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mercoledì 2 maggio 2018
N. 88 SENTENZA 21 marzo - 26 aprile 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Procedimento civile - Equa riparazione per violazione della ragionevole durata del processo - Proponibilita' della domanda in pendenza del procedimento presupposto. - Legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), art. 4, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134. - (GU n.18 del 2-5-2018 )
N. 88 SENTENZA 21 marzo - 26 aprile 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Procedimento civile - Equa riparazione per violazione della
ragionevole durata del processo - Proponibilita' della domanda in
pendenza del procedimento presupposto.
- Legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso
di violazione del termine ragionevole del processo e modifica
dell'articolo 375 del codice di procedura civile), art. 4, come
sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22
giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese),
convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134.
-
(GU n.18 del 2-5-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio
PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della
legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di
violazione del termine ragionevole del processo e modifica
dell'articolo 375 del codice di procedura civile) - come sostituito
dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012,
n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con
modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134 - promossi dalla
Corte di cassazione, sezione sesta civile, con due ordinanze del 20
dicembre 2016, e con ordinanze del 16 febbraio e del 23 gennaio 2017,
iscritte rispettivamente ai nn. 68, 69, 73 e 148 del registro
ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 20, 21 e 43, prima serie speciale, dell'anno 2017.
Visti gli atti di costituzione di G. D. e altri e di G.A. F.,
nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella udienza pubblica del 20 marzo e nella camera di
consiglio del 21 marzo 2018 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi gli avvocati Stefano Viti per G. D. e altri, Andrea
Saccucci per G.A. F. e l'avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 10 dicembre 2016 (reg. ord. n. 68 del 2017)
la Corte di cassazione, sezione sesta civile, ha sollevato questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 24 marzo 2001,
n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del
termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del
codice di procedura civile) - come sostituito dall'art. 55, comma 1,
lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti
per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella
legge 7 agosto 2012, n. 134 - in riferimento agli artt. 3, 24, 111,
secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo
in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
L'art. 4 della legge n. 89 del 2001 (cosiddetta legge Pinto),
nella versione censurata, prevede che «[l]a domanda di riparazione
puo' essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento
in cui la decisione che conclude il procedimento e' divenuta
definitiva».
Il rimettente riferisce di alcuni ricorrenti che si erano rivolti
alla Corte d'appello di Perugia per ottenere l'equa riparazione del
danno non patrimoniale loro derivato dall'irragionevole durata del
giudizio instaurato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del
Lazio in data 13 marzo 1997 e definito con decreto di perenzione del
14 gennaio 2013. L'adita Corte d'appello aveva dichiarato la domanda
inammissibile, pronuncia confermata dalla medesima Corte d'appello in
sede di opposizione, atteso che il decreto di perenzione non era
ancora divenuto definitivo.
Adito per la cassazione del decreto che aveva deciso
sull'opposizione, il giudice a quo condivide l'interpretazione
dell'art. 4 della legge n. 89 del 2011 seguita dalla Corte d'appello
e ormai assurta a "diritto vivente", che esclude la proponibilita'
della domanda di equa riparazione durante la pendenza del giudizio
presupposto, nondimeno dubita della sua legittimita' costituzionale,
cosi' come sarebbe stato ritenuto, ma non dichiarato, da questa Corte
nella sentenza n. 30 del 2014, laddove ha ravvisato nel differimento
dell'esperibilita' del rimedio all'esito del giudizio presupposto un
pregiudizio alla sua effettivita', sollecitando l'intervento del
legislatore.
Poiche' il vulnus costituzionale riscontrato non sarebbe stato
ovviato dai rimedi preventivi introdotti dall'art. 1, comma 777,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilita' 2016)» - volti a prevenire l'irragionevole durata del
processo ma non incidenti sull'effettivita' della tutela indennitaria
una volta che la soglia dell'eccessiva durata sia stata oltrepassata
- sarebbe rimasto inascoltato il monito impartito da questa Corte e
irrisolto il problema del differimento, perdurando i profili di
illegittimita' in riferimento agli artt. 3, 24, 111, secondo comma, e
117, primo comma, Cost., aggravati dalla non reiterabilita' della
domanda di equa riparazione prematuramente proposta, sebbene,
frattanto, il giudizio presupposto sia stato irretrattabilmente
definito.
La questione sarebbe rilevante in quanto i ricorrenti hanno
proposto domanda di equa riparazione prima che divenisse definitivo
il decreto di perenzione e, percio', si sono visti precludere
l'accesso alla tutela indennitaria.
