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mercoledì 2 maggio 2018

N. 92 SENTENZA 21 febbraio - 27 aprile 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Incidente probatorio - Assunzione della testimonianza di minorenne - Mancata comparizione dovuta a situazioni di disagio del minore che ne compromettono il benessere. - Codice di procedura penale, artt. 398, comma 5, e 133. - (GU n.18 del 2-5-2018 )



N. 92 SENTENZA 21 febbraio - 27 aprile 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -   Incidente   probatorio   -   Assunzione   della
  testimonianza  di  minorenne  -  Mancata  comparizione   dovuta   a
  situazioni di disagio del minore che ne compromettono il benessere.
- Codice di procedura penale, artt. 398, comma 5, e 133.

(GU n.18 del 2-5-2018 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  398,
comma 5, e 133 del codice di procedura penale, promosso  dal  Giudice
per le indagini preliminari del  Tribunale  ordinario  di  Lecce  nel
procedimento penale a carico di G. R., con ordinanza del 1°  dicembre
2015, iscritta al n. 109 del registro  ordinanze  2016  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  23,  prima   serie
speciale, dell'anno 2016.
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 2018  il  Giudice
relatore Franco Modugno.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza  del  1°  dicembre  2015,  il  Giudice  per  le
indagini preliminari del Tribunale ordinario di  Lecce  ha  sollevato
questione di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  all'art.
117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 3  e  4
della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York  il  20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio  1991,
n. 176, degli artt. 398, comma 5,  e  133  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui «non prevedono  che,  laddove  la  mancata
comparizione del testimone  minorenne  sia  dovuta  a  situazioni  di
disagio che ne compromettono il benessere, e sia possibile ovviare ad
esse procedendo all'esame del minore presso il  tribunale  competente
in relazione  al  luogo  della  sua  dimora,  [...]  possa  ritenersi
giustificata la sua mancata  comparizione  e  rogarsi  il  compimento
dell'incidente al [giudice per le indagini preliminari] del tribunale
nel cui circondario risiede il minore».
    1.1.- Il rimettente riferisce che, nel giudizio a quo, si procede
nei confronti di una persona imputata del delitto  di  maltrattamenti
in danno del figlio minorenne della  propria  convivente.  Riferisce,
altresi',  che  su  istanza  dell'imputato,   formulata   nel   corso
dell'udienza preliminare - come consentito a seguito  della  sentenza
della Corte costituzionale n.  77  del  1994  -  era  stata  disposta
l'assunzione   della   testimonianza   del   minore    nelle    forme
dell'incidente probatorio, ai sensi dell'art. 392, comma 1-bis,  cod.
proc. pen.
    Il difensore della persona offesa aveva ripetutamente chiesto che
l'incidente probatorio fosse rinviato o sospeso, ovvero  delegato  al
Giudice per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di
Avellino - citta' nella quale il minore risiedeva  con  il  padre  -,
ovvero ancora che vi procedesse lo stesso GIP di Lecce, ma sempre nel
luogo di residenza del minore. Le istanze erano state motivate con lo
stress accumulato da quest'ultimo, gia' esaminato piu' volte in  sede
di giudizio civile, con i  problemi  che  la  trasferta  gli  avrebbe
recato sul piano della frequentazione e  del  rendimento  scolastico,
nonche' con il disagio, manifestato dal minore, «a  venire  a  Lecce,
ove  non  si  sent[iva]  tranquillo  per  il  timore  di   incontrare
l'imputato».
    Il giudice a quo aveva  disatteso,  tuttavia,  tali  istanze  con
ordinanza del  30  settembre  2015,  fissando  al  27  novembre  2015
l'udienza per l'espletamento dell'incidente probatorio avanti a  se'.
Nell'occasione,  il  rimettente   aveva   rilevato   come   il   «pur
comprensibile» disagio lamentato dal minore non potesse  condurre  ad
un apprezzamento di pericolosita' dell'atto processuale  per  la  sua
salute, tale da giustificare la revoca dell'incidente probatorio. Con
un precedente incidente probatorio era stata, infatti, espletata  una
perizia proprio per verificare la capacita' a testimoniare del minore
e l'esistenza di «problematicita'» connesse alla  sua  sottoposizione
ad esame: «problematicita'»  che  il  perito  aveva  escluso,  stante
«l'elevata maturita' del minore» - ormai sedicenne - «e l'assenza  di
segni di fragilita'».  Nella  medesima  ordinanza  si  era  rilevato,
altresi', come non ricorressero nemmeno i presupposti  per  un  esame
del minore «a domicilio». Il comma 5-bis  dell'art.  398  cod.  proc.
pen.   consente,   infatti,   che   l'udienza   per    l'espletamento
dell'incidente probatorio si tenga in luogo  diverso  dal  tribunale,
allorche' occorra assumere la testimonianza di un minore, prevedendo,
tuttavia, l'esame presso l'abitazione della persona interessata  solo
qualora  non  esistano  «strutture  specializzate   di   assistenza»:
strutture, di contro, reperibili nel circondario di Lecce  presso  il
Tribunale per i minorenni,  che  disponeva  di  locali  appositamente
attrezzati. La  finalita'  della  citata  disposizione  non  sarebbe,
d'altra  parte,  quella  di  limitare  i  disagi  di  una   eventuale
trasferta, ma  l'altra  -  da  essa  espressamente  richiamata  -  di
salvaguardare  le  «esigenze  di  tutela  delle  persone»:   e   cio'
segnatamente a fronte dei pregiudizi di ordine emotivo e  psicologico
che possono derivare al minore da  un  esame  in  udienza  a  diretto
contatto  con  le  parti,   compresi   i   soggetti   che   avrebbero
eventualmente abusato di lui. Nella specie, peraltro, il  minore  era
gia' stato sentito in diverse occasioni presso  il  Tribunale  per  i
minorenni di Lecce,  senza  mai  manifestare  alcun  disagio  per  il
trasferimento. Il perito aveva, inoltre, chiarito che il  minore,  in
ragione del suo «sviluppo evolutivo  e  psicologico»,  poteva  essere
senz'altro  esaminato  direttamente  dalle  parti.   Lo   svolgimento
dell'incidente probatorio ad Avellino, anziche' a Lecce, non  avrebbe
offerto, d'altronde, alcuna garanzia in piu' sotto il  profilo  della
tutela del minore, posto che, ai sensi dell'art. 401, comma  3,  cod.
