diniego  di  rilascio
della patente a coloro che abbiano  commesso  i  reati  di  cui  agli
articoli  73  e  74  testo  unico  n.  309/90  in  epoca  antecedente
all'entrata in vigore della legge n. 94/09) si pone in contrasto  con
il divieto costituzionale di applicazione retroattiva delle  sanzioni
penali (art. 25 Cost.).
    Sotto    diverso    profilo,    il    ricorrente    censura    di
incostituzionalita' l'art. 120 C.d.S. per violazione  degli  articoli
3,  16,  25  e  111  Cost.;  sostiene  infatti   che   sussista   una
«irragionevole discrasia» fra la norma  in  esame  e  l'art.  85  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90,  che  permette  al
giudice, con la sentenza di condanna per uno dei fatti  di  cui  agli
articoli 73, 74, 79 e 82, di disporre  il  ritiro  della  patente  di
guida  per  un  periodo  non  superiore  a  tre  anni.   E'   infatti
irragionevole la previsione di' una revoca/inibizione  della  patente
disposta in via amministrativa e  automatica  per  tutti  i  casi  di
condanna per i reati di  cui  agli  articoli  73  e  74,  laddove  la
normativa speciale, proprio in relazione a questi reati, prevede  che
sia il giudice penale (con provvedimento necessariamente motivato)  a
decidere se applicare o meno la  pena  accessoria  del  ritiro  della
patente.
    Conclude affinche' il Tribunale  «sospenda  o  disapplichi»,  con
provvedimento d'urgenza, il  provvedimento  della  Motorizzazione  di
Novara del 13 settembre 2017.  In  via  incidentale,  chiede  che  il
giudice,  ritenendo  rilevanti  e  non  manifestamente  infondate  le
questioni  di  legittimita'  costituzionale  come  sopra   formulate,
rimetta gli atti alla Corte costituzionale perche' si pronunci  sulla
legittimita' dell'art. 120 C.d.S.
    Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Prefettura
di Novara:
        non  contestano  le  circostanze  di   fatto   allegate   dal
ricorrente (lettere a-e);
        contestano la fondatezza delle argomentazioni  in  diritto  a
supporto della domanda, negando che le misure previste dall'art.  120
C.d.S.  costituiscano  sanzioni   accessorie   penali;   infatti   il
provvedimento di diniego di rilascio (al pari di  quello  di  revoca)
«deriva dalla mera  constatazione,  da  parte  delle  Amministrazioni
competenti,  dell'insussistenza  (originaria  o   sopravvenuta)   dei
requisiti morali  prescritti  per  il  conseguimento  del  titolo  di
abilitazione alla guida»;  questa  norma  dunque,  tenuto  conto  del
potenziale utilizzo della patente di guida per agevolare o commettere
reati (o in condizioni tali da mettere in  pericolo  la  sicurezza  e
l'incolumita' delle persone), seleziona diverse ipotesi  in  presenza
delle quali il legislatore, secondo una valutazione ex ante,  ritiene
venga meno l'affidabilita' morale di chi aspira  a  conseguire  (o  a
riconseguire) il predetto titolo;
        con riferimento al dedotto periculum in mora, pur non negando
che la mancanza della patente possa arrecare «disagi» al  ricorrente,
ritengono che questi siano  la  conseguenza  della  ponderazione,  da
parte  del  legislatore,  dei  vari  interessi  coinvolti,  e   della
prevalenza  accordata  all'interesse  pubblico  a   che   determinati
soggetti non possano condurre veicoli.
    Concludono per il rigetto del ricorso.

                               Osserva

1. La vicenda oggetto del giudizio.
    Il sig. D.G. e' stato condannato per reati di spaccio di sostanze
stupefacenti commessi nel novembre del 1991. La sentenza di  condanna
e' stata pronunciata dalla Corte  d'appello  di  Torino  in  data  11
maggio 1993 e la pena detentiva e' stata interamente  scontata  il  6
luglio 1996; nel marzo 2001 e' stata pagata  la  sanzione  pecuniaria
irrogata in relazione ai medesimi reati. L'Ufficio motorizzazione  di
Novara, con provvedimento del 13 settembre 2017 (di cui si chiede  in
questa sede la sospensione cautelare), ha negato  il  rilascio  della
patente al sig. D.G. per la «non sussistenza dei requisiti morali  di
cui all'art. 120, comma 1 C.d.S.».