2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, deducendo l'inammissibilita' o, comunque, la manifesta
infondatezza della questione.
Ad avviso dell'interveniente, il rimettente si sarebbe limitato a
evocare i parametri costituzionali asseritamente violati, senza
indicare i motivi del preteso contrasto. Ne' sarebbe sufficiente
richiamare gli argomenti sviluppati nell'ambito del precedente
giudizio di costituzionalita' conclusosi con la sentenza n. 30 del
2014, stante il divieto di motivazione per relationem. Peraltro, la
questione di legittimita' costituzionale sollevata divergerebbe da
quella precedentemente scrutinata, rendendo inevitabilmente
necessario chiarire le ragioni delle censure.
Inoltre, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, il
rimettente avrebbe erroneamente identificato la norma da censurare,
atteso che il divieto di riproposizione della domanda respinta
sarebbe previsto dall'art. 3, comma 6, della legge n. 89 del 2001, e,
comunque, non avrebbe esperito un tentativo di interpretazione
costituzionalmente orientata del combinato disposto degli artt. 3,
comma 6, e 4 della legge Pinto, tale da limitare il divieto di
riproposizione della domanda alla sola ipotesi di reiezione nel
merito e non per ragioni processuali, che di principio non sarebbero
suscettibili di giudicato.
Ancora, l'interveniente sostiene che il giudice a quo non avrebbe
indicato la ragione ostativa all'esame nel merito della domanda di
equa riparazione nel caso in cui la condizione della definizione del
giudizio presupposto fosse sopravvenuta nelle more, ne' avrebbe
motivato sulla legittimita' costituzionale dell'imputazione alla
parte degli effetti della mancata diligenza professionale del
difensore nell'accertare la sussistenza del requisito previsto.
In ultimo, l'intervento additivo richiesto rivestirebbe connotati
di manipolativita' in assenza di una soluzione costituzionalmente
obbligata, sconfinando inevitabilmente nella discrezionalita' del
legislatore, cosi' come gia' ritenuto dalla sentenza n. 30 del 2014.
Nel merito, l'Avvocatura generale dello Stato evidenzia,
anzitutto, che, in ossequio alla sollecitazione contenuta nella
sentenza n. 30 del 2014, la legge n. 208 del 2015 avrebbe introdotto
una serie di ulteriori rimedi volti a prevenire l'irragionevole
durata del processo nell'ottica di effettivita' della tutela
richiesta dalla Corte EDU. Inoltre, esclude che l'attuale disciplina,
connotata dalla combinazione di strumenti di snellimento e
accelerazione del procedimento con il riconoscimento dell'indennizzo,
violi gli artt. 6 e 13 CEDU solo perche' la domanda di equa
riparazione non puo' essere proposta prima della definitivita' del
provvedimento di chiusura del giudizio presupposto. Infine, gli artt.
3, comma 6, e 4, della legge n. 89 del 2001 ben potrebbero essere
intesi nel senso di non precludere definitivamente la riproposizione
della domanda respinta per motivi meramente processuali.
3.- Si sono costituiti alcuni dei ricorrenti nel giudizio a quo,
invocando una pronuncia additiva che consenta l'esperibilita' del
rimedio indennitario anche in pendenza del giudizio presupposto,
attesa l'irragionevole compressione del diritto di azione nel caso in
cui, benche' ancora non concluso, esso si sia protratto oltre ogni
limite di ragionevolezza, in violazione degli artt. 3, 24 e 111
(espressivo del principio del giusto processo) Cost., nonche' degli
artt. 6 e 13 CEDU, come interpretati dalla Corte di Strasburgo (si
cita la sentenza 21 luglio 2009, Lesjak contro Slovenia).
I ricorrenti costituiti hanno depositato memoria illustrativa in
prossimita' dell'udienza di discussione, replicando alle difese
svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri e ulteriormente
argomentando in merito alla fondatezza della questione.
4.- Con ordinanza del 20 dicembre 2016 (reg. ord. n. 69 del 2017)
la Corte di cassazione, sezione sesta civile, ha sollevato questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001
- come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del d.l. n. 83
del 2012 convertito nella legge n. 134 del 2012 - in riferimento agli
artt. 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU.