proc. pen., l'imputato - autore dei presunti maltrattamenti - avrebbe
avuto, comunque sia, il diritto  di  assistere  all'assunzione  della
testimonianza.  Non   sussistevano,   pertanto,   «controindicazioni»
all'esame  del  minore  in  Lecce,  laddove,  invece,  l'espletamento
dell'incombente nel suo luogo di residenza avrebbe comportato  «anche
ostacoli al piano esercizio del diritto di difesa, al cui servizio si
pone [...] il principio che assegna la competenza [...]  territoriale
al  giudice  del  locus  commissi   delicti».   Proprio   in   questa
prospettiva, l'art. 398, comma 5, cod. proc. pen., nell'individuare i
casi nei quali l'incidente probatorio puo' essere delegato  ad  altro
giudice, fa riferimento alle ipotesi nelle quali il  mezzo  di  prova
debba  essere  necessariamente  assunto  fuori  del  circondario  del
giudice che lo dispone, richiedendo, altresi', che ricorrano «ragioni
di urgenza», nella specie non ravvisabili.
    Il giudice rimettente aveva, quindi, conclusivamente ritenuto che
le preoccupazioni e  i  disagi  manifestati  dal  minore  imponessero
soltanto di fare in modo che il suo esame  avvenisse  «con  modalita'
protette», tali da evitargli il  contatto,  anche  solo  visivo,  con
l'imputato prima, durante e dopo l'incidente probatorio,  in  maniera
da tutelare la  sua  «tranquillita'  emotiva».  In  quest'ottica,  il
rimettente - oltre a richiedere l'assistenza di uno psicologo - aveva
disposto una serie di cautele, stabilendo, in particolare, differenti
orari di arrivo per i due interessati e il divieto,  per  l'imputato,
di comparire prima di un certo orario, cosi' da consentire al  minore
di raggiungere la sala destinata  all'escussione  senza  incrociarlo.
Aveva disposto, infine, che l'imputato  fosse  ammesso  ad  assistere
all'esame dietro uno «schermo/specchio», in modo da non essere  visto
dal testimone.
    1.2.-  All'udienza  fissata  per  l'espletamento   dell'incidente
probatorio, il minore non era, peraltro, comparso. Confermando quanto
preventivamente  comunicato  dai  servizi  sociali  del   Comune   di
Avellino,  il  difensore  della  persona  offesa  e   il   padre   di
quest'ultima, comparsi in udienza, avevano rappresentato la  volonta'
«particolarmente intensa e ferma» del minore  di  essere  sentito  ad
Avellino, e non a Lecce,  per  il  «forte  timore»  di  un  possibile
incontro  con  l'imputato  e  l'«elevato  disagio»  generato  in  lui
dall'idea di un ritorno nel territorio salentino.
    Il rimettente esclude che una simile volonta' - in assenza di una
«seria controindicazione» per la salute del minore - possa  integrare
una situazione di «legittimo impedimento»,  atta  a  giustificare  la
mancata ottemperanza all'obbligo di comparire ai  sensi  degli  artt.
133 e 198 cod. proc. pen. Ribadisce, altresi', come non  ricorra  una
condizione di urgenza atta a giustificare  la  delega  dell'incidente
probatorio al Giudice  per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale
ordinario di Avellino, «non  essendo  in  pericolo  la  ripetibilita'
della prova», ne' sussistendo «il rischio che il  decorso  del  tempo
[...] comprometta la  possibilita'  di  assumerla  in  condizioni  di
genuinita'» (la prova sarebbe, infatti, senz'altro ripetibile,  anche
dopo l'ormai prossimo raggiungimento della maggiore eta' da parte del
teste).  Conferma,  ancora,  l'insussistenza  dei   presupposti   per
l'assunzione dell'atto a domicilio, tanto  ai  sensi  dell'art.  398,
comma 5-bis, cod. proc. pen., quanto  ai  sensi  dell'art.  502  cod.
proc. pen. Rileva, infine,  come  non  ricorrano  neppure  le  «gravi
difficolta' ad assicurare la comparizione della persona da sottoporre
ad esame», in presenza delle  quali  l'art.  147-bis,  comma  5,  del
decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di  attuazione,  di
coordinamento e transitorie del codice di procedura penale)  consente
l'esame  a  distanza  del  testimone:  modalita'  che,  per  la  loro
«poverta' empatica», sarebbero d'altronde - secondo il  rimettente  -
«ben poco adatte all'esame del minore».
    A fronte di cio', il giudice a quo si troverebbe, dunque, a dover
disporre l'accompagnamento coattivo del minore a  mezzo  della  forza
pubblica, ai sensi dell'art. 133 cod. proc. pen.
