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mercoledì 2 maggio 2018

N. 87 SENTENZA 20 marzo - 26 aprile 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Bilancio e contabilita' pubblica - Diritto allo studio - Istituzione da parte della Regione, di un unico ente erogatore dei servizi per il diritto allo studio - Attribuzione al bilancio di detto ente delle risorse del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio - Determinazione del fabbisogno finanziario regionale con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, previo parere della Conferenza Stato-Regioni - Attribuzione alla «Fondazione Articolo 34», sentita la Conferenza Stato-Regioni, dell'erogazione di borse di studio nazionali a studenti meritevoli e privi di mezzi. - Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), art. 1, commi 269, 270, 271, 272 e 275. - (GU n.18 del 2-5-2018 )



N. 87 SENTENZA 20 marzo - 26 aprile 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Bilancio e contabilita' pubblica - Diritto allo studio -  Istituzione
  da parte della Regione, di un unico ente erogatore dei servizi  per
  il diritto allo studio - Attribuzione al  bilancio  di  detto  ente
  delle risorse del fondo integrativo statale per la  concessione  di
  borse  di  studio  -  Determinazione  del  fabbisogno   finanziario
  regionale    con    decreto    del    Ministro     dell'istruzione,
  dell'universita' e della ricerca, previo  parere  della  Conferenza
  Stato-Regioni - Attribuzione alla «Fondazione Articolo 34», sentita
  la Conferenza Stato-Regioni, dell'erogazione  di  borse  di  studio
  nazionali a studenti meritevoli e privi di mezzi.
- Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello  Stato
  per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il  triennio
  2017-2019), art. 1, commi 269, 270, 271, 272 e 275.

(GU n.18 del 2-5-2018 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,   Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO',
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi
269, 270, 271, 272 e 275,  della  legge  11  dicembre  2016,  n.  232
(Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2017  e
bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), promosso con ricorso
della Regione Veneto, notificato il 16 febbraio 2017,  depositato  in
cancelleria il 23 febbraio 2017 ed iscritto al  n.  19  del  registro
ricorsi 2017.
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 2018 il Giudice relatore
Giuliano Amato;
    uditi gli avvocati Luca Antonini e Andrea Manzi  per  la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il  Presidente
del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ricorso notificato il 16 febbraio 2017 e depositato il 23
febbraio 2017, la Regione Veneto ha  promosso,  in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 97, 117, terzo e quarto  comma,  118,  119  e  120  della
Costituzione, tra le altre, questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, commi 269, 270, 271, 272 e 275, della legge 11  dicembre
2016,  n.  232  (Bilancio  di  previsione  dello  Stato  per   l'anno
finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).
    1.1.- In primo luogo, la Regione Veneto impugna i commi 269,  270
e 272 dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016, i quali statuiscono:
    «269. Ai fini della gestione  delle  risorse  del  fondo  di  cui
all'articolo 18  del  decreto  legislativo  29  marzo  2012,  n.  68,
ciascuna regione razionalizza l'organizzazione degli  enti  erogatori
dei servizi per il diritto allo studio mediante l'istituzione,  entro
sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di  un
unico ente erogatore dei medesimi servizi,  prevedendo  comunque  una
rappresentanza degli studenti nei  relativi  organi  direttivi.  Sono
comunque  fatti  salvi  i  modelli  sperimentali  di  gestione  degli
interventi di cui all'articolo 12 del decreto  legislativo  29  marzo
2012, n. 68.
    270. La norma del comma 269 costituisce principio fondamentale di
coordinamento della finanza pubblica.
    272. Le risorse del  fondo  di  cui  all'articolo  18,  comma  1,
lettera a), del decreto  legislativo  29  marzo  2012,  n.  68,  sono
direttamente attribuite al bilancio dell'ente regionale erogatore dei
servizi per il diritto  allo  studio,  a  norma  del  comma  269  del
presente articolo, entro il 30 settembre di ciascun anno. Nelle  more
della razionalizzazione di cui al medesimo comma  269,  tali  risorse
sono comunque trasferite direttamente agli enti regionali  erogatori,
previa indicazione da  parte  di  ciascuna  regione  della  quota  da
trasferire a ciascuno di essi.».
    Tale disciplina sarebbe lesiva degli artt. 3, 5, 97, 117, terzo e
quarto comma, 118, 119 e 120 Cost.
    1.1.1.- La Regione Veneto sottolinea  che  la  qualificazione  di
principio di coordinamento della finanza pubblica della  disposizione
di cui al comma 269, operata dal comma  270,  non  assumerebbe  alcun
valore prescrittivo. Infatti, come piu'  volte  affermato  da  questa
Corte,  al  fine  d'individuare  la  materia  a  cui   ascrivere   le
disposizioni impugnate, non rileva la definizione data  dallo  stesso
legislatore, dovendosi  invece  fare  riferimento  all'oggetto  della
disciplina in questione (ex plurimis, sono richiamate le sentenze  n.
203, n. 200 e n. 164 del 2012, n. 182 del 2011, n. 247 del 2010 e  n.
237 del 2009).
    La disposizione di cui  al  comma  269,  alla  luce  della  ormai
costante  giurisprudenza  costituzionale  (tra  le   tante,   vengono
richiamate le sentenze n. 64 e n. 43 del 2016, n.  79  e  n.  44  del
2014, n. 236, n. 205 e n. 36 del 2013, n. 262, n. 211 e  n.  139  del
2012, n. 182 del 2011, n. 207 e n. 128 del 2010, n. 297, n. 237 e  n.
139 del 2009, n. 289, n. 159 e n. 120 del 2008 e n.  169  del  2007),
non   potrebbe   comunque   essere   inquadrata    all'interno    del
«coordinamento della finanza pubblica». Infatti, i limiti  posti  dal
legislatore statale al fine di garantire l'equilibrio complessivo dei
conti pubblici possono considerarsi rispettosi  dell'autonomia  delle
Regioni e degli enti  locali  solo  qualora  stabiliscano  un  limite
complessivo, che lasci agli enti stessi ampia liberta' di allocazione
delle risorse fra i diversi ambiti  e  obiettivi  di  spesa,  nonche'
quando abbiano il carattere della transitorieta'. Sarebbe necessario,
quindi, che il legislatore renda comunque possibile  l'estrapolazione
dalle disposizioni statali  di  principi  rispettosi  di  uno  spazio
aperto all'esercizio dell'autonomia regionale, non prevedendo in modo
esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento degli  obiettivi
di contenimento della spesa. In caso contrario, la norma statale  non
potrebbe   essere    ritenuta    di    principio,    a    prescindere
dall'auto-qualificazione operata dal legislatore.
    A  conferma  di  cio',  vengono  ricordate  le  misure   previste
dall'art. 9, commi da 1 a 6, del decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95
(Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del  settore  bancario),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, ove si prevedeva la
soppressione o l'accorpamento di enti, agenzie o organismi degli enti
territoriali. Tali disposizioni sono state ricondotte all'interno dei
principi  fondamentali  di  coordinamento  finanziario,  ma  soltanto
perche' limitate all'inderogabile risultato di una riduzione  del  20
per cento dei costi del funzionamento degli  enti  strumentali  degli
enti locali (cosi' la sentenza n. 236 del 2013). L'accorpamento o  la
soppressione di taluni di questi enti, pertanto,  poteva  essere  uno
strumento per ottenere tale riduzione, ma non l'unico strumento.
    Le disposizioni impugnate, in violazione degli artt.  117,  terzo
comma, e 119 Cost., invece, non  indicherebbero  alcun  obiettivo  di
contenimento della  spesa  regionale,  limitandosi  ad  una  generica
affermazione  circa  l'esigenza  di  razionalizzare  l'organizzazione
degli enti erogatori dei servizi per il diritto allo studio. Inoltre,
le stesse non avrebbero carattere transitorio, imponendo una modifica
definitiva all'assetto organizzativo di tali enti, senza lasciare uno
spazio di liberta' alle scelte delle Regioni, in virtu' del contenuto
strettamente  vincolante  dell'obbligo  di  creare  un   unico   ente
erogatore.