2. La norma censurata di incostituzionalita'  e  le  posizioni  delle
parti.
    L'art. 120, 1° comma C.d.S., nel testo risultante dalla legge  15
luglio 2009 n. 94, dispone: «Non possono  conseguire  la  patente  di
guida i delinquenti abituali, professionali o per tendenza  e  coloro
che sono o sono stati sottoposti a misure di  sicurezza  personali  o
alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956,  n.
1423, ad eccezione di quella di cui all'art.  2,  e  dalla  legge  31
maggio 1965, n. 575, le persone condannate per i reati  di  cui  agli
articoli 73 e 74 del testo unico di cui  al  decreto  del  Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli  effetti  di
provvedimenti  riabilitativi,  nonche'  i  soggetti  destinatari  dei
divieti di cui agli articoli 75, comma 1, lettera a), e 75-bis, comma
1, lettera f), del  medesimo  testo  unico  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 per tutta la  durata  dei
predetti divieti. Non possono di nuovo conseguire la patente di guida
le persone a cui sia applicata per la seconda volta, con sentenza  di
condanna per il reato di cui al terzo periodo del comma  2  dell'art.
222, la revoca della patente ai sensi del quarto periodo del medesimo
comma». Questa norma non era ancora in vigore al momento in cui  sono
stati commessi i reati (novembre 1991) ne' al momento in cui e' stata
pronunciata la sentenza di condanna (maggio 1993).  La  questione  di
cui si  discute  in  questo  giudizio  e'  dunque  se  sia  legittima
l'applicazione di questa «misura» (divieto di conseguire la  patente)
a soggetti condannati per i reati di cui agli articoli 73  e  74  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 prima  dell'entrata
in vigore dell'art. 120 C.d.S.  (nel  testo  di  cui  alla  legge  n.
94/2009). La  tesi  negativa,  sostenuta  dal  ricorrente,  si  fonda
sull'assunto secondo cui l'art. 120 C.d.S. prevede una vera e propria
sanzione accessoria di natura  penale,  come  tale  inapplicabile  ai
fatti commessi prima della  sua  entrata  in  vigore,  in  forza  del
principio di irretroattivita' delle leggi penali  previsto  dall'art.
25, 2° comma Cost., e comunque secondo l'accezione  di  «pena»  fatta
propria dall'art. 7  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, recepito nel  nostro
ordinamento ai sensi dell'art. 11 Cost. La contraria tesi  propugnata
dalle amministrazioni convenute nega natura di' sanzione, tanto  piu'
penale, alla revoca e al divieto di  rilascio,  che  costituirebbero,
invece, misure  amministrative  che  non  concorrono  a  definire  il
trattamento sanzionatorio del reo secondo un'ottica afflittiva.
3. Sulla non manifesta infondatezza della questione.
    La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120  C.d.S.
e' stata gia' sollevata dal Tribunale di Genova con ordinanza n.  210
del 16 giugno  2016,  in  una  fattispecie  del  tutto  analoga  alla
presente  e  in  relazione  ai  medesimi  profili  qui  dedotti   dal
ricorrente.  Questo  Tribunale  condivide  la  valutazione   di   non
manifesta infondatezza della questione gia' espressa dal Tribunale di
Genova,  fondata,  in  estrema  sintesi,  sulla  ritenuta  natura  di
sanzione  penale  del  provvedimento  amministrativo  di  «revoca»  o
«diniego al rilascio» della patente di guida. Di seguito si espongono
le  argomentazioni  a   supporto   della   ritenuta   non   manifesta
infondatezza.
    3.1  Primo   profilo   di   sospetta   incostituzionalita':   con
riferimento agli articoli 11 Cost. e 7  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.
        a) Nell'ordinamento italiano,  il  carattere  penale  di  una
sanzione  consegue  al  tipo  di  qualificazione  giuridica  ad  essa
collegata. La natura penale della sanzione dipende dunque  dal  fatto
ch'essa  sia  espressamente  indicata  come  tale;  e  che  sia,   di
conseguenza, irrogata dall'Autorita' giudiziaria. In  quest'ottica  -
che e' stata recepita da questo stesso  Tribunale  nell'ordinanza  28
ottobre 2016 richiamata dai convenuti - il diniego di rilascio  della
patente  non  potrebbe  essere  qualificato  come  sanzione   penale,
trattandosi  di  un  requisito  (c.d.  «morale»)  che  sottende   una
valutazione di non affidabilita' delle persone che non lo posseggono:
la presunzione che questi soggetti potrebbero  utilizzare  l'auto  (e
quindi la patente) per agevolare o commettere reati dello stesso tipo
di quelli per cui sono stati condannati. In  questa  prospettiva,  il
diniego al rilascio o la revoca sono misure che operano su  un  piano
amministrativo, adottate  dall'autorita'  amministrativa  e  che  non
concorrono a definire la sanzione penale in senso formale  a  cui  fa
riferimento  l'art.   25   Cost.   La   questione   di   legittimita'
costituzionale non potrebbe dunque porsi  con  riferimento  a  questa
norma.
