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Niente insulti dialettali in caserma, specie se sono comprensibili da chiunque |
Al di là della provenienza gergale, secondo gli ermellini,
risultano "lesivi dell'onore e del decoro" gli epiteti
riconosciuti dalla generalità degli italiani
Cass. pen. Sez. I, (ud. 23-05-2006) 12-06-2006, n. 19967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. FAZZIOLI Edoardo -
Presidente
Dott. CHIEFFI Severo -
Consigliere
Dott. BARDOVAGNI Paolo -
Consigliere
Dott. SILVESTRI Giovanni -
Consigliere
Dott. CORRADINI Grazia -
Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
1) -
avverso SENTENZA del 15/06/2005
CORTE MILITARE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, la sentenza ed il
procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la
relazione fatta dal Consigliere Dott. CORRADINI GRAZIA;
Udito il Procuratore Generale in
persona del Dott. GUARINO Vittorio che ha concluso per
la inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 20.5.2005 la
Corte Militare di Appello di Roma ha confermato la
sentenza 29.10.2004 del Tribunale Militare di Roma che
aveva dichiarato S.G. colpevole del reato continuato ed
aggravato di ingiuria e lesione personale (di cui
all'art. 47 c.p.m.p., n. 3, artt. 223 e 226
c.p.m.p.) e lo aveva condannato alla pena di mesi
due e giorni quindici di reclusione militare con i
benefici della sospensione condizionale della pena e
della non menzione della condanna, per avere offeso
l'onore ed il prestigio del parigrado D.F.A., durante un
servizio di ronda, pronunciando nei suoi confronti le
espressioni "recchione, bucchino, siciliano di merda",
colpendolo altresì con un pugno al volto, così
cagionandogli una tumefazione locale escoriata in
regione orbitale destra con soffusione ecchimotica a
livello della palpebra superiore.
I giudici di merito hanno fondato
il giudizio di responsabilità dell'imputato sulle
dichiarazioni della persona offesa, D.F. A., ritenute
attendibili anche perchè, così dimostrando di non avere
voluto in alcun modo approfittare della situazione,
aveva inizialmente cercato di nascondere all'ufficiale
di picchetto l'aggressione subita - poi emersa in modo
incontestabile attraverso la visita medica che aveva
dimostrato le lesioni - e confermate dalle testimonianze
di F.C. e di M.E., oltre che dal riscontro oggettivo
costituito delle lesioni. Gli stessi giudici hanno nel
contempo respinto la tesi della legittima difesa
affacciata dall'imputato sulla base dell'uso improprio,
sia pure fastidioso, di una torcia elettrica, da parte
della persona offesa, che la aveva appoggiata sulla
spalla dell'imputato così rivolgendogli la luce verso il
viso, rilevando che l'imputato aveva agito nell'ottica
di una condotta aggressiva e violenta, aliena da
qualsiasi intento difensivo, non potendo essere
interpretato come una aggressione l'indirizzo del fascio
di luce di una torcia elettrica verso l'imputato.
Ha proposto ricorso per
Cassazione l'imputato personalmente lamentando, con tre
distinti motivi:
- violazione di legge in
relazione alla omessa applicazione della scriminante
della legittima difesa contemplata dall'art. 42
c.p.m.p., non richiedendo tale scriminante nè
l'intento difensivo nè l'altrui aggressione, bensì
soltanto la necessità di respingere da sè o da altri una
violenza, tale dovendo qualificarsi la azione dello S.,
che, secondo le dichiarazioni dell'imputato, lo aveva
aggredito per ben due volte con la torcia e poi con
pugni e calci;
- violazione dell'art. 192
c.p.p., comma 3, in relazione all'art. 197 bis
c.p.p., comma 4, laddove aveva ritenuto attendibili le
dichiarazioni della persona offesa, esaminata come
testimone giudicato in un procedimento connesso definito
con sentenza di patteggiamento in data 18.11.2003, pur
mancando elementi di riscontro alle sue dichiarazioni,
fra l'altro inattendibili anche in considerazione della
diversa versione che aveva reso nella immediatezza del
fatto all'ufficiale di picchetto; - violazione
dell'art. 226 c.p.m.p., comma 1 e art. 228
c.p.m.p. per avere ritenuto offensive le
espressioni asseritamente rivolte dall'imputato alla
persona offesa in assenza di riscontri alle
dichiarazioni della stessa persona offesa anche su tale
punto e pur se pronunciate in dialetto e quindi non
comprensibili da persona proveniente da diversa area
geografica; omessa applicazione della causa di non
punibilità prevista dall'art. 228 c.p.m.p.,
comma 2, di cui sussistevano le condizioni.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo, che
attiene alla mancata applicazione della scriminante
della legittima difesa, consistente, ad avviso del
ricorrente, nella reazione alla aggressione subita, alla
stregua delle dichiarazioni da lui rese nel giudizio, la
Corte di merito ha operato una diversa ricostruzione del
fatto per cui la persona offesa si era limitata a
rivolgere una torcia elettrica verso il viso
dell'imputato che aveva reagito con una condotta
violenta e consapevole, al di fuori di qualsiasi intento
difensivo, provocando alla vittima lesioni personali poi
riscontrate in sede di visita medica.
