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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.4581Reg.Dec.
N. 5839 Reg.Ric.
ANNO 2003
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 5839/2003, proposto dalla:
-
c o n t r o
-per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza semplificata del T.a.r. Puglia, Bari, sezione I, n.
1764/2003, resa inter partes e concernente il fermo giudiziario di
autoveicolo per inadempimento fiscale.
Visto
il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista
la memoria illustrativa dell’appellante;
Visti
gli atti tutti della causa;
Relatore,
alla pubblica udienza del 31 gennaio 2006 ed ancora, per il riesame, alla camera
di consiglio del 4 luglio 2006, il Consigliere Aldo SCOLA;
Nessuno
è presente per le parti;
Ritenuto
e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
F A T T O
La
società attuale appellante impugnava il provvedimento di fermo amministrativo
del veicolo FIAT Palio Weekend tg. ...OMISSIS... (di proprietà dell’azienda
ricorrente in prime cure), disposto per iniziativa della ...OMISSIS... il 3
marzo 2003, mediante iscrizione nel P.R.A. di BARI (ed atti connessi), deducendo
censure di:
- violazione dell’art. 86, comma 4, d.P.R. n. 602/1973; carenza ed eccesso di potere per ingiustizia manifesta, malgoverno e sviamento; incostituzionalità del cit. art. 86 (modif. d.lgs. n. 193/2001) per contrasto con gli artt. 24 e 76, Cost., in assenza del regolamento di cui al ripetuto art. 86, comma 4;
- violazione dell’art. 7, legge n. 212/2000, e dell’art. 3, legge n. 241/1990, per difetto di motivazione; eccesso di potere per malgoverno e sviamento per omessa indicazione del temine per ricorrere e del giudice competente;
- violazione dell’art. 62, d.P.R. n. 602/1973, rifer. art. 514, c.p.c., ed art. 2759, c.c., trattandosi di veicolo aziendale impignorabile, in quanto destinato ad attività lavorativa;
- violazione dell’art. 3, comma 4, d.m. n. 503/1998, no essendosi rispetto il termine di 5 giorni dalla sua adozione per comunicarlo a chi di dovere.
La
società intimata si costituiva in giudizio ed eccepiva il difetto di
giurisdizione amministrativa e l’infondatezza del ricorso, che peraltro
veniva accolto dai primi giudici con sentenza poi impugnata dall’attuale
appellante per l’errata qualificazione del fermo di autovettura come
provvedimento amministrativo; l’erroneità dell’impugnata pronuncia, che avrebbe
dovuto invece declinare la giurisdizione; infine, per l’ingiusta condanna alle
spese processuali subìta in primo grado.
All’esito
della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione, dopo che
l’appellante aveva depositato una memoria difensiva richiamante, in particolare,
uno specifico precedente recentissimo di questo Consiglio di Stato (cfr. Sezione
V, dec. n. 4689/2005).
D I R I T T O
1.
Osserva il Collegio che la questione della giurisdizione in relazione
al fermo di veicoli (c.d. ganasce fiscali) previsto dall’art. 86, d.P.R. n. 603
del 1973 ha formato oggetto di contrastanti pronunce da parte dei T.a.r. ed è
stata di recente oggetto di esame da parte della IV e della V sezione del
Consiglio di Stato, che hanno ritenuto non sussistere la giurisdizione di questo
Consesso.
Anche
la Corte di cassazione, con pronuncia resa in sede di regolamento di
giurisdizione e pubblicata dopo la prima camera di consiglio relativa al
presente giudizio, ha ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice ordinario
(Cass. civ., sez. un., 31 gennaio 2006 n. 2053).
Questo
collegio dovrebbe, pertanto, adeguarsi a tale orientamento, e, per l’effetto,
declinare la propria giurisdizione ed annullare senza rinvio la sentenza
impugnata.
Ritiene,
tuttavia, il collegio che il diritto vivente, desumibile dalle citate pronunce,
dia luogo a seri dubbi di legittimità costituzionale, che appaiono non
manifestamente infondati.
2.
La controversia investe il fermo di un veicolo disposto da una
concessionaria della riscossione di entrate tributarie, a norma dell’art. 86,
d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, nel testo introdotto dal d.lgs. 27 aprile 2001
n. 193.
Giova
ricordare che l’istituto del fermo era stato inserito dall'art. 5, d.l. 31
dicembre 1996 n. 669, nel testo del d.P.R. n. 602/1973, con l’art. 91-bis,
d.P.R. medesimo, per i veicoli a motore ed alcune categorie di autoscafi,
attribuendosene la competenza a disporlo alla Direzione regionale delle imposte
sui redditi, allorché il concessionario avesse dimostrato l’impossibilità di
eseguire il pignoramento per mancato reperimento del bene.
Con
la riforma del d.P.R. n. 602/1973, disposta dal d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46,
il fermo veniva spostato nell’art. 86, ed esteso alla generalità dei beni mobili
registrati, ma conservava l’originaria connotazione di strumento inteso alla
conservazione del bene per la soddisfazione del credito tributario, affidato
alla determinazione dell’ufficio finanziario regionale, allorché l’esecuzione
forzata non fosse stata possibile, per mancato reperimento del bene.