    1.1.2.- La disciplina statale sarebbe altresi' in contrasto con i
principi  di  ragionevolezza  e   di   buon   andamento   dell'azione
amministrativa,  di  cui  agli  artt.  3  e   97   Cost.,   incidendo
direttamente sulle competenze residuali delle Regioni in  materia  di
«organizzazione amministrativa regionale» e di «diritto allo  studio»
e ledendo cosi' gli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost.
    Non tenendo conto delle peculiarita' territoriali e delle diverse
modalita' di erogazione dei servizi, infatti, verrebbero  compromesse
l'efficacia,  l'efficienza  e  l'economicita'  dell'attuale   modello
organizzativo regionale, basato sulla necessita'  di  assicurare,  in
una realta' regionale policentrica, una distribuzione  capillare  dei
servizi di diritto allo studio all'interno del territorio.  Per  tali
ragioni, la Regione Veneto sottolinea di aver  gia'  manifestato,  in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni
e le Province autonome di Trento e di  Bolzano  (da  qui:  Conferenza
Stato-Regioni), la propria contrarieta' alla creazione  di  un  unico
ente, come risulta dal parere sul disegno di legge di bilancio del 17
novembre 2016.
    1.1.3.- Le disposizioni censurate, infine, sarebbero  illegittime
in quanto non  recherebbero  alcuna  forma  di  coinvolgimento  delle
Regioni, in violazione del principio di leale collaborazione  di  cui
agli artt. 5 e 120 Cost.
    Infatti,  in  ambiti  caratterizzati   da   una   pluralita'   di
competenze, qualora non risulti possibile  comporre  il  concorso  di
competenze statali e regionali mediante un  criterio  di  prevalenza,
l'intervento del legislatore statale deve avvenire nel  rispetto  del
principio di leale collaborazione, da ritenersi congruamente  attuato
mediante la previsione dell'intesa (ex plurimis, sono  richiamate  le
sentenze n. 21 e n. 1 del 2016, n. 44 del 2014, n. 237 del  2009,  n.
168 e n. 50 del 2008). Un'esigenza di coinvolgimento delle Regioni  e
degli enti locali riconosciuta, nella forma dell'intesa, anche  nella
diversa ipotesi della "attrazione in sussidiarieta'"  della  funzione
legislativa allo Stato (vengono richiamate in particolare la sentenza
n. 303 del 2003, nonche', tra le piu' recenti, le sentenze n.  251  e
n. 7 del 2016).
    1.2.- In secondo luogo, la ricorrente  impugna  l'art.  1,  comma
271, della legge n. 232 del 2016, che cosi' dispone:
    «271. Nelle more dell'emanazione del decreto di cui  all'articolo
7, comma 7, del decreto legislativo 29 marzo  2012,  n.  68,  e  allo
scopo di consentire che l'assegnazione delle risorse del fondo di cui
al  comma  268  del  presente   articolo   avvenga,   in   attuazione
dell'articolo 18, commi 1, lettera a),  e  3,  del  medesimo  decreto
legislativo n. 68 del 2012, in  misura  proporzionale  al  fabbisogno
finanziario   delle    regioni,    il    Ministro    dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca, con decreto emanato entro tre  mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con
il Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  previo  parere  della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento  e  di  Bolzano,  che  si  esprime  entro
sessanta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale [sic] il
decreto  puo'  essere  comunque  adottato,  determina  i   fabbisogni
finanziari regionali.».
    La disposizione  sarebbe  lesiva  dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost., e del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e
120  Cost.,  prevedendo  un  semplice  parere,  anziche'  un'apposita
intesa, riguardo al decreto che  determina  i  fabbisogni  finanziari
regionali in una competenza regionale residuale,  quale  il  «diritto
allo studio».
    1.2.1.-  Premette  la  parte  ricorrente  che,  riguardo  a  tale
materia, questa Corte, pur non avendo avuto l'occasione di esprimersi
direttamente sul relativo inquadramento, ne avrebbe  riconosciuto  la
pertinenza alla competenza  regionale  residuale  in  diversi  obiter
dicta (sono richiamate le sentenze n. 61 del 2011, n. 299  e  n.  134
del  2010).  Cio'  sarebbe  stato  confermato  anche   dallo   stesso
legislatore statale con il decreto legislativo 29 marzo 2012, n.  68,
recante «Revisione della normativa di principio in materia di diritto
allo studio e  valorizzazione  dei  collegi  universitari  legalmente
riconosciuti, in attuazione della delega  prevista  dall'articolo  5,
comma 1, lettere a), secondo periodo, e d), della legge  30  dicembre
2010, n. 240, e secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti al
comma 3, lettera f), e al  comma  6»,  che  ha  definito  un  sistema
integrato di  strumenti  e  servizi  in  cui  allo  Stato  spetta  la
determinazione dei livelli essenziali delle  prestazioni,  mentre  le
Regioni hanno la competenza in materia di  diritto  allo  studio  (in
particolare, art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 68 del 2012).
    Le  Regioni,  d'altronde,  insieme  alle  universita',  avrebbero
svolto funzioni attive in tale ambito gia' a partire dal decreto  del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione  della
delega di cui all'art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382). In base  a
tale assetto normativo, quindi,  la  legge  della  Regione  Veneto  7
aprile 1998, n. 8 (Norme per l'attuazione  del  diritto  allo  studio
universitario),  ha   disposto   che   gli   interventi   finalizzati
all'attuazione del diritto allo studio sono gestiti dalle tre aziende
regionali per il diritto allo studio  universitario,  prevedendo  che
l'erogazione  delle  borse  di  studio  possa  essere  affidata  alle
universita', previa stipula di apposita convenzione con la Regione.
    1.2.2.- Cio' premesso,  il  fondo  vincolato  statale  a  cui  si
riferisce la disposizione impugnata  e'  disciplinato  dall'art.  18,
comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 68 del 2012 e concorre, assieme al
gettito derivante dall'importo della tassa regionale per  il  diritto
allo studio e alle risorse proprie delle Regioni, alla copertura  del
fabbisogno finanziario necessario  affinche'  queste  ultime  possano
garantire  l'erogazione  delle  borse   di   studio   agli   studenti
universitari in possesso dei  relativi  requisiti.  I  criteri  e  le
modalita' di riparto di tale fondo sono definiti con un  decreto  del
Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'  e  della  ricerca,   di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa  con
la Conferenza Stato-Regioni, sentito  il  Consiglio  nazionale  degli
studenti  universitari.   Il   medesimo   decreto   interministeriale
(aggiornato con cadenza triennale) individua  anche  l'importo  delle
borse di studio, nonche' i requisiti di eleggibilita'  per  l'accesso
alle stesse.
    Siffatto decreto, nondimeno, non risulterebbe ad oggi  emanato  e
l'ultimo riparto delle  risorse  del  fondo,  relativo  alle  risorse
disponibili nel 2015,  sarebbe  stato  operato  con  il  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2016, sulla base dei
criteri di cui all'art. 16 del decreto del Presidente  del  Consiglio
dei ministri 9 aprile 2001 e dei dati trasmessi dalle Regioni.
    Il comma 271 dell'art. 1 della legge n.  232  del  2016,  dunque,
introdurrebbe una disposizione di fatto elusiva e contraddittoria del
coerente percorso previsto dal d.lgs. n. 68 del 2012, il  quale,  per
giungere ad una definizione del fabbisogno finanziario delle  Regioni
rispettosa della relativa autonomia,  aveva  previsto  la  necessaria
intesa per la definizione dell'importo della borsa e  dei  criteri  e
delle modalita' di riparto del fondo integrativo statale.