        b) A diverse conclusioni deve tuttavia giungersi se la natura
penale della sanzione viene verificata sulla base  del  principio  di
cui all'art. 7 Convenzione europea per la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (Nulla poena sine  lege).  Se
infatti il tenore testuale  dell'art.  7,  comma  1°  («Nessuno  puo'
essere condannato per una azione o una omissione che, al  momento  in
cui e' stata  commessa,  non  costituiva  reato  secondo  il  diritto
interno o internazionale. Parimenti, non  puo'  essere  inflitta  una
pena piu' grave di quella applicabile al momento in cui il  reato  e'
stato commesso.») e' del tutto simile a quello dell'art. 25, comma 2°
Cost.;  tuttavia  l'interpretazione  di  questa  norma  va   condotta
nell'ottica imposta all'Italia dalla ratifica  della  Convenzione  e,
pertanto, tenendo conto  dell'interpretazione  che  di  questa  norma
offre la giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti  dell'uomo.
Occorre    allora    considerare    -    secondo    l'interpretazione
«sostanzialistica» recepita dalla Corte - se la natura penale di  una
sanzione possa affermarsi sulla base di uno o piu' dei  seguenti  tre
criteri:
          1. la qualificazione data  alla  sanzione  dall'ordinamento
giuridico interno; si tratta di un criterio «formale»,  che  tuttavia
non esclude la possibilita' di  «ri-qualificare»  una  sanzione  come
penale alla luce dei criteri che seguono («Per  rendere  efficace  la
tutela offerta dall'art. 7, la Corte deve  essere  libera  di  andare
oltre le apparenze e valutare essa stessa se una  determinata  misura
costituisca  una  "pena"  a'  sensi  della  predetta   disposizione»:
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali sentenza 9 febbraio 1995, n. 307 caso Welch  c.
Regno Unito);
          2. la natura sostanziale dell'illecito a fronte  del  quale
e' irrogata la sanzione di  cui  si  tratta,  cioe'  «i  procedimenti
connessi  alla  sua  adozione  ed  esecuzione»  (idem);   in   questa
prospettiva rileva la  correlazione  della  «misura»  con  il  reato;
questa correlazione - osserva  sempre  la  Corte  -  non  e'  affatto
esclusa dalle finalita' (anche) special preventive  della  misura  di
cui si tratta; infatti - sempre  secondo  la  Corte,  nella  medesima
sentenza - «gli scopi di prevenzione e riparazione si conciliano  con
quello repressivo e possono essere considerati  elementi  costitutivi
della stessa nozione di pena»;
          3. il grado di severita' della pena,  tenendo  conto  della
sua natura, durata o modalita' di esecuzione.
        c) Sulla base di questi criteri si ritiene che la revoca e il
diniego di rilascio della patente di guida rientrino nella nozione di
pena dell'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, infatti:
          a. queste misure sono  applicate  in  collegamento  con  la
semplice commissione (accertata con sentenza di condanna)  dei  reati
di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico stupefacenti;
          b. la loro applicazione  e'  del  tutto  «automatica»,  nel
senso  che  e'  svincolata  da  ogni   valutazione   sulla   concreta
possibilita' che, attraverso  l'uso  di  veicoli,  sia  agevolata  la
commissione di reati dello stesso tipo;
          c. sono comminate alle persone condannate per  i  reati  in
questione, «fatti salvi gli effetti dei provvedimenti riabilitativi»,
cioe' di quei provvedimenti che estinguono  «le  pene  accessorie  ed
ogni altro effetto penale della condanna» (art. 178 c.p.);  in  altri
termini, al pari delle pene accessorie,  anche  questi  provvedimenti
non possono  essere  comminati  a  chi  abbia  ottenuto  sentenza  di
riabilitazione;
          d. l'afflittivita' del diniego di rilascio della patente  e
della sua revoca non possono essere messe seriamente in  discussione,
ove si consideri l'incidenza di queste misure su  alcune  liberta'  e
diritti fondamentali della persona: dalla liberta' di  movimento,  al
diritto di relazionarsi, alla capacita'  lavorativa,  all'adempimento
di alcuni doveri sociali e familiari;
          e. la stessa  Corte  costituzionale,  con  la  sentenza  n.