Sempre
con la novella del 1999 il fermo veniva inserito, sistematicamente, negli atti
della riscossione (titolo II) e, specificamente, nel capo III, espressamente
intitolato “Disposizioni particolari in materia di espropriazione di beni
mobili registrati”, in immediata successione al capo intitolato “Espropriazione
forzata” (capo II), nella cui sezione I sono contenute le disposizioni
generali in tema di riscossione coattiva, fra cui quelle dettate dall’art. 50
(termine per l’inizio dell’esecuzione).
La
disciplina introdotta nel 1999 (con l’attribuire la competenza a disporre il
fermo alla Direzione regionale delle entrate ed il condizionarne l’esperimento
al mancato reperimento del bene da pignorare) lasciava l’iniziativa del fermo
all’amministrazione titolare del diritto di credito, ed al concessionario la sua
esecuzione, mediante l’iscrizione nel pubblico registro, dopo di che il
concessionario non era esonerato dal perseguire il bene attraverso la procedura
di pignoramento, con le conseguenti responsabilità.
Ciò
rallentava in maniera sensibile il procedimento di riscossione coattiva,
accentuando l’aleatorietà del recupero.
Con
il d.lgs. 27 aprile 2001 n. 193 è stata prevista l’attribuzione diretta, al
concessionario, della potestà di disporre la misura conservativa, con il solo
limite del decorso del termine stabilito dall’art. 50, comma 1, d.P.R. n.
602/1973 (vale a dire il termine per l’inizio del procedimento esecutivo) e
salve, in ogni caso, le dilazioni o le sospensioni di pagamento accordate.
Tale
novella si inserisce nel quadro delle misure di semplificazione ed accelerazione
delle procedure, che il legislatore nazionale ha, nella più recente produzione
normativa, delegato al Governo, in questa come in altre materie.
Il
testo dell’art. 86, d.P.R. n. 602/1973, nel testo introdotto nel 2001, demanda
ad un futuro regolamento la disciplina attuativa: <<con decreto del Ministro
delle finanze, di concerto con i Ministri dell'interno e dei lavori pubblici,
sono stabiliti le modalità, i termini e le procedure per l'attuazione di quanto
previsto nel presente articolo>>, recita l’art. 86, comma 4.
E’
sorta questione se, nelle more dell’emanazione di tale regolamento, che ancora
non è stato varato, fosse o meno applicabile il regolamento esistente (d.m. 7
settembre 1998 n. 503), emanato in attuazione della disciplina precedente che,
come visto, attribuiva all’amministrazione finanziaria, e non direttamente al
concessionario, il potere di disporre il fermo.
La
questione aveva avuto contrastanti interpretazioni in giurisprudenza, ma la tesi
prevalente era stata quella dell’inapplicabilità della nuova disciplina, non
essendo ad essa adattabile il regolamento esistente.
L’amministrazione
finanziaria che, con circolari dell’Agenzia delle entrate aveva ritenuto
applicabile il regolamento del 1998 anche nel vigore della nuova disciplina
(circolare 24 novembre 1999 n. 221 e risoluzione 1° marzo 2002 n. 64), si era
adeguata interlocutoriamente al prevalente orientamento giurisprudenziale e, con
risoluzione 22 luglio 2004 n. 92, aveva invitato i concessionari della
riscossione ad astenersi temporaneamente dal disporre fermi.
Infine,
è intervenuto l’art. 3, comma 41, d.l. 30 settembre 2005 n. 203, conv. nella
legge 2 dicembre 2005 n. 248, che detta una norma di interpretazione autentica
dell’art. 86, d.P.R. n. 602/1973, e stabilisce che le disposizioni del citato
art. 86 si interpretano nel senso che, fino all'emanazione del decreto previsto
dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal
concessionario sui veicoli a motore, nel rispetto delle disposizioni relative al
d.m. 7 settembre 1998 n. 503 del Ministro delle finanze.
L’Agenzia
delle entrate ha adottato la risoluzione 9 gennaio 2006 n. 2/E, con cui viene
revocata la precedente risoluzione n. 92/2004, e si consente ai concessionari
della riscossione di procedere in via diretta al fermo, a condizione che
l’iscrizione di fermo <<sia preceduta da un preavviso, contenente ulteriore
invito a pagare le somme dovute, esclusivamente presso gli sportelli della
competente azienda concessionaria, entro i successivi venti giorni, decorsi i
quali, il preavviso stesso assumerà il valore di comunicazione di iscrizione di
fermo>>.
3.
Occorre anzitutto riportare, sinteticamente, gli argomenti addotti
dalla V sezione del Consiglio di Stato (V, 13 settembre 2005 n. 4689), seguita
dalla IV sezione con decisioni in forma semplificata (deliberate all’udienza del
13 gennaio 2006 ed in corso di pubblicazione), per negare la giurisdizione del
giudice amministrativo.
4.