    Questa  Corte,  del  resto,   avrebbe   piu'   volte   dichiarato
costituzionalmente illegittime  disposizioni  che  disciplinavano  il
riparto o la riduzione di fondi e  trasferimenti  destinati  ad  enti
territoriali, nella misura in cui, rinviando a  fonti  secondarie  di
attuazione, non prevedevano "a monte" lo strumento  dell'intesa,  sia
nei  casi  d'intreccio  di  materie   riconducibili   alla   potesta'
legislativa statale e regionale, sia in quelli d'interferenza con  la
potesta'  legislativa  regionale  residuale  (tra  le   tante,   sono
richiamate le sentenze n. 211 e n. 147 del 2016, n. 273, n. 182 e  n.
117 del 2013, n. 27 del 2010, n. 168 del 2008 e  n.  222  del  2005).
Inoltre, come recentemente statuito nella sentenza n.  251  del  2016
«[i]l  parere  come  strumento  di  coinvolgimento  delle   autonomie
regionali e locali non puo' non misurarsi con  la  giurisprudenza  di
questa Corte che, nel corso degli anni, ha sempre piu' valorizzato la
leale collaborazione quale principio guida nell'evenienza, rivelatasi
molto frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze  e
ha  ravvisato  nell'intesa  la  soluzione  che  meglio   incarna   la
collaborazione (di recente, sentenze n. 21 e n. l del 2016)».
    1.3.- Da ultimo, la Regione Veneto  ha  impugnato  il  comma  275
dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016, ove si prevede:
    «275. Entro il 30 aprile di ogni anno,  la  "Fondazione  Articolo
34", sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  bandisce
almeno 400 borse di studio nazionali, ciascuna del valore  di  15.000
euro annuali, destinate a studenti  capaci,  meritevoli  e  privi  di
mezzi, al fine di favorirne l'immatricolazione e la frequenza a corsi
di laurea o di laurea magistrale a  ciclo  unico,  nelle  universita'
statali, o  a  corsi  di  diploma  accademico  di  I  livello,  nelle
istituzioni  statali  dell'alta  formazione  artistica,  musicale   e
coreutica, aventi sedi anche differenti  dalla  residenza  anagrafica
del nucleo familiare dello studente.».
    La disposizione impugnata introduce forme di sostegno al  diritto
allo studio, affidando l'erogazione di borse di studio nazionali alla
«Fondazione Articolo 34», prevista dal precedente comma  273  -  gia'
«Fondazione  per  il  Merito»,  di  cui  all'art.  9,  comma  3,  del
decreto-legge 13  maggio  2011,  n.  70  (Semestre  Europeo  -  Prime
disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con  modificazioni,
nella legge 12 luglio 2011, n. 106 - istituita per  la  realizzazione
degli obiettivi di interesse pubblico del Fondo per il merito di  cui
all'art. 4, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di
organizzazione  delle  universita',   di   personale   accademico   e
reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e
l'efficienza  del  sistema  universitario),  nonche'  allo  scopo  di
promuovere la cultura del merito e della qualita' degli apprendimenti
nel sistema scolastico e nel sistema universitario.
    1.3.1.-  Secondo  la  ricorrente,  indicando  che  sia  solamente
sentita  la  Conferenza  Stato-Regioni,  la  disposizione   censurata
violerebbe gli artt. 117, quarto comma,  e  119,  Cost.,  nonche'  il
principio di leale collaborazione di cui agli artt.  5  e  120  Cost.
Trattandosi di un intervento rientrante nella materia  di  competenza
residuale regionale concernente il «diritto allo studio», infatti, la
disciplina  delle   relative   modalita'   di   erogazione   dovrebbe
necessariamente stabilire una sede adeguata di  coinvolgimento  delle
Regioni, segnatamente nella forma dell'intesa. D'altronde, misure  di
questo tipo sarebbero gia' state adottate dal legislatore, prevedendo
appunto lo strumento dell'intesa (come per il Piano nazionale per  il
merito di cui all'art. 59 del decreto-legge 21 giugno  2013,  n.  69,
recante  «Disposizioni  urgenti  per  il   rilancio   dell'economia»,
convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98).
    La  lesione  delle  attribuzioni  regionali,  peraltro,   sarebbe
aggravata da quanto previsto dal successivo comma  283,  secondo  cui
gli studenti percettori di tale borsa nazionale  sono  esonerati  dal
pagamento della tassa  regionale  per  il  diritto  allo  studio.  Il
gettito derivante  dalla  riscossione  di  tale  tassa,  infatti,  e'
interamente devoluto all'erogazione delle borse di  studio  regionali
(art. 3, comma 23, della legge 28  dicembre  1995,  n.  549,  recante
«Misure di razionalizzazione della finanza pubblica»). La  previsione
di qualsiasi forma di esonero inciderebbe,  quindi,  sulla  copertura
del fabbisogno finanziario delle  Regioni  necessario  per  garantire
l'erogazione  delle  borse  stesse,  comportando  di  conseguenza  un
aggravio sul bilancio regionale.  A  maggior  ragione,  pertanto,  la
disposizione impugnata dovrebbe  prevedere  il  coinvolgimento  delle
Regioni nella forma dell'intesa.
    2.- Con atto depositato il 28 marzo 2017,  si  e'  costituito  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo  che  il
ricorso promosso dalla Regione Veneto sia  dichiarato  infondato.  Le
relative argomentazioni, per gli aspetti qui  in  esame,  sono  state
illustrate  soltanto   nella   successiva   memoria   depositata   in
prossimita' dell'udienza.
    2.1.- Con riferimento alla prima questione promossa  dalla  parte
ricorrente, la creazione di un unico ente regionale  risponderebbe  a
diverse esigenze, non solo di coordinamento della finanza pubblica  e
di contenimento e razionalizzazione della spesa, essendo  finalizzata
a garantire l'effettiva  erogazione  delle  borse  e  a  tutelare  il
diritto  allo  studio  in  maniera  uniforme  sull'intero  territorio
nazionale, salvaguardando gli studenti capaci e meritevoli, anche  se
privi di mezzi, nel rispetto dell'art. 34 Cost.
    2.1.1.- Nel dettaglio, dovrebbe ritenersi  infondata  la  censura
relativa alla violazione del riparto  di  competenze  in  materia  di
«organizzazione  amministrativa  regionale».  Infatti,  l'ordinamento
degli uffici e degli enti amministrativi  dipendenti  dalla  Regione,
pur  essendo  materia  riconducibile  al  novero   delle   competenze
regionali residuali, incontrerebbe  il  limite  dell'esercizio  della
potesta'  legislativa  statale  sul  «coordinamento   della   finanza
pubblica», dal momento che lo Stato  potrebbe  imporre  alle  Regioni
prescrizioni  organizzative  connesse  ad  esigenze   di   equilibrio
complessivo della  finanza  pubblica  e  al  rispetto  del  patto  di
stabilita' interno e comunitario.
