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mercoledì 2 maggio 2018

TAR aprile 2018: "Con decreto del Direttore Generale del Dipartimento Informazione e Sicurezza – D.I.S. del 30.07.2014, n. xxx, notificato l’11.08.2014, ne veniva disposto il trasferimento d’ufficio presso l’amministrazione di provenienza, Ministero dell’Interno - Polizia di Stato, in ragione di esigenze di servizio ex art. 32, comma 1, lett. b), del D.P.C.M. n. 1/2011, come modificato dal D.P.C.M. n. 5/2012, a decorrere dal decimo giorno successivo a quello di avvenuta notifica."





Pubblicato il 24/04/2018
N. 04572/2018 REG.PROV.COLL.

N. 15718/2014 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15718 del 2014, proposto da
-OMISSIS-e difeso dagli avvocati Stefano Colella e Fabio Maniscalco, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Colella - Maniscalco in Roma, Cir.Ne Trionfale, 145;
contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Dis - Dipartimento Informazione e Sicurezza, non costituito in giudizio;
per l'annullamento

della comunicazione, notificata in data 11/08/2014, con la quale si rendeva noto al ricorrente che, con Decreto del Direttore Generale del D.I.S. del 30 luglio 2014, n. xxx, veniva disposto il rientro all’amministrazione di provenienza d’ufficio, per esigenze di servizio, ai sensi dell’art. 32, comma 1, lett. b), del DPCM 1/2011, come modificato dal DPCM n. 5/2012, a decorrere dal giorno successivo a quello di avvenuta notifica.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Vista l’ordinanza collegiale della Sezione n. 921/2018 del 25 gennaio 2018;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2018 la dott.ssa Rosa Perna e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’odierno esponente, già appartenente ai ruoli della Polizia di Stato, rappresenta di essere stato inquadrato in ruolo presso l’A.I.S.E. (ex S.I.S.M.I.) dal gennaio 2004.

Con decreto del Direttore Generale del Dipartimento Informazione e Sicurezza – D.I.S. del 30.07.2014, n. xxx, notificato l’11.08.2014, ne veniva disposto il trasferimento d’ufficio presso l’amministrazione di provenienza, Ministero dell’Interno - Polizia di Stato, in ragione di esigenze di servizio ex art. 32, comma 1, lett. b), del D.P.C.M. n. 1/2011, come modificato dal D.P.C.M. n. 5/2012, a decorrere dal decimo giorno successivo a quello di avvenuta notifica.

2. Con il presente ricorso, l’odierno esponente si gravava avverso il suindicato provvedimento di trasferimento, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere, sub specie di difetto assoluto di motivazione, per non avere l’Amministrazione indicato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che ne avevano determinato la decisione, limitandosi alla mera indicazione della norma asseritamente violata.

Inoltre, il ricorrente si doleva della manifesta ingiustizia e della violazione dei principi generali di buona fede e giusto procedimento, poiché assumeva essere stato compromesso il proprio diritto di difesa. Da ultimo, censurava la mancata indicazione dell’Autorità Giudiziaria competente e dei termini entro cui proporre impugnazione.

In via istruttoria, domandava che l’Amministrazione intimata producesse i documenti, tutti riservati, relativi al suo status economico-giuridico e ai testi normativi richiamati nell’impugnato provvedimento di trasferimento.

3. Si costituiva in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri per domandare il rigetto del ricorso siccome infondato.

4. In vista della pubblica udienza fissata per il 17 gennaio 2018, le parti depositavano memorie per meglio dedurre e specificare le proprie argomentazioni. In particolare, il ricorrente insisteva per l’accoglimento del ricorso e delle richieste istruttorie formulate nell’atto introduttivo del giudizio; la difesa erariale insisteva per la reiezione del ricorso e, in data 29 dicembre 2017, versava in atti documentazione relativa al procedimento di trasferimento del ricorrente.

5. Con ordinanza n. 921/2018 del 25 gennaio 2018 il Collegio, rilevata la tardività di tale deposito documentale rispetto ai termini dimidiati di cui all’art. 119, comma 1, lett. i), c.p.a., ordinava all’Amministrazione il deposito di documentazione utile ai fini della decisione, assegnando un termine perentorio di 30 giorni dalla notificazione ovvero dalla comunicazione in forma amministrativa della stessa ordinanza.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri ottemperava solo in data 19 marzo 2018.

6. Alla pubblica udienza dell’11 aprile 2018 il legale difensore di parte ricorrente chiedeva lo stralcio della documentazione depositata dall’Amministrazione in ragione della tardività del deposito; il ricorso era trattenuto in decisione.

7. Preliminarmente, il Collegio dispone lo stralcio delle evidenze depositate dall’Amministrazione intimata in data 19 marzo 2018, per la rilevata tardività del deposito medesimo.

Cionondimeno, rileva l’utilizzabilità nel presente giudizio della documentazione versata in atti in data 29 dicembre 2017 dalla difesa erariale, la quale, se tardiva rispetto alla udienza di discussione del 17 gennaio 2018 - non essendo all’epoca ancora decorsi i termini, sia pure dimidiati, di cui all’art. 119, comma 1, lett. i), c.p.a., che a garanzia del contraddittorio delle parti e della piena cognizione del collegio risultano applicabili alla odierna controversia – all’attualità risulta utilmente apprezzabile per la decisione del ricorso in epigrafe, all’esito della pubblica udienza dell’11 aprile 2018.

8. Tanto premesso, rappresenta il Collegio che le doglianze di parte ricorrente non sono meritevoli di favorevole considerazione ed il ricorso va, pertanto, rigettato.

9. Giova premettere che il provvedimento di cui si controverte nell’odierno gravame afferisce al rapporto di servizio alle dipendenze dei Servizi di Informazione e Sicurezza (di seguito, anche “Servizi”), connotato da evidenti specificità e disciplinato da un regime di eccezionalità rispetto alla disciplina generale che governa i rapporti di pubblico impiego.

La giurisprudenza amministrativa ha avuto plurime occasioni per rilevare che la peculiarità del rapporto di lavoro alle dipendenze dei Servizi di Informazione per la Sicurezza, unitamente alle stesse esigenze di sicurezza della Repubblica e dell'ordinamento democratico, giustificano, sia una molto limitata applicazione delle regole generali valevoli per il rapporto di lavoro alle dipendenze di Pubbliche Amministrazioni, ivi compresi i rapporti in regime di diritto pubblico o improntati all'intuitus personae nella attribuzione dell'incarico; sia una lettura diversamente orientata delle disposizioni della l. n. 241/1990 per i procedimenti amministrativi gestiti dai predetti Servizi, pur non giungendo ad affermarne una radicale inapplicabilità, nella misura in cui norme e principi di tale legge costituiscono attuazione dell'art. 97 Cost., ma ritenendo che le medesime norme e i principi, in un bilanciamento di valori tutti enunciati e tutelati dalla Carta costituzionale, siano da interpretare - ed applicare - in considerazione della particolarità delle funzioni pubbliche svolte dagli Organismi (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2013, n. 5760).

Detti canoni si riverberano, in concreto, negli elevati standard di discrezionalità che contraddistinguono il rapporto di lavoro tra Amministrazione e dipendente, il quale ha natura precaria e prettamente fiduciaria. La potestà ampiamente discrezionale riconosciuta all'Amministrazione nella gestione del personale, funzionale alle preminenti esigenze operative ed organizzative, a loro volta strumentali rispetto al perseguimento degli specifici fini istituzionali, consente, per pacifica giurisprudenza confortata dal dato normativo letterale, di disancorare la fase di cessazione del rapporto dalla sussistenza di specifici presupposti (TAR Lazio, Sez. I, 7 agosto 2013, n. 7872; 4 maggio 2011, n. 3846; 3 luglio 2009, n. 6450); essendo sufficiente a tal fine il venir meno del rapporto fiduciario o il sopravvenire di mutate esigenze, siano esse organizzative od operative, senza che sia necessaria l'indicazione espressa delle ragioni sottese alla cessazione del rapporto, essendo piuttosto sufficiente - alla luce della speciale disciplina dettata in materia - la mera indicazione della sussistenza di ragioni di servizio, che non necessitano di alcuna ulteriore esplicitazione.

In altri termini, tale rapporto, disciplinato da disposizioni regolamentari, si connota per l'attribuzione all'Amministrazione di un potere discrezionale particolarmente ampio al quale corrisponde, in ragione della assoluta peculiarità dei compiti affidati ai Servizi, la facoltà di adottare i necessari provvedimenti organizzativi nei confronti del personale dipendente allorché il rapporto fiduciario - da intendersi in senso ampio - non sia ritenuto più sussistente ovvero sopraggiungano nuove esigenze.

Ne consegue che il provvedimento di trasferimento del personale militare dai Servizi di Informazione alla amministrazione di appartenenza, attesa l'ampia discrezionalità che lo caratterizza, è sufficientemente motivato con riferimento alla circostanza che la restituzione avviene d'ufficio, in quanto la particolare connotazione del rapporto d'impiego in questione comporta che la motivazione debba "arrestarsi al punto in cui la divulgazione dei motivi di servizio potrebbe compromettere le attività svolte nell'ambito dei detti organismi e l'organizzazione degli stessi", venendo in rilievo, oltre al menzionato elemento fiduciario, le esigenze funzionali di tali Organismi, le quali, in ipotesi liminari, potrebbero essere danneggiate da una ostensione dei motivi specifici che impongono il trasferimento o la restituzione alla P.A. di provenienza di un dipendente (Tar Lazio, Sez. I, 19 novembre 2008, n. 10415; 4 maggio 2011, n. 3846; 13 luglio 2011, n. 6291).

9.1 Nel caso in esame, il provvedimento di restituzione all’Amministrazione di provenienza fa seguito ad una motivata proposta del Direttore Generale del D.I.S., recante l’esposizione delle significative ragioni fattuali, non negate né contestate dal ricorrente, che ne hanno determinato “un complessivo quadro di criticità”, in termini di “inopportunità del comportamento tenuto …peraltro nella sua qualità di appartenente agli Organismi di Informazione” e di “sovraesposizione …in una vicenda giudiziaria che ha suscitato ampia eco in ambito nazionale”, così integrandosi una motivazione per relationem dello stesso, perfettamente inquadrabile negli atti di natura altamente discrezionale, la cui determinazione è rimessa alla potestà esclusiva dell'Amministrazione (Cons. Stato, Sez. IV, n. 275/2010; nello stesso senso Sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2036).

9.2 Si noti, incidentalmente, che le valutazioni tecniche, ampiamente discrezionali, sulla cui scorta l’Amministrazione fonda la sua “fiducia” nei confronti del “dipendente” dei Servizi di informazione e di sicurezza non sono sindacabili in sede di giudizio di legittimità, salvo che non siano state fondate su fatti inesistenti o del tutto irrilevanti (ai fini della verifica sul corretto esercizio delle funzioni e dei compiti ad esso devoluti) (TAR Lazio, Sez. I, 14 ottobre 2002, n. 8640); e tanto preclude all’adìto giudice di condurre il vaglio di legittimità del gravato provvedimento sotto forma di scrutinio della valutazione effettuata nei confronti del ricorrente, e ciò, sempre in ragione dell'ampio margine decisionale riconosciuto in materia ai predetti Organismi (TAR Lazio, Sez. I, 8 febbraio 2010, n. 1643).

In particolare, la restituzione del dipendente dei Servizi all'Amministrazione di provenienza non deve necessariamente ancorarsi a valutazioni inerenti la professionalità, consentendo il carattere prettamente fiduciario del rapporto la sua cessazione in qualsiasi momento senza necessità di motivazione; ciò che rende, per l'effetto, ininfluente, ai fini della verifica di legittimità del gravato provvedimento, qualsivoglia indagine circa il rendimento in servizio del ricorrente, più volte sottolineato negli scritti di parte, non essendo, oltretutto, neppure richiesto, nello specifico contesto di cui trattasi, che i comportamenti addebitati al dipendente assurgano a dimensioni apprezzabili in sede disciplinare o di incompatibilità (Cons. Stato, Sez. IV, n. 2036/2008 cit.; TAR Lazio, Sez. I, n. 3846/2011 cit.).

E, nella specie, la vicenda fattuale sottesa alla determinazione dell’Amministrazione della sicurezza si manifesta come tale da mandare indenne il provvedimento impugnato dalle censure di manifesta irragionevolezza o sviamento di potere ed iniquità, pure adombrate dal ricorrente.

10. Con il secondo motivo di ricorso, l’odierno esponente ha ulteriormente censurato il provvedimento impugnato deducendo la compromissione del proprio diritto di difesa per essere stata indicata nella motivazione dell’atto esclusivamente la norma, peraltro non pubblicata in alcuna raccolta, di cui l’Amministrazione avrebbe fatto applicazione nel caso di specie, e per essere stata omessa l’indicazione di cui all’art. 3, comma 4, legge n. 241/1990.

10.1 Con riguardo al primo profilo di doglianza, si osserva che il decreto di rientro all’amministrazione di provenienza è stato disposto “d’ufficio, per esigenze di servizio” e “ai sensi dell’art. 32, comma 1, lettera b) del D.P.C.M.” 23 marzo 2011, n. 1, il cui dispositivo è stato sostanzialmente riportato negli scritti difensivi dell’avvocatura erariale e letteralmente riprodotto nella proposta motivata di trasferimento del Direttore Generale D.I.S..

Pertanto, il diritto di difesa e la garanzia ad un equo processo invocati dalla parte ricorrente non possono ritenersi violati, poiché la documentazione o le informazioni di cui si lamenta la mancata conoscenza sono state comunque conosciute, sia pure nelle forme e con le cautele previste per la tutela dei documenti classificati, nel corso del giudizio.

10.2 Tanto premesso, nel richiamare le considerazioni già svolte, si rimarca che le peculiari esigenze di riservatezza per la cura dei superiori interessi dell’ordinamento democratico e la necessaria discrezionalità che nella fattispecie connota le scelte - anche organizzative - dell’Amministrazione, inducono ad affermare, come la giurisprudenza amministrativa non ha mancato di fare, che l’obbligo di motivazione in ordine alla restituzione di un dipendente dei Servizi all’amministrazione di provenienza può in ogni caso ritenersi sufficientemente soddisfatto con il richiamo, pur generale, alla cessazione di particolari esigenze di servizio (Cons. Stato, Sez. IV, 12 novembre 2013, n. 5422), come è avvenuto nel caso di specie, potendo una diversa soluzione comportare la divulgazione dei motivi di servizio idonea a compromettere le attività svolte nell’ambito dei Servizi (Tar Lazio, Sez. I, n. 3846/2011 cit.).

Proprio tale ragione appare sottesa alla previsione normativa che, già con il previgente art. 6 D.P.C.M. n. 7 del 1980 (su cui, Cons. Stato, Sez. IV, n. 2036/2008 cit.), stabilisce che nel provvedimento di trasferimento sia specificato esclusivamente che la restituzione all’amministrazione di provenienza avviene d’ufficio e mediante il mero richiamo alla disposizione legislativa violata. Proprio con riguardo all’art. 6, D.P.C.M. n. 7/1980, che la giurisprudenza ha riconosciuto come sostanzialmente identificabile nell’art. 32, comma 1, D.P.C.M. n. 1/2011 (cfr. Tar Lazio, Roma, Sez. I, 12 settembre 2017, n. 9699), il giudice amministrativo ebbe a chiarire che nel contesto in esame un obbligo di motivazione ex art. 3, legge n. 241/1990 neppure sarebbe coerente, considerato il carattere fiduciario del rapporto e la necessaria, lata discrezionalità che nella fattispecie spetta all’Amministrazione.

Con tutta evidenza, queste sono le ragioni che inducono a giustificare che il provvedimento di trasferimento d’ufficio, così ampiamente discrezionale ed afferente ad una organizzazione connotata dalla generale riservatezza, rechi soltanto la specificazione che la restituzione avviene d’ufficio. Nell’ambito della delegificazione disposta dal legislatore e conformemente alla specificità del rapporto, l’obbligo di motivazione si riduce, dunque, a contenuti assolutamente stringati (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 2036/2008 cit.).

10.3 In sintesi, dunque, il necessario bilanciamento dei contrapposti interessi giustifica pienamente che l’atto impugnato abbia una motivazione per relationem, sia con il richiamo alla norma, riservata, posta a fondamento del provvedimento autoritativo, sia a mezzo della motivata proposta di restituzione del superiore gerarchico. Né può, altrimenti, ritenersi violato il diritto di difesa del ricorrente che, alla lamentata impossibilità di conoscere il tenore letterale della disposizione invocata, ha avuto risposta nel corso del procedimento giurisdizionale, in quanto l'esercizio dei diritti di difesa e garanzia di un processo equo restano soddisfatti dalla conoscenza in giudizio delle informazioni stesse, pur con le cautele previste per la tutela dei documenti classificati.

10.4 Quanto, da ultimo, alla mancata indicazione, nel provvedimento amministrativo, del termine per proporre ricorso e dell'Autorità giudiziaria alla quale rivolgersi per contestarlo, essa può essere ritenuta una mera irregolarità, che consente al giudice di ammettere la scusabilità dell'errore e l’eventuale rimessione in termini in caso di tardività dell’impugnazione, ma non comporta, di per sé, l’illegittimità del provvedimento stesso (ex plurimis, Tar Lazio, Sez. III ter, 3 febbraio 2017, n. 1808).

11. Per le ragioni esposte il ricorso è infondato e va, pertanto respinto.

12. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente a pagare in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri le spese di lite, che quantifica in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2018 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Rosa Perna, Consigliere, Estensore

Roberta Cicchese, Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Rosa Perna Carmine Volpe
IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.






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