Translate

mercoledì 2 maggio 2018

N. 88 SENTENZA 21 marzo - 26 aprile 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Procedimento civile - Equa riparazione per violazione della ragionevole durata del processo - Proponibilita' della domanda in pendenza del procedimento presupposto. - Legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), art. 4, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134. - (GU n.18 del 2-5-2018 )



N. 88 SENTENZA 21 marzo - 26 aprile 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Procedimento  civile  -  Equa  riparazione   per   violazione   della
  ragionevole durata del processo - Proponibilita' della  domanda  in
  pendenza del procedimento presupposto.
- Legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in  caso
  di violazione del  termine  ragionevole  del  processo  e  modifica
  dell'articolo 375 del codice di procedura  civile),  art.  4,  come
  sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge  22
  giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti  per  la  crescita  del  Paese),
  convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134.

(GU n.18 del 2-5-2018 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS,   Franco   MODUGNO,   Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
 
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4  della
legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di
violazione  del  termine  ragionevole   del   processo   e   modifica
dell'articolo 375 del codice di procedura civile) -  come  sostituito
dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno  2012,
n. 83 (Misure urgenti per la crescita  del  Paese),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n.  134  -  promossi  dalla
Corte di cassazione, sezione sesta civile, con due ordinanze  del  20
dicembre 2016, e con ordinanze del 16 febbraio e del 23 gennaio 2017,
iscritte rispettivamente ai  nn.  68,  69,  73  e  148  del  registro
ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 20, 21 e 43, prima serie speciale, dell'anno 2017.
    Visti gli atti di costituzione di G. D. e altri  e  di  G.A.  F.,
nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella udienza pubblica del  20  marzo  e  nella  camera  di
consiglio del 21 marzo 2018 il Giudice relatore Aldo Carosi;
    uditi gli avvocati  Stefano  Viti  per  G.  D.  e  altri,  Andrea
Saccucci per G.A. F. e l'avvocato dello  Stato  Massimo  Salvatorelli
per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 10 dicembre 2016 (reg. ord. n. 68 del 2017)
la Corte di cassazione, sezione sesta civile, ha sollevato  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 24 marzo 2001,
n. 89 (Previsione di equa  riparazione  in  caso  di  violazione  del
termine ragionevole del processo e  modifica  dell'articolo  375  del
codice di procedura civile) - come sostituito dall'art. 55, comma  1,
lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83  (Misure  urgenti
per la crescita del  Paese),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 7 agosto 2012, n. 134 - in riferimento agli artt. 3,  24,  111,
secondo comma, e 117, primo comma, della  Costituzione,  quest'ultimo
in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
    L'art. 4 della legge n. 89 del  2001  (cosiddetta  legge  Pinto),
nella versione censurata, prevede che «[l]a  domanda  di  riparazione
puo' essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento
in  cui  la  decisione  che  conclude  il  procedimento  e'  divenuta
definitiva».
    Il rimettente riferisce di alcuni ricorrenti che si erano rivolti
alla Corte d'appello di Perugia per ottenere l'equa  riparazione  del
danno non patrimoniale loro derivato  dall'irragionevole  durata  del
giudizio instaurato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del
Lazio in data 13 marzo 1997 e definito con decreto di perenzione  del
14 gennaio 2013. L'adita Corte d'appello aveva dichiarato la  domanda
inammissibile, pronuncia confermata dalla medesima Corte d'appello in
sede di opposizione, atteso che il  decreto  di  perenzione  non  era
ancora divenuto definitivo.
    Adito  per  la  cassazione   del   decreto   che   aveva   deciso
sull'opposizione,  il  giudice  a  quo  condivide   l'interpretazione
dell'art. 4 della legge n. 89 del 2011 seguita dalla Corte  d'appello
e ormai assurta a "diritto vivente", che  esclude  la  proponibilita'
della domanda di equa riparazione durante la  pendenza  del  giudizio
presupposto, nondimeno dubita della sua legittimita'  costituzionale,
cosi' come sarebbe stato ritenuto, ma non dichiarato, da questa Corte
nella sentenza n. 30 del 2014, laddove ha ravvisato nel  differimento
dell'esperibilita' del rimedio all'esito del giudizio presupposto  un
pregiudizio alla  sua  effettivita',  sollecitando  l'intervento  del
legislatore.