    La giurisprudenza costituzionale, anche in  considerazione  della
situazione di eccezionale gravita' del contesto finanziario,  avrebbe
fornito  una  lettura  estensiva  delle   norme   di   principio   di
coordinamento  finanziario,  che  potrebbero  recare  anche   vincoli
specifici per il contenimento della spesa delle Regioni e degli  enti
locali (sono richiamate le sentenze n. 52 del 2010, n. 237 del 2009 e
n. 417 del 2005). Cosi', ad esempio, per le riduzioni  di  spesa  per
incarichi di studio e consulenza (e' richiamata la sentenza n 262 del
2012), per l'obbligo di soppressione o accorpamento  da  parte  degli
enti locali di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e
funzioni loro conferite (e' richiamata la sentenza n. 236 del  2013),
per la determinazione del numero massimo di consiglieri  e  assessori
regionali e per la riduzione degli emolumenti dei  consiglieri  (sono
citate le sentenze n. 23 del 2014 e n. 198  del  2012).  Inoltre,  la
specificita' delle prescrizioni, di per se', non farebbe escludere il
carattere di principio di una norma, qualora essa risulti  legata  al
principio stesso da un evidente  rapporto  di  coessenzialita'  e  di
necessaria integrazione (sono richiamate le sentenze n. 237 del  2009
e n. 430 del 2007). Infine, nella dinamica dei rapporti tra  Stato  e
Regioni, la stessa nozione di  principio  fondamentale  non  potrebbe
essere cristallizzata in una  formula  valida  in  ogni  circostanza,
dovendo tenere conto del contesto  e  del  momento  congiunturale  in
relazione ai quali l'accertamento va compiuto  e  della  peculiarita'
della materia (e' citata la sentenza n. 16 del 2010).
    2.1.2.- Quanto alla violazione  della  competenza  regionale  sul
«diritto allo studio universitario», la difesa  statale  precisa  che
tale materia non compare  ne'  tra  quelle  di  esclusiva  competenza
statale, ne' tra quelle di  competenza  concorrente;  la  qual  cosa,
com'e' noto, non ne comporterebbe pero' l'attribuzione alla  potesta'
residuale delle Regioni.
    Il diritto  allo  studio,  previsto  dai  commi  terzo  e  quarto
dell'art. 34 Cost., sarebbe  un  diritto  sociale,  di  cui  dovrebbe
essere garantito  un  determinato  livello  di  tutela  su  tutto  il
territorio nazionale. Esso rappresenterebbe, dunque, un  settore  sul
quale s'innesta, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera  m),
Cost., quel limite  alle  competenze  regionali  rappresentato  dalla
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni  concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti  su  tutto  il
territorio nazionale». E, a tal proposito, proprio il  d.lgs.  n.  68
del 2012 prevede, all'art. 3,  comma  2,  che  «[f]erma  restando  la
competenza esclusiva dello Stato in  materia  di  determinazione  dei
LEP, al fine di garantirne l'uniformita' e l'esigibilita' su tutto il
territorio nazionale, le regioni esercitano la  competenza  esclusiva
in materia di diritto allo  studio,  disciplinando  e  attivando  gli
interventi volti a rimuovere  gli  ostacoli  di  ordine  economico  e
sociale per il concreto esercizio di tale diritto.  Le  regioni,  nei
limiti delle proprie disponibilita' di bilancio, possono integrare la
gamma degli strumenti e dei servizi di cui all'articolo 6.».
    L'intervento del  legislatore  statale,  dunque,  potrebbe  anche
essere ricondotto alla determinazione dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni, di  esclusiva  competenza  dello  Stato,  provvedendo  a
garantire livelli minimi di uniformita' di trattamento ed omogeneita'
di una serie  di  strutture  che  rivestono  carattere  assolutamente
primario sul piano dei diritti dell'individuo e, in  particolare  del
diritto allo studio universitario.  In  relazione  a  tale  potesta',
quindi, sarebbe irrilevante l'invocazione di competenze regionali.
    2.2.- Riguardo alla questione relativa  all'art.  l,  comma  271,
della legge n. 232 del 2016, la difesa  statale  asserisce  che  tale
disposizione  non  recherebbe  alcuna  violazione  delle   competenze
regionali, essendo la definizione  dei  fabbisogni  finanziari  delle
Regioni  strettamente  connessa  alla  determinazione   dei   livelli
essenziali delle prestazioni,  materia  rientrante  nella  competenza
legislativa  statale.  Pertanto,  la  previsione  del  parere   della
Conferenza Stato-Regioni costituirebbe un  sufficiente  strumento  di
raccordo tra lo Stato e la Regione.
    2.3.- Infine, con riferimento all'art. l, comma 275, della  legge
n. 232 del 2016, la parte resistente afferma che,  riconducendosi  la
disposizione impugnata anche in tal caso alla definizione dei livelli
essenziali  delle  prestazioni,  la  previsione  del   parere   della
Conferenza  Stato-Regioni  dovrebbe  ritenersi  un'idonea  forma   di
coinvolgimento delle Regioni.
    3.-  Con  memoria  depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  la
Regione  Veneto   ha   ribadito   le   argomentazioni   del   ricorso
introduttivo, nonche' replicato alle difese dell'Avvocatura  generale
dello Stato, anche alla luce dei piu' recenti sviluppi normativi.
    3.1.- Riguardo alla  prima  questione,  la  ricorrente  ribadisce
l'illegittimita' della previsione in capo alla  Regioni  dell'obbligo
di istituire un unico ente regionale  per  l'erogazione  del  diritto
allo studio.
    3.1.1.- In primo luogo, infatti,  non  potrebbe  ritenersi,  come
sostiene la difesa statale, che la misura sia finalizzata, o comunque
idonea, a garantire livelli essenziali delle prestazioni, poiche' non
vi sarebbe alcun  rapporto  di  consequenzialita'  tra  l'obbligo  di
accorpamento  regionale  e  la  determinazione  dei   livelli   delle
prestazioni.    L'individuazione    degli    standard     strutturali
organizzativi e qualitativi degli enti operanti nel campo dei servizi
educativi e di istruzione - quali quelli  di  cui  alle  disposizioni
impugnate - sarebbe, invece, di esclusiva competenza del  legislatore
regionale,  limitandosi  ad  incidere  sull'assetto  organizzativo  e
gestorio di tali enti (sono richiamate le sentenze n. 284 del 2016  e
n. 120 del 2005).
    3.1.2.-  In  secondo  luogo,  il  modello  organizzativo  sarebbe
strategicamente speculare alla conformazione  delle  Universita'  del
Veneto - a cui e'  attribuita  la  gestione  delle  borse  di  studio
regionali per gli  studenti  iscritti  alle  stesse  -  poiche'  ogni
Azienda regionale per il diritto allo studio universitario  (ESU)  e'
ubicata in corrispondenza della  sede  universitaria  di  riferimento
(Padova, Venezia e Verona).
    L'istituzione di un unico ente  per  il  diritto  allo  studio  a
livello  regionale,  pertanto,  rischierebbe   di   travolgere   tale
impostazione e di dissipare il know-how  di  gestione  aziendale  del
Veneto, nonche' di compromettere la  presenza  degli  studenti  negli
organi di  governo  in  un  numero  significativo,  come  attualmente
previsto nei consigli di amministrazione degli enti erogatori.
    L'irragionevolezza dell'accorpamento, inoltre, sarebbe rafforzata
dal  fatto  che  gli  enti   attualmente   operanti   presenterebbero
caratteristiche ottimali sotto il profilo organizzativo,  gestorio  e
finanziario,  mantenendo  un  elevatissimo  livello  qualitativo  dei
servizi di diritto allo studio  in  tutto  il  territorio  regionale,
nonche' l'equilibrio di bilancio, nonostante i  vincoli  imposti  dal
legislatore  statale  (fra  cui  quello  relativo  al  blocco   delle
assunzioni) e la riduzione del 20 per cento del contributo  regionale
di funzionamento, di cui all'art. 20 della legge della Regione Veneto
21 dicembre 2012, n. 47 (Disposizioni per la riduzione e il controllo
delle spese per il  funzionamento  delle  istituzioni  regionali,  in
recepimento e attuazione del decreto-legge 10 ottobre  2012,  n.  174
"Disposizioni urgenti in materia di  finanza  e  funzionamento  degli
enti territoriali, nonche' ulteriori  disposizioni  in  favore  delle
zone terremotate nel maggio 2012", convertito con modificazioni dalla
legge 7 dicembre 2012, n. 213 e istituzione e disciplina del Collegio
dei revisori dei conti della Regione del Veneto).