Il rimettente riferisce di essere stato adito da un ricorrente
che si era rivolto alla Corte d'appello di Lecce per ottenere l'equa
riparazione del danno non patrimoniale derivatogli dall'irragionevole
durata del giudizio iniziato dinanzi al TAR della Puglia in data 17
ottobre 2001 e definito con sentenza del Consiglio di Stato del 16
maggio 2013. L'adita Corte d'appello aveva dichiarato la domanda
inammissibile, pronuncia confermata dalla medesima Corte d'appello in
sede di opposizione, atteso che la sentenza non era ancora passata in
giudicato.
In punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza, il
rimettente svolge argomenti del tutto coincidenti con quelli
sviluppati nell'ordinanza iscritta al n. 68 del reg. ord. 2017.
5.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, deducendo l'inammissibilita' o, comunque, la manifesta
infondatezza della questione per i medesimi motivi illustrati
nell'atto di intervento afferente all'ordinanza iscritta al n. 68 del
reg. ord. dell'anno 2017.
6.- Si e' costituito il ricorrente nel giudizio a quo, invocando
una pronuncia additiva che consenta l'esperibilita' del rimedio
indennitario in pendenza del giudizio presupposto o la valutazione
della sua definitivita' al momento della decisione sulla domanda di
equa riparazione anziche' a quello del deposito del ricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa in prossimita'
dell'udienza di discussione, replicando alle difese svolte dal
Presidente del Consiglio dei ministri e ulteriormente argomentando in
merito alla fondatezza della questione.
7.- Con ordinanza del 16 febbraio 2017 (reg. ord. n. 73 del 2017)
la Corte di cassazione, sezione sesta civile, ha sollevato questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001
- come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del d.l. n. 83
del 2012 convertito nella legge n. 134 del 2012 - in riferimento agli
artt. 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU.
Il rimettente riferisce di essere stato adito da un ricorrente
che si era rivolto alla Corte d'appello di Perugia per ottenere
l'equa riparazione del danno non patrimoniale derivatogli
dall'irragionevole durata del giudizio svoltosi dinanzi al Giudice di
pace e, successivamente, davanti al Tribunale di Civitavecchia dal 29
aprile 2006 al 23 ottobre 2014, allorquando il giudizio d'appello era
stato cancellato dal ruolo e contestualmente dichiarato estinto.
L'adita Corte d'appello aveva dichiarato la domanda di equa
riparazione improponibile, pronuncia confermata dalla medesima Corte
d'appello in sede di opposizione, atteso che, in virtu' dell'art. 181
codice di procedura civile nella versione applicabile ratione
temporis, la dichiarazione di estinzione non poteva ritenersi
avvenuta contestualmente alla cancellazione dal ruolo, ma solo
all'esito del decorso del termine stabilito dall'art. 307 cod. proc.
civ. per l'eventuale riassunzione.
Il rimettente ritiene che la decisione impugnata debba essere
confermata, seppur correggendone la motivazione, e solleva la
descritta questione di legittimita' costituzionale, svolgendo
argomenti, in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza, del
tutto coincidenti con quelli sviluppati nelle ordinanze iscritte ai
nn. 68 e 69 del reg. ord. dell'anno 2017 e chiedendo che la norma sia
dichiarata illegittima «nella parte in cui condiziona la
proponibilita' della domanda di equa riparazione alla previa
definizione del procedimento presupposto».
8.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, deducendo l'inammissibilita' o, comunque, la manifesta
infondatezza della questione per i medesimi motivi illustrati negli
atti di intervento afferenti alle ordinanze iscritte ai nn. 68 e 69
del reg. ord. 2017.
9.- Con ordinanza del 23 gennaio 2017 (reg. ord. n. 148 del 2017)
la Corte di cassazione, sezione sesta civile, ha sollevato questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001
- come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del d.l. n. 83
del 2012 convertito nella legge n. 134 del 2012 - in riferimento agli
artt. 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU.
Il rimettente riferisce di essere stato adito da una ricorrente
che si era rivolta alla Corte d'appello di Perugia per ottenere
l'equa riparazione del danno non patrimoniale derivatole
dall'irragionevole durata del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale
di Roma. L'adita Corte d'appello aveva dichiarato la domanda di equa
riparazione improponibile, pronuncia confermata dalla medesima Corte
d'appello in sede di opposizione, atteso che la sentenza non
risultava notificata e dunque occorreva attendere il decorso del
termine "lungo" di cui all'art. 327 cod. proc. civ. perche' passasse
in giudicato, a nulla rilevando la transazione intervenuta con una
delle controparti.