    Poiche' il vulnus costituzionale riscontrato  non  sarebbe  stato
ovviato dai rimedi preventivi  introdotti  dall'art.  1,  comma  777,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2016)» - volti  a  prevenire  l'irragionevole  durata  del
processo ma non incidenti sull'effettivita' della tutela indennitaria
una volta che la soglia dell'eccessiva durata sia stata  oltrepassata
- sarebbe rimasto inascoltato il monito impartito da questa  Corte  e
irrisolto il problema  del  differimento,  perdurando  i  profili  di
illegittimita' in riferimento agli artt. 3, 24, 111, secondo comma, e
117, primo comma, Cost., aggravati  dalla  non  reiterabilita'  della
domanda  di  equa  riparazione  prematuramente   proposta,   sebbene,
frattanto,  il  giudizio  presupposto  sia  stato  irretrattabilmente
definito.
    La questione sarebbe  rilevante  in  quanto  i  ricorrenti  hanno
proposto domanda di equa riparazione prima che  divenisse  definitivo
il decreto  di  perenzione  e,  percio',  si  sono  visti  precludere
l'accesso alla tutela indennitaria.
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  deducendo  l'inammissibilita'  o,  comunque,   la   manifesta
infondatezza della questione.
    Ad avviso dell'interveniente, il rimettente si sarebbe limitato a
evocare  i  parametri  costituzionali  asseritamente  violati,  senza
indicare i motivi del  preteso  contrasto.  Ne'  sarebbe  sufficiente
richiamare  gli  argomenti  sviluppati  nell'ambito  del   precedente
giudizio di costituzionalita' conclusosi con la sentenza  n.  30  del
2014, stante il divieto di motivazione per relationem.  Peraltro,  la
questione di legittimita' costituzionale  sollevata  divergerebbe  da
quella   precedentemente   scrutinata,    rendendo    inevitabilmente
necessario chiarire le ragioni delle censure.
    Inoltre, secondo il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  il
rimettente avrebbe erroneamente identificato la norma  da  censurare,
atteso che  il  divieto  di  riproposizione  della  domanda  respinta
sarebbe previsto dall'art. 3, comma 6, della legge n. 89 del 2001, e,
comunque,  non  avrebbe  esperito  un  tentativo  di  interpretazione
costituzionalmente orientata del combinato disposto  degli  artt.  3,
comma 6, e 4 della legge  Pinto,  tale  da  limitare  il  divieto  di
riproposizione della domanda  alla  sola  ipotesi  di  reiezione  nel
merito e non per ragioni processuali, che di principio non  sarebbero
suscettibili di giudicato.
    Ancora, l'interveniente sostiene che il giudice a quo non avrebbe
indicato la ragione ostativa all'esame nel merito  della  domanda  di
equa riparazione nel caso in cui la condizione della definizione  del
giudizio presupposto  fosse  sopravvenuta  nelle  more,  ne'  avrebbe
motivato  sulla  legittimita'  costituzionale  dell'imputazione  alla
parte  degli  effetti  della  mancata  diligenza  professionale   del
difensore nell'accertare la sussistenza del requisito previsto.
    In ultimo, l'intervento additivo richiesto rivestirebbe connotati
di manipolativita' in assenza  di  una  soluzione  costituzionalmente
obbligata, sconfinando  inevitabilmente  nella  discrezionalita'  del
legislatore, cosi' come gia' ritenuto dalla sentenza n. 30 del 2014.
    Nel  merito,  l'Avvocatura  generale   dello   Stato   evidenzia,
anzitutto, che,  in  ossequio  alla  sollecitazione  contenuta  nella
sentenza n. 30 del 2014, la legge n. 208 del 2015 avrebbe  introdotto
una serie di  ulteriori  rimedi  volti  a  prevenire  l'irragionevole
durata  del  processo  nell'ottica  di  effettivita'   della   tutela
richiesta dalla Corte EDU. Inoltre, esclude che l'attuale disciplina,
connotata  dalla  combinazione  di   strumenti   di   snellimento   e
accelerazione del procedimento con il riconoscimento dell'indennizzo,
violi gli artt.  6  e  13  CEDU  solo  perche'  la  domanda  di  equa
riparazione non puo' essere proposta prima  della  definitivita'  del
provvedimento di chiusura del giudizio presupposto. Infine, gli artt.
3, comma 6, e 4, della legge n. 89 del  2001  ben  potrebbero  essere
intesi nel senso di non precludere definitivamente la  riproposizione
della domanda respinta per motivi meramente processuali.