Secondo la V sezione la disciplina del fermo recata dall’art. 86,
d.P.R. n. 602/1973 non attribuirebbe al concessionario poteri di natura
amministrativo-tributaria, propri dell’amministrazione, bensì si muoverebbe
nella logica (propria del diritto comune) dell’attribuzione (al creditore) di
strumenti idonei a ricercare e conservare i cespiti del patrimonio del debitore
idonei a garantire, in sede esecutiva, la soddisfazione del credito, sia pure
con le peculiarità connesse al titolo per il quale si procede alla riscossione
coattiva.
Pertanto,
sempre secondo la V sezione, sia prima, sia successivamente alla riforma del
2001, il fermo dei beni mobili registrati assolverebbe ad una funzione di
conservazione del cespite patrimoniale del debitore, in vista
dell’espropriazione forzata protesa alla realizzazione del credito tributario,
per molti versi assimilabile (con le peculiarità dovute alla natura del bene)
all’iscrizione ipotecaria sui beni immobili prevista dall’art. 77 dello stesso
decreto.
Dalla
collocazione sistematica e dal testo della norma che lo prevede (nella
formulazione attuale ed in quelle precedenti) si evincerebbe che lo strumento,
pur non ponendosi ancora nella fase della esecuzione, o degli atti esecutivi,
costituisce un mezzo cautelativo ed anticipatorio degli effetti espropriativi
dell’esecuzione, che sottrae il bene innanzitutto all’uso al quale è destinato
(e da cui potrebbero derivare conseguenze dirette sulla idoneità a soddisfare,
con l’esecuzione, la realizzazione coattiva, totale o parziale, del credito) ed
alla circolazione giuridica in danno del creditore.
In
tale contesto l’enunciato secondo cui, trascorso il termine previsto dal primo
comma dell’art. 50 (sessanta giorni dalla notificazione della cartella di
pagamento) il concessionario “può” disporre il fermo amministrativo del
bene mobile registrato, conferirebbe, al soggetto responsabile della
riscossione, non già un singolare potere autoritativo e discrezionale in vista
degli interessi pubblici specifici affidati alla cura dell’amministrazione
concedente, bensì una potestà che si colloca (concettualmente) nel quadro dei
diritti potestativi del creditore (quale è quello di promuovere atti
conservativi sul patrimonio del debitore in vista della esecuzione forzata) che
trovano nel diritto comune la naturale collocazione e nel giudice ordinario
quello naturale, in quanto la soggezione del debitore all’esercizio della
potestà ha la sua fonte nel debito certo, liquido ed esigibile, che vincola il
debitore alla sua estinzione (con i mezzi ordinari o con l’esecuzione forzata),
e nel rapporto obbligatorio la sua intrinseca giustificazione.
La
controversia relativa al fermo, sia nella fase della sua esecuzione che in
quella della sua disposizione, della quale viene dato avviso al debitore, non
riguarderebbe né il tributo per il quale si procede alla riscossione, né la
materia del pubblico servizio anche nella più lata accezione assunta dal testo
dell’art. 33, d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (come sostituito dalla l. n. 205/2000
e prima dell’intervento demolitore della Corte costituzionale), ma si muoverebbe
su di un binario del tutto differente, che ha nel giudice ordinario l’autorità
giurisdizionale deputata a conoscere delle relative controversie (nel limite in
cui le stesse non siano sottratte alla cognizione di alcun giudice) come
specificato dall’art. 57, d.P.R. n. 602/1973 (che non ammette le opposizioni di
cui all’art. 615, c.p.c., fatta eccezione per quelle relative alla pignorabilità
dei beni).
Sempre
nella logica di siffatta impostazione privatistica, è stato anche osservato
(T.a.r. Campania, Napoli, sezione I, 16 settembre 2004 n. 12025) che
l’esecuzione del fermo, affidata ora direttamente al concessionario, non
costituisce altro che l’espressione dello jus eligendi (diritto di
scelta) ordinariamente riconosciuto, nelle procedure esecutive, al creditore
procedente tra i diversi mezzi di aggressione del patrimonio dell’esecutato o
tra diversi beni passibili di esecuzione forzata; si tratta, dunque, di una
facoltà di diritto comune destinata ad incidere nella sfera giuridica del
debitore (che non vi si può sottrarre, se non con l’estinzione del debito),
accostabili alle potestà amministrative, soltanto per il tratto comune della
soggezione di chi è destinato a subirle, senza che, per questo, il potere
esercitato esca dalla sfera delle relazioni intersoggettive per essere
ricondotto ai rapporti governati dal diritto pubblico, la cui tutela appartiene
alla cognizione del giudice amministrativo.
La
sezione V conclude pertanto nel senso che il fermo sarebbe atto funzionale alla
esecuzione, che (pure con le connotazioni particolari derivanti dalla natura del
rapporto obbligatorio, in forza del quale il debitore è tenuto al pagamento, e
della legislazione speciale che lo prevede, accordando poteri extra ordinem
al creditore ed allo stesso incaricato della riscossione) dovrebbe comunque
essere inquadrato (per di più, nella sistemazione più corretta derivante dalla
riforma del 2001, che ha opportunamente individuato nello stesso responsabile
della riscossione il soggetto abilitato a disporlo) fra gli strumenti di
conservazione dei cespiti patrimoniali sui quali può essere soddisfatto
coattivamente il credito, che l’ordinamento ordinariamente appresta alla
generalità dei creditori (in base alla scelta politica, di carattere generale e
di diritto comune, di una tutela più incisiva degli interessi dei creditori, nel
rapporto intersoggettivo debito-credito), così come prodromica all’esecuzione è
la notificazione della cartella esattoriale che assolve, nel procedimento di
riscossione, alla medesima funzione della notificazione del precetto di
pagamento di diritto comune.
In
tale quadro, la cognizione delle controversie ad esso relative si sottrarrebbe
alla giurisdizione del giudice amministrativo, sia a quella costitutiva di
legittimità (non essendovi provvedimento amministrativo lesivo di interessi
legittimi del titolare del bene assoggettato) sia a quella esclusiva,
eccezionalmente demandata a tale giudice.
Una
certa propensione a ricondurre l’istituto nella giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, chiarissima in talune pronunce di primo grado del
giudice amministrativo (T.a.r. Abruzzo, Pescara, 19 luglio 2004 n. 704; T.a.r.
Puglia, Bari, sezione I, 6 maggio 2004 n. 2065, 16 aprile 2003 n. 1764, 8 aprile
2003 n. 1812, 3 aprile 2003 n. 1567; T.a.r. Puglia, Lecce, sezione I, 7 luglio
2004 n. 4880) e percepibile anche nell’ordinanza cautelare della sezione IV del
Consiglio di Stato 13 luglio 2004 n. 3259 (che, invero, non contiene una
motivazione espressa sul punto della giurisdizione) sarebbe, secondo la V
sezione, ormai risolta, in radice, in senso contrario, dal ridimensionamento
delle attribuzioni del giudice amministrativo, conseguente alla sentenza della
Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, che ha significativamente modificato
il testo dell’art. 33, d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (come sostituito dalla l. n.
205/2000), dichiarandone, tra l'altro, illegittimo il primo comma, nella parte
in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi
compresi quelli» anziché «le controversie in materia di pubblici
servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti
indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti
adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in
un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990 n. 241,
ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla
vigilanza e controllo nei confronti del gestore».
Nel
senso della giurisdizione del giudice ordinario si ricordano anche T.a.r.
Emilia-Romagna, 25 novembre 2003 n. 2516; T.a.r. Calabria, 20 giugno 2003 n.
2110; T.a.r. Lombardia, 5 maggio 2003 n. 1140; T.a.r. Veneto, 30 gennaio 2003 n.
886), e la giurisprudenza di merito del giudice ordinario (Trib. Novara, 9
maggio 2003; Trib. Torino, 7 luglio 2004).
5.
Ritiene tuttavia la sezione che vi siano fondati argomenti per
affermare:
a) che il fermo di cui all’art. 86, d.P.R. n. 602/1973, sia un provvedimento
amministrativo;
b) che su tale provvedimento vi sia la giurisdizione del giudice amministrativo,
e non quella del giudice tributario, né quella del giudice ordinario.
6.
In relazione alla prima affermazione, in sintesi, sembra corretto
ricostruire il fermo come provvedimento amministrativo di autotutela
conservativa del patrimonio del debitore tributario e non come strumento di
autotutela civilistica in un ordinario rapporto di credito–debito.
Proprio
la disamina del quadro normativo di riferimento induce il Collegio a tale
conclusione.
7.
Giova anzitutto osservare che il d.P.R. n. 602/1973, nel suo titolo II,
disciplina la <<riscossione coattiva>> e, nel capo II di tale titolo, la
<<espropriazione forzata>>.
Tale
collocazione sistematica, unitamente ad argomenti di carattere storico e
sistematico, evidenzia che l’espropriazione forzata esattoriale ha connotati
profondamente diversi dall’espropriazione forzata disciplinata nel codice di
procedura civile: i due istituti, identici solo nel nome, sono diversi nella
natura giuridica: il primo è un procedimento amministrativo, il secondo è un
processo giurisdizionale.
Ed,
invero, il c.d. patto commissorio, che consente al creditore di soddisfarsi in
via di autotutela sul patrimonio del debitore, e dunque con una espropriazione
forzata privatistica, è dall’ordinamento vietato per la generalità dei creditori
(art. 2744, cod. civ.), in quanto la soddisfazione del credito in via di
espropriazione forzata è affidata ad un vero e proprio processo, sotto il
controllo di un giudice, il c.d. processo di esecuzione (libro III, cod. proc.
civ.).
In
questo l’ordinamento italiano ha seguito, sin dal codice civile del 1865,
l’ordinamento francese che, con la l. 2 giugno 1841 n. 245 (codice di procedura
civile), nel prevedere il processo esecutivo condotto da un giudice, vietò
qualsiasi forma di esecuzione mediante autotutela privatistica ed,
implicitamente, anche il c.d. patto commissorio.
Ma
al divieto generalizzato di autotutela esecutiva si sottrae a tutt’oggi, almeno
in parte, lo Stato per i crediti tributari: il d.P.R. n. 602/1973 disciplina
l’espropriazione forzata nell’ambito della riscossione, sancendo che
all’esecuzione esattoriale si applica il cod. proc. civ. solo se non derogato e
nei limiti della compatibilità: si tratta, pertanto, di un procedimento
amministrativo, con limitati momenti di processualizzazione.