    Andrebbe  altresi'   considerato   che   neppure   si   avrebbero
significativi  risparmi  di  spesa.  La   necessita'   di   mantenere
un'elevata qualita' dei servizi in  tutto  il  territorio  regionale,
infatti, farebbe si' che le principali  voci  di  costo  relative  al
funzionamento    di    tali    enti    -    personale,    patrimonio,
approvvigionamenti - rimarrebbero sostanzialmente invariate.  L'unica
eventuale e limitata  riduzione  di  costi  potrebbe  derivare  dalla
creazione di un'unica direzione  regionale,  che  sarebbe  almeno  in
parte compensata dall'aumento del trattamento economico associato  ai
ruoli apicali, necessario in considerazione del  maggiore  carico  di
responsabilita' sugli stessi gravante. Inoltre, la  creazione  di  un
unico  ente  comporterebbe  la  necessita'  d'individuare  una  nuova
struttura dedicata, al momento non disponibile, con le relative spese
per gli uffici istituzionali, che  andrebbero  a  sommarsi  a  quelle
degli attuali uffici periferici facenti capo agli enti preesistenti.
    3.1.3.- Da ultimo, con riferimento alla lesione del principio  di
leale  collaborazione,  la  parte  ricorrente  richiama  la   recente
sentenza  n.  261  del  2017,  che  ha  ritenuto   l'intervento   del
legislatore statale  volto  a  ridurre  il  numero  delle  camere  di
commercio,   mediante   l'accorpamento   di   quelle    preesistenti,
giustificato dalla  finalita'  di  realizzare  una  razionalizzazione
organizzativa di tali enti e di perseguire  una  maggiore  efficienza
nello svolgimento della loro attivita'. Tuttavia, incidendo anche  su
competenze  regionali,  si  e'  ivi  affermata  la  necessita'  della
previsione di strumenti tesi  al  rispetto  del  principio  di  leale
collaborazione, da individuarsi nell'intesa  in  sede  di  Conferenza
Stato-Regioni.
    3.2.- Per quanto concerne la questione relativa all'art. l, comma
271, della legge n. 232 del 2016,  in  via  preliminare,  la  Regione
Veneto  ricorda  che,  in  data   11   ottobre   2017,   il   decreto
interministeriale previsto  dalla  disposizione  impugnata  e'  stato
adottato, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni  (sancita  il
27 luglio 2017). Intesa che, come risulta dal preambolo del  decreto,
e' stata ritenuta comunque "opportuna".
    L'attuazione della disposizione mediante intesa non  escluderebbe
la permanenza dell'interesse  a  ricorrere  (e,  anzi,  confermerebbe
ulteriormente i dubbi di legittimita'), poiche'  il  comma  271,  pur
avendo natura transitoria (intervenendo nelle more dell'adozione  del
decreto di cui all'art. 7, comma 7, del d.lgs. n. 68 del  2012),  non
avrebbe  effetti  limitati   nel   tempo   (e   lo   stesso   decreto
interministeriale ha vigenza triennale). Pertanto,  sino  alla  piena
attuazione del d.lgs. n.  68  del  2012,  la  disposizione  impugnata
potrebbe ancora produrre effetti. Inoltre, come piu'  volte  ribadito
da questa Corte, «l'intesa in Conferenza  unificata  non  provoca  la
cessazione  della  materia  del  contendere,   poiche'   un'eventuale
pronuncia di accoglimento  potrebbe  comunque  "reintegrare  l'ordine
costituzionale  asseritamente  violato,  venendo   a   cadere   sulla
previsione normativa che ha costituito la causa  dell'intesa  stessa"
(sentenza n. 40 del 2010; nello stesso  senso,  sentenza  n.  98  del
2007; nonche', nel senso della persistenza dell'interesse a ricorrere
a seguito di intesa, sentenza n. 141 del 2016)» (sentenza n. 125  del
2017).
    Nel merito, non potrebbe accogliersi la tesi,  prospettata  dalla
difesa statale, secondo cui la definizione dei fabbisogni  finanziari
regionali  sarebbe  strettamente  connessa  alla  determinazione  dei
livelli  essenziali  delle  prestazioni,  di   competenza   esclusiva
statale.
    Tale  titolo  di   legittimazione,   infatti,   atterrebbe   alla
fissazione del livello strutturale e  qualitativo  delle  prestazioni
(sentenza n. 192 del 2017), rappresentando degli standard  minimi  da
assicurare in modo uniforme su tutto  il  territorio  nazionale.  Con
specifico riferimento ai  livelli  essenziali  delle  prestazioni  in
sanita'  (LEA),  questa  Corte  ha  affermato  che  la  deroga   alla
competenza legislativa delle Regioni  «e'  ammessa  solo  nei  limiti
necessari ad evitare che, in  parti  del  territorio  nazionale,  gli
utenti debbano assoggettarsi ad un  regime  di  assistenza  sanitaria
inferiore, per quantita' e qualita', a  quello  ritenuto  intangibile
dallo Stato (sentenza n. 207 del 2010)» (sentenza n. 125  del  2015).
Inoltre, anche se  la  determinazione  dei  LEA  e'  un  obbligo  del
legislatore statale, la  sua  proiezione  in  termini  di  fabbisogno
regionale coinvolgerebbe  necessariamente  le  Regioni  «per  cui  la
fisiologica dialettica tra questi  soggetti  deve  essere  improntata
alla leale collaborazione» (sentenza n. 169 del 2017). E lo strumento
che meglio  garantirebbe  il  coinvolgimento  delle  Regioni  sarebbe
l'intesa  in  sede  di  Conferenza  Stato-Regioni  (ex  multis,  sono
richiamate le sentenze n. 297 del 2012 e n. 134 del 2006).
    3.3.- Infine, riguardo all'art. 1, comma 275, della legge n.  232
del 2016, la parte  ricorrente  sottolinea  che  il  procedimento  di
attuazione di tale disposizione  non  sarebbe  nemmeno  iniziato.  Il
comma 288 dell'art. l della legge n. 232 del 2016, infatti, in attesa
del  raggiungimento  della  piena  operativita'   della   «Fondazione
Articolo  34»,  prevedeva   l'istituzione,   mediante   decreto   del
Presidente del Consiglio dei ministri,  di  una  «cabina  di  regia»,
incaricata di attivare le procedure relative all'emanazione del bando
per l'assegnazione delle borse. Tale atto non sarebbe stato  adottato
e la stessa fondazione non risulterebbe ancora costituita.
    Cio', tuttavia, non farebbe venir meno  l'interesse  a  ricorrere
della Regione,  in  quanto  la  disposizione  censurata  non  avrebbe
un'applicazione limitata nel tempo.

                       Considerato in diritto

    1.- La Regione  Veneto  ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale di diverse disposizioni della legge 11 dicembre  2016,
n. 232 (Bilancio di previsione dello  Stato  per  l'anno  finanziario
2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).
    L'esame di questa Corte e' qui limitato alle  questioni  relative
all'art. 1, commi 269, 270, 271, 272 e  275,  della  suddetta  legge,
promosse in riferimento agli artt. 3, 5,  97,  117,  terzo  e  quarto
comma, 118, 119  e  120  della  Costituzione,  restando  riservata  a
separate  pronunce  la  decisione  delle   ulteriori   questioni   di
legittimita' costituzionale promosse dalla ricorrente.