    3.- Si sono costituiti alcuni dei ricorrenti nel giudizio a  quo,
invocando una pronuncia additiva  che  consenta  l'esperibilita'  del
rimedio indennitario anche  in  pendenza  del  giudizio  presupposto,
attesa l'irragionevole compressione del diritto di azione nel caso in
cui, benche' ancora non concluso, esso si sia  protratto  oltre  ogni
limite di ragionevolezza, in violazione  degli  artt.  3,  24  e  111
(espressivo del principio del giusto processo) Cost.,  nonche'  degli
artt. 6 e 13 CEDU, come interpretati dalla Corte  di  Strasburgo  (si
cita la sentenza 21 luglio 2009, Lesjak contro Slovenia).
    I ricorrenti costituiti hanno depositato memoria illustrativa  in
prossimita'  dell'udienza  di  discussione,  replicando  alle  difese
svolte dal Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e  ulteriormente
argomentando in merito alla fondatezza della questione.
    4.- Con ordinanza del 20 dicembre 2016 (reg. ord. n. 69 del 2017)
la Corte di cassazione, sezione sesta civile, ha sollevato  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001
- come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del d.l.  n.  83
del 2012 convertito nella legge n. 134 del 2012 - in riferimento agli
artt.  3,  24,  111,  secondo  comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU.
    Il rimettente riferisce di essere stato adito  da  un  ricorrente
che si era rivolto alla Corte d'appello di Lecce per ottenere  l'equa
riparazione del danno non patrimoniale derivatogli dall'irragionevole
durata del giudizio iniziato dinanzi al TAR della Puglia in  data  17
ottobre 2001 e definito con sentenza del Consiglio di  Stato  del  16
maggio 2013. L'adita Corte  d'appello  aveva  dichiarato  la  domanda
inammissibile, pronuncia confermata dalla medesima Corte d'appello in
sede di opposizione, atteso che la sentenza non era ancora passata in
giudicato.
    In punto  di  rilevanza  e  di  non  manifesta  infondatezza,  il
rimettente  svolge  argomenti  del  tutto  coincidenti   con   quelli
sviluppati nell'ordinanza iscritta al n. 68 del reg. ord. 2017.
    5.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  deducendo  l'inammissibilita'  o,  comunque,   la   manifesta
infondatezza  della  questione  per  i  medesimi  motivi   illustrati
nell'atto di intervento afferente all'ordinanza iscritta al n. 68 del
reg. ord. dell'anno 2017.
    6.- Si e' costituito il ricorrente nel giudizio a quo,  invocando
una pronuncia  additiva  che  consenta  l'esperibilita'  del  rimedio
indennitario in pendenza del giudizio presupposto  o  la  valutazione
della sua definitivita' al momento della decisione sulla  domanda  di
equa riparazione anziche' a quello del deposito del ricorso.
    Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa  in  prossimita'
dell'udienza  di  discussione,  replicando  alle  difese  svolte  dal
Presidente del Consiglio dei ministri e ulteriormente argomentando in
merito alla fondatezza della questione.
    7.- Con ordinanza del 16 febbraio 2017 (reg. ord. n. 73 del 2017)
la Corte di cassazione, sezione sesta civile, ha sollevato  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001
- come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del d.l.  n.  83
del 2012 convertito nella legge n. 134 del 2012 - in riferimento agli
artt.  3,  24,  111,  secondo  comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU.
    Il rimettente riferisce di essere stato adito  da  un  ricorrente
che si era rivolto alla  Corte  d'appello  di  Perugia  per  ottenere
l'equa   riparazione   del   danno   non   patrimoniale   derivatogli
dall'irragionevole durata del giudizio svoltosi dinanzi al Giudice di
pace e, successivamente, davanti al Tribunale di Civitavecchia dal 29
aprile 2006 al 23 ottobre 2014, allorquando il giudizio d'appello era
stato cancellato dal  ruolo  e  contestualmente  dichiarato  estinto.
L'adita  Corte  d'appello  aveva  dichiarato  la  domanda   di   equa
riparazione improponibile, pronuncia confermata dalla medesima  Corte
d'appello in sede di opposizione, atteso che, in virtu' dell'art. 181
codice  di  procedura  civile  nella  versione  applicabile   ratione
temporis,  la  dichiarazione  di  estinzione  non  poteva   ritenersi
avvenuta  contestualmente  alla  cancellazione  dal  ruolo,  ma  solo
all'esito del decorso del termine stabilito dall'art. 307 cod.  proc.
civ. per l'eventuale riassunzione.