Da
una disamina del d.P.R. n. 602/1973 si evince che l’espropriazione forzata a
soddisfacimento dei crediti tributari è connotata da molteplici profili di
autotutela pubblica esecutiva, che sono il residuo di antichi privilegi del
creditore, conservati solo allo Stato in ragione delle peculiarità del credito
tributario.
In
sintesi, l’espropriazione forzata di cui al d.P.R. n. 602/1973 è condotta dallo
stesso concessionario della riscossione e dall’ufficiale della riscossione e
l’intervento del giudice è molto più limitato e ristretto rispetto al processo
di esecuzione delineato dal cod. proc. civ..
Precisamente:
- l’art. 49, d.P.R. n. 602/1973 avverte che all’espropriazione forzata si
applica il cod. proc. civ. solo se non derogato e solo nei limiti della
compatibilità;
- l’art. 49, comma 3, aggiunge che le funzioni spettanti all’ufficiale
giudiziario nel processo di esecuzione, sono attribuite all’ufficiale della
riscossione;
- la vendita dei beni pignorati è fatta a cura del concessionario della
riscossione, senza necessità di autorizzazione del giudice (art. 52) ed il
procedimento di vendita si svolge in maniera diversa rispetto a quanto prevede
il cod. proc. civ..
- è fortemente limitata l’ammissibilità dei rimedi processualcivilistici
dell’opposizione all’esecuzione e dell’opposizione agli atti esecutivi, di cui
agli artt. 615 e 617, cod. proc. civ. (art. 57, d.P.R. n. 602/1973);
- è eccezionale la possibilità che il giudice sospenda l’esecuzione esattoriale
(art. 60).
Da
tale quadro si evince che l’espropriazione forzata del d.P.R. n. 602/1973 ha
connotati peculiari, che l’avvicinano ai procedimenti amministrativi ablatori e
dunque a strumenti di autotutela pubblicistica, più che al processo di
esecuzione forzata.
Ed
è in tale quadro che va collocato il fermo di cui all’art. 86, d.P.R. n.
602/1973, che è strumento di autotutela nell’ambito del procedimento
amministrativo di riscossione coattiva e non rimedio cautelare nell’ambito del
processo di esecuzione forzata.
8.
Si deve, in secondo luogo, considerare che il giudizio civile non
conosce, nell’ambito del processo di esecuzione forzata, strumenti di autotutela
conservativa rimessi all’iniziativa unilaterale del creditore, il quale è invece
sempre tenuto a rivolgersi al giudice per assicurarsi la conservazione dei beni
del debitore a garanzia delle proprie ragioni di credito.
Viceversa,
il d.P.R. n. 602/1973 ha attribuito, prima all’amministrazione tributaria e poi
direttamente al concessionario della riscossione, un potere di autotutela
conservativa a garanzia della riscossione del credito tributario, costituito dal
fermo dei beni mobili registrati (in primis, veicoli a motore e
autoscafi).
Invero,
si tratta di strumento che sortisce l’effetto di impedire la circolazione del
bene e di rendere inopponibili al creditore tributario gli atti di disposizione
del bene (art. 5, d.m. 7 settembre 1998 n. 503).
Si
tratta, dunque, di una misura che sortisce effetti analoghi ad un sequestro
conservativo, con la peculiarità che viene disposta senza l’intervento di alcun
giudice, ma in virtù di un atto dello stesso concessionario.
Si
verifica, pertanto, una limitazione delle facoltà di godimento e di disposizione
inerenti al diritto di proprietà, in virtù di un atto autoritativo unilaterale
e, quindi, secondo una vicenda assimilabile ai provvedimenti amministrativi
ablatori e, segnatamente, alle requisizioni.
9.
Prima della novella del 2001 il fermo veniva chiesto dal concessionario
della riscossione e disposto con un atto dell’amministrazione finanziaria, che
veniva espressamente qualificato dal legislatore come <<provvedimento>>, di cui
il concessionario curava l’iscrizione nei pubblici registri (art. 4, d.m. n.
503/1998).
Anche
la versione novellata dell’art. 86, d.P.R. n. 602/1973, nonostante attribuisca
direttamente al concessionario della riscossione il potere di disporre il fermo,
continua a parlare di un <<provvedimento>> di fermo, stabilendo che il fermo si
esegue mediante iscrizione nei registri mobiliari <<del provvedimento che lo
dispone>> (art. 86, comma 2).
Emerge
dunque un dato letterale in equivoco, poiché l’espressione <<provvedimento>> è
tipicamente impiegata, nel linguaggio normativo, per indicare gli atti
autoritativi della pubblica amministrazione.
10.
Al dato letterale si aggiungono poi considerazioni sistematiche.
Mentre
la generalità dei creditori non dispone di strumenti di autotutela esecutiva e
conservativa, invece con l’art. 86, d.P.R. n. 602/1973 si attribuisce al
creditore un potere particolarmente incisivo quanto alla sfera del debitore, che
si giustifica solo in funzione del rilevante interesse pubblico connesso alla
riscossione del credito tributario.
Non
vi è pertanto un paritetico rapporto di credito–debito, riconducibile allo
schema diritto soggettivo–giudice ordinario, ma un potere autoritativo
unilaterale strumentale al soddisfacimento di un interesse pubblico,
riconducibile allo schema interesse legittimo– giudice amministrativo.
11.
Prima della novella del 2001, il potere di disporre il fermo era
attribuito all’autorità amministrativa: l’attribuzione, ora, al concessionario
della riscossione, risponde ad esigenze di celerità, ma non muta la natura dello
strumento, che rimane un provvedimento autoritativo, attribuito al
concessionario secondo lo schema dell’esercizio privato di pubbliche funzioni.
12.
Va anche considerato che, mentre prima del 2001 il fermo era
condizionato al mancato reperimento del bene da pignorare, nel testo vigente
dell’art. 86 il fermo può essere disposto a prescindere dall’esito infruttuoso
del pignoramento.
Ciò
implica che il fermo può essere disposto con la sola condizione che sia
inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della
cartella di pagamento, ma è del tutto svincolato dall’inizio del procedimento di
esecuzione forzata, inizio che, secondo la regola generale divisata dall’art.
491, c.p.c., è segnato dal pignoramento.
Sicché,
mentre prima della novella del 2001 il fermo presupponeva, quanto meno, un
tentativo di avvio del procedimento esecutivo (con ricerca dei beni da pignorare
ed esito infruttuoso del pignoramento), nel testo vigente il fermo è svincolato
dall’avvio del processo esecutivo, il che è indizio del suo carattere di misura
di autotutela conservativa del patrimonio del debitore.
13.
Si deve, ancora, osservare che il comma 3 dell’art. 86 dispone che
chiunque circola con veicoli, autoscafi o aeromobili sottoposti al fermo è
soggetto alla sanzione prevista dall'art. 214, comma 8, d.lgs. 30 aprile 1992 n.
285.
Si
tratta della sanzione amministrativa pecuniaria e di quella della confisca del
veicolo, previste dal codice della strada in caso di circolazione di veicolo
sottoposto a fermo amministrativo.
Dunque,
sotto il profilo sanzionatorio, la violazione del fermo di cui all’art. 86 in
commento viene normativamente equiparata alla violazione del fermo
amministrativo.
Ora,
sarebbe ben strano, se il fermo di cui all’art. 86 in commento fosse una misura
di autotutela civilistica, che alla sua violazione non conseguissero sanzioni
civili, bensì sanzioni amministrative.
14.
Ancora, se si trattasse di atto di autotutela civilistica,
l’adempimento da parte del debitore dovrebbe di per sé essere sufficiente a far
venire meno gli effetti del fermo: la prova del pagamento dovrebbe consentire la
cancellazione della iscrizione del fermo nei registri mobiliari. Invece, l’art.
6, d.m. n. 503/1998, stabilisce la inidoneità della sola prova del pagamento a
consentire la cancellazione del fermo. Occorre, invece, che il concessionario
comunichi l’avvenuto pagamento alla Direzione regionale delle entrate, che nei
successivi venti giorni emette un provvedimento di revoca del fermo inviandolo
al contribuente (nel nuovo assetto, compete al concessionario disporre la revoca
del fermo). Solo dopo il provvedimento di revoca è possibile, per il debitore,
conseguire la cancellazione della iscrizione del fermo, recandosi al p.r.a. ed
esibendo il provvedimento di revoca.
Tale
assetto denota che il fermo non è un atto materiale, ma un provvedimento
amministrativo, che produce i suoi effetti finché non viene meno in virtù di un
atto di revoca, tipico atto provvedimentale di ritiro, ed interviene quando
mutino le circostanze di fatto o per sopravvenuti motivi di pubblico interesse
ovvero nel caso di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (art.
21-quinquies, legge 7 agosto 1990 n. 241).
15.
Più in generale, va osservato che il d.m. n. 503/1998 ha
procedimentalizzato il fermo, inserendolo in un vero e proprio procedimento
amministrativo (avviso di avvio del procedimento, adozione del provvedimento di
fermo, revoca del provvedimento), sicché riesce difficile accogliere la
prospettazione secondo cui il fermo rientra nel novero delle attività materiali
di autotutela del creditore in un rapporto paritario di credito–debito.
In
più, come si evince dall’ultima norma di interpretazione autentica dell’art. 86,
d.P.R. n. 602/1973, e dalla conseguente risoluzione dell’Agenzia delle entrate
n. 9/2006, è ora demandato ai concessionari della riscossione di adottare e
revocare il provvedimento di fermo, utilizzando il procedimento di cui al d.m.
n. 503/1998.
Sicché,
i concessionari della riscossione, lungi dal potersi limitare a chiedere al
p.r.a. la iscrizione e la cancellazione dell’iscrizione del fermo, devono
seguire un vero e proprio procedimento amministrativo, con un tipico esercizio
privato di poteri pubblicistici.
16.
In conclusione, sembra corretto ritenere che il fermo di cui all’art.
86, d.P.R. n. 602/1973, sia un provvedimento amministrativo di autotutela, in
funzione dell’interesse pubblico sotteso alla soddisfazione del credito
tributario, attribuito al concessionario della riscossione che, per tale
profilo, è esercente privato di una pubblica funzione.
Si
tratta di un provvedimento riconducibile allo schema degli atti ablatori; in
quanto provvedimento amministrativo, discrezionale nell’an e nel
quid, deve essere congruamente motivato, sia in rapporto alla sussistenza
di un interesse pubblico, prevalente sull’interesse privato alla libera
disponibilità del bene, sia in relazione alla proporzione tra l’entità del
credito tributario da riscuotere ed il sacrificio che viene imposto al privato
con la temporanea sottrazione dell’uso e della disponibilità giuridica del bene,
secondo canoni di proporzionalità e di adeguatezza.
17.
Una volta ricostruito il fermo di cui all’art. 86, citato, in termini
di provvedimento amministrativo, occorre stabilire se la giurisdizione sulle
relative controversie spetti al giudice amministrativo, ovvero a quello
ordinario, ovvero a quello tributario.
18.
Sembra anzitutto da escludere che sul fermo di cui all’art. 86, d.P.R.
n. 602/1973, vi sia giurisdizione del giudice tributario.
Invero,
l’art. 2, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, che indica l’ambito della
giurisdizione delle Commissioni tributarie, esclude da questa le controversie
riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla
notificazione della cartella di pagamento ed, ove previsto, dell'avviso di cui
all’art. 50, d.P.R. n. 602/1973, per le quali continuano ad applicarsi le
disposizioni del medesimo d.P.R..
Inoltre,
il successivo art. 19 del medesimo d.lgs. elenca una serie di atti tipici e
nominati, che possono essere impugnati davanti alle Commissioni tributarie, e
tra questi non è compreso il fermo tributario di beni mobili registrati.
19.
Escluso il giudice tributario, rimane l’alternativa tra giudice
ordinario e giudice amministrativo.
Sembra
al Collegio che in tema di fermo, non dettando il d.P.R. n. 602/1973 specifiche
disposizioni in tema di giurisdizione, la questione vada risolta secondo
l’ordinario criterio di riparto diritti soggettivi– interessi legittimi.
Giova
considerare che, di fronte a provvedimenti amministrativi autoritativi, il
giudice naturale è quello amministrativo (art. 103, Cost.), a meno che non vi
siano norme derogatorie espresse.
Ed,
invero, al giudice ordinario non è attribuito, di regola, il potere di conoscere
in via immediata e diretta della legittimità dei provvedimenti amministrativi,
salvo il potere di disapplicarli (artt. 4 e 5, legge 20 marzo1865 n. 2248, all.
E).
Nel
caso specifico, nessuna norma del d.P.R. n. 602/1973 indica quale giudice debba
occuparsi del fermo amministrativo.
Ne
consegue, nel silenzio del legislatore, che la giurisdizione sembra da
attribuire al giudice amministrativo.
L’opposta
soluzione, che vuole competente il giudice ordinario, si tradurrebbe nel
conferimento allo stesso di un potere di annullamento non contemplato da
un’espressa attribuzione legislativa.
Giova
ricordare che nel diverso caso del fermo amministrativo di veicoli, previsto dal
codice della strada (art. 214, d.lgs. n. 285/1992), vi è una norma espressa che
attribuisce il potere di cognizione e di annullamento al giudice ordinario (con
il giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative di cui alla legge n.
689/1981).
Ed
una norma espressa è necessaria, perché si tratta di deroga al sistema generale,
che vuole il giudice amministrativo, e non quello ordinario, competente a
conoscere dell’impugnazione dei provvedimenti della pubblica amministrazione.
Sicché,
mentre per il fermo previsto dal codice della strada vi è una norma espressa che
attribuisce giurisdizione al giudice ordinario ed indica il rito da seguire,
attribuendo espressamente al giudice civile il potere di annullamento di un atto
amministrativo (rito della legge n. 689/1981), per il fermo di beni mobili
registrati di cui al d.P.R. n. 602/1973 il legislatore tace in ordine alla
giurisdizione.
Non
si può ad esso estendere la disciplina di cui all’art. 214, codice della strada,
perché si tratta di disciplina derogatoria dell’ordinario riparto di
giurisdizione e, come tale, non applicabile analogicamente.
Sembra
invece corretto trarre, dal silenzio del legislatore, la conseguenza che si
applica la regola generale in tema di riparto di giurisdizione.
20.
Una volta ricostruito il fermo di cui all’art. 86 (citato) in termini di
provvedimento amministrativo, ad avviso del collegio, se le norme contenute
negli artt. 49, 57, 86, d.P.R. n. 602/1973, nonché quelle contenute negli
articoli 2 e 19, d.lgs. n. 546/1992, vengono interpretate, secondo il diritto
vivente quale risulta dalla giurisprudenza, nel senso di attribuire la relativa
giurisdizione al giudice ordinario, le stesse appaiono sospette di palese
illegittimità costituzionale.
Ed,
invero, tali norme non attribuiscono, come già esposto, al giudice ordinario un
potere di sindacato pieno sull’atto amministrativo, esteso al potere di
annullamento dell’atto.