    1.3.-  Il  rimettente  dubita,   tuttavia,   della   legittimita'
costituzionale del «complesso normativo» che imporrebbe  di  adottare
un simile provvedimento, al quale andrebbe ascritta «una  non  minima
capacita' traumatizzante sul minore».
    Nella specie, potrebbe in effetti «darsi per  acquisito»  che  il
minore avverta «effettivamente, e con  estrema  verosimiglianza»,  un
forte disagio nel far ritorno in  luoghi  che  associa  alla  persona
dell'imputato e ai fatti di maltrattamento  che  gli  attribuisce:  e
cio' anche a voler supporre l'infondatezza delle accuse, posto che  -
se pure non nella citta' di Lecce, ma in un paese della  provincia  -
l'imputato ha svolto nei confronti del  minore  stesso  il  ruolo  di
padre per diversi anni.
    In simile situazione, lo svolgimento dell'incidente probatorio in
Lecce,  e  ancor  piu'   l'accompagnamento   coattivo   del   minore,
comporterebbero  la   prevalenza   delle   «esigenze   di   razionale
distribuzione degli affari e  delle  competenze»  e  di  agevolazione
dell'esercizio del diritto di difesa (di  cui  sarebbero  espressione
anche le norme sulla competenza territoriale) rispetto  a  quelle  di
tutela della serenita' e dell'equilibrio del minore,  che,  «non  per
capriccio», ma per ragioni di effettivo disagio psichico  non  voglia
comparire davanti al giudice di  un  determinato  luogo,  con  totale
soccombenza delle seconde (e conseguente rischio di pregiudizio anche
per la genuinita' della prova).
    In simili frangenti, l'impossibilita'  di  delegare  l'esecuzione
dell'incidente probatorio al giudice per le indagini preliminari  del
luogo di residenza del teste minorenne, e la  conseguente  necessita'
di disporne l'accompagnamento coattivo, si  porrebbero  in  contrasto
con gli obblighi internazionali derivanti dagli artt.  3  e  4  della
Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e, di riflesso, con
l'art. 117 Cost. Il citato art. 3 impone, infatti, agli Stati  parti,
in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di attribuire un rilievo
preminente all'«interesse superiore del fanciullo» (intendendosi, per
tale, ai sensi dell'art. 1 della Convenzione, il  minore  degli  anni
diciotto) e di assicurare  al  medesimo  «la  protezione  e  le  cure
necessarie al suo benessere»: concetto,  quello  di  «benessere»,  da
ritenere piu'  ampio  di  quello  di  «salute»  e  comprensivo  anche
dell'esigenza di evitare «gli stati  d'ansia  o  stress  che  possono
essere prodotti dall'applicazione delle  norme  processuali».  A  sua
volta, l'art. 4 della Convenzione impegna gli Stati parti ad adeguare
i  propri  ordinamenti  interni  a  tali  principi,   anche   tramite
provvedimenti legislativi.
    Sulla base di tali considerazioni,  il  giudice  a  quo  ritiene,
quindi, rilevante e non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale degli artt. 398,  comma  5,  e  133  cod.
proc. pen., nella parte in cui non prevedono che - quando la  mancata
comparizione del testimone  minorenne  sia  dovuta  a  situazioni  di
disagio che ne  compromettono  il  benessere,  alle  quali  si  possa
«ovviare» procedendo all'esame del minore presso il tribunale nel cui
circondario egli  dimora  -  il  giudice  competente  possa  ritenere
giustificata la sua mancata comparizione e delegare per  l'esecuzione
dell'incidente probatorio il giudice per le indagini preliminari  del
luogo di residenza del minore.
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
    Ad avviso della difesa dell'interveniente, la  questione  sarebbe
inammissibile  sia  per  difetto  di   adeguata   motivazione   sulla
rilevanza, sia in  quanto  ipotetica.  Dall'ordinanza  di  rimessione
emerge, infatti, chiaramente che, nel caso di specie,  l'assenza  del
minore  non  risulta  giustificata  da  un  effettivo  impedimento  a
comparire, ne' da  difficolta'  gravi,  e  che  il  problema  sarebbe
risolvibile tramite l'accompagnamento coattivo,  con  sacrificio  non
grave delle ragioni del minore.
    La questione sarebbe, in ogni caso, infondata nel merito.
    L'incidente probatorio e' un istituto processuale finalizzato  ad
evitare, durante le indagini preliminari, il rischio  di  dispersione
di prove non rinviabili al dibattimento. Con  riguardo  ad  esso,  il
legislatore avrebbe operato un corretto bilanciamento tra  la  tutela
dei diritti dell'imputato e quelli del testimone  minore,  stabilendo
regole particolari a salvaguardia della serenita' di quest'ultimo, in
quanto soggetto vulnerabile.
    L'intervento richiesto dal giudice rimettente attenuerebbe invece
ingiustificatamente  lo  stretto  legame  tra  giudice  e  luogo   di
commissione del fatto, postulato dal principio del giudice  naturale,
di  cui  all'art.  25,  primo  comma,  Cost.,   quale   limite   alla
discrezionalita' legislativa nella  determinazione  della  competenza
territoriale.   Come   posto   in   evidenza   dalla   giurisprudenza
costituzionale, «il predicato della "naturalita'" assume nel processo
penale  un  carattere  del  tutto  particolare,  in   ragione   della
"fisiologica"  allocazione  di  quel  processo  nel  locus   commissi
delicti» (e' citata la sentenza  n.  168  del  2006).  L'attribuzione
della competenza al giudice di tale luogo risponde, in  effetti,  non
solo  all'esigenza  «simbolica»  di  riaffermare  il  diritto  e   la
giustizia proprio nel luogo in cui sono stati  violati,  ma  anche  a
considerazioni di  ordine  pratico,  essendo,  di  norma,  tale  sede
giudiziaria  quella  piu'  idonea  all'accertamento  del  fatto,   in
particolare nella prospettiva di una piu' agevole e  rapida  raccolta
del materiale probatorio.