281/2013, con cui ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 120 C.d.S.
(nel testo sostituito dalla legge n. 94/2009), nella parte in cui  si
applica anche  con  riferimento  a  sentenze  pronunziate,  ai  sensi
dell'art. 444  codice  di  procedura  penale,  in  epoca  antecedente
all'entrata in vigore  della  legge  n.  94  del  2009,  sembra  aver
riconosciuto il carattere afflittivo delle misure di cui si  discute;
e' ben vero che la Corte, in questa  sentenza,  non  si  riferisce  a
queste misure  come  «sanzioni  penali»,  ma  come  effetti  negativi
sopravvenuti della sentenza di  patteggiamento,  che  l'imputato  non
aveva potuto ponderare al  momento  della  scelta;  tuttavia,  se  si
considera che la sentenza ex art. 444 codice di procedura  penale  e'
funzionale  alla  «applicazione  della   pena   su   richiesta»,   e'
ragionevole   parificare,   quantomeno   sotto   il   profilo   della
afflittivita', gli effetti di cui si discute a quelli di una sanzione
penale;
          f. ulteriore profilo da cui desumere l'afflittivita'  delle
misure in questione e' che esse sono, nei contenuti e negli  effetti,
pressoche' identiche alla pena accessoria del ritiro della patente di
guida, prevista dall'art. 85 testo unico n. 309/90, come  conseguenza
dei reati di cui agli articoli 73, 74, 79 e 82 del medesimo T.U.
        d) Se dunque il diniego di rilascio e la revoca della patente
di guida costituiscono «pene» secondo il significato cui si riferisce
l'art.  7  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  la  previsione  della  loro
applicazione a chi sia stato  condannato  per  fatti  commessi  prima
dell'entrata in vigore della norma che ha introdotto queste  sanzioni
appare in contrasto con gli articoli 11  e  117  Cost.,  secondo  cui
l'Italia consente alle limitazioni  di  sovranita'  necessarie  a  un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra  le  Nazioni;  e,
anche in funzione di  cio',  esercita  la  potesta'  legislativa  nel
rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.
    3.2  Secondo  profilo  di   sospetta   incostituzionalita':   con
riferimento agli articoli 3, 16, 25 e 111 Cost.
    Come  si   e'   gia'   detto   sopra,   argomentando   in   punto
«afflittivita'»  delle  misure  del  diniego  e  della  revoca  della
patente, l'art. 85 testo unico n. 309/90 prevede che «Con la sentenza
di condanna per uno dei fatti di cui agli articoli 73, 74, 79  e  82,
il giudice puo' disporre il divieto di espatrio  e  il  ritiro  della
patente di guida per un periodo non superiore a tre anni». Dunque  il
giudice penale, nel momento in cui irroga la  condanna  per  uno  dei
reati previsti  dagli  articoli  73  e  74  e'  chiamato  a  valutare
(motivando sul punto) se applicare anche la sanzione  accessoria  del
ritiro della patente per un periodo massimo di tre anni. Ora, non  si
comprendono la ragionevolezza della previsione dell'art.  120  C.d.S.
qui in esame e il suo coordinamento con  l'art.  85  testo  unico  n.
309/90. Non si comprende cioe' la ragione per cui il  giudice  penale
sia chiamato - in base alla normativa speciale sugli  stupefacenti  e
al momento della decisione su una specifica vicenda  -  a  effettuare
una valutazione di necessita' e di adeguatezza della pena  accessoria
della revoca della patente,  quando  la  medesima  misura  interviene
comunque,  «automaticamente»  e  per  il  periodo  massimo  (3  anni)
previsto dalla norma penale, in  virtu'  dell'art.  120  C.d.S.  Pare
sussistere,  dunque,   una   sovrapposizione   logica   della   norma
amministrativa su quella penale. Sovrapposizione che  e'  tanto  piu'
grave in quanto la revoca adottata  dal  Prefetto  (a  differenza  di
quella comminata dal Giudice) prescinde  da  ogni  valutazione  sulla
adeguatezza della sanzione  rispetto  al  caso  concreto,  nelle  sue
dimensioni di esigenza special preventiva e afflittiva.
4.    Sulla    impossibilita'    di    adottare    un'interpretazione
costituzionalmente orientata della norma.
    Il profilo di incostituzionalita' di cui  al  punto  3.1  censura
l'art. 120 C.d.S. nella parte in cui ritiene  applicabili  le  misure
del diniego e della revoca della patente ai condannati per i reati di
cui agli articoli 73 e 74 testo unico n. 309/90 commessi prima  della
sua entrata in vigore. Questo Tribunale non ritiene che sia possibile
adottare un'interpretazione  conforme  alla  Costituzione  (e  quindi
all'art. 7 CEDU) della norma in esame, ritenendo ch'essa si  applichi
soltanto ai soggetti  condannati  per  reati  commessi  dopo  la  sua
entrata in vigore. Questa interpretazione - che il ricorrente invoca,
chiedendo  l'adozione  in  via  cautelare  di  un  provvedimento   di
«sospensione   o    disapplicazione»    del    provvedimento    della
Motorizzazione di  Novara  -  non  pare  possibile  alla  luce  delle
considerazioni che seguono.
    a)  La  Corte  costituzionale,  con  sentenza  n.  285/1990,   ha
chiaramente affermato che «Non spetta allo Stato,  e  per  esso  alla
Corte di cassazione, disapplicare le leggi regionali, neppure qualora
appaiano in contrasto con la legislazione statale, dovendo  l'a.g.o.,
qualora  dubiti  della  legittimita'  costituzionale  di  una  legge,
rimettere gli atti alla Corte costituzionale che e'  il  solo  organo
deputato a  compiere  tale  verifica  di  costituzionalita'».  Dunque
l'interpretazione «costituzionalmente orientata»  di  una  norma  non
puo' spingersi al segno di rendere questa norma  concretamente  priva
di effetti (in tutto o in parte), producendosi,  in  caso  contrario,
una  sua  «disapplicazione  di   fatto»   ad   opera   dell'autorita'
giudiziaria.
    b)  L'art.  120  C.d.S.  e'  formulato  in  termini   chiaramente
omnicomprensivi: «Non possono conseguire la patente di guida  ...  le
persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74  ...»;  e
non pone alcuna distinzione fra i soggetti condannati prima o dopo la
sua entrata in vigore. Cio' significa che, dal  momento  dell'entrata
in vigore del «nuovo» art. 120, l'autorita' amministrativa, a  fronte
di ogni richiesta di rilascio patente, e' tenuta a verificare che non
sussistano quegli «elementi ostativi», senza preoccuparsi  del  fatto
che siano venuti  a  esistenza  prima  o  dopo  l'introduzione  della
previsione amministrativa. D'altra parte, una simile verifica  doveva
essere compiuta anche immediatamente dopo  l'entrata  in  vigore  del
nuovo testo dell'art. 120 (8 agosto 2009); e non  poteva  quindi  che
riferirsi a reati commessi prima della sua entrata in vigore.
    c)  Nella  gia'   citata   sentenza   n.   281/2013,   la   Corte
costituzionale   ha   implicitamente   adottato    un'interpretazione
dell'art.  120  C.d.S.  come  norma  riguardante  anche  le  condanne
«pregresse»; in caso contrario  infatti  -  qualora  cioe'  la  Corte
avesse ritenuto la norma non applicabile  alle  condanne  pronunciate
prima  dell'entrata  in  vigore   della   norma   -   sarebbe   stata
probabilmente diversa la pronuncia  e  la  ratio  decidendi:  non  vi
sarebbe stato infatti motivo di affermare che  l'imputato  non  aveva
potuto valutare, prima dell'entrata  in  vigore  della  nuova  norma,
tutte  le  conseguenze  della  propria  adesione  al  patteggiamento;
sarebbe stato invece sufficiente, con una  pronuncia  «interpretativa
di rigetto», affermare che la norma non si applicava alle sentenze ex
art.   444   codice   di   procedura   penale    pronunciate    prima
dell'introduzione delle nuove «sanzioni».
    Per queste ragioni va  sollevata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale, e non e' possibile interpretare la norma  secondo  un
significato conforme ai principi sopra richiamati.
5. Sulla rilevanza della questione di' legittimita' costituzionale.
    Per  quanto  riguarda  il  fumus  di  fondatezza  della   pretesa
cautelare, e' evidente che, se l'art.  120  C.d.S.  fosse  dichiarato
incostituzionale nella parte in  cui  prevede  che  le  misure  della
revoca e del diniego di rilascio della patente  si  applichino  anche
per  reati  commessi  prima  della  sua   entrata   in   vigore,   il
provvedimento di diniego adottato nei confronti  del  D.  G.  sarebbe
illegittimo; e sarebbe quindi fondata la domanda volta a ottenerne la
sospensione o disapplicazione.
    Va sottolineato che il presente procedimento cautelare  non  puo'
essere definito senza la pronuncia di costituzionalita'. Infatti  non
e' possibile che il giudice, in sede cautelare, valuti il fumus  boni
iuris   senza    tener    conto    della    norma    sospettata    di
incostituzionalita';  poiche'  questa   norma,   fino   all'eventuale
pronuncia della Corte, fa parte a tutti gli effetti dell'ordinamento.
La sua disapplicazione incorrerebbe quindi nel vizio  gia'  censurato
dalla Corte costituzionale con la sentenza n.  285/90  richiamata  al
punto che precede.  Il  ricorrente  chiede,  per  un  verso,  che  il
Tribunale  sospenda  o  disapplichi,  con  ordinanza  cautelare,   il
provvedimento della Motorizzazione di Novara; e, per altro verso, che
il Tribunale rimetta il fascicolo  alla  Corte  costituzionale  sulle
questioni  sopra  esposte.  Tuttavia  le  due   richieste   sono   in
contraddizione fra loro perche',  qualora  il  presente  procedimento
cautelare fosse definito attraverso l'ordinanza  di  sospensione,  la
rimessione alla Corte costituzionale sarebbe irrilevante,  in  quanto
non funzionale a definire il giudizio in corso.
    Si ritiene poi concretamente sussistente anche  il  periculum  in
mora, considerati i gravi effetti pregiudizievoli che il  diniego  di
rilascio della patente produce  sulla  vita  e  sulle  relazioni  del
ricorrente. Il  provvedimento  amministrativo  infatti  incide  sulla
liberta' di movimento e quindi, indirettamente, sulla possibilita' di
intrattenere relazioni sociali, familiari e  lavorative.  Per  quanto
riguarda queste ultime, il D. G. ha documentato di aver ricevuto  una
proposta di lavoro come autista di furgoni (doc. 6); impiego  per  il
quale e' indispensabile il possesso della patente di  guida  (il  cui
conseguimento  e'  esplicitato  nel  contratto  come  condizione  per
l'assunzione). E' quindi evidente che il provvedimento  impugnato  e'
suscettibile di produrre un pregiudizio grave nella  sfera  personale
del ricorrente.
    In  definitiva,  qualora  l'art.  120  C.d.S.   fosse   giudicato
costituzionalmente illegittimo, nella parte ed entro i  limiti  sopra
specificati,  la  domanda  cautelare  del  D.  G.  dovrebbe   trovare
accoglimento.

                               P.Q.M.

    Visti gli articoli 134 Cost., 23 e ss. legge n. 87/1953,
    ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale  dell'art.  120  decreto  legislativo  n.
285/1992 (Codice della strada), come modificato dalla legge 15 luglio
2009, n. 94;
    a) con riferimento agli articoli 11 e  117  Cost.,  in  relazione
all'art. 7  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in  cui  prevede
l'applicazione dei commi 1° e  2°  a  persone  condannate  per  reati
commessi prima dell'entrata in vigore della legge 15 luglio 2009,  n.
94;
    b) con riferimento agli articoli 3,  16,  25,  111  Cost.,  nella
parte in cui prevede la revoca  e  il  diniego  della  patente  quale
conseguenza automatica di una  condanna  per  i  reati  di  cui  agli
articoli 73 e 74 testo unico  n.  309/1990,  a  prescindere  da  ogni
valutazione sulla  gravita'  del  reato  e  sulle  pene  in  concreto
comminate;
    dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    sospende il presente procedimento  fino  all'esito  del  giudizio
incidentale di costituzionalita';
    ordina la comunicazione del presente provvedimento ai  presidenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
    dispone la notificazione della presente ordinanza  alle  parti  e
alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

        Torino, 6 febbraio 2018

                       Il Giudice: Ciccarelli

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