Si tratta di una ricostruzione
fondata su una valutazione della prova conforme al
parametro normativo di cui all'art. 192 c.p.p.,
commi 1, 2 e 3 e comunque immune da vizi logici e
giuridici, essendo state correttamente valutate come
veritiere le dichiarazioni della persona offesa, poichè
intrinsecamente attendibili per avere la vittima
inizialmente cercato di nascondere la aggressione
subita, così dimostrando la assenza di qualsiasi intento
di approfittare della situazione a qualsiasi fine,
essendo poi stata "costretta" a dire il vero dopo la
visita medica che aveva incontestabilmente ed
oggettivamente dimostrato come si era svolti i fatti ed
inoltre riscontrate dal rilievo obiettivo delle lesioni
subite (perfettamente rispondenti alla versione resa
dalla vittima) e dalle dichiarazioni di altri due
testimoni. Ed a fronte di tale ricostruzione non ha
pregio la tesi del ricorrente per cui mancherebbero
riscontri alla versione della persona offesa, essendo
stati i riscontri individuati in modo ineccepibile sulla
base di dati testimoniali ed oggettivi a fronte dei
quali la tesi del ricorrente è rimasta priva di
qualsiasi supporto probatorio ed è stata quindi
correttamente respinta.
Anche il secondo motivo è
infondato.
Le dichiarazioni rese da persone
imputate o già imputate in un procedimento connesso, che
sono sentite, come nel caso in esame, come testimoni, a
norma dell'art. 197 bis c.p.p., comma 1, sono annoverate
fra le prove e non tra i semplici indizi, anche se il
giudizio di attendibilità delle stesse necessita di
riscontri esterni, deve essere cioè confortato da altri
elementi o dati probatori, che non sono peraltro
predeterminati nella specie e nella qualità e che di
conseguenza possono essere, in via generale, di
qualsiasi tipo o natura (v. Sez. Un. 3.32.1990, Belli).
A tale valutazione si è attenuta la Corte di merito che
ha indicato i riscontri individuati nonchè i motivi per
cui ha ritenuto inattendibile e priva di alcun supporto
probatorio la tesi difensiva per cui sarebbe stata la
persona offesa ad aggredire per prima l'imputato e tale
valutazione, attenendo al mero fatto, non è contestabile
in sede di legittimità.
Quanto al terzo motivo, in tema
di reato di ingiurie la sfera morale altrui può essere
lesa sia con modalità direttamente ed oggettivamente
aggressive del diritto all'apprezzamento e alla opinione
altrui, sia con modalità che, oggettivamente non lesive,
diventino tali per le forme in cui vengono estrinsecate.
Nel caso in esame le parole usate
dall'imputato erano obiettivamente scurrili e lesive
dell'onore e del decoro della persona offesa ed erano
comprensibili da parte di chiunque, al di là della
provenienza dialettale di alcune di esse, in quanto
usate in ambito nazionale e riconosciute dalla
generalità degli italiani come espressioni ingiuriose,
per cui deve ritenersi provato che la persona offesa
abbia percepito le espressioni ingiuriose in tutta la
loro carica specificamente offensiva, come dalla stessa
affermato.
In ordine infine alla richiesta
di applicazione della causa di non punibilità prevista
dall'art. 228 c.p.m.p., comma 2, il motivo è
aspecifico, non avendo il ricorrente neppure indicato le
condizioni che legittimerebbero tale applicazione. In
ogni caso non è individuabile un fatto ingiusto della
persona offesa, tale non potendo qualificarsi
l'indirizzo della luce di una torcia elettrica in
ambiente abituale verso una persona conosciuta la cui
reazione sarebbe stata comunque del tutto sproporzionata
ed inaccettabile rispetto ad un fatto banale come quello
posto in essere dalla persona offesa.
Il ricorso deve essere in
definitiva respinto perchè infondato sotto tutti i
profili addotti, con le conseguenze di legge in punto di
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 maggio
2006.
Depositato in Cancelleria il 12
giugno 2006
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