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mercoledì 2 maggio 2018
N. 92 SENTENZA 21 febbraio - 27 aprile 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Incidente probatorio - Assunzione della testimonianza di minorenne - Mancata comparizione dovuta a situazioni di disagio del minore che ne compromettono il benessere. - Codice di procedura penale, artt. 398, comma 5, e 133. - (GU n.18 del 2-5-2018 )
N. 92 SENTENZA 21 febbraio - 27 aprile 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Processo penale - Incidente probatorio - Assunzione della
testimonianza di minorenne - Mancata comparizione dovuta a
situazioni di disagio del minore che ne compromettono il benessere.
- Codice di procedura penale, artt. 398, comma 5, e 133.
-
(GU n.18 del 2-5-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 398,
comma 5, e 133 del codice di procedura penale, promosso dal Giudice
per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Lecce nel
procedimento penale a carico di G. R., con ordinanza del 1° dicembre
2015, iscritta al n. 109 del registro ordinanze 2016 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie
speciale, dell'anno 2016.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 2018 il Giudice
relatore Franco Modugno.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 1° dicembre 2015, il Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale ordinario di Lecce ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art.
117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 3 e 4
della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991,
n. 176, degli artt. 398, comma 5, e 133 del codice di procedura
penale, nella parte in cui «non prevedono che, laddove la mancata
comparizione del testimone minorenne sia dovuta a situazioni di
disagio che ne compromettono il benessere, e sia possibile ovviare ad
esse procedendo all'esame del minore presso il tribunale competente
in relazione al luogo della sua dimora, [...] possa ritenersi
giustificata la sua mancata comparizione e rogarsi il compimento
dell'incidente al [giudice per le indagini preliminari] del tribunale
nel cui circondario risiede il minore».
1.1.- Il rimettente riferisce che, nel giudizio a quo, si procede
nei confronti di una persona imputata del delitto di maltrattamenti
in danno del figlio minorenne della propria convivente. Riferisce,
altresi', che su istanza dell'imputato, formulata nel corso
dell'udienza preliminare - come consentito a seguito della sentenza
della Corte costituzionale n. 77 del 1994 - era stata disposta
l'assunzione della testimonianza del minore nelle forme
dell'incidente probatorio, ai sensi dell'art. 392, comma 1-bis, cod.
proc. pen.
Il difensore della persona offesa aveva ripetutamente chiesto che
l'incidente probatorio fosse rinviato o sospeso, ovvero delegato al
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di
Avellino - citta' nella quale il minore risiedeva con il padre -,
ovvero ancora che vi procedesse lo stesso GIP di Lecce, ma sempre nel
luogo di residenza del minore. Le istanze erano state motivate con lo
stress accumulato da quest'ultimo, gia' esaminato piu' volte in sede
di giudizio civile, con i problemi che la trasferta gli avrebbe
recato sul piano della frequentazione e del rendimento scolastico,
nonche' con il disagio, manifestato dal minore, «a venire a Lecce,
ove non si sent[iva] tranquillo per il timore di incontrare
l'imputato».
Il giudice a quo aveva disatteso, tuttavia, tali istanze con
ordinanza del 30 settembre 2015, fissando al 27 novembre 2015
l'udienza per l'espletamento dell'incidente probatorio avanti a se'.
Nell'occasione, il rimettente aveva rilevato come il «pur
comprensibile» disagio lamentato dal minore non potesse condurre ad
un apprezzamento di pericolosita' dell'atto processuale per la sua
salute, tale da giustificare la revoca dell'incidente probatorio. Con
un precedente incidente probatorio era stata, infatti, espletata una
perizia proprio per verificare la capacita' a testimoniare del minore
e l'esistenza di «problematicita'» connesse alla sua sottoposizione
ad esame: «problematicita'» che il perito aveva escluso, stante
«l'elevata maturita' del minore» - ormai sedicenne - «e l'assenza di
segni di fragilita'». Nella medesima ordinanza si era rilevato,
altresi', come non ricorressero nemmeno i presupposti per un esame
del minore «a domicilio». Il comma 5-bis dell'art. 398 cod. proc.