    Il rimettente ritiene che la  decisione  impugnata  debba  essere
confermata,  seppur  correggendone  la  motivazione,  e  solleva   la
descritta  questione  di   legittimita'   costituzionale,   svolgendo
argomenti, in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza, del
tutto coincidenti con quelli sviluppati nelle ordinanze  iscritte  ai
nn. 68 e 69 del reg. ord. dell'anno 2017 e chiedendo che la norma sia
dichiarata  illegittima   «nella   parte   in   cui   condiziona   la
proponibilita'  della  domanda  di  equa  riparazione   alla   previa
definizione del procedimento presupposto».
    8.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  deducendo  l'inammissibilita'  o,  comunque,   la   manifesta
infondatezza della questione per i medesimi motivi  illustrati  negli
atti di intervento afferenti alle ordinanze iscritte ai nn. 68  e  69
del reg. ord. 2017.
    9.- Con ordinanza del 23 gennaio 2017 (reg. ord. n. 148 del 2017)
la Corte di cassazione, sezione sesta civile, ha sollevato  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 89 del 2001
- come sostituito dall'art. 55, comma 1, lettera d), del d.l.  n.  83
del 2012 convertito nella legge n. 134 del 2012 - in riferimento agli
artt.  3,  24,  111,  secondo  comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU.
    Il rimettente riferisce di essere stato adito da  una  ricorrente
che si era rivolta alla  Corte  d'appello  di  Perugia  per  ottenere
l'equa   riparazione   del   danno   non   patrimoniale    derivatole
dall'irragionevole durata del giudizio svoltosi dinanzi al  Tribunale
di Roma. L'adita Corte d'appello aveva dichiarato la domanda di  equa
riparazione improponibile, pronuncia confermata dalla medesima  Corte
d'appello  in  sede  di  opposizione,  atteso  che  la  sentenza  non
risultava notificata e dunque  occorreva  attendere  il  decorso  del
termine "lungo" di cui all'art. 327 cod. proc. civ. perche'  passasse
in giudicato, a nulla rilevando la transazione  intervenuta  con  una
delle controparti.
    Il rimettente, condividendo l'irrilevanza della  transazione  non
rifluita nel processo, a seguito di quanto dedotto  dalla  ricorrente
in ordine all'incostituzionalita' dell'art. 4 della legge n.  89  del
2001, solleva  la  descritta  questione  di  legittimita',  svolgendo
argomenti, in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza, del
tutto coincidenti con quelli sviluppati nelle ordinanze  iscritte  ai
nn. 68, 69 e 73 del reg. ord. 2017  e  chiedendo  che  la  norma  sia
dichiarata illegittima «nella parte in cui subordina al passaggio  in
giudicato  del  provvedimento  che  ha   definito   il   procedimento
presupposto la proponibilita' della domanda di equo indennizzo».
    10.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  deducendo  l'inammissibilita'  o,  comunque,   la   manifesta
infondatezza della questione per i medesimi motivi  illustrati  negli
atti di intervento afferenti alle ordinanze iscritte ai nn. 68, 69  e
73 del reg. ord. 2017.

                       Considerato in diritto

    1.-  Con  quattro  ordinanze  di  analogo  tenore,  la  Corte  di
cassazione,  sezione  sesta  civile,  ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 24 marzo 2001, n.
89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del  termine
ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del  codice  di
procedura civile) - come sostituito dall'art. 55,  comma  1,  lettera
d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure  urgenti  per  la
crescita del Paese), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  7
agosto 2012, n. 134 - in riferimento agli artt. 3, 24,  111,  secondo
comma, e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
    La  disposizione  censurata,  nel  significato  ormai  assurto  a
"diritto vivente", preclude la proposizione  della  domanda  di  equa
riparazione in pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione
della ragionevole durata si assume essersi verificata (sentenza n. 30
del 2014; Corte di cassazione,  sesta  sezione  civile,  sentenze  1°
luglio 2016, n. 13556, 12 ottobre 2015, n. 20463, 2  settembre  2014,
n. 18539; seconda sezione civile,  sentenza  16  settembre  2014,  n.
19479).
    In sostanza, la Corte di  cassazione  censura  la  norma  proprio
nella parte in cui condiziona la proponibilita' della domanda di equa
riparazione alla previa definizione del procedimento presupposto.