    1.1.- Un primo gruppo di questioni concerne l'art. 1, commi  269,
270 e 272, della legge n. 232 del 2016, ove si  stabilisce  che,  per
finalita' di  «coordinamento  della  finanza  pubblica»,  le  Regioni
provvedano a creare, entro sei  mesi  dall'entrata  in  vigore  della
stessa legge, un unico ente adibito all'erogazione dei servizi per il
diritto allo studio,  al  bilancio  del  quale  vengano  direttamente
attribuite  le  risorse  del  fondo  integrativo   statale   per   la
concessione di borse  di  studio  di  cui  all'art.  18  del  decreto
legislativo 29 marzo 2012, n. 68, recante «Revisione della  normativa
di principio in materia di diritto allo studio e  valorizzazione  dei
collegi universitari legalmente  riconosciuti,  in  attuazione  della
delega  prevista  dall'articolo  5,  comma  1,  lettere  a),  secondo
periodo, e d), della legge 30 dicembre 2010,  n.  240,  e  secondo  i
principi e i criteri direttivi stabiliti al comma 3, lettera f), e al
comma 6».
    Secondo la Regione Veneto, le disposizioni impugnate violerebbero
gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., poiche' non si limiterebbero
a fissare un limite complessivo di spesa ne'  obiettivi  generali  di
risparmio, ma introdurrebbero una  precisa  norma  di  dettaglio.  Le
disposizioni sarebbero  altresi'  in  contrasto  con  i  principi  di
ragionevolezza e di buon andamento dell'azione amministrativa, di cui
agli artt. 3 e 97  Cost.,  incidendo  direttamente  sulle  competenze
residuali delle Regioni in materia di «organizzazione  amministrativa
regionale» e di «diritto allo studio», violando cosi' anche gli artt.
117, quarto comma, e 118 Cost. Da ultimo, verrebbe altresi'  leso  il
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost, non
essendo prevista alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni.
    1.2.- Una seconda questione riguarda l'art. 1, comma  271,  della
legge n. 232 del 2016, che, ai fini del  riparto  delle  risorse  del
fondo integrativo statale per la  concessione  di  borse  di  studio,
prevede che i fabbisogni finanziari regionali siano  determinati  con
decreto  del  Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'  e   della
ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e  delle  finanze,
previo parere della Conferenza  permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di  Bolzano  (da
qui: Conferenza Stato-Regioni).
    Asserisce la parte ricorrente che la disposizione sarebbe  lesiva
dell'art.  117,  quarto  comma,  Cost.  e  del  principio  di   leale
collaborazione, poiche', pur intervenendo su una competenza regionale
residuale, quale il «diritto allo studio»,  prevedrebbe  un  semplice
parere, anziche' un'apposita intesa,  sul  decreto  interministeriale
che determina i fabbisogni finanziari regionali.
    1.3.- Un'ultima questione e' promossa in  relazione  all'art.  1,
comma 275, della legge n. 232 del 2016, che  affida  l'erogazione  di
borse di studio nazionali alla «Fondazione Articolo 34», prevista  al
precedente comma  273,  gia'  «Fondazione  per  il  merito»,  di  cui
all'art. 9,  comma  3,  del  decreto-legge  13  maggio  2011,  n.  70
(Semestre Europeo  -  Prime  disposizioni  urgenti  per  l'economia),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106.
    La disposizione censurata lederebbe gli artt. 117, quarto  comma,
e 119 Cost., nonche' il principio di leale  collaborazione,  poiche',
la disciplina delle modalita' di erogazione dovrebbe  necessariamente
prevedere un  adeguato  coinvolgimento  delle  Regioni,  segnatamente
nella forma dell'intesa.
    2.- Si e' costituito il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha concluso per la non fondatezza del ricorso.
    2.1.- In particolare, con riferimento alla  prima  questione,  la
creazione di un unico ente regionale di erogazione dei servizi per il
diritto allo studio risponderebbe ad esigenze di coordinamento  della
finanza pubblica e di contenimento e razionalizzazione  della  spesa,
in conformita' agli artt. 117, terzo comma,  e  119,  Cost.,  nonche'
alla necessita' di garantire l'effettiva erogazione delle borse  e  a
tutelare il diritto  allo  studio  in  maniera  uniforme  sull'intero
territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
m), Cost.
    2.2.- Riguardo alla seconda questione, invece, la previsione  del
parere della Conferenza Stato-Regioni  costituirebbe  un  sufficiente
strumento di raccordo, tenuto conto che la definizione dei fabbisogni
finanziari  delle  Regioni   sarebbe   strettamente   connessa   alla
determinazione dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni,  materia
ascritta alla competenza legislativa esclusiva statale.
    2.3.- Infine,  in  relazione  alla  terza  questione,  rientrando
l'erogazione di borse  di  studio  nazionali  nella  definizione  dei
livelli essenziali delle prestazioni, la previsione del parere  della
Conferenza Stato-Regioni dovrebbe ritenersi un sufficiente  strumento
di raccordo tra lo Stato e le Regioni.
    3.- Le questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
commi 269, 270 e 272, della legge n. 232 del 2016, sono fondate.
    3.1.- Le disposizioni impugnate pongono un obbligo assai puntuale
in capo alle Regioni, tenute ad organizzare il sistema di  erogazione
dei servizi di diritto allo studio attraverso un  unico  ente,  salvo
poter accedere ai modelli sperimentali di gestione previsti dall'art.
12 del d.lgs.  n.  68  del  2012.  L'intervento  legislativo  incide,
pertanto, su ambiti in cui puo' esercitarsi la competenza legislativa
regionale,  quali  l'«organizzazione  amministrativa  della  Regione»
(sentenze n. 293 del 2012, n. 95 del 2008 e n. 387  del  2007)  e  il
«diritto allo studio» (sentenze n. 2 del 2013, n. 61 del 2011, n. 299
e n. 134 del 2010, n. 50 del 2008, n. 300 e n. 33 del 2005).
    Il comma 270 definisce il vincolo posto dal  legislatore  statale
quale principio di coordinamento della  finanza  pubblica,  idoneo  a
giustificare la compressione dell'autonomia  regionale.  Come  questa
Corte ha gia' avuto modo di affermare, tuttavia, l'autoqualificazione
legislativa non  e'  vincolante  e,  quindi,  al  fine  d'individuare
l'ambito di competenza su cui incidono le disposizioni «occorre  fare
riferimento all'oggetto e alla  disciplina  delle  medesime,  tenendo
conto della  loro  ratio  e  tralasciando  gli  effetti  marginali  e
riflessi, in guisa da identificare  correttamente  anche  l'interesse
tutelato» (sentenza n. 203 del  2012;  nello  stesso  senso,  tra  le
tante, sentenze n. 125 del 2017, n. 188 e n. 39 del 2014, n. 182  del
2011, n. 207 del 2010, n. 237 del 2009 e n. 169 del 2007).
    Secondo tale  giurisprudenza,  inoltre,  lo  Stato  puo'  imporre
limitazioni all'autonomia di spesa degli enti, purche'  preveda  solo
un limite complessivo, anche se non generale, della spesa corrente  -
lasciando alle Regioni liberta' di allocazione delle  risorse  tra  i
diversi ambiti ed obiettivi di spesa  -  e  le  suddette  limitazioni
abbiano il carattere della transitorieta' (ex plurimis,  sentenze  n.
43 del 2016, n. 156 del 2015, n. 23 del 2014, n. 236 del 2013, n. 139
del 2012, n. 159 del 2008, n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004).
    E' ben vero  che  questa  Corte  ha  talvolta  dato  una  lettura
estensiva dei principi di coordinamento finanziario, a cui sono state
ricondotte anche talune  misure  recanti  vincoli  specifici  per  il
contenimento della spesa delle Regioni e degli enti  locali,  sovente
in  virtu'  del  rapporto  di   coessenzialita'   e   di   necessaria
integrazione con i principi fondamentali. E'  il  caso,  ad  esempio,
delle misure di  razionalizzazione,  anche  mediante  soppressione  o
accorpamento, di enti e agenzie (sentenza n. 236 del  2013)  o  degli
interventi per la riduzione delle Comunita' montane (sentenza n.  237
del 2009). Tuttavia, si trattava pur sempre di  misure  che,  sebbene
potessero portare anche alla soppressione  o  fusione  di  enti,  non
stabilivano  direttamente  il  mezzo  attraverso  cui  conseguire  il
risultato, limitandosi a fissare soglie ed obiettivi di riduzione  di
costi,  nonche'  a  prevedere  indicatori  in  base  a  cui  adottare
interventi di riordino. Inoltre, anche quando le  competenze  statali
prevedevano   interventi   tesi   alla   razionalizzazione   mediante
soppressione di enti,  come  nel  caso  delle  camere  di  commercio,
l'intreccio  con  le  competenze  regionali   comportava   che   tali
interventi fossero realizzati mediante procedure  concertate  con  le
Regioni (sentenza n. 261 del 2017).