    La deroga agli ordinari criteri di competenza territoriale che il
giudice a quo vorrebbe introdurre in nome della  tutela  dei  diritti
del fanciullo, prevista nella Convenzione di New York,  comporterebbe
un sacrificio del tutto  sproporzionato  del  principio  del  giudice
naturale rispetto all'obiettivo di non  incidere  sul  benessere  del
minore, che, nel caso di specie, non sembrerebbe in  pericolo  e  che
risulterebbe, comunque sia,  salvaguardato  dalle  speciali  garanzie
previste dall'ordinamento a tutela del minore stesso.

                       Considerato in diritto

    1.-  Il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del   Tribunale
ordinario di Lecce dubita  della  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 398, comma 5, e 133 del codice di procedura penale, nella parte
in cui non prevedono che - quando la mancata comparizione del  minore
chiamato a rendere testimonianza in sede di incidente probatorio  sia
dovuta a «situazioni di disagio che ne compromettono  il  benessere»,
alle quali sia possibile «ovviare» esaminandolo presso  il  tribunale
del luogo della sua dimora - il  giudice  competente  possa  ritenere
giustificata  la  mancata   comparizione   e   delegare   l'incidente
probatorio al giudice per le indagini preliminari nel cui circondario
il minore risiede.
    Ad avviso del giudice a  quo,  le  norme  censurate  violerebbero
l'art. 117, primo comma, della Costituzione, ponendosi  in  contrasto
con le previsioni degli artt. 3 e 4 della Convenzione sui diritti del
fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, in forza delle quali  gli
Stati parti debbono considerare «preminente» l'«interesse  superiore»
del fanciullo (intendendosi, per tale, ai  sensi  dell'art.  1  della
Convenzione, il minore degli anni diciotto) in tutte le decisioni che
lo  riguardano  -  e,  dunque,  anche  nella  disciplina  degli  atti
processuali - al fine  di  garantire  il  «benessere»  del  fanciullo
stesso.  Non  consentendo  di   delegare,   nei   casi   considerati,
l'incidente probatorio al giudice del luogo di residenza del minore e
imponendo,   di   conseguenza,    l'accompagnamento    coattivo    di
quest'ultimo, le disposizioni sottoposte a scrutinio  farebbero,  per
converso, prevalere le  esigenze  di  razionale  distribuzione  degli
affari e  di  agevolazione  del  diritto  di  difesa  -  delle  quali
sarebbero espressione le norme sulla  competenza  territoriale  -  su
quelle di tutela della serenita' e dell'equilibrio del  minore,  «con
totale soccombenza» delle seconde.
    2.- L'eccezione di inammissibilita' della questione formulata dal
Presidente del Consiglio dei ministri non e' fondata.
    Secondo l'Avvocatura generale dello Stato  la  questione  sarebbe
inammissibile  sia  per  difetto  di   adeguata   motivazione   sulla
rilevanza, sia per  il  suo  carattere  ipotetico:  cio',  in  quanto
dall'ordinanza di rimessione emergerebbe chiaramente che, nel caso di
specie, l'assenza del minore non e' giustificata da un impedimento  a
comparire  o  da  gravi  difficolta'  e  che  il   problema   sarebbe
risolvibile tramite l'accompagnamento  coattivo,  con  un  sacrificio
«non grave» delle ragioni del minore.
    Evitare, tuttavia, il sacrificio anche «non grave» delle  ragioni
del minore e' proprio cio' a cui mira il giudice  rimettente  con  la
questione sollevata.
    3.- Nel merito, la questione non e', tuttavia, fondata.
    La tematica  su  cui  verte  l'odierno  quesito  di  legittimita'
costituzionale  e'   quella   dell'assunzione,   mediante   incidente
probatorio, della testimonianza  di  una  persona  minorenne.  A  tal
riguardo, il giudice a quo sottopone congiuntamente a  scrutinio  due
norme, cui addebita la creazione di una situazione di mancata  tutela
del minore, contrastante con le evocate previsioni degli artt. 3 e  4
della Convenzione di  New  York  sui  diritti  del  fanciullo  e,  di
riflesso, con l'art. 117 Cost., nella parte in cui, al  primo  comma,
impone  al  legislatore  il  rispetto  dei  vincoli  derivanti  dagli
obblighi internazionali.
    Le censure investono, in primo luogo, il disposto dell'art.  398,
comma  5,  cod.  proc.  pen.,  che  disciplina   le   condizioni   di
esperibilita' dell'incidente probatorio per rogatoria, stabilendo che
«[q]uando ricorrono ragioni di urgenza e l'incidente  probatorio  non
puo' essere  svolto  nella  circoscrizione  del  giudice  competente,
quest'ultimo puo' delegare il giudice per le indagini preliminari del
luogo dove la prova deve essere assunta».
    Viene censurata, altresi', la  disposizione  dell'art.  133  cod.
proc. pen., che  abilita  il  giudice  a  ordinare  l'accompagnamento
coattivo delle persone diverse dall'imputato - tra cui, anzitutto, il
testimone - che, dopo essere state regolarmente citate,  omettono  di
comparire  senza  legittimo  impedimento  nel  luogo,  giorno  e  ora
stabiliti.
    In rapporto a tali  previsioni,  il  giudice  a  quo  formula  un
petitum  a  carattere   additivo,   fortemente   "ritagliato"   sulle
peculiarita'  della  vicenda  concreta  sottoposta  al   suo   esame,
concernente  l'assunzione,  mediante  incidente   probatorio,   della
testimonianza  di  un  minore  ultrasedicenne,  asserita  vittima  di
maltrattamenti da parte del convivente della madre:  vicenda  che  ha
visto il rimettente respingere, con un primo provvedimento - sorretto
da ampia e analitica motivazione - le istanze di  espletamento  della
prova nel luogo di residenza del minore, esterno al  circondario  del
Tribunale ordinario di Lecce. Nell'occasione, il giudice a quo  aveva
ritenuto non soltanto che non ricorressero gli stringenti presupposti
ai quali il citato art. 398, comma 5, cod. proc.  pen.  subordina  la
delega  dell'incidente  probatorio  (impossibilita'   di   compimento
dell'atto  nel  circondario  del  giudice  competente  e  ragioni  di
urgenza),  ma  che  non  sussistessero  neppure,  e   comunque   sia,
apprezzabili «controindicazioni» all'esame del  minorenne  in  Lecce,
tali da  giustificare  l'«abbandon[o]»,  da  parte  di  esso  giudice
rimettente,  «[del]la  sua  sede  -  e  [de]i  continuativi   impegni
giurisdizionali che ivi svolge - per recarsi in altro circondario».
    Non essendo peraltro il teste comparso senza addurre un legittimo
impedimento, il giudice a quo - all'esito  di  una  nuova  e  diversa
valutazione della vicenda - chiede ora a questa Corte  di  dichiarare
illegittime  le  disposizioni  censurate  nella  parte  in  cui   non
prevedono che - quante volte la mancata  comparizione  del  testimone
minorenne si ricolleghi a «situazioni di disagio che ne compromettono
il benessere», rimovibili esaminandolo presso il  tribunale  nel  cui
circondario egli  dimora  -  il  giudice  competente  possa  ritenere
giustificata la mancata  comparizione  e  delegare  per  l'esecuzione
dell'incidente probatorio il giudice per le indagini preliminari  del
luogo di residenza del minore.
    4.- Va osservato che le censure del giudice a quo poggiano su una
visione eccessiva dell'obbligo  dello  Stato  italiano  -  scaturente
dalle evocate, generalissime previsioni  degli  artt.  3  e  4  della
Convenzione  di  New  York  -  di   accordare   «una   considerazione
preminente» all'«interesse  superiore  del  fanciullo»  in  tutte  le
decisioni che lo riguardano  e  di  assicurare  il  suo  «benessere».
Nell'idea  del  rimettente,  tali  disposizioni   impegnerebbero   il
legislatore nazionale a congegnare le  norme  processuali  penali  in
modo da evitare al minore  qualsiasi  tipo  di  «disagio»  di  ordine
psicologico: anche quello - riscontrabile, secondo il giudice a  quo,
nel caso di specie - derivante dal fatto che  la  citta'  in  cui  il
minore dovrebbe deporre risvegli in lui ricordi sgradevoli, in quanto
associata alla persona dell'imputato e ai fatti  di  reato  a  questo
attribuiti  (fatti  che,  per  quanto  si  evince  dall'ordinanza  di
rimessione, non sono stati commessi neppure in Lecce, ma in un  paese
della sua provincia). Per affermazione dello  stesso  rimettente,  si
tratta di «disagio», non solo certamente inidoneo  a  incidere  sulla
salute del minore interessato,  ma  neppure  tale  da  comportare  un
«sacrificio  [...]  grave»  per  il   medesimo   (nell'ordinanza   di
rimessione, il minore viene d'altronde descritto, sulla scorta  delle
risultanze di una perizia, come soggetto di  «elevata  maturita'»  ed
esente da «segni di fragilita'», e si riferisce,  altresi',  di  come
egli fosse stato gia' sentito, in fatto,  piu'  volte  in  precedenza
presso il Tribunale per i minorenni del capoluogo salentino).
    Ragionando in questi termini, tuttavia, nessun minore, vittima di
determinati reati, dovrebbe essere mai assunto come testimone. Per il
minore  vittima,  ad  esempio,  di  abusi  sessuali  -  ma  anche  di
maltrattamenti, come si ipotizza dalla pubblica accusa nel giudizio a
quo - dover rievocare in ambito giudiziario le vicende che  lo  hanno
coinvolto e' sempre, e comunque sia, fonte di marcato «disagio».
    Risulta  evidente,  in   realta',   come   in   materia   occorra
necessariamente procedere al bilanciamento di valori contrapposti: da
un lato, la tutela della personalita' del minore, obiettivo di sicuro
rilievo costituzionale (sentenza n.  262  del  1998);  dall'altro,  i
valori coinvolti dal  processo  penale,  quali  quelli  espressi  dai
principi, anch'essi di rilievo costituzionale, del contraddittorio  e
del diritto di difesa - in forza dei  quali  l'accusato  deve  essere
posto in grado di confrontarsi  in  modo  diretto  con  il  materiale
probatorio e, in specie, con le prove  dichiarative  -  nonche',  per
quanto qui particolarmente interessa, dalle regole  sulla  competenza
territoriale.
    Come ricorda il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  questa
Corte ha avuto modo di porre in evidenza il particolare  collegamento
che, nella materia penale, sussiste tra dette regole e  il  principio
del giudice naturale (art. 25 Cost.). Nel processo  penale,  infatti,
«il predicato della "naturalita'" assume [...] un carattere del tutto
particolare, in  ragione  della  "fisiologica"  allocazione  di  quel
processo nel locus commissi delicti. Qualsiasi istituto  processuale,
quindi, che producesse [...] l'effetto  di  "distrarre"  il  processo
dalla sua sede, inciderebbe su  un  valore  di  elevato  e  specifico
risalto per il processo penale;  giacche'  la  celebrazione  di  quel
processo in "quel" luogo, risponde ad esigenze di  indubbio  rilievo,
fra le quali, non ultima, va annoverata anche  quella  [...]  per  la
quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo
in cui sono stati violati» (sentenza n.  168  del  2006).  Tale  sede
giudiziaria e', peraltro, in linea  di  massima,  anche  quella  piu'
idonea all'accertamento del fatto, in particolare  nella  prospettiva
di una piu' agevole e rapida raccolta  del  materiale  probatorio:  e
cio' - come riconosce lo stesso rimettente - anche in ottica servente
al diritto di difesa dell'imputato.
    5.- Cio'  posto,  il  bilanciamento  tra  i  contrapposti  valori
operato dalla normativa processuale vigente non puo' essere  reputato
inadeguato,  sul  versante  della  protezione  del  minore:  e   cio'
particolarmente in rapporto a procedimenti  per  reati  quale  quello
oggetto del giudizio a quo.
    L'esigenza che si pone in materia non e',  evidentemente,  quella
di evitare al minore i «disagi» inevitabilmente connessi al fatto  di
dover  rendere   testimonianza,   apprezzabili   in   rapporto   alla
generalita' dei  testi,  ma  l'altra  di  preservarlo  dagli  effetti
negativi che la prestazione dell'ufficio di testimone  puo'  produrre
in rapporto alla peculiare condizione del soggetto.
    E' un dato  acquisito,  in  effetti,  che  i  minori,  in  quanto
soggetti in eta' evolutiva, possono subire un  trauma  psicologico  a
seguito della loro esperienza in un contesto  giudiziario  penale.  I
fattori atti a provocare una maggiore  tensione  emozionale  sono  il
dover deporre in pubblica udienza nell'aula del  tribunale,  l'essere
sottoposti all'esame e al controesame condotto dal pubblico ministero
e dai difensori e il trovarsi a testimoniare di fronte  all'imputato,
la cui sola presenza puo' suggestionare e intimorire il  dichiarante.
Se  il  minore  e'  vittima  del  reato,  d'altra  parte,  il   dover
testimoniare contro l'imputato si presta a innescare un meccanismo di
cosiddetta "vittimizzazione secondaria", per il quale egli e' portato
a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e  di  dolore  provati  al
momento della commissione del fatto.  Il  trauma  cui  il  minore  e'
esposto  durante  l'esame  testimoniale  si  ripercuote,  d'altronde,
negativamente sulla  sua  capacita'  di  comunicare  e  di  rievocare
correttamente e con precisione i fatti che lo hanno coinvolto,  o  ai
quali ha assistito, rischiando cosi' di compromettere  la  genuinita'
della prova.  Far  si'  che  la  testimonianza  del  minorenne  venga
acquisita in condizioni tali da tutelare la serenita' del  teste  e',
dunque, necessario anche al fine di una piu' completa  e  attendibile
ricostruzione dell'accaduto.
    Di tale esigenza il nuovo codice di procedura penale del 1988  si
era  fatto  originariamente  carico  solo  in  ristretti  limiti.  In
risposta ad essa, si erano previste, da un lato, la  possibilita'  di
svolgere l'esame testimoniale del minore a porte  chiuse  (art.  472,
comma 4, cod. proc. pen.), facolta' trasformata poi in  obbligo,  ove
il minore sia vittima di determinati reati (art.  472,  comma  3-bis,
cod.  proc.  pen.);  dall'altro,  una  deroga  alle  ordinarie  forme
dell'esame  incrociato,  con  l'affidamento  in  via  prioritaria  al
giudice del compito di condurre l'esame  del  minore  «su  domande  e
contestazioni  proposte  dalle  parti»,  avvalendosi,  se  del  caso,
dell'ausilio di un familiare del minore stesso o  di  un  esperto  in
psicologia infantile: salva la possibilita' di disporre,  sentite  le
parti, che la deposizione prosegua nelle forme consuete  «se  ritiene
che l'esame diretto del minore non possa nuocere alla  serenita'  del
teste» (art. 498, comma 4, cod. proc. pen.).
    In prosieguo di tempo, tuttavia, il ventaglio degli strumenti  di
salvaguardia  del  minore  si  e'  progressivamente  e  sensibilmente
arricchito per effetto di una serie  di  interventi  innovativi.  Nel
procedere in tale direzione, il  legislatore  ha  tenuto  conto,  tra
l'altro, anche della necessita' di uniformare  l'ordinamento  interno
alle previsioni di norme sovranazionali attinenti, in modo specifico,
alle modalita' di assunzione della testimonianza del  minore  vittima
di reati o, amplius, alla tutela del testimone  "vulnerabile":  norme
molto  piu'  pertinenti  alla   tematica   in   esame   rispetto   ai
generalissimi enunciati della Convenzione  di  New  York  su  cui  il
rimettente fonda invece le proprie censure. Previsioni di  tal  fatta
si rinvengono, in specie, oltre che in talune raccomandazioni,  nella
Convenzione del Consiglio  d'Europa  per  la  protezione  dei  minori
contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a  Lanzarote  il  25
ottobre 2007, ratificata e resa esecutiva con legge 1° ottobre  2012,
n. 172 (artt. 30, 31 e 35), nonche', quanto  al  diritto  dell'Unione
europea, nella decisione quadro 2001/220/GAI del  Consiglio,  del  15
marzo 2001, relativa alla posizione della  vittima  nel  procedimento
penale (artt. 2, paragrafo 2; 3, paragrafo 3; 8, paragrafi 3 e 4),  e
indi  nella  direttiva  2012/29/UE  del  Parlamento  europeo  e   del
Consiglio, del 25  ottobre  2012,  che  istituisce  norme  minime  in
materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato  e
che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (artt. 19, paragrafo
1; 22, paragrafo 4; 23).
    6.- Il processo di  implementazione  dei  presidi  a  tutela  del
minorenne chiamato a rendere  testimonianza  ha  preso  concretamente
avvio con la legge 15 febbraio 1996, n. 66 (Norme contro la  violenza
sessuale), il cui art. 13 ha aggiunto all'art. 392 cod. proc. pen. un
comma 1-bis,  ove  si  stabiliva  che,  nei  procedimenti  per  fatti
riconducibili alle piu' gravi tra le nuove figure di reato introdotte
dalla stessa legge, le parti potessero «chiedere che si  proceda  con
incidente probatorio all'assunzione della  testimonianza  di  persona
minore degli anni sedici, anche al di fuori  delle  ipotesi  previste
dal   comma   1»,   ossia   a   prescindere   dalle   condizioni   di
indifferibilita' della prova cui  e'  ordinariamente  subordinata  la
possibilita' di una sua assunzione anticipata rispetto alla  naturale
sede dibattimentale. La disposizione e'  stata  oggetto  di  ripetute
modifiche ad opera di successive novelle legislative,  che  ne  hanno
via via dilatato il perimetro  applicativo,  tanto  con  riguardo  ai
reati - nel cui catalogo figura, a partire dal 2009, anche il delitto
di maltrattamenti (art. 572 del codice penale), per  cui  si  procede
nel giudizio a quo - quanto  in  relazione  al  novero  dei  soggetti
tutelati, che, sempre a partire dal 2009, abbraccia tutti  i  minori,
anche ultrasedicenni (siano o meno persone offese dal reato), nonche'
le persone offese maggiorenni. Proprio sulla  base  della  previsione
del citato art. 392, comma 1-bis,  cod.  proc.  pen.  e'  stata,  del
resto, disposta  l'assunzione  mediante  incidente  probatorio  della
testimonianza del minore nel giudizio a quo.
    Secondo quanto  emerge  dai  lavori  parlamentari  relativi  alla
citata legge n. 66 del 1996,  l'introduzione  della  ricordata  nuova
ipotesi di incidente  probatorio  cosiddetto  speciale  o  atipico  -
proprio  perche'  svincolato  dall'ordinario  presupposto  della  non
rinviabilita' della prova al dibattimento  -  era  sorretta  anche  e
soprattutto da una finalita' di tutela della personalita' del minore,
consentendogli di uscire al piu' presto dal circuito processuale  per
aiutarlo a liberarsi piu' rapidamente dalle conseguenze  psicologiche
dell'esperienza vissuta. Tale ratio extraprocessuale  e'  stata  resa
maggiormente evidente dalla legge 3 agosto 1998, n. 269 (Norme contro
lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia,  del  turismo
sessuale in danno di  minori,  quali  nuove  forme  di  riduzione  in
schiavitu'), che, aggiungendo all'art. 190-bis  cod.  proc.  pen.  un
comma 1-bis, ha stabilito che il minore infrasedicenne, gia'  escusso
in sede di  incidente  probatorio,  non  potesse  essere  chiamato  a
deporre novamente in  dibattimento,  se  non  quando  cio'  apparisse
«assolutamente necessario» (condizione poi solo in  parte  attenuata,
in nome dell'esigenza di assicurare l'attuazione  del  principio  del
contraddittorio, dalla legge 1° marzo 2001, n. 63, recante «Modifiche
al codice penale e al  codice  di  procedura  penale  in  materia  di
formazione e  valutazione  della  prova  in  attuazione  della  legge
costituzionale di riforma dell'articolo 111 della Costituzione»).
    7.-  In  parallelo  all'ampliamento   dei   casi   di   incidente
probatorio, la legge n. 66 del 1996 ha dettato, con  il  nuovo  comma
5-bis dell'art. 398  cod.  proc.  pen.,  anche  speciali  regole  per
l'acquisizione della testimonianza del minore. Anziche' integrare  la
disposizione dell'art. 498 cod. proc. pen., relativa alla deposizione
dibattimentale - applicabile anche in sede di incidente probatorio in
virtu' del richiamo  alle  «forme  stabilite  per  il  dibattimento»,
contenuto nell'art. 401, comma 5, cod. proc. pen.  -  il  legislatore
preferi'  collocare  le  regole  in   questione   nell'ambito   della
disciplina dell'incidente probatorio, limitandone cosi' (in  origine)
la portata applicativa all'esame del minore condotto in tale sede.
    Inizialmente circoscritta ai casi in cui si procedesse per i piu'
gravi tra i delitti contro la liberta' sessuale e  si  discutesse  di
minori infrasedicenni, la disposizione e'  stata  interessata,  negli
anni  a  seguire,  da  un  progressivo  ampliamento  del  suo   campo
applicativo, in larga  misura  omologo  a  quello  che  ha  investito
l'ipotesi di incidente probatorio  atipico  di  cui  al  comma  1-bis
dell'art. 392 cod. proc. pen. In base al testo attuale  della  norma,
nel caso di indagini che riguardino  la  quasi  totalita'  dei  reati
menzionati dal citato art. 392, comma 1-bis (tra cui anche il delitto
di maltrattamenti), «il  giudice,  ove  fra  le  persone  interessate
all'assunzione   della   prova    vi    siano    minorenni»    (anche
ultrasedicenni), con  l'ordinanza  che  lo  ammette,  «stabilisce  il
luogo, il tempo e le modalita' particolari attraverso  cui  procedere
all'incidente probatorio, quando le esigenze di tutela delle  persone
lo rendono  necessario  od  opportuno».  A  tal  fine,  l'udienza  di
assunzione della prova puo' svolgersi «anche  in  luogo  diverso  dal
tribunale,  avvalendosi  il  giudice,  ove  esistano,  di   strutture
specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l'abitazione della
persona interessata all'assunzione della prova».
    La  disposizione  abilita,  quindi,  il  giudice   a   conformare
discrezionalmente le modalita' di escussione  del  minore  alla  luce
delle concrete esigenze di tutela -apprezzabili non solo  in  termini
di  "necessita'",  ma  anche  di  semplice  "opportunita'"  -   ferma
restando,  s'intende,  la  contrapposta  esigenza  di  rispetto   del
principio  del   contraddittorio.   Tale   discrezionalita'   investe
anzitutto il «luogo» dell'assunzione della prova, potendo il  giudice
disporre che l'esame del minore avvenga extra moenia, cioe' in luoghi
alternativi e  di  minore  impatto  emotivo  rispetto  alle  aule  di
tribunale,  ed  eventualmente  -  quando  cio'  sia  richiesto  dalle
contingenze - anche in localita' diversa da quella  in  cui  ha  sede
l'ufficio  giudiziario.  Il   giudice   puo'   calibrare,   altresi',
discrezionalmente il «tempo» dell'esame, fissando  l'udienza  di  la'
dal limite temporale di dieci giorni previsto dall'art. 398, comma 2,
lettera c), cod. proc. pen., in accordo con le specifiche esigenze di
tutela del minore. Da ultimo, il giudice  puo'  stabilire  «modalita'
particolari» di escussione, adeguate alle circostanze: formula  ampia
e generica, che abbraccia la generalita' delle forme di  acquisizione
della prova.
    Quanto, poi, all'originaria, incongrua limitazione  delle  regole
speciali alla sola testimonianza del  minore  assunta  con  incidente
probatorio, essa e' stata rimossa gia' con la legge n. 269 del  1998,
che, aggiungendo il nuovo comma 4-bis all'art. 498 cod.  proc.  pen.,
ha   esteso   le   "modalita'    protette"    anche    all'escussione
dibattimentale.
    La medesima legge ha inserito, inoltre, nell'art. 498 cod.  proc.
pen. un comma 4-ter (anch'esso piu' volte novellato in prosieguo), in
forza del quale, nei procedimenti per  determinati  reati  (tra  cui,
attualmente, anche quello  di  maltrattamenti),  l'esame  del  minore
vittima del reato ha luogo, su richiesta del minore stesso o del  suo
difensore, «mediante l'uso di un  vetro  specchio  unitamente  ad  un
impianto citofonico». In questo modo,  si  evita  all'interessato  di
dover deporre  dinanzi  a  numerose  persone,  e  in  particolare  al
presunto autore del reato commesso ai suoi danni.
    Tale  disposizione  -  relativa   al   dibattimento   -   risulta
applicabile  anche   alla   testimonianza   assunta   con   incidente
probatorio, in virtu' del ricordato richiamo  di  cui  all'art.  401,
comma 5, cod. proc. pen. Lo  stesso  rimettente,  con  il  precedente
provvedimento di cui si e' parlato, aveva  del  resto  disposto,  nel
caso di specie, il ricorso al cosiddetto esame schermato.
    8.- In conclusione, dunque, il sistema processuale vigente  offre
al giudice un ampio e duttile complesso di strumenti di  salvaguardia
della personalita' del minore chiamato  a  rendere  testimonianza,  a
fronte del quale deve escludersi l'asserita necessita' costituzionale
di introdurre quello ulteriore congegnato dall'odierno rimettente.
    Per completezza, va aggiunto che il giudice a quo non esclude  di
potersi recare, quando cio' occorra, fuori  dal  proprio  circondario
per assumere la testimonianza  del  minore.  A  fronte  di  cio',  la
pretesa  di  delegare  l'incombenza  al  giudice  per   le   indagini
preliminari del luogo, anche  in  assenza  dei  rigorosi  presupposti
indicati nell'art. 398, comma 5, cod. proc. pen., si  rivela  affatto
eccentrica rispetto alle norme convenzionali evocate. Sul piano della
salvaguardia del «benessere» del fanciullo, alla quale fa riferimento
l'art.  3  della  Convenzione  di  New  York,   risulta   del   tutto
indifferente che la sua testimonianza venga assunta dal  giudice  che
ha disposto l'incidente probatorio o dal giudice del luogo in cui  la
prova deve essere espletata.
    9.- Alla luce delle considerazioni che precedono, la questione va
dichiarata, dunque, non fondata.
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
degli artt. 398, comma 5, e  133  del  codice  di  procedura  penale,
sollevata,  in  riferimento  all'art.   117,   primo   comma,   della
Costituzione, in relazione agli artt. 3 e  4  della  Convenzione  sui
diritti del  fanciullo,  fatta  a  New  York  il  20  novembre  1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio  1991,  n.  176,  dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di  Lecce
con l'ordinanza in epigrafe.

    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                      Franco MODUGNO, Redattore
                    Filomena PERRONE, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2018.

                           Il Cancelliere
                       F.to: Filomena PERRONE

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