Sicché
il giudice ordinario non ha il potere di sindacare la motivazione del
provvedimento e, specificamente, la proporzione tra l’entità della misura ed il
credito garantito.
Se,
invece, tali norme venissero interpretate nel senso della giurisdizione del
giudice amministrativo (ovvero del giudice tributario), vi sarebbe maggiore
tutela per il destinatario del fermo, avendo il giudice amministrativo (e quello
tributario) il potere di sospendere ed annullare il provvedimento, previo
sindacato sul corretto esercizio del potere, sulla adeguatezza della motivazione
e, precipuamente, sulla proporzione tra misura del fermo ed entità del credito.
Le
norme citate, dunque, se intese nel senso di attribuire al giudice ordinario la
giurisdizione sul fermo, senza contestualmente attribuirgli una giurisdizione
piena sul provvedimento, appaiono in contrasto con i seguenti articoli della
Costituzione:
- 3, per irragionevole disparità di trattamento tra soggetti
destinatari di provvedimenti amministrativi, in danno dei soggetti destinatari
dei provvedimenti di fermo, che non possono fruire di una piena tutela di
annullamento;
- 16, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo, della
libertà di circolazione dei cittadini, limitazione che non trova adeguata tutela
mediante un sindacato giurisdizionale pieno sui provvedimenti medesimi;
- 41, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo,
dell’iniziativa economica privata, limitazione che non trova adeguata tutela
mediante un sindacato giurisdizionale pieno sui provvedimenti medesimi, laddove
i provvedimenti non siano proporzionati;
- 42, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo, della
proprietà privata, limitazione che non trova adeguata tutela mediante un
sindacato giurisdizionale pieno sui provvedimenti medesimi, laddove i
provvedimenti non siano proporzionati.
Le
questioni, oltre che non manifestamente infondate, sono rilevanti ai fini del
giudizio in corso, in quanto alla luce del diritto vivente questo collegio
dovrebbe declinare la propria giurisdizione e, per l’effetto, annullare senza
rinvio la sentenza di primo grado.
In
tal modo, si determinerebbe una diminuita tutela per il ricorrente.
Diversamente,
se le questioni di costituzionalità risultassero fondate, l’esito del giudizio
sarebbe differente, potendo questo Collegio trattenere la causa e deciderla nel
merito, valutando l’adeguatezza della motivazione del provvedimento e la
proporzione tra misura disposta ed effettiva entità del credito.
Le
norme denunciate potrebbero essere interpretate, nel senso qui proposto, di
attribuire la giurisdizione al giudice amministrativo, secondo il criterio
ordinario di riparto, e in tal caso si sottrarrebbero a censure di
incostituzionalità: ma allo stato osta a tale interpretazione il diritto vivente
quale risulta dal consolidato orientamento della giurisprudenza ordinaria ed
amministrativa.
In
conclusione, appare rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli
articoli 3, 16, 41 e 42, Cost., la questione di legittimità costituzionale degli
articoli 49, 57, 86, d.P.R. n. 602/1973, e degli articoli 2 e 19, d.lgs. n.
546/1992, se interpretati, secondo il diritto vivente quale risulta dalla
giurisprudenza, nel senso di attribuire al giudice ordinario la giurisdizione
sulle controversie in materia di fermo tributario di veicoli, perché non
attribuiscono alla giurisdizione del giudice ordinario un sindacato pieno sul
provvedimento, anziché essere interpretati nel senso di attribuire la
giurisdizione al giudice amministrativo.
Il
giudizio deve essere, quindi, sospeso, mentre gli atti vanno trasmessi alla
Corte costituzionale.
Ogni
ulteriore statuizione in rito, nel merito ed in ordine alle spese processuali
viene rinviata alla decisione definitiva.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione VI), non
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, visti l’art.
134 della Costituzione; l’art.1, legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1;
l’art. 23, legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 87:
-
dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in
relazione agli articoli 3, 16, 41 e 42, Cost., la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 49, 57, 86, d.P.R. n. 602/1973, e degli artt. 2 e 19,
d.lgs. n. 546/1992, se interpretati, secondo il diritto vivente, quale
risulta dalla giurisprudenza, nel senso di attribuire al giudice ordinario la
giurisdizione sulle controversie in materia di fermo tributario di veicoli;
-
dispone la sospensione del presente giudizio;
-
ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale;
-
ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia
notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica;
-
rinvia alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in
rito, nel merito ed in ordine alle spese processuali.
Dispone
che la presente ordinanza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma, nelle camere di consiglio del 31 gennaio 2006 e del 4 luglio
2006, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, in camera di
consiglio, con l'intervento dei signori:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Luigi MARUOTTI Consigliere
Carmine VOLPE Consigliere
Giuseppe
ROMEO Consigliere
Aldo SCOLA Consigliere Rel. est.
Presidente
GIORGIO GIOVANNINI
Consigliere Segretario
ALDO SCOLA VITTORIO ZOFFOLI
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il...18/07/2006
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
MARIA RITA OLIVA
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata
trasmessa
al
Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il
Direttore della Segreteria
N.R.G. 5839/2003
FF
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