    Nel caso di specie, invece,  richiamando  generiche  esigenze  di
razionalizzazione organizzativa, lo Stato ha previsto (e non  in  via
transitoria) direttamente il modello organizzativo e gestorio  a  cui
le Regioni sono tenute ad adeguarsi, cioe' l'erogazione  dei  servizi
di diritto allo studio attraverso un unico ente.  Si  tratta  di  una
previsione puntuale e specifica, che  non  lascia  alcun  margine  di
attuazione alle  stesse  Regioni  (se  non  riguardo  alla  struttura
organizzativa dell'ente), ne' si presenta  coessenziale  all'esigenza
di razionalizzare  l'erogazione  dei  servizi  per  il  diritto  allo
studio, esulando in tal modo dalla competenza  statale  attinente  ai
principi di coordinamento della finanza pubblica.
    3.2.-  Con  particolare  riferimento  al  diritto  allo   studio,
trattandosi  di  un  diritto  sociale,  non  c'e'  dubbio  che   esso
costituisca uno degli ambiti in  cui  lo  Stato  puo'  esercitare  la
competenza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m). Lo  stesso
d.lgs. n. 68 del 2012, d'altronde, prevede un  sistema  integrato  di
strumenti e servizi, in cui allo Stato spetta la  determinazione  dei
livelli essenziali delle prestazioni, mentre alle  Regioni  competono
la disciplina e l'attivazione degli interventi volti a rimuovere  gli
ostacoli di ordine economico e sociale per il concreto  esercizio  di
tale diritto, tra cui l'erogazione delle borse di studio.
    Tuttavia, a differenza di quanto asserito dalla  difesa  statale,
deve escludersi che le disposizioni impugnate siano ascrivibili  alla
potesta' di cui all'art. 117, secondo  comma,  lettera  m).  Siffatto
parametro costituzionale,  infatti,  puo'  essere  invocato  solo  in
relazione a specifiche  prestazioni  delle  quali  le  norme  statali
definiscono  il  livello  essenziale  di  erogazione  (ex   plurimis,
sentenze n. 10 del 2010, n. 328 del 2006, n. 285 e n. 120 del 2005  e
n. 423 del 2004). In  particolare,  non  possono  ricondursi  a  tale
titolo di legittimazione  quelle  disposizioni  che  non  determinano
alcun livello di prestazione, ma incidono  direttamente  sull'assetto
organizzativo e gestorio demandato alla  potesta'  legislativa  delle
Regioni,  alle  quali   compete   l'individuazione   degli   standard
organizzativi e qualitativi degli enti operanti nel campo dei servizi
educativi e di istruzione (sentenze n. 284 del  2016  e  n.  120  del
2005).
    Nel caso di specie, le disposizioni impugnate  non  provvedono  a
fissare alcun  livello  o  standard  delle  prestazioni,  stabilendo,
invece, una determinata forma organizzativa per  l'erogazione  di  un
diritto  sociale.  La  qual  cosa,  come  sottolineato,  esula  dalla
potesta' esclusiva statale in esame.
    3.3.- Deve pertanto dichiararsi  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, commi 269, 270 e 272, della legge n. 232 del  2016,  per
violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e  119  Cost.,  con
assorbimento delle ulteriori censure.
    4.-  E'   altresi'   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale relativa all'art. 1, comma 271, della legge n. 232 del
2016.
    4.1.-  In  via  preliminare,  va   precisato   che   il   decreto
interministeriale di cui al comma 271 e' stato adottato  in  data  11
ottobre 2017, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni  (sancita
il 27 luglio  2017),  sebbene  la  disposizione  di  legge  impugnata
preveda il mero parere. Come risulta dalle  premesse  di  tale  atto,
infatti, l'intesa  e'  stata  ritenuta  comunque  "opportuna".  Cio',
tuttavia, non fa venir meno l'interesse  a  ricorrere  della  Regione
Veneto,  ne'  incide  sulla  materia  del  contendere,   poiche'   la
disposizione impugnata, sebbene di natura transitoria,  puo'  trovare
applicazione sino all'adozione del decreto di cui all'art.  7,  comma
7, del d.lgs. n. 68 del 2012.
    4.2.- La disciplina  in  esame  individua  le  modalita'  per  la
determinazione dei fabbisogni regionali al  fine  del  riparto  delle
risorse del fondo integrativo statale per la concessione di borse  di
studio, che, ai sensi  dell'art.  18  del  d.lgs.  n.  68  del  2012,
concorre, assieme al gettito della tassa  regionale  per  il  diritto
allo studio e alle risorse proprie delle  Regioni,  al  finanziamento
degli interventi a sostegno di tale diritto.
    Si tratta, in altri termini, di un fondo in materia di competenza
regionale teso a garantire l'effettivita' del diritto allo studio.  E
la disciplina di un fondo siffatto, com'e' noto, puo' si' intervenire
anche in materie di competenza delle Regioni  (sentenze  n.  273  del
2013 e n. 232 del 2011), ma con il pieno coinvolgimento delle  stesse
nelle relative modalita' di gestione (tra le tante, sentenze n. 211 e
n. 147 del 2016, n. 168 e n. 94 del 2008 e n. 222 del  2005).  L'art.
7, comma 7, del d.lgs. n. 68  del  2012,  pertanto,  prevede  che  il
riparto di tale fondo  e'  effettuato,  in  misura  proporzionale  al
fabbisogno  finanziario  delle  Regioni,  con  decreto  del  Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e  della  ricerca  scientifica,  di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa  con
la Conferenza Stato-Regioni, sentito  il  Consiglio  nazionale  degli
studenti universitari.  In  via  transitoria,  sino  all'adozione  di
siffatto decreto, ad oggi non  ancora  avvenuta,  al  riparto  si  e'
provveduto sulla base dei criteri di cui all'art. 16 del decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile  2001,  da  ultimo
con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 agosto
2017, adottato previa intesa con le Regioni.
    Ebbene,   la   determinazione   dei   fabbisogni   regionali   e'
strettamente collegata e prodromica  al  riparto  delle  risorse  del
fondo statale, ma l'art. 1, comma 271, della legge n.  232  del  2016
prevede che sia  effettuata  con  il  mero  parere  della  Conferenza
Stato-Regioni, discostandosi cosi' da quanto previsto per il  riparto
del fondo stesso.
    Cio',   tuttavia,   non   puo'   giustificarsi,   come    dedotto
dall'Avvocatura generale dello Stato,  ascrivendo  la  disciplina  in
esame alla competenza esclusiva statale in materia di  determinazione
di livelli essenziali delle prestazioni, sebbene sia evidente che  la
disposizione impugnata persegua  anche  il  fine  di  assicurare  gli
strumenti idonei alla  realizzazione  ed  attuazione  di  un  diritto
sociale. Come gia' sottolineato, infatti, il titolo di legittimazione
invocato dalla difesa statale e' circoscritto a quanto necessario  ad
evitare che, in parti del  territorio  nazionale,  gli  utenti  siano
assoggettati ad un regime di assistenza inferiore,  per  quantita'  e
qualita', a quello ritenuto intangibile dallo Stato (sentenze n.  192
del 2017 e n. 125 del 2015).