    Il rimettente evidenzia come gia' la sentenza n. 30 del  2014  di
questa Corte, nello  scrutinare  analoga  questione  di  legittimita'
costituzionale, abbia ravvisato nel  differimento  dell'esperibilita'
del  rimedio  un  pregiudizio  alla  sua  effettivita',  sollecitando
l'intervento correttivo del  legislatore.  Il  vulnus  costituzionale
riscontrato,  tuttavia,  non  sarebbe  stato   ovviato   dai   rimedi
preventivi frattanto introdotti dall'art. 1, comma 777,  della  legge
28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)», volti a prevenire l'irragionevole durata del processo ma  non
incidenti sull'effettivita' della tutela indennitaria una  volta  che
essa sia maturata;  pertanto,  il  monito  allora  impartito  sarebbe
rimasto inascoltato, perdurando l'illegittimita'  costituzionale  del
differimento  aggravata  dalla  definitiva   improponibilita'   della
domanda di equa riparazione prematuramente avanzata.
    2.- I giudizi vanno riuniti  per  essere  definiti  con  un'unica
pronuncia, avendo a oggetto questioni relative alla  medesima  norma,
censurata in riferimento a parametri coincidenti.
    3.- Prima  di  affrontare  il  merito  delle  questioni  proposte
occorre  esaminare  le  eccezioni   di   inammissibilita'   sollevate
dall'Avvocatura generale dello Stato.
    3.1.- La difesa statale assume  che  i  rimettenti  si  sarebbero
limitati a evocare i parametri asseritamente violati, senza  indicare
i motivi di contrasto, se non per relationem.
    L'eccezione e' fondata limitatamente all'art. 24  Cost.,  la  cui
violazione non e' argomentata.
    Viceversa, con riguardo ai  residui  parametri,  coincidenti  con
quelli alla cui stregua la norma e' stata scrutinata da questa  Corte
nella precedente occasione, le ordinanze  di  rimessione  riproducono
per sintesi, riportandone ampi stralci, il contenuto  della  sentenza
n. 30 del 2014, dimostrando di aderirvi. Inoltre, confrontandosi  con
la normativa sopravvenuta e giudicandola inidonea a emendare il vizio
precedentemente riscontrato e a prestare ossequio al monito all'epoca
impartito, i rimettent individuano in maniera sufficientemente chiara
e adeguata le ragioni che lo inducono a dubitare  della  legittimita'
costituzionale della norma oggetto del presente giudizio.
    Alla  stregua  delle  considerazioni  che  precedono,   si   deve
escludere che si tratti di un caso  di  motivazione  per  relationem,
«essendo pienamente ottemperato l'obbligo che  questa  Corte  ritiene
incombere sul rimettente di "rendere espliciti, facendoli  propri,  i
motivi della non manifesta infondatezza" (ex plurimis, sentenze n.  7
del 2014, n. 234 del 2011 e n. 143 del 2010;  ordinanze  n.  175  del
2013, n. 239 e n. 65 del 2012)» (sentenza n. 10 del 2015).
    3.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri  lamenta  altresi'
che il rimettente abbia erroneamente  individuato  nel  solo  art.  4
della legge n. 89 del 2001 la disposizione da censurare,  considerato
che il divieto di  riproposizione  della  domanda  respinta,  che  la
precluderebbe definitivamente, sarebbe previsto dall'art. 3, comma 6,
della  medesima  legge,  del  quale,  peraltro,   sarebbe   possibile
un'interpretazione adeguatrice che restringa la preclusione alla sola
reiezione nel merito e non per ragioni processuali.
    Nella fattispecie, tuttavia, alla luce  delle  vicende  descritte
dalle ordinanze di rimessione, la Corte di cassazione e'  chiamata  a
fare applicazione esclusivamente della norma denunciata,  atteso  che
si  troverebbe  a  confermare  la  reiezione  di  domande   di   equa
riparazione improponibili per la pendenza del giudizio presupposto  e
non perche' reiterate, sebbene in  tutto  o  in  parte  respinte,  in
spregio al divieto previsto dall'art. 3, comma 6, della legge  n.  89
del 2001.
    Correttamente, pertanto, i rimettenti  non  hanno  incluso  nella
denuncia di incostituzionalita' una norma che non  doveva  applicare,
neppure in combinato  disposto  con  quella  della  cui  legittimita'
dubita.