Il rimettente, condividendo l'irrilevanza della transazione non
rifluita nel processo, a seguito di quanto dedotto dalla ricorrente
in ordine all'incostituzionalita' dell'art. 4 della legge n. 89 del
2001, solleva la descritta questione di legittimita', svolgendo
argomenti, in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza, del
tutto coincidenti con quelli sviluppati nelle ordinanze iscritte ai
nn. 68, 69 e 73 del reg. ord. 2017 e chiedendo che la norma sia
dichiarata illegittima «nella parte in cui subordina al passaggio in
giudicato del provvedimento che ha definito il procedimento
presupposto la proponibilita' della domanda di equo indennizzo».
10.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, deducendo l'inammissibilita' o, comunque, la manifesta
infondatezza della questione per i medesimi motivi illustrati negli
atti di intervento afferenti alle ordinanze iscritte ai nn. 68, 69 e
73 del reg. ord. 2017.
Considerato in diritto
1.- Con quattro ordinanze di analogo tenore, la Corte di
cassazione, sezione sesta civile, ha sollevato questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 24 marzo 2001, n.
89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine
ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di
procedura civile) - come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera
d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la
crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7
agosto 2012, n. 134 - in riferimento agli artt. 3, 24, 111, secondo
comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in
relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
La disposizione censurata, nel significato ormai assurto a
"diritto vivente", preclude la proposizione della domanda di equa
riparazione in pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione
della ragionevole durata si assume essersi verificata (sentenza n. 30
del 2014; Corte di cassazione, sesta sezione civile, sentenze 1°
luglio 2016, n. 13556, 12 ottobre 2015, n. 20463, 2 settembre 2014,
n. 18539; seconda sezione civile, sentenza 16 settembre 2014, n.
19479).
In sostanza, la Corte di cassazione censura la norma proprio
nella parte in cui condiziona la proponibilita' della domanda di equa
riparazione alla previa definizione del procedimento presupposto.
Il rimettente evidenzia come gia' la sentenza n. 30 del 2014 di
questa Corte, nello scrutinare analoga questione di legittimita'
costituzionale, abbia ravvisato nel differimento dell'esperibilita'
del rimedio un pregiudizio alla sua effettivita', sollecitando
l'intervento correttivo del legislatore. Il vulnus costituzionale
riscontrato, tuttavia, non sarebbe stato ovviato dai rimedi
preventivi frattanto introdotti dall'art. 1, comma 777, della legge
28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita'
2016)», volti a prevenire l'irragionevole durata del processo ma non
incidenti sull'effettivita' della tutela indennitaria una volta che
essa sia maturata; pertanto, il monito allora impartito sarebbe
rimasto inascoltato, perdurando l'illegittimita' costituzionale del
differimento aggravata dalla definitiva improponibilita' della
domanda di equa riparazione prematuramente avanzata.
2.- I giudizi vanno riuniti per essere definiti con un'unica
pronuncia, avendo a oggetto questioni relative alla medesima norma,
censurata in riferimento a parametri coincidenti.
3.- Prima di affrontare il merito delle questioni proposte
occorre esaminare le eccezioni di inammissibilita' sollevate
dall'Avvocatura generale dello Stato.
3.1.- La difesa statale assume che i rimettenti si sarebbero
limitati a evocare i parametri asseritamente violati, senza indicare
i motivi di contrasto, se non per relationem.
L'eccezione e' fondata limitatamente all'art. 24 Cost., la cui
violazione non e' argomentata.
Viceversa, con riguardo ai residui parametri, coincidenti con
quelli alla cui stregua la norma e' stata scrutinata da questa Corte
nella precedente occasione, le ordinanze di rimessione riproducono
per sintesi, riportandone ampi stralci, il contenuto della sentenza
n. 30 del 2014, dimostrando di aderirvi. Inoltre, confrontandosi con
la normativa sopravvenuta e giudicandola inidonea a emendare il vizio
precedentemente riscontrato e a prestare ossequio al monito all'epoca
impartito, i rimettent individuano in maniera sufficientemente chiara
e adeguata le ragioni che lo inducono a dubitare della legittimita'
costituzionale della norma oggetto del presente giudizio.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, si deve
escludere che si tratti di un caso di motivazione per relationem,
«essendo pienamente ottemperato l'obbligo che questa Corte ritiene
incombere sul rimettente di "rendere espliciti, facendoli propri, i
motivi della non manifesta infondatezza" (ex plurimis, sentenze n. 7
del 2014, n. 234 del 2011 e n. 143 del 2010; ordinanze n. 175 del
2013, n. 239 e n. 65 del 2012)» (sentenza n. 10 del 2015).