    D'altronde, come gia' sottolineato da questa  Corte  riguardo  ai
livelli   essenziali   di   assistenza   sanitaria   (LEA),   se   la
determinazione degli stessi e' un obbligo del legislatore statale, la
sua  proiezione  in  termini  di   fabbisogno   regionale   coinvolge
necessariamente le  Regioni.  La  dialettica  tra  Stato  e  Regioni,
dunque, «dovrebbe consistere in un leale confronto sui  fabbisogni  e
sui costi che incidono  sulla  spesa  costituzionalmente  necessaria,
tenendo conto della disciplina e della  dimensione  della  fiscalita'
territoriale nonche' dell'intreccio di competenze statali e regionali
in questo delicato ambito materiale» (sentenza n. 169 del 2017).
    Tale  intreccio  di  competenze  non  puo'  non  risolversi,  nel
rispetto  dei  canoni  della  leale  collaborazione  (tra  le  tante,
sentenze n. 192 del 2017, n. 251, n. 63, n. 21 e n. 1  del  2016,  n.
273 del 2013, n. 27 del 2010, n. 168, n. 94 e n. 50 del 2008, n.  222
del 2005  e  n.  423  del  2004),  attraverso  l'intesa  in  sede  di
Conferenza Stato-Regioni (ex multis, sentenze n. 169 del 2017, n. 297
del 2012 e n. 134 del 2006).
    4.3.- Pertanto, deve dichiararsi l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 271, della legge n. 232 del 2016, nella  parte  in
cui  prevede  che  il  decreto  interministeriale  che  determina   i
fabbisogni finanziari  regionali  e'  adottato  previo  parere  della
Conferenza  Stato-Regioni,   anziche'   previa   intesa   con   detta
Conferenza.
    5.- Anche la questione di legittimita' costituzionale concernente
l'art. 1, comma 275, della legge n. 232 del 2016, e' fondata.
    5.1.- Va premesso che la disposizione impugnata e'  stata  sinora
disapplicata e,  inoltre,  sostanzialmente  svuotata  dai  successivi
interventi del legislatore statale.
    In primo luogo, la «Fondazione Articolo 34»  non  risulta  ancora
costituita e neppure e' stato adottato il decreto del Presidente  del
Consiglio dei ministri  che,  ai  sensi  del  successivo  comma  288,
avrebbe dovuto istituire la «cabina di regia» incaricata,  sino  alla
piena  operativita'  della  Fondazione,  di  attivare  le   procedure
relative all'emanazione del bando. In secondo luogo, l'art. 1,  comma
636, della legge 27 dicembre 2017, n.  205  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il
triennio 2018-2020), ha previsto l'incremento del  fondo  integrativo
statale per la concessione di borse di studio per 20 milioni di  euro
a decorrere dal 2018, utilizzando a  tal  fine  parte  delle  risorse
stanziate dall'art. 1, comma 286, della legge n.  232  del  2016  per
l'attuazione della disposizione impugnata, risorse  che  a  decorrere
dal 2020 saranno del tutto cancellate.
    Siffatti sviluppi, tuttavia, non fanno venir meno  l'interesse  a
ricorrere della Regione Veneto,  in  quanto  il  comma  275  potrebbe
trovare comunque  una,  seppur  limitata,  applicazione,  qualora  il
legislatore statale provveda a darvi attuazione.
    5.2.-  Neppure  in  questo  caso  l'intervento  legislativo  puo'
ritenersi espressione del titolo di legittimazione  di  cui  all'art.
117, secondo comma, lettera m), Cost.,  come  asserito  dalla  difesa
statale. La disposizione  impugnata,  infatti,  prevede  direttamente
l'erogazione di una determinata prestazione relativa al diritto  allo
studio  in  favore  dei  singoli,  individuando  l'ente  deputato  ad
adottare il relativo bando, sebbene con il  parere  della  Conferenza
Stato-Regioni.
    Come affermato dalla costante giurisprudenza costituzionale, solo
in circostanze eccezionali,  quando  ricorrano  imperiose  necessita'
sociali,  la  potesta'   statale   in   questione   puo'   consentire
l'erogazione di provvidenze ai cittadini o la gestione di sovvenzioni
direttamente da parte dello Stato in materie di competenza  regionale
(sentenze n. 192 del 2017, n. 273 e n. 62 del 2013, n. 203 del  2012,
n. 121 e n. 10 del 2010). In particolare, ha  scritto  questa  Corte,
quando cio'  «[...]  risulti  necessario  allo  scopo  di  assicurare
effettivamente la tutela di soggetti i quali, versando in  condizioni
di estremo bisogno, vantino un diritto fondamentale  che,  in  quanto
strettamente inerente alla tutela  del  nucleo  irrinunciabile  della
dignita' della persona umana, soprattutto in presenza delle peculiari
situazioni sopra accennate, deve potere essere garantito su tutto  il
territorio nazionale in  modo  uniforme,  appropriato  e  tempestivo,
mediante una regolamentazione coerente  e  congrua  rispetto  a  tale
scopo» (sentenza n. 10 del 2010).
    Tali circostanze eccezionali non ricorrono nel  caso  di  specie,
come conferma, d'altronde, il successivo svuotamento  dell'intervento
legislativo.
    La  disposizione  impugnata  incide  direttamente  su  competenze
regionali e configura una "chiamata in sussidiarieta'",  giustificata
dall'esigenza  di  rafforzare,  in  modo  uniforme   sul   territorio
nazionale, l'effettivita' del diritto allo studio. Tuttavia, la  fase
amministrativa che, sulla base dei criteri individuati  dalla  legge,
si conclude  con  l'erogazione  delle  borse  di  studio,  limita  il
coinvolgimento delle Regioni alla  mera  audizione  della  Conferenza
Stato-Regioni. Non sono correttamente rispettati, quindi, i canoni di
leale collaborazione richiesti per la "chiamata  in  sussidiarieta'",
individuati  da  costante  giurisprudenza  di  questa   Corte   nello
strumento dell'intesa (ex multis, sentenze n. 105 del 2017, n. 7  del
2016, n. 33 del 2011, n. 278 del 2010, n. 383 del 2005, n. 6 del 2004
e n. 303 del 2003).
    5.3.- Pertanto, deve dichiararsi l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 275, della legge n. 232 del 2016, nella  parte  in
cui prevede che, entro il 30 aprile  di  ogni  anno,  la  «Fondazione
Articolo 34» bandisce almeno 400 borse di studio  nazionali,  sentita
la Conferenza Stato-Regioni, anziche' d'intesa con detta Conferenza.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle  ulteriori
questioni di legittimita'  costituzionale  promosse  con  il  ricorso
indicato in epigrafe;
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi
269, 270 e 272, della legge 11 dicembre 2016,  n.  232  (Bilancio  di
previsione  dello  Stato  per  l'anno  finanziario  2017  e  bilancio
pluriennale per il triennio 2017-2019);
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
271, della legge n. 232 del 2016, nella parte in cui prevede  che  il
decreto  del  Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'  e   della
ricerca che determina i fabbisogni finanziari regionali  e'  adottato
«previo parere della Conferenza permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,  che
si esprime entro sessanta giorni dalla data di trasmissione,  decorso
il quale il decreto puo' essere comunque adottato», anziche'  «previa
intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,  le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano»;
    3) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
275, della legge n. 232 del 2016, nella parte in cui prevede  che  la
«Fondazione Articolo 34», entro il 30 aprile di ogni  anno,  bandisce
almeno  400  borse  di  studio  nazionali  «sentita   la   Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome  di  Trento  e  di  Bolzano»,  anziche'  «d'intesa  con   la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano».

    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                      Giuliano AMATO, Redattore
                    Filomena PERRONE, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2018.

                           Il Cancelliere
                       F.to: Filomena PERRONE

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