    3.3.- L'Avvocatura generale dello Stato rimprovera ai  rimettenti
di non aver valutato la possibilita' di ritenere che, se sopravvenuta
in corso di causa - come nei giudizi a quibus -  la  conclusione  del
giudizio presupposto consenta di sindacare nel merito la  domanda  di
indennizzo,  trattandosi  di  una  condizione  dell'azione   la   cui
sussistenza  andrebbe  valutata  al  momento  della   decisione.   Ne
conseguirebbe l'irrilevanza delle questioni proposte.
    L'eccezione non e' fondata.
    L'impostazione dei giudici rimettenti trova  conforto  tanto  sul
piano del diritto vivente - visto che,  per  come  viene  intesa,  la
disposizione preclude «la proposizione della domanda» (sentenza n. 30
del 2014) di equa riparazione - quanto su quello letterale,  laddove,
sia nella rubrica che nel precetto, l'art. 4 della legge  n.  89  del
2001 fa richiamo alla sua "proponibilita'".
    Inoltre, la definizione del giudizio presupposto non  attiene  al
contenuto intrinseco della domanda, ma risulta a  esso  esterna,  con
cio' dovendosi escludere che si tratti di una condizione dell'azione.
    Ne', secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice a  quo
e'  tenuto   a   motivare   l'impraticabilita'   dell'interpretazione
adeguatrice prospettata dall'Avvocatura, incompatibile con il diritto
vivente (sentenza n. 203 del 2016).
    4.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 4 della legge n. 89 del 2011, in riferimento agli artt.  3,
111, secondo comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU, e' fondata.
    Scrutinando la stessa questione di  legittimita'  costituzionale,
questa Corte aveva gia' riscontrato la lesione dei citati  parametri,
evidenziando «la necessita' che l'ordinamento si doti di  un  rimedio
effettivo a fronte della  violazione  della  ragionevole  durata  del
processo, [...] la "priorita' di valutazione da parte del legislatore
sulla congruita' dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente
necessario" [...e] che non sarebbe tollerabile l'eccessivo  protrarsi
dell'inerzia legislativa in  ordine  al  problema  individuato  nella
presente pronuncia» (sentenza n. 30 del 2014).
    L'art. 1, commi 777, 781 e 782, della legge n. 208  del  2015  ha
modificato la legge n. 89 del  2001,  tra  l'altro  introducendo  una
serie  di  rimedi  preventivi  il  cui  mancato   esperimento   rende
inammissibile la domanda di equa riparazione (art. 2, comma 1,  della
legge Pinto, come modificata) - per i processi che al 31 ottobre 2016
non abbiano ancora raggiunto una durata irragionevole ne' siano stati
assunti in decisione (art. 6, comma 2-bis,  della  legge  Pinto  come
modificata) - e che, in relazione alle diverse tipologie processuali,
consistono  o  nell'impiego  di  riti  semplificati   gia'   previsti
dall'ordinamento  (art.  1-ter,  comma  1,  della  legge  Pinto  come
modificata) o  nella  formulazione  di  istanze  acceleratorie  (art.
1-ter, commi 2, 3, 4, 5 e 6, della legge Pinto come modificata).
    Secondo la costante giurisprudenza  della  Corte  EDU,  i  rimedi
preventivi sono non solo ammissibili, eventualmente  in  combinazione
con quelli indennitari, ma addirittura preferibili, in quanto volti a
evitare che il procedimento diventi eccessivamente  lungo;  tuttavia,
per i paesi dove esistono gia' violazioni legate alla sua durata, per
quanto  auspicabili  per  l'avvenire,  possono  rivelarsi  inadeguati
(Corte europea dei diritti  dell'uomo,  Grande  Camera,  sentenza  29
marzo 2006, Scordino c. Italia).
    Gia' tale rilievo  mina  in  radice  l'idoneita'  dell'iniziativa
assunta dal legislatore a  sopperire  alla  carenza  di  effettivita'
precedentemente riscontrata, posto che i rimedi introdotti  non  sono
destinati a operare in tutte le ipotesi - tra cui  quelle  al  vaglio
nei giudizi a quibus - nelle quali, al 31 ottobre 2016, la durata del
processo abbia superato la soglia della ragionevolezza.
    A cio' si aggiunga che la Corte EDU «ha riconosciuto in  numerose
occasioni che questo tipo di mezzo di ricorso  e'  "effettivo"  nella
misura in cui esso  velocizza  la  decisione  da  parte  del  giudice
competente» (Corte europea  dei  diritti  dell'uomo,  Grande  Camera,
sentenza 29 marzo 2006, Scordino c. Italia).