pen. consente, infatti, che l'udienza per l'espletamento
dell'incidente probatorio si tenga in luogo diverso dal tribunale,
allorche' occorra assumere la testimonianza di un minore, prevedendo,
tuttavia, l'esame presso l'abitazione della persona interessata solo
qualora non esistano «strutture specializzate di assistenza»:
strutture, di contro, reperibili nel circondario di Lecce presso il
Tribunale per i minorenni, che disponeva di locali appositamente
attrezzati. La finalita' della citata disposizione non sarebbe,
d'altra parte, quella di limitare i disagi di una eventuale
trasferta, ma l'altra - da essa espressamente richiamata - di
salvaguardare le «esigenze di tutela delle persone»: e cio'
segnatamente a fronte dei pregiudizi di ordine emotivo e psicologico
che possono derivare al minore da un esame in udienza a diretto
contatto con le parti, compresi i soggetti che avrebbero
eventualmente abusato di lui. Nella specie, peraltro, il minore era
gia' stato sentito in diverse occasioni presso il Tribunale per i
minorenni di Lecce, senza mai manifestare alcun disagio per il
trasferimento. Il perito aveva, inoltre, chiarito che il minore, in
ragione del suo «sviluppo evolutivo e psicologico», poteva essere
senz'altro esaminato direttamente dalle parti. Lo svolgimento
dell'incidente probatorio ad Avellino, anziche' a Lecce, non avrebbe
offerto, d'altronde, alcuna garanzia in piu' sotto il profilo della
tutela del minore, posto che, ai sensi dell'art. 401, comma 3, cod.
proc. pen., l'imputato - autore dei presunti maltrattamenti - avrebbe
avuto, comunque sia, il diritto di assistere all'assunzione della
testimonianza. Non sussistevano, pertanto, «controindicazioni»
all'esame del minore in Lecce, laddove, invece, l'espletamento
dell'incombente nel suo luogo di residenza avrebbe comportato «anche
ostacoli al piano esercizio del diritto di difesa, al cui servizio si
pone [...] il principio che assegna la competenza [...] territoriale
al giudice del locus commissi delicti». Proprio in questa
prospettiva, l'art. 398, comma 5, cod. proc. pen., nell'individuare i
casi nei quali l'incidente probatorio puo' essere delegato ad altro
giudice, fa riferimento alle ipotesi nelle quali il mezzo di prova
debba essere necessariamente assunto fuori del circondario del
giudice che lo dispone, richiedendo, altresi', che ricorrano «ragioni
di urgenza», nella specie non ravvisabili.
Il giudice rimettente aveva, quindi, conclusivamente ritenuto che
le preoccupazioni e i disagi manifestati dal minore imponessero
soltanto di fare in modo che il suo esame avvenisse «con modalita'
protette», tali da evitargli il contatto, anche solo visivo, con
l'imputato prima, durante e dopo l'incidente probatorio, in maniera
da tutelare la sua «tranquillita' emotiva». In quest'ottica, il
rimettente - oltre a richiedere l'assistenza di uno psicologo - aveva
disposto una serie di cautele, stabilendo, in particolare, differenti
orari di arrivo per i due interessati e il divieto, per l'imputato,
di comparire prima di un certo orario, cosi' da consentire al minore
di raggiungere la sala destinata all'escussione senza incrociarlo.
Aveva disposto, infine, che l'imputato fosse ammesso ad assistere
all'esame dietro uno «schermo/specchio», in modo da non essere visto
dal testimone.
1.2.- All'udienza fissata per l'espletamento dell'incidente
probatorio, il minore non era, peraltro, comparso. Confermando quanto
preventivamente comunicato dai servizi sociali del Comune di
Avellino, il difensore della persona offesa e il padre di
quest'ultima, comparsi in udienza, avevano rappresentato la volonta'
«particolarmente intensa e ferma» del minore di essere sentito ad
Avellino, e non a Lecce, per il «forte timore» di un possibile
incontro con l'imputato e l'«elevato disagio» generato in lui
dall'idea di un ritorno nel territorio salentino.
Il rimettente esclude che una simile volonta' - in assenza di una
«seria controindicazione» per la salute del minore - possa integrare
una situazione di «legittimo impedimento», atta a giustificare la
mancata ottemperanza all'obbligo di comparire ai sensi degli artt.
133 e 198 cod. proc. pen. Ribadisce, altresi', come non ricorra una
condizione di urgenza atta a giustificare la delega dell'incidente
probatorio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
ordinario di Avellino, «non essendo in pericolo la ripetibilita'
della prova», ne' sussistendo «il rischio che il decorso del tempo
[...] comprometta la possibilita' di assumerla in condizioni di
genuinita'» (la prova sarebbe, infatti, senz'altro ripetibile, anche
dopo l'ormai prossimo raggiungimento della maggiore eta' da parte del
teste). Conferma, ancora, l'insussistenza dei presupposti per
l'assunzione dell'atto a domicilio, tanto ai sensi dell'art. 398,
comma 5-bis, cod. proc. pen., quanto ai sensi dell'art. 502 cod.
proc. pen. Rileva, infine, come non ricorrano neppure le «gravi
difficolta' ad assicurare la comparizione della persona da sottoporre
ad esame», in presenza delle quali l'art. 147-bis, comma 5, del
decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di
coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) consente
l'esame a distanza del testimone: modalita' che, per la loro
«poverta' empatica», sarebbero d'altronde - secondo il rimettente -
«ben poco adatte all'esame del minore».
A fronte di cio', il giudice a quo si troverebbe, dunque, a dover
disporre l'accompagnamento coattivo del minore a mezzo della forza
pubblica, ai sensi dell'art. 133 cod. proc. pen.
1.3.- Il rimettente dubita, tuttavia, della legittimita'
costituzionale del «complesso normativo» che imporrebbe di adottare
un simile provvedimento, al quale andrebbe ascritta «una non minima
capacita' traumatizzante sul minore».
Nella specie, potrebbe in effetti «darsi per acquisito» che il
minore avverta «effettivamente, e con estrema verosimiglianza», un
forte disagio nel far ritorno in luoghi che associa alla persona
dell'imputato e ai fatti di maltrattamento che gli attribuisce: e
cio' anche a voler supporre l'infondatezza delle accuse, posto che -
se pure non nella citta' di Lecce, ma in un paese della provincia -
l'imputato ha svolto nei confronti del minore stesso il ruolo di
padre per diversi anni.
In simile situazione, lo svolgimento dell'incidente probatorio in
Lecce, e ancor piu' l'accompagnamento coattivo del minore,
comporterebbero la prevalenza delle «esigenze di razionale
distribuzione degli affari e delle competenze» e di agevolazione
dell'esercizio del diritto di difesa (di cui sarebbero espressione
anche le norme sulla competenza territoriale) rispetto a quelle di
tutela della serenita' e dell'equilibrio del minore, che, «non per
capriccio», ma per ragioni di effettivo disagio psichico non voglia
comparire davanti al giudice di un determinato luogo, con totale
soccombenza delle seconde (e conseguente rischio di pregiudizio anche
per la genuinita' della prova).
In simili frangenti, l'impossibilita' di delegare l'esecuzione
dell'incidente probatorio al giudice per le indagini preliminari del
luogo di residenza del teste minorenne, e la conseguente necessita'
di disporne l'accompagnamento coattivo, si porrebbero in contrasto
con gli obblighi internazionali derivanti dagli artt. 3 e 4 della
Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e, di riflesso, con
l'art. 117 Cost. Il citato art. 3 impone, infatti, agli Stati parti,
in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di attribuire un rilievo
preminente all'«interesse superiore del fanciullo» (intendendosi, per
tale, ai sensi dell'art. 1 della Convenzione, il minore degli anni
diciotto) e di assicurare al medesimo «la protezione e le cure
necessarie al suo benessere»: concetto, quello di «benessere», da
ritenere piu' ampio di quello di «salute» e comprensivo anche
dell'esigenza di evitare «gli stati d'ansia o stress che possono
essere prodotti dall'applicazione delle norme processuali». A sua
volta, l'art. 4 della Convenzione impegna gli Stati parti ad adeguare
i propri ordinamenti interni a tali principi, anche tramite
provvedimenti legislativi.
Sulla base di tali considerazioni, il giudice a quo ritiene,
quindi, rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 398, comma 5, e 133 cod.
proc. pen., nella parte in cui non prevedono che - quando la mancata
comparizione del testimone minorenne sia dovuta a situazioni di
disagio che ne compromettono il benessere, alle quali si possa
«ovviare» procedendo all'esame del minore presso il tribunale nel cui
circondario egli dimora - il giudice competente possa ritenere
giustificata la sua mancata comparizione e delegare per l'esecuzione
dell'incidente probatorio il giudice per le indagini preliminari del
luogo di residenza del minore.
2.- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Ad avviso della difesa dell'interveniente, la questione sarebbe
inammissibile sia per difetto di adeguata motivazione sulla
rilevanza, sia in quanto ipotetica. Dall'ordinanza di rimessione
emerge, infatti, chiaramente che, nel caso di specie, l'assenza del
minore non risulta giustificata da un effettivo impedimento a
comparire, ne' da difficolta' gravi, e che il problema sarebbe
risolvibile tramite l'accompagnamento coattivo, con sacrificio non
grave delle ragioni del minore.
La questione sarebbe, in ogni caso, infondata nel merito.
L'incidente probatorio e' un istituto processuale finalizzato ad
evitare, durante le indagini preliminari, il rischio di dispersione
di prove non rinviabili al dibattimento. Con riguardo ad esso, il
legislatore avrebbe operato un corretto bilanciamento tra la tutela
dei diritti dell'imputato e quelli del testimone minore, stabilendo
regole particolari a salvaguardia della serenita' di quest'ultimo, in
quanto soggetto vulnerabile.
L'intervento richiesto dal giudice rimettente attenuerebbe invece
ingiustificatamente lo stretto legame tra giudice e luogo di
commissione del fatto, postulato dal principio del giudice naturale,
di cui all'art. 25, primo comma, Cost., quale limite alla
discrezionalita' legislativa nella determinazione della competenza
territoriale. Come posto in evidenza dalla giurisprudenza
costituzionale, «il predicato della "naturalita'" assume nel processo
penale un carattere del tutto particolare, in ragione della
"fisiologica" allocazione di quel processo nel locus commissi
delicti» (e' citata la sentenza n. 168 del 2006). L'attribuzione
della competenza al giudice di tale luogo risponde, in effetti, non
solo all'esigenza «simbolica» di riaffermare il diritto e la
giustizia proprio nel luogo in cui sono stati violati, ma anche a
considerazioni di ordine pratico, essendo, di norma, tale sede
giudiziaria quella piu' idonea all'accertamento del fatto, in
particolare nella prospettiva di una piu' agevole e rapida raccolta
del materiale probatorio.
La deroga agli ordinari criteri di competenza territoriale che il
giudice a quo vorrebbe introdurre in nome della tutela dei diritti
del fanciullo, prevista nella Convenzione di New York, comporterebbe
un sacrificio del tutto sproporzionato del principio del giudice
naturale rispetto all'obiettivo di non incidere sul benessere del
minore, che, nel caso di specie, non sembrerebbe in pericolo e che
risulterebbe, comunque sia, salvaguardato dalle speciali garanzie
previste dall'ordinamento a tutela del minore stesso.
Considerato in diritto
1.- Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
ordinario di Lecce dubita della legittimita' costituzionale degli
artt. 398, comma 5, e 133 del codice di procedura penale, nella parte
in cui non prevedono che - quando la mancata comparizione del minore
chiamato a rendere testimonianza in sede di incidente probatorio sia
dovuta a «situazioni di disagio che ne compromettono il benessere»,
alle quali sia possibile «ovviare» esaminandolo presso il tribunale
del luogo della sua dimora - il giudice competente possa ritenere
giustificata la mancata comparizione e delegare l'incidente
probatorio al giudice per le indagini preliminari nel cui circondario
il minore risiede.
Ad avviso del giudice a quo, le norme censurate violerebbero
l'art. 117, primo comma, della Costituzione, ponendosi in contrasto
con le previsioni degli artt. 3 e 4 della Convenzione sui diritti del
fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa
esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, in forza delle quali gli
Stati parti debbono considerare «preminente» l'«interesse superiore»
del fanciullo (intendendosi, per tale, ai sensi dell'art. 1 della
Convenzione, il minore degli anni diciotto) in tutte le decisioni che
lo riguardano - e, dunque, anche nella disciplina degli atti
processuali - al fine di garantire il «benessere» del fanciullo
stesso. Non consentendo di delegare, nei casi considerati,
l'incidente probatorio al giudice del luogo di residenza del minore e
imponendo, di conseguenza, l'accompagnamento coattivo di
quest'ultimo, le disposizioni sottoposte a scrutinio farebbero, per
converso, prevalere le esigenze di razionale distribuzione degli
affari e di agevolazione del diritto di difesa - delle quali
sarebbero espressione le norme sulla competenza territoriale - su
quelle di tutela della serenita' e dell'equilibrio del minore, «con
totale soccombenza» delle seconde.
2.- L'eccezione di inammissibilita' della questione formulata dal
Presidente del Consiglio dei ministri non e' fondata.
Secondo l'Avvocatura generale dello Stato la questione sarebbe
inammissibile sia per difetto di adeguata motivazione sulla
rilevanza, sia per il suo carattere ipotetico: cio', in quanto
dall'ordinanza di rimessione emergerebbe chiaramente che, nel caso di
specie, l'assenza del minore non e' giustificata da un impedimento a
comparire o da gravi difficolta' e che il problema sarebbe
risolvibile tramite l'accompagnamento coattivo, con un sacrificio
«non grave» delle ragioni del minore.
Evitare, tuttavia, il sacrificio anche «non grave» delle ragioni
del minore e' proprio cio' a cui mira il giudice rimettente con la
questione sollevata.
3.- Nel merito, la questione non e', tuttavia, fondata.
La tematica su cui verte l'odierno quesito di legittimita'
costituzionale e' quella dell'assunzione, mediante incidente
probatorio, della testimonianza di una persona minorenne. A tal
riguardo, il giudice a quo sottopone congiuntamente a scrutinio due
norme, cui addebita la creazione di una situazione di mancata tutela
del minore, contrastante con le evocate previsioni degli artt. 3 e 4
della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e, di
riflesso, con l'art. 117 Cost., nella parte in cui, al primo comma,
impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dagli
obblighi internazionali.
Le censure investono, in primo luogo, il disposto dell'art. 398,
comma 5, cod. proc. pen., che disciplina le condizioni di
esperibilita' dell'incidente probatorio per rogatoria, stabilendo che
«[q]uando ricorrono ragioni di urgenza e l'incidente probatorio non
puo' essere svolto nella circoscrizione del giudice competente,
quest'ultimo puo' delegare il giudice per le indagini preliminari del
luogo dove la prova deve essere assunta».
Viene censurata, altresi', la disposizione dell'art. 133 cod.
proc. pen., che abilita il giudice a ordinare l'accompagnamento
coattivo delle persone diverse dall'imputato - tra cui, anzitutto, il
testimone - che, dopo essere state regolarmente citate, omettono di
comparire senza legittimo impedimento nel luogo, giorno e ora
stabiliti.
In rapporto a tali previsioni, il giudice a quo formula un
petitum a carattere additivo, fortemente "ritagliato" sulle
peculiarita' della vicenda concreta sottoposta al suo esame,
concernente l'assunzione, mediante incidente probatorio, della
testimonianza di un minore ultrasedicenne, asserita vittima di
maltrattamenti da parte del convivente della madre: vicenda che ha
visto il rimettente respingere, con un primo provvedimento - sorretto
da ampia e analitica motivazione - le istanze di espletamento della
prova nel luogo di residenza del minore, esterno al circondario del
Tribunale ordinario di Lecce. Nell'occasione, il giudice a quo aveva
ritenuto non soltanto che non ricorressero gli stringenti presupposti
ai quali il citato art. 398, comma 5, cod. proc. pen. subordina la
delega dell'incidente probatorio (impossibilita' di compimento
dell'atto nel circondario del giudice competente e ragioni di
urgenza), ma che non sussistessero neppure, e comunque sia,
apprezzabili «controindicazioni» all'esame del minorenne in Lecce,
tali da giustificare l'«abbandon[o]», da parte di esso giudice
rimettente, «[del]la sua sede - e [de]i continuativi impegni
giurisdizionali che ivi svolge - per recarsi in altro circondario».
Non essendo peraltro il teste comparso senza addurre un legittimo
impedimento, il giudice a quo - all'esito di una nuova e diversa
valutazione della vicenda - chiede ora a questa Corte di dichiarare
illegittime le disposizioni censurate nella parte in cui non
prevedono che - quante volte la mancata comparizione del testimone
minorenne si ricolleghi a «situazioni di disagio che ne compromettono
il benessere», rimovibili esaminandolo presso il tribunale nel cui
circondario egli dimora - il giudice competente possa ritenere
giustificata la mancata comparizione e delegare per l'esecuzione
dell'incidente probatorio il giudice per le indagini preliminari del
luogo di residenza del minore.
4.- Va osservato che le censure del giudice a quo poggiano su una
visione eccessiva dell'obbligo dello Stato italiano - scaturente
dalle evocate, generalissime previsioni degli artt. 3 e 4 della
Convenzione di New York - di accordare «una considerazione
preminente» all'«interesse superiore del fanciullo» in tutte le
decisioni che lo riguardano e di assicurare il suo «benessere».
Nell'idea del rimettente, tali disposizioni impegnerebbero il
legislatore nazionale a congegnare le norme processuali penali in
modo da evitare al minore qualsiasi tipo di «disagio» di ordine
psicologico: anche quello - riscontrabile, secondo il giudice a quo,
nel caso di specie - derivante dal fatto che la citta' in cui il
minore dovrebbe deporre risvegli in lui ricordi sgradevoli, in quanto
associata alla persona dell'imputato e ai fatti di reato a questo
attribuiti (fatti che, per quanto si evince dall'ordinanza di
rimessione, non sono stati commessi neppure in Lecce, ma in un paese
della sua provincia). Per affermazione dello stesso rimettente, si
tratta di «disagio», non solo certamente inidoneo a incidere sulla
salute del minore interessato, ma neppure tale da comportare un
«sacrificio [...] grave» per il medesimo (nell'ordinanza di
rimessione, il minore viene d'altronde descritto, sulla scorta delle
risultanze di una perizia, come soggetto di «elevata maturita'» ed
esente da «segni di fragilita'», e si riferisce, altresi', di come
egli fosse stato gia' sentito, in fatto, piu' volte in precedenza
presso il Tribunale per i minorenni del capoluogo salentino).
Ragionando in questi termini, tuttavia, nessun minore, vittima di
determinati reati, dovrebbe essere mai assunto come testimone. Per il
minore vittima, ad esempio, di abusi sessuali - ma anche di
maltrattamenti, come si ipotizza dalla pubblica accusa nel giudizio a
quo - dover rievocare in ambito giudiziario le vicende che lo hanno
coinvolto e' sempre, e comunque sia, fonte di marcato «disagio».
Risulta evidente, in realta', come in materia occorra
necessariamente procedere al bilanciamento di valori contrapposti: da
un lato, la tutela della personalita' del minore, obiettivo di sicuro
rilievo costituzionale (sentenza n. 262 del 1998); dall'altro, i
valori coinvolti dal processo penale, quali quelli espressi dai
principi, anch'essi di rilievo costituzionale, del contraddittorio e
del diritto di difesa - in forza dei quali l'accusato deve essere
posto in grado di confrontarsi in modo diretto con il materiale
probatorio e, in specie, con le prove dichiarative - nonche', per
quanto qui particolarmente interessa, dalle regole sulla competenza
territoriale.
Come ricorda il Presidente del Consiglio dei ministri, questa
Corte ha avuto modo di porre in evidenza il particolare collegamento
che, nella materia penale, sussiste tra dette regole e il principio
del giudice naturale (art. 25 Cost.). Nel processo penale, infatti,
«il predicato della "naturalita'" assume [...] un carattere del tutto
particolare, in ragione della "fisiologica" allocazione di quel
processo nel locus commissi delicti. Qualsiasi istituto processuale,
quindi, che producesse [...] l'effetto di "distrarre" il processo
dalla sua sede, inciderebbe su un valore di elevato e specifico
risalto per il processo penale; giacche' la celebrazione di quel
processo in "quel" luogo, risponde ad esigenze di indubbio rilievo,
fra le quali, non ultima, va annoverata anche quella [...] per la
quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo
in cui sono stati violati» (sentenza n. 168 del 2006). Tale sede
giudiziaria e', peraltro, in linea di massima, anche quella piu'
idonea all'accertamento del fatto, in particolare nella prospettiva
di una piu' agevole e rapida raccolta del materiale probatorio: e
cio' - come riconosce lo stesso rimettente - anche in ottica servente
al diritto di difesa dell'imputato.
5.- Cio' posto, il bilanciamento tra i contrapposti valori
operato dalla normativa processuale vigente non puo' essere reputato
inadeguato, sul versante della protezione del minore: e cio'
particolarmente in rapporto a procedimenti per reati quale quello
oggetto del giudizio a quo.
L'esigenza che si pone in materia non e', evidentemente, quella
di evitare al minore i «disagi» inevitabilmente connessi al fatto di
dover rendere testimonianza, apprezzabili in rapporto alla
generalita' dei testi, ma l'altra di preservarlo dagli effetti
negativi che la prestazione dell'ufficio di testimone puo' produrre
in rapporto alla peculiare condizione del soggetto.
E' un dato acquisito, in effetti, che i minori, in quanto
soggetti in eta' evolutiva, possono subire un trauma psicologico a
seguito della loro esperienza in un contesto giudiziario penale. I
fattori atti a provocare una maggiore tensione emozionale sono il
dover deporre in pubblica udienza nell'aula del tribunale, l'essere
sottoposti all'esame e al controesame condotto dal pubblico ministero
e dai difensori e il trovarsi a testimoniare di fronte all'imputato,
la cui sola presenza puo' suggestionare e intimorire il dichiarante.
Se il minore e' vittima del reato, d'altra parte, il dover
testimoniare contro l'imputato si presta a innescare un meccanismo di
cosiddetta "vittimizzazione secondaria", per il quale egli e' portato
a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al
momento della commissione del fatto. Il trauma cui il minore e'
esposto durante l'esame testimoniale si ripercuote, d'altronde,
negativamente sulla sua capacita' di comunicare e di rievocare
correttamente e con precisione i fatti che lo hanno coinvolto, o ai
quali ha assistito, rischiando cosi' di compromettere la genuinita'
della prova. Far si' che la testimonianza del minorenne venga
acquisita in condizioni tali da tutelare la serenita' del teste e',
dunque, necessario anche al fine di una piu' completa e attendibile
ricostruzione dell'accaduto.
Di tale esigenza il nuovo codice di procedura penale del 1988 si
era fatto originariamente carico solo in ristretti limiti. In
risposta ad essa, si erano previste, da un lato, la possibilita' di
svolgere l'esame testimoniale del minore a porte chiuse (art. 472,
comma 4, cod. proc. pen.), facolta' trasformata poi in obbligo, ove
il minore sia vittima di determinati reati (art. 472, comma 3-bis,
cod. proc. pen.); dall'altro, una deroga alle ordinarie forme
dell'esame incrociato, con l'affidamento in via prioritaria al
giudice del compito di condurre l'esame del minore «su domande e
contestazioni proposte dalle parti», avvalendosi, se del caso,
dell'ausilio di un familiare del minore stesso o di un esperto in
psicologia infantile: salva la possibilita' di disporre, sentite le
parti, che la deposizione prosegua nelle forme consuete «se ritiene
che l'esame diretto del minore non possa nuocere alla serenita' del
teste» (art. 498, comma 4, cod. proc. pen.).
In prosieguo di tempo, tuttavia, il ventaglio degli strumenti di
salvaguardia del minore si e' progressivamente e sensibilmente
arricchito per effetto di una serie di interventi innovativi. Nel
procedere in tale direzione, il legislatore ha tenuto conto, tra
l'altro, anche della necessita' di uniformare l'ordinamento interno
alle previsioni di norme sovranazionali attinenti, in modo specifico,
alle modalita' di assunzione della testimonianza del minore vittima
di reati o, amplius, alla tutela del testimone "vulnerabile": norme
molto piu' pertinenti alla tematica in esame rispetto ai
generalissimi enunciati della Convenzione di New York su cui il
rimettente fonda invece le proprie censure. Previsioni di tal fatta
si rinvengono, in specie, oltre che in talune raccomandazioni, nella
Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori
contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25
ottobre 2007, ratificata e resa esecutiva con legge 1° ottobre 2012,
n. 172 (artt. 30, 31 e 35), nonche', quanto al diritto dell'Unione
europea, nella decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15
marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento
penale (artt. 2, paragrafo 2; 3, paragrafo 3; 8, paragrafi 3 e 4), e
indi nella direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in
materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e
che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (artt. 19, paragrafo
1; 22, paragrafo 4; 23).
6.- Il processo di implementazione dei presidi a tutela del
minorenne chiamato a rendere testimonianza ha preso concretamente
avvio con la legge 15 febbraio 1996, n. 66 (Norme contro la violenza
sessuale), il cui art. 13 ha aggiunto all'art. 392 cod. proc. pen. un
comma 1-bis, ove si stabiliva che, nei procedimenti per fatti
riconducibili alle piu' gravi tra le nuove figure di reato introdotte
dalla stessa legge, le parti potessero «chiedere che si proceda con
incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona
minore degli anni sedici, anche al di fuori delle ipotesi previste
dal comma 1», ossia a prescindere dalle condizioni di
indifferibilita' della prova cui e' ordinariamente subordinata la
possibilita' di una sua assunzione anticipata rispetto alla naturale
sede dibattimentale. La disposizione e' stata oggetto di ripetute
modifiche ad opera di successive novelle legislative, che ne hanno
via via dilatato il perimetro applicativo, tanto con riguardo ai
reati - nel cui catalogo figura, a partire dal 2009, anche il delitto
di maltrattamenti (art. 572 del codice penale), per cui si procede
nel giudizio a quo - quanto in relazione al novero dei soggetti
tutelati, che, sempre a partire dal 2009, abbraccia tutti i minori,
anche ultrasedicenni (siano o meno persone offese dal reato), nonche'
le persone offese maggiorenni. Proprio sulla base della previsione
del citato art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. e' stata, del
resto, disposta l'assunzione mediante incidente probatorio della
testimonianza del minore nel giudizio a quo.
Secondo quanto emerge dai lavori parlamentari relativi alla
citata legge n. 66 del 1996, l'introduzione della ricordata nuova
ipotesi di incidente probatorio cosiddetto speciale o atipico -
proprio perche' svincolato dall'ordinario presupposto della non
rinviabilita' della prova al dibattimento - era sorretta anche e
soprattutto da una finalita' di tutela della personalita' del minore,
consentendogli di uscire al piu' presto dal circuito processuale per
aiutarlo a liberarsi piu' rapidamente dalle conseguenze psicologiche
dell'esperienza vissuta. Tale ratio extraprocessuale e' stata resa
maggiormente evidente dalla legge 3 agosto 1998, n. 269 (Norme contro
lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo
sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in
schiavitu'), che, aggiungendo all'art. 190-bis cod. proc. pen. un
comma 1-bis, ha stabilito che il minore infrasedicenne, gia' escusso
in sede di incidente probatorio, non potesse essere chiamato a
deporre novamente in dibattimento, se non quando cio' apparisse
«assolutamente necessario» (condizione poi solo in parte attenuata,
in nome dell'esigenza di assicurare l'attuazione del principio del
contraddittorio, dalla legge 1° marzo 2001, n. 63, recante «Modifiche
al codice penale e al codice di procedura penale in materia di
formazione e valutazione della prova in attuazione della legge
costituzionale di riforma dell'articolo 111 della Costituzione»).
7.- In parallelo all'ampliamento dei casi di incidente
probatorio, la legge n. 66 del 1996 ha dettato, con il nuovo comma
5-bis dell'art. 398 cod. proc. pen., anche speciali regole per
l'acquisizione della testimonianza del minore. Anziche' integrare la
disposizione dell'art. 498 cod. proc. pen., relativa alla deposizione
dibattimentale - applicabile anche in sede di incidente probatorio in
virtu' del richiamo alle «forme stabilite per il dibattimento»,
contenuto nell'art. 401, comma 5, cod. proc. pen. - il legislatore
preferi' collocare le regole in questione nell'ambito della
disciplina dell'incidente probatorio, limitandone cosi' (in origine)
la portata applicativa all'esame del minore condotto in tale sede.
Inizialmente circoscritta ai casi in cui si procedesse per i piu'
gravi tra i delitti contro la liberta' sessuale e si discutesse di
minori infrasedicenni, la disposizione e' stata interessata, negli
anni a seguire, da un progressivo ampliamento del suo campo
applicativo, in larga misura omologo a quello che ha investito
l'ipotesi di incidente probatorio atipico di cui al comma 1-bis
dell'art. 392 cod. proc. pen. In base al testo attuale della norma,
nel caso di indagini che riguardino la quasi totalita' dei reati
menzionati dal citato art. 392, comma 1-bis (tra cui anche il delitto
di maltrattamenti), «il giudice, ove fra le persone interessate
all'assunzione della prova vi siano minorenni» (anche
ultrasedicenni), con l'ordinanza che lo ammette, «stabilisce il
luogo, il tempo e le modalita' particolari attraverso cui procedere
all'incidente probatorio, quando le esigenze di tutela delle persone
lo rendono necessario od opportuno». A tal fine, l'udienza di
assunzione della prova puo' svolgersi «anche in luogo diverso dal
tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture
specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l'abitazione della
persona interessata all'assunzione della prova».
La disposizione abilita, quindi, il giudice a conformare
discrezionalmente le modalita' di escussione del minore alla luce
delle concrete esigenze di tutela -apprezzabili non solo in termini
di "necessita'", ma anche di semplice "opportunita'" - ferma
restando, s'intende, la contrapposta esigenza di rispetto del
principio del contraddittorio. Tale discrezionalita' investe
anzitutto il «luogo» dell'assunzione della prova, potendo il giudice
disporre che l'esame del minore avvenga extra moenia, cioe' in luoghi
alternativi e di minore impatto emotivo rispetto alle aule di
tribunale, ed eventualmente - quando cio' sia richiesto dalle
contingenze - anche in localita' diversa da quella in cui ha sede
l'ufficio giudiziario. Il giudice puo' calibrare, altresi',
discrezionalmente il «tempo» dell'esame, fissando l'udienza di la'
dal limite temporale di dieci giorni previsto dall'art. 398, comma 2,
lettera c), cod. proc. pen., in accordo con le specifiche esigenze di
tutela del minore. Da ultimo, il giudice puo' stabilire «modalita'
particolari» di escussione, adeguate alle circostanze: formula ampia
e generica, che abbraccia la generalita' delle forme di acquisizione
della prova.
Quanto, poi, all'originaria, incongrua limitazione delle regole
speciali alla sola testimonianza del minore assunta con incidente
probatorio, essa e' stata rimossa gia' con la legge n. 269 del 1998,
che, aggiungendo il nuovo comma 4-bis all'art. 498 cod. proc. pen.,
ha esteso le "modalita' protette" anche all'escussione
dibattimentale.
La medesima legge ha inserito, inoltre, nell'art. 498 cod. proc.
pen. un comma 4-ter (anch'esso piu' volte novellato in prosieguo), in
forza del quale, nei procedimenti per determinati reati (tra cui,
attualmente, anche quello di maltrattamenti), l'esame del minore
vittima del reato ha luogo, su richiesta del minore stesso o del suo
difensore, «mediante l'uso di un vetro specchio unitamente ad un
impianto citofonico». In questo modo, si evita all'interessato di
dover deporre dinanzi a numerose persone, e in particolare al
presunto autore del reato commesso ai suoi danni.
Tale disposizione - relativa al dibattimento - risulta
applicabile anche alla testimonianza assunta con incidente
probatorio, in virtu' del ricordato richiamo di cui all'art. 401,
comma 5, cod. proc. pen. Lo stesso rimettente, con il precedente
provvedimento di cui si e' parlato, aveva del resto disposto, nel
caso di specie, il ricorso al cosiddetto esame schermato.
8.- In conclusione, dunque, il sistema processuale vigente offre
al giudice un ampio e duttile complesso di strumenti di salvaguardia
della personalita' del minore chiamato a rendere testimonianza, a
fronte del quale deve escludersi l'asserita necessita' costituzionale
di introdurre quello ulteriore congegnato dall'odierno rimettente.
Per completezza, va aggiunto che il giudice a quo non esclude di
potersi recare, quando cio' occorra, fuori dal proprio circondario
per assumere la testimonianza del minore. A fronte di cio', la
pretesa di delegare l'incombenza al giudice per le indagini
preliminari del luogo, anche in assenza dei rigorosi presupposti
indicati nell'art. 398, comma 5, cod. proc. pen., si rivela affatto
eccentrica rispetto alle norme convenzionali evocate. Sul piano della
salvaguardia del «benessere» del fanciullo, alla quale fa riferimento
l'art. 3 della Convenzione di New York, risulta del tutto
indifferente che la sua testimonianza venga assunta dal giudice che
ha disposto l'incidente probatorio o dal giudice del luogo in cui la
prova deve essere espletata.
9.- Alla luce delle considerazioni che precedono, la questione va
dichiarata, dunque, non fondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
degli artt. 398, comma 5, e 133 del codice di procedura penale,
sollevata, in riferimento all'art. 117, primo comma, della
Costituzione, in relazione agli artt. 3 e 4 della Convenzione sui
diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Lecce
con l'ordinanza in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2018.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
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