3.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta altresi'
che il rimettente abbia erroneamente individuato nel solo art. 4
della legge n. 89 del 2001 la disposizione da censurare, considerato
che il divieto di riproposizione della domanda respinta, che la
precluderebbe definitivamente, sarebbe previsto dall'art. 3, comma 6,
della medesima legge, del quale, peraltro, sarebbe possibile
un'interpretazione adeguatrice che restringa la preclusione alla sola
reiezione nel merito e non per ragioni processuali.
Nella fattispecie, tuttavia, alla luce delle vicende descritte
dalle ordinanze di rimessione, la Corte di cassazione e' chiamata a
fare applicazione esclusivamente della norma denunciata, atteso che
si troverebbe a confermare la reiezione di domande di equa
riparazione improponibili per la pendenza del giudizio presupposto e
non perche' reiterate, sebbene in tutto o in parte respinte, in
spregio al divieto previsto dall'art. 3, comma 6, della legge n. 89
del 2001.
Correttamente, pertanto, i rimettenti non hanno incluso nella
denuncia di incostituzionalita' una norma che non doveva applicare,
neppure in combinato disposto con quella della cui legittimita'
dubita.
3.3.- L'Avvocatura generale dello Stato rimprovera ai rimettenti
di non aver valutato la possibilita' di ritenere che, se sopravvenuta
in corso di causa - come nei giudizi a quibus - la conclusione del
giudizio presupposto consenta di sindacare nel merito la domanda di
indennizzo, trattandosi di una condizione dell'azione la cui
sussistenza andrebbe valutata al momento della decisione. Ne
conseguirebbe l'irrilevanza delle questioni proposte.
L'eccezione non e' fondata.
L'impostazione dei giudici rimettenti trova conforto tanto sul
piano del diritto vivente - visto che, per come viene intesa, la
disposizione preclude «la proposizione della domanda» (sentenza n. 30
del 2014) di equa riparazione - quanto su quello letterale, laddove,
sia nella rubrica che nel precetto, l'art. 4 della legge n. 89 del
2001 fa richiamo alla sua "proponibilita'".
Inoltre, la definizione del giudizio presupposto non attiene al
contenuto intrinseco della domanda, ma risulta a esso esterna, con
cio' dovendosi escludere che si tratti di una condizione dell'azione.
Ne', secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice a quo
e' tenuto a motivare l'impraticabilita' dell'interpretazione
adeguatrice prospettata dall'Avvocatura, incompatibile con il diritto
vivente (sentenza n. 203 del 2016).
4.- Nel merito, la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 4 della legge n. 89 del 2011, in riferimento agli artt. 3,
111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in
relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU, e' fondata.
Scrutinando la stessa questione di legittimita' costituzionale,
questa Corte aveva gia' riscontrato la lesione dei citati parametri,
evidenziando «la necessita' che l'ordinamento si doti di un rimedio
effettivo a fronte della violazione della ragionevole durata del
processo, [...] la "priorita' di valutazione da parte del legislatore
sulla congruita' dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente
necessario" [...e] che non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi
dell'inerzia legislativa in ordine al problema individuato nella
presente pronuncia» (sentenza n. 30 del 2014).
L'art. 1, commi 777, 781 e 782, della legge n. 208 del 2015 ha
modificato la legge n. 89 del 2001, tra l'altro introducendo una
serie di rimedi preventivi il cui mancato esperimento rende
inammissibile la domanda di equa riparazione (art. 2, comma 1, della
legge Pinto, come modificata) - per i processi che al 31 ottobre 2016
non abbiano ancora raggiunto una durata irragionevole ne' siano stati
assunti in decisione (art. 6, comma 2-bis, della legge Pinto come
modificata) - e che, in relazione alle diverse tipologie processuali,
consistono o nell'impiego di riti semplificati gia' previsti
dall'ordinamento (art. 1-ter, comma 1, della legge Pinto come
modificata) o nella formulazione di istanze acceleratorie (art.
1-ter, commi 2, 3, 4, 5 e 6, della legge Pinto come modificata).
Secondo la costante giurisprudenza della Corte EDU, i rimedi
preventivi sono non solo ammissibili, eventualmente in combinazione
con quelli indennitari, ma addirittura preferibili, in quanto volti a
evitare che il procedimento diventi eccessivamente lungo; tuttavia,
per i paesi dove esistono gia' violazioni legate alla sua durata, per
quanto auspicabili per l'avvenire, possono rivelarsi inadeguati
(Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, sentenza 29
marzo 2006, Scordino c. Italia).
Gia' tale rilievo mina in radice l'idoneita' dell'iniziativa
assunta dal legislatore a sopperire alla carenza di effettivita'
precedentemente riscontrata, posto che i rimedi introdotti non sono
destinati a operare in tutte le ipotesi - tra cui quelle al vaglio
nei giudizi a quibus - nelle quali, al 31 ottobre 2016, la durata del
processo abbia superato la soglia della ragionevolezza.
A cio' si aggiunga che la Corte EDU «ha riconosciuto in numerose
occasioni che questo tipo di mezzo di ricorso e' "effettivo" nella
misura in cui esso velocizza la decisione da parte del giudice
competente» (Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera,
sentenza 29 marzo 2006, Scordino c. Italia).
Nella fattispecie, da un lato, tutti i rimedi preventivi
introdotti, alla luce della loro disciplina processuale, non
vincolano il giudice a quanto richiestogli e, dall'altro, per
espressa previsione normativa, «[r]estano ferme le disposizioni che
determinano l'ordine di priorita' nella trattazione dei procedimenti»
(art. 1-ter, comma 7, della legge Pinto come modificata).
Tali rilievi, evidentemente, ne pregiudicano la concreta
efficacia acceleratoria.
La conclusione trova conforto in quanto recentemente affermato
dalla Corte EDU (sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri c.
Italia), pronunciando in ordine all'istanza di prelievo alla cui
formulazione l'art. 54 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge
6 agosto 2008, n. 133, subordinava la proponibilita' della domanda di
equa riparazione per l'irragionevole durata del processo
amministrativo. Tale istanza, che costituisce l'archetipo di gran
parte dei rimedi preventivi di nuova introduzione, e' stata ritenuta
dalla Corte EDU priva di effettivita'.
Alla stregua delle considerazioni che precedono si deve
concludere che, nonostante l'invito rivolto da questa Corte con la
sentenza n. 30 del 2014, il legislatore non ha rimediato al vulnus
costituzionale precedentemente riscontrato e che, pertanto, l'art. 4
della legge n. 89 del 2001 va dichiarato costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui non prevede che la domanda di equa
riparazione, una volta maturato il ritardo, possa essere proposta in
pendenza del procedimento presupposto (analogamente, sentenza n. 3
del 1997).
D'altronde, se i parametri evocati presidiano l'interesse a veder
definite in un tempo ragionevole le proprie istanze di giustizia,
rinviare alla conclusione del procedimento presupposto l'attivazione
dello strumento - l'unico disponibile, fino all'introduzione di
quelli preventivi di cui s'e' detto - volto a rimediare alla sua
lesione, seppur a posteriori e per equivalente, significa
inevitabilmente sovvertire la ratio per la quale e' concepito,
connotando di irragionevolezza la relativa disciplina.
L'invocata pronuncia additiva non puo' essere impedita dalle
peculiarita' con cui la legge Pinto conforma il diritto all'equa
riparazione, collegandolo, nell'an e nel quantum, all'esito del
giudizio in cui l'eccessivo ritardo e' maturato (sentenza n. 30 del
2014).
Infatti, «[p]osta di fronte a un vulnus costituzionale, non
sanabile in via interpretativa - tanto piu' se attinente a diritti
fondamentali - la Corte e' tenuta comunque a porvi rimedio: e cio',
indipendentemente dal fatto che la lesione dipenda da quello che la
norma prevede o, al contrario, da quanto la norma [...] omette di
prevedere. [...] Spettera', infatti, da un lato, ai giudici comuni
trarre dalla decisione i necessari corollari sul piano applicativo,
avvalendosi degli strumenti ermeneutici a loro disposizione; e,
dall'altro, al legislatore provvedere eventualmente a disciplinare,
nel modo piu' sollecito e opportuno, gli aspetti che apparissero
bisognevoli di apposita regolamentazione» (sentenza n. 113 del 2011).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge
24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di
violazione del termine ragionevole del processo e modifica
dell'articolo 375 del codice di procedura civile) - come sostituito
dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012,
n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con
modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134 - nella parte in cui
non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta
in pendenza del procedimento presupposto.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2018.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
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