    Nella  fattispecie,  da  un  lato,  tutti  i  rimedi   preventivi
introdotti,  alla  luce  della  loro  disciplina   processuale,   non
vincolano  il  giudice  a  quanto  richiestogli  e,  dall'altro,  per
espressa previsione normativa, «[r]estano ferme le  disposizioni  che
determinano l'ordine di priorita' nella trattazione dei procedimenti»
(art. 1-ter, comma 7, della legge Pinto come modificata).
    Tali  rilievi,  evidentemente,  ne   pregiudicano   la   concreta
efficacia acceleratoria.
    La conclusione trova conforto in  quanto  recentemente  affermato
dalla Corte EDU (sentenza 22  febbraio  2016,  Olivieri  e  altri  c.
Italia), pronunciando in ordine  all'istanza  di  prelievo  alla  cui
formulazione l'art. 54 del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella  legge
6 agosto 2008, n. 133, subordinava la proponibilita' della domanda di
equa   riparazione   per   l'irragionevole   durata   del    processo
amministrativo. Tale istanza, che  costituisce  l'archetipo  di  gran
parte dei rimedi preventivi di nuova introduzione, e' stata  ritenuta
dalla Corte EDU priva di effettivita'.
    Alla  stregua  delle  considerazioni  che   precedono   si   deve
concludere che, nonostante l'invito rivolto da questa  Corte  con  la
sentenza n. 30 del 2014, il legislatore non ha  rimediato  al  vulnus
costituzionale precedentemente riscontrato e che, pertanto, l'art.  4
della  legge  n.  89  del  2001  va   dichiarato   costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui non prevede che  la  domanda  di  equa
riparazione, una volta maturato il ritardo, possa essere proposta  in
pendenza del procedimento presupposto (analogamente,  sentenza  n.  3
del 1997).
    D'altronde, se i parametri evocati presidiano l'interesse a veder
definite in un tempo ragionevole le  proprie  istanze  di  giustizia,
rinviare alla conclusione del procedimento presupposto  l'attivazione
dello strumento  -  l'unico  disponibile,  fino  all'introduzione  di
quelli preventivi di cui s'e' detto -  volto  a  rimediare  alla  sua
lesione,  seppur  a   posteriori   e   per   equivalente,   significa
inevitabilmente sovvertire  la  ratio  per  la  quale  e'  concepito,
connotando di irragionevolezza la relativa disciplina.
    L'invocata pronuncia additiva  non  puo'  essere  impedita  dalle
peculiarita' con cui la legge  Pinto  conforma  il  diritto  all'equa
riparazione, collegandolo,  nell'an  e  nel  quantum,  all'esito  del
giudizio in cui l'eccessivo ritardo e' maturato (sentenza n.  30  del
2014).
    Infatti, «[p]osta di  fronte  a  un  vulnus  costituzionale,  non
sanabile in via interpretativa - tanto piu' se  attinente  a  diritti
fondamentali - la Corte e' tenuta comunque a porvi rimedio:  e  cio',
indipendentemente dal fatto che la lesione dipenda da quello  che  la
norma prevede o, al contrario, da quanto la  norma  [...]  omette  di
prevedere. [...] Spettera', infatti, da un lato,  ai  giudici  comuni
trarre dalla decisione i necessari corollari sul  piano  applicativo,
avvalendosi degli  strumenti  ermeneutici  a  loro  disposizione;  e,
dall'altro, al legislatore provvedere eventualmente  a  disciplinare,
nel modo piu' sollecito e  opportuno,  gli  aspetti  che  apparissero
bisognevoli di apposita regolamentazione» (sentenza n. 113 del 2011).
     
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4 della  legge
24 marzo 2001, n. 89 (Previsione  di  equa  riparazione  in  caso  di
violazione  del  termine  ragionevole   del   processo   e   modifica
dell'articolo 375 del codice di procedura civile) -  come  sostituito
dall'art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno  2012,
n. 83 (Misure urgenti per la crescita  del  Paese),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134 - nella parte in cui
non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere  proposta
in pendenza del procedimento presupposto.

    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                       Aldo CAROSI, Redattore
                    Filomena PERRONE, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2018.

                           Il Cancelliere
                       F.to: Filomena PERRONE

Nessun commento: