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mercoledì 2 maggio 2018
N. 87 SENTENZA 20 marzo - 26 aprile 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Bilancio e contabilita' pubblica - Diritto allo studio - Istituzione da parte della Regione, di un unico ente erogatore dei servizi per il diritto allo studio - Attribuzione al bilancio di detto ente delle risorse del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio - Determinazione del fabbisogno finanziario regionale con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, previo parere della Conferenza Stato-Regioni - Attribuzione alla «Fondazione Articolo 34», sentita la Conferenza Stato-Regioni, dell'erogazione di borse di studio nazionali a studenti meritevoli e privi di mezzi. - Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), art. 1, commi 269, 270, 271, 272 e 275. - (GU n.18 del 2-5-2018 )
N. 87 SENTENZA 20 marzo - 26 aprile 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
Bilancio e contabilita' pubblica - Diritto allo studio - Istituzione
da parte della Regione, di un unico ente erogatore dei servizi per
il diritto allo studio - Attribuzione al bilancio di detto ente
delle risorse del fondo integrativo statale per la concessione di
borse di studio - Determinazione del fabbisogno finanziario
regionale con decreto del Ministro dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca, previo parere della Conferenza
Stato-Regioni - Attribuzione alla «Fondazione Articolo 34», sentita
la Conferenza Stato-Regioni, dell'erogazione di borse di studio
nazionali a studenti meritevoli e privi di mezzi.
- Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato
per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio
2017-2019), art. 1, commi 269, 270, 271, 272 e 275.
-
(GU n.18 del 2-5-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Augusto
Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco
VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi
269, 270, 271, 272 e 275, della legge 11 dicembre 2016, n. 232
(Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e
bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), promosso con ricorso
della Regione Veneto, notificato il 16 febbraio 2017, depositato in
cancelleria il 23 febbraio 2017 ed iscritto al n. 19 del registro
ricorsi 2017.
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 2018 il Giudice relatore
Giuliano Amato;
uditi gli avvocati Luca Antonini e Andrea Manzi per la Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso notificato il 16 febbraio 2017 e depositato il 23
febbraio 2017, la Regione Veneto ha promosso, in riferimento agli
artt. 3, 5, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 della
Costituzione, tra le altre, questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 1, commi 269, 270, 271, 272 e 275, della legge 11 dicembre
2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno
finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).
1.1.- In primo luogo, la Regione Veneto impugna i commi 269, 270
e 272 dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016, i quali statuiscono:
«269. Ai fini della gestione delle risorse del fondo di cui
all'articolo 18 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68,
ciascuna regione razionalizza l'organizzazione degli enti erogatori
dei servizi per il diritto allo studio mediante l'istituzione, entro
sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di un
unico ente erogatore dei medesimi servizi, prevedendo comunque una
rappresentanza degli studenti nei relativi organi direttivi. Sono
comunque fatti salvi i modelli sperimentali di gestione degli
interventi di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 29 marzo
2012, n. 68.
270. La norma del comma 269 costituisce principio fondamentale di
coordinamento della finanza pubblica.
272. Le risorse del fondo di cui all'articolo 18, comma 1,
lettera a), del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, sono
direttamente attribuite al bilancio dell'ente regionale erogatore dei
servizi per il diritto allo studio, a norma del comma 269 del
presente articolo, entro il 30 settembre di ciascun anno. Nelle more
della razionalizzazione di cui al medesimo comma 269, tali risorse
sono comunque trasferite direttamente agli enti regionali erogatori,
previa indicazione da parte di ciascuna regione della quota da
trasferire a ciascuno di essi.».
Tale disciplina sarebbe lesiva degli artt. 3, 5, 97, 117, terzo e
quarto comma, 118, 119 e 120 Cost.
1.1.1.- La Regione Veneto sottolinea che la qualificazione di
principio di coordinamento della finanza pubblica della disposizione
di cui al comma 269, operata dal comma 270, non assumerebbe alcun
valore prescrittivo. Infatti, come piu' volte affermato da questa
Corte, al fine d'individuare la materia a cui ascrivere le
disposizioni impugnate, non rileva la definizione data dallo stesso
legislatore, dovendosi invece fare riferimento all'oggetto della
disciplina in questione (ex plurimis, sono richiamate le sentenze n.
203, n. 200 e n. 164 del 2012, n. 182 del 2011, n. 247 del 2010 e n.
237 del 2009).
La disposizione di cui al comma 269, alla luce della ormai
costante giurisprudenza costituzionale (tra le tante, vengono
richiamate le sentenze n. 64 e n. 43 del 2016, n. 79 e n. 44 del
2014, n. 236, n. 205 e n. 36 del 2013, n. 262, n. 211 e n. 139 del
2012, n. 182 del 2011, n. 207 e n. 128 del 2010, n. 297, n. 237 e n.
139 del 2009, n. 289, n. 159 e n. 120 del 2008 e n. 169 del 2007),
non potrebbe comunque essere inquadrata all'interno del
«coordinamento della finanza pubblica». Infatti, i limiti posti dal
legislatore statale al fine di garantire l'equilibrio complessivo dei
conti pubblici possono considerarsi rispettosi dell'autonomia delle
Regioni e degli enti locali solo qualora stabiliscano un limite
complessivo, che lasci agli enti stessi ampia liberta' di allocazione
delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa, nonche'
quando abbiano il carattere della transitorieta'. Sarebbe necessario,
quindi, che il legislatore renda comunque possibile l'estrapolazione
dalle disposizioni statali di principi rispettosi di uno spazio
aperto all'esercizio dell'autonomia regionale, non prevedendo in modo
esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento degli obiettivi
di contenimento della spesa. In caso contrario, la norma statale non
potrebbe essere ritenuta di principio, a prescindere
dall'auto-qualificazione operata dal legislatore.
A conferma di cio', vengono ricordate le misure previste
dall'art. 9, commi da 1 a 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95
(Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento
patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con
modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, ove si prevedeva la
soppressione o l'accorpamento di enti, agenzie o organismi degli enti
territoriali. Tali disposizioni sono state ricondotte all'interno dei
principi fondamentali di coordinamento finanziario, ma soltanto
perche' limitate all'inderogabile risultato di una riduzione del 20
per cento dei costi del funzionamento degli enti strumentali degli
enti locali (cosi' la sentenza n. 236 del 2013). L'accorpamento o la
soppressione di taluni di questi enti, pertanto, poteva essere uno
strumento per ottenere tale riduzione, ma non l'unico strumento.
Le disposizioni impugnate, in violazione degli artt. 117, terzo
comma, e 119 Cost., invece, non indicherebbero alcun obiettivo di
contenimento della spesa regionale, limitandosi ad una generica
affermazione circa l'esigenza di razionalizzare l'organizzazione
degli enti erogatori dei servizi per il diritto allo studio. Inoltre,
le stesse non avrebbero carattere transitorio, imponendo una modifica
definitiva all'assetto organizzativo di tali enti, senza lasciare uno
spazio di liberta' alle scelte delle Regioni, in virtu' del contenuto
strettamente vincolante dell'obbligo di creare un unico ente
erogatore.
1.1.2.- La disciplina statale sarebbe altresi' in contrasto con i
principi di ragionevolezza e di buon andamento dell'azione
amministrativa, di cui agli artt. 3 e 97 Cost., incidendo
direttamente sulle competenze residuali delle Regioni in materia di
«organizzazione amministrativa regionale» e di «diritto allo studio»
e ledendo cosi' gli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost.
Non tenendo conto delle peculiarita' territoriali e delle diverse
modalita' di erogazione dei servizi, infatti, verrebbero compromesse
l'efficacia, l'efficienza e l'economicita' dell'attuale modello
organizzativo regionale, basato sulla necessita' di assicurare, in
una realta' regionale policentrica, una distribuzione capillare dei
servizi di diritto allo studio all'interno del territorio. Per tali
ragioni, la Regione Veneto sottolinea di aver gia' manifestato, in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni
e le Province autonome di Trento e di Bolzano (da qui: Conferenza
Stato-Regioni), la propria contrarieta' alla creazione di un unico
ente, come risulta dal parere sul disegno di legge di bilancio del 17
novembre 2016.
1.1.3.- Le disposizioni censurate, infine, sarebbero illegittime
in quanto non recherebbero alcuna forma di coinvolgimento delle
Regioni, in violazione del principio di leale collaborazione di cui
agli artt. 5 e 120 Cost.
Infatti, in ambiti caratterizzati da una pluralita' di
competenze, qualora non risulti possibile comporre il concorso di
competenze statali e regionali mediante un criterio di prevalenza,
l'intervento del legislatore statale deve avvenire nel rispetto del
principio di leale collaborazione, da ritenersi congruamente attuato
mediante la previsione dell'intesa (ex plurimis, sono richiamate le
sentenze n. 21 e n. 1 del 2016, n. 44 del 2014, n. 237 del 2009, n.
168 e n. 50 del 2008). Un'esigenza di coinvolgimento delle Regioni e
degli enti locali riconosciuta, nella forma dell'intesa, anche nella
diversa ipotesi della "attrazione in sussidiarieta'" della funzione
legislativa allo Stato (vengono richiamate in particolare la sentenza
n. 303 del 2003, nonche', tra le piu' recenti, le sentenze n. 251 e
n. 7 del 2016).
1.2.- In secondo luogo, la ricorrente impugna l'art. 1, comma
271, della legge n. 232 del 2016, che cosi' dispone:
«271. Nelle more dell'emanazione del decreto di cui all'articolo
7, comma 7, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, e allo
scopo di consentire che l'assegnazione delle risorse del fondo di cui
al comma 268 del presente articolo avvenga, in attuazione
dell'articolo 18, commi 1, lettera a), e 3, del medesimo decreto
legislativo n. 68 del 2012, in misura proporzionale al fabbisogno
finanziario delle regioni, il Ministro dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca, con decreto emanato entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con
il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, che si esprime entro
sessanta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale [sic] il
decreto puo' essere comunque adottato, determina i fabbisogni
finanziari regionali.».
La disposizione sarebbe lesiva dell'art. 117, quarto comma,
Cost., e del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e
120 Cost., prevedendo un semplice parere, anziche' un'apposita
intesa, riguardo al decreto che determina i fabbisogni finanziari
regionali in una competenza regionale residuale, quale il «diritto
allo studio».
1.2.1.- Premette la parte ricorrente che, riguardo a tale
materia, questa Corte, pur non avendo avuto l'occasione di esprimersi
direttamente sul relativo inquadramento, ne avrebbe riconosciuto la
pertinenza alla competenza regionale residuale in diversi obiter
dicta (sono richiamate le sentenze n. 61 del 2011, n. 299 e n. 134
del 2010). Cio' sarebbe stato confermato anche dallo stesso
legislatore statale con il decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68,
recante «Revisione della normativa di principio in materia di diritto
allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente
riconosciuti, in attuazione della delega prevista dall'articolo 5,
comma 1, lettere a), secondo periodo, e d), della legge 30 dicembre
2010, n. 240, e secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti al
comma 3, lettera f), e al comma 6», che ha definito un sistema
integrato di strumenti e servizi in cui allo Stato spetta la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, mentre le
Regioni hanno la competenza in materia di diritto allo studio (in
particolare, art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 68 del 2012).
Le Regioni, d'altronde, insieme alle universita', avrebbero
svolto funzioni attive in tale ambito gia' a partire dal decreto del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della
delega di cui all'art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382). In base a
tale assetto normativo, quindi, la legge della Regione Veneto 7
aprile 1998, n. 8 (Norme per l'attuazione del diritto allo studio
universitario), ha disposto che gli interventi finalizzati
all'attuazione del diritto allo studio sono gestiti dalle tre aziende
regionali per il diritto allo studio universitario, prevedendo che
l'erogazione delle borse di studio possa essere affidata alle
universita', previa stipula di apposita convenzione con la Regione.
1.2.2.- Cio' premesso, il fondo vincolato statale a cui si
riferisce la disposizione impugnata e' disciplinato dall'art. 18,
comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 68 del 2012 e concorre, assieme al
gettito derivante dall'importo della tassa regionale per il diritto
allo studio e alle risorse proprie delle Regioni, alla copertura del
fabbisogno finanziario necessario affinche' queste ultime possano
garantire l'erogazione delle borse di studio agli studenti
universitari in possesso dei relativi requisiti. I criteri e le
modalita' di riparto di tale fondo sono definiti con un decreto del
Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con
la Conferenza Stato-Regioni, sentito il Consiglio nazionale degli
studenti universitari. Il medesimo decreto interministeriale
(aggiornato con cadenza triennale) individua anche l'importo delle
borse di studio, nonche' i requisiti di eleggibilita' per l'accesso
alle stesse.
Siffatto decreto, nondimeno, non risulterebbe ad oggi emanato e
l'ultimo riparto delle risorse del fondo, relativo alle risorse
disponibili nel 2015, sarebbe stato operato con il decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2016, sulla base dei
criteri di cui all'art. 16 del decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri 9 aprile 2001 e dei dati trasmessi dalle Regioni.
Il comma 271 dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016, dunque,
introdurrebbe una disposizione di fatto elusiva e contraddittoria del
coerente percorso previsto dal d.lgs. n. 68 del 2012, il quale, per
giungere ad una definizione del fabbisogno finanziario delle Regioni
rispettosa della relativa autonomia, aveva previsto la necessaria
intesa per la definizione dell'importo della borsa e dei criteri e
delle modalita' di riparto del fondo integrativo statale.
Questa Corte, del resto, avrebbe piu' volte dichiarato
costituzionalmente illegittime disposizioni che disciplinavano il
riparto o la riduzione di fondi e trasferimenti destinati ad enti
territoriali, nella misura in cui, rinviando a fonti secondarie di
attuazione, non prevedevano "a monte" lo strumento dell'intesa, sia
nei casi d'intreccio di materie riconducibili alla potesta'
legislativa statale e regionale, sia in quelli d'interferenza con la
potesta' legislativa regionale residuale (tra le tante, sono
richiamate le sentenze n. 211 e n. 147 del 2016, n. 273, n. 182 e n.
117 del 2013, n. 27 del 2010, n. 168 del 2008 e n. 222 del 2005).
Inoltre, come recentemente statuito nella sentenza n. 251 del 2016
«[i]l parere come strumento di coinvolgimento delle autonomie
regionali e locali non puo' non misurarsi con la giurisprudenza di
questa Corte che, nel corso degli anni, ha sempre piu' valorizzato la
leale collaborazione quale principio guida nell'evenienza, rivelatasi
molto frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze e
ha ravvisato nell'intesa la soluzione che meglio incarna la
collaborazione (di recente, sentenze n. 21 e n. l del 2016)».
1.3.- Da ultimo, la Regione Veneto ha impugnato il comma 275
dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016, ove si prevede:
«275. Entro il 30 aprile di ogni anno, la "Fondazione Articolo
34", sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, bandisce
almeno 400 borse di studio nazionali, ciascuna del valore di 15.000
euro annuali, destinate a studenti capaci, meritevoli e privi di
mezzi, al fine di favorirne l'immatricolazione e la frequenza a corsi
di laurea o di laurea magistrale a ciclo unico, nelle universita'
statali, o a corsi di diploma accademico di I livello, nelle
istituzioni statali dell'alta formazione artistica, musicale e
coreutica, aventi sedi anche differenti dalla residenza anagrafica
del nucleo familiare dello studente.».
La disposizione impugnata introduce forme di sostegno al diritto
allo studio, affidando l'erogazione di borse di studio nazionali alla
«Fondazione Articolo 34», prevista dal precedente comma 273 - gia'
«Fondazione per il Merito», di cui all'art. 9, comma 3, del
decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime
disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con modificazioni,
nella legge 12 luglio 2011, n. 106 - istituita per la realizzazione
degli obiettivi di interesse pubblico del Fondo per il merito di cui
all'art. 4, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di
organizzazione delle universita', di personale accademico e
reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e
l'efficienza del sistema universitario), nonche' allo scopo di
promuovere la cultura del merito e della qualita' degli apprendimenti
nel sistema scolastico e nel sistema universitario.
1.3.1.- Secondo la ricorrente, indicando che sia solamente
sentita la Conferenza Stato-Regioni, la disposizione censurata
violerebbe gli artt. 117, quarto comma, e 119, Cost., nonche' il
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
Trattandosi di un intervento rientrante nella materia di competenza
residuale regionale concernente il «diritto allo studio», infatti, la
disciplina delle relative modalita' di erogazione dovrebbe
necessariamente stabilire una sede adeguata di coinvolgimento delle
Regioni, segnatamente nella forma dell'intesa. D'altronde, misure di
questo tipo sarebbero gia' state adottate dal legislatore, prevedendo
appunto lo strumento dell'intesa (come per il Piano nazionale per il
merito di cui all'art. 59 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69,
recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia»,
convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98).
La lesione delle attribuzioni regionali, peraltro, sarebbe
aggravata da quanto previsto dal successivo comma 283, secondo cui
gli studenti percettori di tale borsa nazionale sono esonerati dal
pagamento della tassa regionale per il diritto allo studio. Il
gettito derivante dalla riscossione di tale tassa, infatti, e'
interamente devoluto all'erogazione delle borse di studio regionali
(art. 3, comma 23, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, recante
«Misure di razionalizzazione della finanza pubblica»). La previsione
di qualsiasi forma di esonero inciderebbe, quindi, sulla copertura
del fabbisogno finanziario delle Regioni necessario per garantire
l'erogazione delle borse stesse, comportando di conseguenza un
aggravio sul bilancio regionale. A maggior ragione, pertanto, la
disposizione impugnata dovrebbe prevedere il coinvolgimento delle
Regioni nella forma dell'intesa.
2.- Con atto depositato il 28 marzo 2017, si e' costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che il
ricorso promosso dalla Regione Veneto sia dichiarato infondato. Le
relative argomentazioni, per gli aspetti qui in esame, sono state
illustrate soltanto nella successiva memoria depositata in
prossimita' dell'udienza.
2.1.- Con riferimento alla prima questione promossa dalla parte
ricorrente, la creazione di un unico ente regionale risponderebbe a
diverse esigenze, non solo di coordinamento della finanza pubblica e
di contenimento e razionalizzazione della spesa, essendo finalizzata
a garantire l'effettiva erogazione delle borse e a tutelare il
diritto allo studio in maniera uniforme sull'intero territorio
nazionale, salvaguardando gli studenti capaci e meritevoli, anche se
privi di mezzi, nel rispetto dell'art. 34 Cost.
2.1.1.- Nel dettaglio, dovrebbe ritenersi infondata la censura
relativa alla violazione del riparto di competenze in materia di
«organizzazione amministrativa regionale». Infatti, l'ordinamento
degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione,
pur essendo materia riconducibile al novero delle competenze
regionali residuali, incontrerebbe il limite dell'esercizio della
potesta' legislativa statale sul «coordinamento della finanza
pubblica», dal momento che lo Stato potrebbe imporre alle Regioni
prescrizioni organizzative connesse ad esigenze di equilibrio
complessivo della finanza pubblica e al rispetto del patto di
stabilita' interno e comunitario.
La giurisprudenza costituzionale, anche in considerazione della
situazione di eccezionale gravita' del contesto finanziario, avrebbe
fornito una lettura estensiva delle norme di principio di
coordinamento finanziario, che potrebbero recare anche vincoli
specifici per il contenimento della spesa delle Regioni e degli enti
locali (sono richiamate le sentenze n. 52 del 2010, n. 237 del 2009 e
n. 417 del 2005). Cosi', ad esempio, per le riduzioni di spesa per
incarichi di studio e consulenza (e' richiamata la sentenza n 262 del
2012), per l'obbligo di soppressione o accorpamento da parte degli
enti locali di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e
funzioni loro conferite (e' richiamata la sentenza n. 236 del 2013),
per la determinazione del numero massimo di consiglieri e assessori
regionali e per la riduzione degli emolumenti dei consiglieri (sono
citate le sentenze n. 23 del 2014 e n. 198 del 2012). Inoltre, la
specificita' delle prescrizioni, di per se', non farebbe escludere il
carattere di principio di una norma, qualora essa risulti legata al
principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialita' e di
necessaria integrazione (sono richiamate le sentenze n. 237 del 2009
e n. 430 del 2007). Infine, nella dinamica dei rapporti tra Stato e
Regioni, la stessa nozione di principio fondamentale non potrebbe
essere cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza,
dovendo tenere conto del contesto e del momento congiunturale in
relazione ai quali l'accertamento va compiuto e della peculiarita'
della materia (e' citata la sentenza n. 16 del 2010).
2.1.2.- Quanto alla violazione della competenza regionale sul
«diritto allo studio universitario», la difesa statale precisa che
tale materia non compare ne' tra quelle di esclusiva competenza
statale, ne' tra quelle di competenza concorrente; la qual cosa,
com'e' noto, non ne comporterebbe pero' l'attribuzione alla potesta'
residuale delle Regioni.
Il diritto allo studio, previsto dai commi terzo e quarto
dell'art. 34 Cost., sarebbe un diritto sociale, di cui dovrebbe
essere garantito un determinato livello di tutela su tutto il
territorio nazionale. Esso rappresenterebbe, dunque, un settore sul
quale s'innesta, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m),
Cost., quel limite alle competenze regionali rappresentato dalla
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale». E, a tal proposito, proprio il d.lgs. n. 68
del 2012 prevede, all'art. 3, comma 2, che «[f]erma restando la
competenza esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei
LEP, al fine di garantirne l'uniformita' e l'esigibilita' su tutto il
territorio nazionale, le regioni esercitano la competenza esclusiva
in materia di diritto allo studio, disciplinando e attivando gli
interventi volti a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale per il concreto esercizio di tale diritto. Le regioni, nei
limiti delle proprie disponibilita' di bilancio, possono integrare la
gamma degli strumenti e dei servizi di cui all'articolo 6.».
L'intervento del legislatore statale, dunque, potrebbe anche
essere ricondotto alla determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni, di esclusiva competenza dello Stato, provvedendo a
garantire livelli minimi di uniformita' di trattamento ed omogeneita'
di una serie di strutture che rivestono carattere assolutamente
primario sul piano dei diritti dell'individuo e, in particolare del
diritto allo studio universitario. In relazione a tale potesta',
quindi, sarebbe irrilevante l'invocazione di competenze regionali.
2.2.- Riguardo alla questione relativa all'art. l, comma 271,
della legge n. 232 del 2016, la difesa statale asserisce che tale
disposizione non recherebbe alcuna violazione delle competenze
regionali, essendo la definizione dei fabbisogni finanziari delle
Regioni strettamente connessa alla determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni, materia rientrante nella competenza
legislativa statale. Pertanto, la previsione del parere della
Conferenza Stato-Regioni costituirebbe un sufficiente strumento di
raccordo tra lo Stato e la Regione.
2.3.- Infine, con riferimento all'art. l, comma 275, della legge
n. 232 del 2016, la parte resistente afferma che, riconducendosi la
disposizione impugnata anche in tal caso alla definizione dei livelli
essenziali delle prestazioni, la previsione del parere della
Conferenza Stato-Regioni dovrebbe ritenersi un'idonea forma di
coinvolgimento delle Regioni.
3.- Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la
Regione Veneto ha ribadito le argomentazioni del ricorso
introduttivo, nonche' replicato alle difese dell'Avvocatura generale
dello Stato, anche alla luce dei piu' recenti sviluppi normativi.
3.1.- Riguardo alla prima questione, la ricorrente ribadisce
l'illegittimita' della previsione in capo alla Regioni dell'obbligo
di istituire un unico ente regionale per l'erogazione del diritto
allo studio.
3.1.1.- In primo luogo, infatti, non potrebbe ritenersi, come
sostiene la difesa statale, che la misura sia finalizzata, o comunque
idonea, a garantire livelli essenziali delle prestazioni, poiche' non
vi sarebbe alcun rapporto di consequenzialita' tra l'obbligo di
accorpamento regionale e la determinazione dei livelli delle
prestazioni. L'individuazione degli standard strutturali
organizzativi e qualitativi degli enti operanti nel campo dei servizi
educativi e di istruzione - quali quelli di cui alle disposizioni
impugnate - sarebbe, invece, di esclusiva competenza del legislatore
regionale, limitandosi ad incidere sull'assetto organizzativo e
gestorio di tali enti (sono richiamate le sentenze n. 284 del 2016 e
n. 120 del 2005).
3.1.2.- In secondo luogo, il modello organizzativo sarebbe
strategicamente speculare alla conformazione delle Universita' del
Veneto - a cui e' attribuita la gestione delle borse di studio
regionali per gli studenti iscritti alle stesse - poiche' ogni
Azienda regionale per il diritto allo studio universitario (ESU) e'
ubicata in corrispondenza della sede universitaria di riferimento
(Padova, Venezia e Verona).
L'istituzione di un unico ente per il diritto allo studio a
livello regionale, pertanto, rischierebbe di travolgere tale
impostazione e di dissipare il know-how di gestione aziendale del
Veneto, nonche' di compromettere la presenza degli studenti negli
organi di governo in un numero significativo, come attualmente
previsto nei consigli di amministrazione degli enti erogatori.
L'irragionevolezza dell'accorpamento, inoltre, sarebbe rafforzata
dal fatto che gli enti attualmente operanti presenterebbero
caratteristiche ottimali sotto il profilo organizzativo, gestorio e
finanziario, mantenendo un elevatissimo livello qualitativo dei
servizi di diritto allo studio in tutto il territorio regionale,
nonche' l'equilibrio di bilancio, nonostante i vincoli imposti dal
legislatore statale (fra cui quello relativo al blocco delle
assunzioni) e la riduzione del 20 per cento del contributo regionale
di funzionamento, di cui all'art. 20 della legge della Regione Veneto
21 dicembre 2012, n. 47 (Disposizioni per la riduzione e il controllo
delle spese per il funzionamento delle istituzioni regionali, in
recepimento e attuazione del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174
"Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli
enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle
zone terremotate nel maggio 2012", convertito con modificazioni dalla
legge 7 dicembre 2012, n. 213 e istituzione e disciplina del Collegio
dei revisori dei conti della Regione del Veneto).
Andrebbe altresi' considerato che neppure si avrebbero
significativi risparmi di spesa. La necessita' di mantenere
un'elevata qualita' dei servizi in tutto il territorio regionale,
infatti, farebbe si' che le principali voci di costo relative al
funzionamento di tali enti - personale, patrimonio,
approvvigionamenti - rimarrebbero sostanzialmente invariate. L'unica
eventuale e limitata riduzione di costi potrebbe derivare dalla
creazione di un'unica direzione regionale, che sarebbe almeno in
parte compensata dall'aumento del trattamento economico associato ai
ruoli apicali, necessario in considerazione del maggiore carico di
responsabilita' sugli stessi gravante. Inoltre, la creazione di un
unico ente comporterebbe la necessita' d'individuare una nuova
struttura dedicata, al momento non disponibile, con le relative spese
per gli uffici istituzionali, che andrebbero a sommarsi a quelle
degli attuali uffici periferici facenti capo agli enti preesistenti.
3.1.3.- Da ultimo, con riferimento alla lesione del principio di
leale collaborazione, la parte ricorrente richiama la recente
sentenza n. 261 del 2017, che ha ritenuto l'intervento del
legislatore statale volto a ridurre il numero delle camere di
commercio, mediante l'accorpamento di quelle preesistenti,
giustificato dalla finalita' di realizzare una razionalizzazione
organizzativa di tali enti e di perseguire una maggiore efficienza
nello svolgimento della loro attivita'. Tuttavia, incidendo anche su
competenze regionali, si e' ivi affermata la necessita' della
previsione di strumenti tesi al rispetto del principio di leale
collaborazione, da individuarsi nell'intesa in sede di Conferenza
Stato-Regioni.
3.2.- Per quanto concerne la questione relativa all'art. l, comma
271, della legge n. 232 del 2016, in via preliminare, la Regione
Veneto ricorda che, in data 11 ottobre 2017, il decreto
interministeriale previsto dalla disposizione impugnata e' stato
adottato, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni (sancita il
27 luglio 2017). Intesa che, come risulta dal preambolo del decreto,
e' stata ritenuta comunque "opportuna".
L'attuazione della disposizione mediante intesa non escluderebbe
la permanenza dell'interesse a ricorrere (e, anzi, confermerebbe
ulteriormente i dubbi di legittimita'), poiche' il comma 271, pur
avendo natura transitoria (intervenendo nelle more dell'adozione del
decreto di cui all'art. 7, comma 7, del d.lgs. n. 68 del 2012), non
avrebbe effetti limitati nel tempo (e lo stesso decreto
interministeriale ha vigenza triennale). Pertanto, sino alla piena
attuazione del d.lgs. n. 68 del 2012, la disposizione impugnata
potrebbe ancora produrre effetti. Inoltre, come piu' volte ribadito
da questa Corte, «l'intesa in Conferenza unificata non provoca la
cessazione della materia del contendere, poiche' un'eventuale
pronuncia di accoglimento potrebbe comunque "reintegrare l'ordine
costituzionale asseritamente violato, venendo a cadere sulla
previsione normativa che ha costituito la causa dell'intesa stessa"
(sentenza n. 40 del 2010; nello stesso senso, sentenza n. 98 del
2007; nonche', nel senso della persistenza dell'interesse a ricorrere
a seguito di intesa, sentenza n. 141 del 2016)» (sentenza n. 125 del
2017).
Nel merito, non potrebbe accogliersi la tesi, prospettata dalla
difesa statale, secondo cui la definizione dei fabbisogni finanziari
regionali sarebbe strettamente connessa alla determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni, di competenza esclusiva
statale.
Tale titolo di legittimazione, infatti, atterrebbe alla
fissazione del livello strutturale e qualitativo delle prestazioni
(sentenza n. 192 del 2017), rappresentando degli standard minimi da
assicurare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Con
specifico riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni in
sanita' (LEA), questa Corte ha affermato che la deroga alla
competenza legislativa delle Regioni «e' ammessa solo nei limiti
necessari ad evitare che, in parti del territorio nazionale, gli
utenti debbano assoggettarsi ad un regime di assistenza sanitaria
inferiore, per quantita' e qualita', a quello ritenuto intangibile
dallo Stato (sentenza n. 207 del 2010)» (sentenza n. 125 del 2015).
Inoltre, anche se la determinazione dei LEA e' un obbligo del
legislatore statale, la sua proiezione in termini di fabbisogno
regionale coinvolgerebbe necessariamente le Regioni «per cui la
fisiologica dialettica tra questi soggetti deve essere improntata
alla leale collaborazione» (sentenza n. 169 del 2017). E lo strumento
che meglio garantirebbe il coinvolgimento delle Regioni sarebbe
l'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni (ex multis, sono
richiamate le sentenze n. 297 del 2012 e n. 134 del 2006).
3.3.- Infine, riguardo all'art. 1, comma 275, della legge n. 232
del 2016, la parte ricorrente sottolinea che il procedimento di
attuazione di tale disposizione non sarebbe nemmeno iniziato. Il
comma 288 dell'art. l della legge n. 232 del 2016, infatti, in attesa
del raggiungimento della piena operativita' della «Fondazione
Articolo 34», prevedeva l'istituzione, mediante decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, di una «cabina di regia»,
incaricata di attivare le procedure relative all'emanazione del bando
per l'assegnazione delle borse. Tale atto non sarebbe stato adottato
e la stessa fondazione non risulterebbe ancora costituita.
Cio', tuttavia, non farebbe venir meno l'interesse a ricorrere
della Regione, in quanto la disposizione censurata non avrebbe
un'applicazione limitata nel tempo.
Considerato in diritto
1.- La Regione Veneto ha promosso questioni di legittimita'
costituzionale di diverse disposizioni della legge 11 dicembre 2016,
n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario
2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).
L'esame di questa Corte e' qui limitato alle questioni relative
all'art. 1, commi 269, 270, 271, 272 e 275, della suddetta legge,
promosse in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 117, terzo e quarto
comma, 118, 119 e 120 della Costituzione, restando riservata a
separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di
legittimita' costituzionale promosse dalla ricorrente.
1.1.- Un primo gruppo di questioni concerne l'art. 1, commi 269,
270 e 272, della legge n. 232 del 2016, ove si stabilisce che, per
finalita' di «coordinamento della finanza pubblica», le Regioni
provvedano a creare, entro sei mesi dall'entrata in vigore della
stessa legge, un unico ente adibito all'erogazione dei servizi per il
diritto allo studio, al bilancio del quale vengano direttamente
attribuite le risorse del fondo integrativo statale per la
concessione di borse di studio di cui all'art. 18 del decreto
legislativo 29 marzo 2012, n. 68, recante «Revisione della normativa
di principio in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei
collegi universitari legalmente riconosciuti, in attuazione della
delega prevista dall'articolo 5, comma 1, lettere a), secondo
periodo, e d), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e secondo i
principi e i criteri direttivi stabiliti al comma 3, lettera f), e al
comma 6».
Secondo la Regione Veneto, le disposizioni impugnate violerebbero
gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., poiche' non si limiterebbero
a fissare un limite complessivo di spesa ne' obiettivi generali di
risparmio, ma introdurrebbero una precisa norma di dettaglio. Le
disposizioni sarebbero altresi' in contrasto con i principi di
ragionevolezza e di buon andamento dell'azione amministrativa, di cui
agli artt. 3 e 97 Cost., incidendo direttamente sulle competenze
residuali delle Regioni in materia di «organizzazione amministrativa
regionale» e di «diritto allo studio», violando cosi' anche gli artt.
117, quarto comma, e 118 Cost. Da ultimo, verrebbe altresi' leso il
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost, non
essendo prevista alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni.
1.2.- Una seconda questione riguarda l'art. 1, comma 271, della
legge n. 232 del 2016, che, ai fini del riparto delle risorse del
fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio,
prevede che i fabbisogni finanziari regionali siano determinati con
decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della
ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (da
qui: Conferenza Stato-Regioni).
Asserisce la parte ricorrente che la disposizione sarebbe lesiva
dell'art. 117, quarto comma, Cost. e del principio di leale
collaborazione, poiche', pur intervenendo su una competenza regionale
residuale, quale il «diritto allo studio», prevedrebbe un semplice
parere, anziche' un'apposita intesa, sul decreto interministeriale
che determina i fabbisogni finanziari regionali.
1.3.- Un'ultima questione e' promossa in relazione all'art. 1,
comma 275, della legge n. 232 del 2016, che affida l'erogazione di
borse di studio nazionali alla «Fondazione Articolo 34», prevista al
precedente comma 273, gia' «Fondazione per il merito», di cui
all'art. 9, comma 3, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70
(Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106.
La disposizione censurata lederebbe gli artt. 117, quarto comma,
e 119 Cost., nonche' il principio di leale collaborazione, poiche',
la disciplina delle modalita' di erogazione dovrebbe necessariamente
prevedere un adeguato coinvolgimento delle Regioni, segnatamente
nella forma dell'intesa.
2.- Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha concluso per la non fondatezza del ricorso.
2.1.- In particolare, con riferimento alla prima questione, la
creazione di un unico ente regionale di erogazione dei servizi per il
diritto allo studio risponderebbe ad esigenze di coordinamento della
finanza pubblica e di contenimento e razionalizzazione della spesa,
in conformita' agli artt. 117, terzo comma, e 119, Cost., nonche'
alla necessita' di garantire l'effettiva erogazione delle borse e a
tutelare il diritto allo studio in maniera uniforme sull'intero
territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera
m), Cost.
2.2.- Riguardo alla seconda questione, invece, la previsione del
parere della Conferenza Stato-Regioni costituirebbe un sufficiente
strumento di raccordo, tenuto conto che la definizione dei fabbisogni
finanziari delle Regioni sarebbe strettamente connessa alla
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, materia
ascritta alla competenza legislativa esclusiva statale.
2.3.- Infine, in relazione alla terza questione, rientrando
l'erogazione di borse di studio nazionali nella definizione dei
livelli essenziali delle prestazioni, la previsione del parere della
Conferenza Stato-Regioni dovrebbe ritenersi un sufficiente strumento
di raccordo tra lo Stato e le Regioni.
3.- Le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1,
commi 269, 270 e 272, della legge n. 232 del 2016, sono fondate.
3.1.- Le disposizioni impugnate pongono un obbligo assai puntuale
in capo alle Regioni, tenute ad organizzare il sistema di erogazione
dei servizi di diritto allo studio attraverso un unico ente, salvo
poter accedere ai modelli sperimentali di gestione previsti dall'art.
12 del d.lgs. n. 68 del 2012. L'intervento legislativo incide,
pertanto, su ambiti in cui puo' esercitarsi la competenza legislativa
regionale, quali l'«organizzazione amministrativa della Regione»
(sentenze n. 293 del 2012, n. 95 del 2008 e n. 387 del 2007) e il
«diritto allo studio» (sentenze n. 2 del 2013, n. 61 del 2011, n. 299
e n. 134 del 2010, n. 50 del 2008, n. 300 e n. 33 del 2005).
Il comma 270 definisce il vincolo posto dal legislatore statale
quale principio di coordinamento della finanza pubblica, idoneo a
giustificare la compressione dell'autonomia regionale. Come questa
Corte ha gia' avuto modo di affermare, tuttavia, l'autoqualificazione
legislativa non e' vincolante e, quindi, al fine d'individuare
l'ambito di competenza su cui incidono le disposizioni «occorre fare
riferimento all'oggetto e alla disciplina delle medesime, tenendo
conto della loro ratio e tralasciando gli effetti marginali e
riflessi, in guisa da identificare correttamente anche l'interesse
tutelato» (sentenza n. 203 del 2012; nello stesso senso, tra le
tante, sentenze n. 125 del 2017, n. 188 e n. 39 del 2014, n. 182 del
2011, n. 207 del 2010, n. 237 del 2009 e n. 169 del 2007).
Secondo tale giurisprudenza, inoltre, lo Stato puo' imporre
limitazioni all'autonomia di spesa degli enti, purche' preveda solo
un limite complessivo, anche se non generale, della spesa corrente -
lasciando alle Regioni liberta' di allocazione delle risorse tra i
diversi ambiti ed obiettivi di spesa - e le suddette limitazioni
abbiano il carattere della transitorieta' (ex plurimis, sentenze n.
43 del 2016, n. 156 del 2015, n. 23 del 2014, n. 236 del 2013, n. 139
del 2012, n. 159 del 2008, n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004).
E' ben vero che questa Corte ha talvolta dato una lettura
estensiva dei principi di coordinamento finanziario, a cui sono state
ricondotte anche talune misure recanti vincoli specifici per il
contenimento della spesa delle Regioni e degli enti locali, sovente
in virtu' del rapporto di coessenzialita' e di necessaria
integrazione con i principi fondamentali. E' il caso, ad esempio,
delle misure di razionalizzazione, anche mediante soppressione o
accorpamento, di enti e agenzie (sentenza n. 236 del 2013) o degli
interventi per la riduzione delle Comunita' montane (sentenza n. 237
del 2009). Tuttavia, si trattava pur sempre di misure che, sebbene
potessero portare anche alla soppressione o fusione di enti, non
stabilivano direttamente il mezzo attraverso cui conseguire il
risultato, limitandosi a fissare soglie ed obiettivi di riduzione di
costi, nonche' a prevedere indicatori in base a cui adottare
interventi di riordino. Inoltre, anche quando le competenze statali
prevedevano interventi tesi alla razionalizzazione mediante
soppressione di enti, come nel caso delle camere di commercio,
l'intreccio con le competenze regionali comportava che tali
interventi fossero realizzati mediante procedure concertate con le
Regioni (sentenza n. 261 del 2017).
Nel caso di specie, invece, richiamando generiche esigenze di
razionalizzazione organizzativa, lo Stato ha previsto (e non in via
transitoria) direttamente il modello organizzativo e gestorio a cui
le Regioni sono tenute ad adeguarsi, cioe' l'erogazione dei servizi
di diritto allo studio attraverso un unico ente. Si tratta di una
previsione puntuale e specifica, che non lascia alcun margine di
attuazione alle stesse Regioni (se non riguardo alla struttura
organizzativa dell'ente), ne' si presenta coessenziale all'esigenza
di razionalizzare l'erogazione dei servizi per il diritto allo
studio, esulando in tal modo dalla competenza statale attinente ai
principi di coordinamento della finanza pubblica.
3.2.- Con particolare riferimento al diritto allo studio,
trattandosi di un diritto sociale, non c'e' dubbio che esso
costituisca uno degli ambiti in cui lo Stato puo' esercitare la
competenza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m). Lo stesso
d.lgs. n. 68 del 2012, d'altronde, prevede un sistema integrato di
strumenti e servizi, in cui allo Stato spetta la determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni, mentre alle Regioni competono
la disciplina e l'attivazione degli interventi volti a rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale per il concreto esercizio di
tale diritto, tra cui l'erogazione delle borse di studio.
Tuttavia, a differenza di quanto asserito dalla difesa statale,
deve escludersi che le disposizioni impugnate siano ascrivibili alla
potesta' di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m). Siffatto
parametro costituzionale, infatti, puo' essere invocato solo in
relazione a specifiche prestazioni delle quali le norme statali
definiscono il livello essenziale di erogazione (ex plurimis,
sentenze n. 10 del 2010, n. 328 del 2006, n. 285 e n. 120 del 2005 e
n. 423 del 2004). In particolare, non possono ricondursi a tale
titolo di legittimazione quelle disposizioni che non determinano
alcun livello di prestazione, ma incidono direttamente sull'assetto
organizzativo e gestorio demandato alla potesta' legislativa delle
Regioni, alle quali compete l'individuazione degli standard
organizzativi e qualitativi degli enti operanti nel campo dei servizi
educativi e di istruzione (sentenze n. 284 del 2016 e n. 120 del
2005).
Nel caso di specie, le disposizioni impugnate non provvedono a
fissare alcun livello o standard delle prestazioni, stabilendo,
invece, una determinata forma organizzativa per l'erogazione di un
diritto sociale. La qual cosa, come sottolineato, esula dalla
potesta' esclusiva statale in esame.
3.3.- Deve pertanto dichiararsi l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 1, commi 269, 270 e 272, della legge n. 232 del 2016, per
violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., con
assorbimento delle ulteriori censure.
4.- E' altresi' fondata la questione di legittimita'
costituzionale relativa all'art. 1, comma 271, della legge n. 232 del
2016.
4.1.- In via preliminare, va precisato che il decreto
interministeriale di cui al comma 271 e' stato adottato in data 11
ottobre 2017, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni (sancita
il 27 luglio 2017), sebbene la disposizione di legge impugnata
preveda il mero parere. Come risulta dalle premesse di tale atto,
infatti, l'intesa e' stata ritenuta comunque "opportuna". Cio',
tuttavia, non fa venir meno l'interesse a ricorrere della Regione
Veneto, ne' incide sulla materia del contendere, poiche' la
disposizione impugnata, sebbene di natura transitoria, puo' trovare
applicazione sino all'adozione del decreto di cui all'art. 7, comma
7, del d.lgs. n. 68 del 2012.
4.2.- La disciplina in esame individua le modalita' per la
determinazione dei fabbisogni regionali al fine del riparto delle
risorse del fondo integrativo statale per la concessione di borse di
studio, che, ai sensi dell'art. 18 del d.lgs. n. 68 del 2012,
concorre, assieme al gettito della tassa regionale per il diritto
allo studio e alle risorse proprie delle Regioni, al finanziamento
degli interventi a sostegno di tale diritto.
Si tratta, in altri termini, di un fondo in materia di competenza
regionale teso a garantire l'effettivita' del diritto allo studio. E
la disciplina di un fondo siffatto, com'e' noto, puo' si' intervenire
anche in materie di competenza delle Regioni (sentenze n. 273 del
2013 e n. 232 del 2011), ma con il pieno coinvolgimento delle stesse
nelle relative modalita' di gestione (tra le tante, sentenze n. 211 e
n. 147 del 2016, n. 168 e n. 94 del 2008 e n. 222 del 2005). L'art.
7, comma 7, del d.lgs. n. 68 del 2012, pertanto, prevede che il
riparto di tale fondo e' effettuato, in misura proporzionale al
fabbisogno finanziario delle Regioni, con decreto del Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca scientifica, di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con
la Conferenza Stato-Regioni, sentito il Consiglio nazionale degli
studenti universitari. In via transitoria, sino all'adozione di
siffatto decreto, ad oggi non ancora avvenuta, al riparto si e'
provveduto sulla base dei criteri di cui all'art. 16 del decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001, da ultimo
con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 agosto
2017, adottato previa intesa con le Regioni.
Ebbene, la determinazione dei fabbisogni regionali e'
strettamente collegata e prodromica al riparto delle risorse del
fondo statale, ma l'art. 1, comma 271, della legge n. 232 del 2016
prevede che sia effettuata con il mero parere della Conferenza
Stato-Regioni, discostandosi cosi' da quanto previsto per il riparto
del fondo stesso.
Cio', tuttavia, non puo' giustificarsi, come dedotto
dall'Avvocatura generale dello Stato, ascrivendo la disciplina in
esame alla competenza esclusiva statale in materia di determinazione
di livelli essenziali delle prestazioni, sebbene sia evidente che la
disposizione impugnata persegua anche il fine di assicurare gli
strumenti idonei alla realizzazione ed attuazione di un diritto
sociale. Come gia' sottolineato, infatti, il titolo di legittimazione
invocato dalla difesa statale e' circoscritto a quanto necessario ad
evitare che, in parti del territorio nazionale, gli utenti siano
assoggettati ad un regime di assistenza inferiore, per quantita' e
qualita', a quello ritenuto intangibile dallo Stato (sentenze n. 192
del 2017 e n. 125 del 2015).
D'altronde, come gia' sottolineato da questa Corte riguardo ai
livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA), se la
determinazione degli stessi e' un obbligo del legislatore statale, la
sua proiezione in termini di fabbisogno regionale coinvolge
necessariamente le Regioni. La dialettica tra Stato e Regioni,
dunque, «dovrebbe consistere in un leale confronto sui fabbisogni e
sui costi che incidono sulla spesa costituzionalmente necessaria,
tenendo conto della disciplina e della dimensione della fiscalita'
territoriale nonche' dell'intreccio di competenze statali e regionali
in questo delicato ambito materiale» (sentenza n. 169 del 2017).
Tale intreccio di competenze non puo' non risolversi, nel
rispetto dei canoni della leale collaborazione (tra le tante,
sentenze n. 192 del 2017, n. 251, n. 63, n. 21 e n. 1 del 2016, n.
273 del 2013, n. 27 del 2010, n. 168, n. 94 e n. 50 del 2008, n. 222
del 2005 e n. 423 del 2004), attraverso l'intesa in sede di
Conferenza Stato-Regioni (ex multis, sentenze n. 169 del 2017, n. 297
del 2012 e n. 134 del 2006).
4.3.- Pertanto, deve dichiararsi l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 1, comma 271, della legge n. 232 del 2016, nella parte in
cui prevede che il decreto interministeriale che determina i
fabbisogni finanziari regionali e' adottato previo parere della
Conferenza Stato-Regioni, anziche' previa intesa con detta
Conferenza.
5.- Anche la questione di legittimita' costituzionale concernente
l'art. 1, comma 275, della legge n. 232 del 2016, e' fondata.
5.1.- Va premesso che la disposizione impugnata e' stata sinora
disapplicata e, inoltre, sostanzialmente svuotata dai successivi
interventi del legislatore statale.
In primo luogo, la «Fondazione Articolo 34» non risulta ancora
costituita e neppure e' stato adottato il decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri che, ai sensi del successivo comma 288,
avrebbe dovuto istituire la «cabina di regia» incaricata, sino alla
piena operativita' della Fondazione, di attivare le procedure
relative all'emanazione del bando. In secondo luogo, l'art. 1, comma
636, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il
triennio 2018-2020), ha previsto l'incremento del fondo integrativo
statale per la concessione di borse di studio per 20 milioni di euro
a decorrere dal 2018, utilizzando a tal fine parte delle risorse
stanziate dall'art. 1, comma 286, della legge n. 232 del 2016 per
l'attuazione della disposizione impugnata, risorse che a decorrere
dal 2020 saranno del tutto cancellate.
Siffatti sviluppi, tuttavia, non fanno venir meno l'interesse a
ricorrere della Regione Veneto, in quanto il comma 275 potrebbe
trovare comunque una, seppur limitata, applicazione, qualora il
legislatore statale provveda a darvi attuazione.
5.2.- Neppure in questo caso l'intervento legislativo puo'
ritenersi espressione del titolo di legittimazione di cui all'art.
117, secondo comma, lettera m), Cost., come asserito dalla difesa
statale. La disposizione impugnata, infatti, prevede direttamente
l'erogazione di una determinata prestazione relativa al diritto allo
studio in favore dei singoli, individuando l'ente deputato ad
adottare il relativo bando, sebbene con il parere della Conferenza
Stato-Regioni.
Come affermato dalla costante giurisprudenza costituzionale, solo
in circostanze eccezionali, quando ricorrano imperiose necessita'
sociali, la potesta' statale in questione puo' consentire
l'erogazione di provvidenze ai cittadini o la gestione di sovvenzioni
direttamente da parte dello Stato in materie di competenza regionale
(sentenze n. 192 del 2017, n. 273 e n. 62 del 2013, n. 203 del 2012,
n. 121 e n. 10 del 2010). In particolare, ha scritto questa Corte,
quando cio' «[...] risulti necessario allo scopo di assicurare
effettivamente la tutela di soggetti i quali, versando in condizioni
di estremo bisogno, vantino un diritto fondamentale che, in quanto
strettamente inerente alla tutela del nucleo irrinunciabile della
dignita' della persona umana, soprattutto in presenza delle peculiari
situazioni sopra accennate, deve potere essere garantito su tutto il
territorio nazionale in modo uniforme, appropriato e tempestivo,
mediante una regolamentazione coerente e congrua rispetto a tale
scopo» (sentenza n. 10 del 2010).
Tali circostanze eccezionali non ricorrono nel caso di specie,
come conferma, d'altronde, il successivo svuotamento dell'intervento
legislativo.
La disposizione impugnata incide direttamente su competenze
regionali e configura una "chiamata in sussidiarieta'", giustificata
dall'esigenza di rafforzare, in modo uniforme sul territorio
nazionale, l'effettivita' del diritto allo studio. Tuttavia, la fase
amministrativa che, sulla base dei criteri individuati dalla legge,
si conclude con l'erogazione delle borse di studio, limita il
coinvolgimento delle Regioni alla mera audizione della Conferenza
Stato-Regioni. Non sono correttamente rispettati, quindi, i canoni di
leale collaborazione richiesti per la "chiamata in sussidiarieta'",
individuati da costante giurisprudenza di questa Corte nello
strumento dell'intesa (ex multis, sentenze n. 105 del 2017, n. 7 del
2016, n. 33 del 2011, n. 278 del 2010, n. 383 del 2005, n. 6 del 2004
e n. 303 del 2003).
5.3.- Pertanto, deve dichiararsi l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 1, comma 275, della legge n. 232 del 2016, nella parte in
cui prevede che, entro il 30 aprile di ogni anno, la «Fondazione
Articolo 34» bandisce almeno 400 borse di studio nazionali, sentita
la Conferenza Stato-Regioni, anziche' d'intesa con detta Conferenza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori
questioni di legittimita' costituzionale promosse con il ricorso
indicato in epigrafe;
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi
269, 270 e 272, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di
previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio
pluriennale per il triennio 2017-2019);
2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
271, della legge n. 232 del 2016, nella parte in cui prevede che il
decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della
ricerca che determina i fabbisogni finanziari regionali e' adottato
«previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, che
si esprime entro sessanta giorni dalla data di trasmissione, decorso
il quale il decreto puo' essere comunque adottato», anziche' «previa
intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano»;
3) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
275, della legge n. 232 del 2016, nella parte in cui prevede che la
«Fondazione Articolo 34», entro il 30 aprile di ogni anno, bandisce
almeno 400 borse di studio nazionali «sentita la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano», anziche' «d'intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano».
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2018.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
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