IVA - TELEFONI
Cass. civ. Sez. III, 05-03-2009, n. 5333
Cass. civ. Sez. III, 05-03-2009, n. 5333
Svolgimento del processo
1.
- R.N. ha convenuto davanti al giudice di pace di Caulonia la società
Telecom Italia s.p.a., domandandone la condanna a restituirgli la somma
addebitatagli come spesa di spedizione postale della fattura dei costi
del servizio telefonico.
Ha sostenuto che
l'addebito di quella spesa era in contrasto con quanto disposto dal
D.P.R. 26 agosto 1972, n. 633, art. 21, comma 8, la legge sull'iva.
La Telecom ha chiesto il rigetto della domanda.
Il giudice di pace l'ha accolta con sentenza del 25.1.2006.
Ha condannato la Telecom a restituire la somma di Euro 0,31. 2. - La Telecom ha impugnato la decisione.
Ha
sostenuto che l'utente aveva accettato sin dall'origine le condizioni
generali di abbonamento, tra le quali era quella oggetto di
contestazione, contenuta nel paragrafo 6 dell'art. 14, che l'obbligava
al pagamento delle spese postali di spedizione della fattura.
3. - L'appello è stato accolto dal tribunale di Locri, sezione distaccata di Sidereo, con sentenza del 2.7.2007.
R.N. ne ha chiesto la cassazione.
La Telecom ha resistito con controricorso.
Ha poi depositato una memoria.
Motivi della decisione
1. - Questa la motivazione della sentenza del tribunale.
Ragione della domanda è stata il divieto di addebitare le spese di spedizione della fattura all'utente.
Il divieto è stato desunto dalla disposizione contenuta nel comma ottavo del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21.
La disposizione, insieme ad altre integrative e correttive del Decreto n. 633 del 1972, vi è stata introdotta dal D.P.R. 23 dicembre 1974, n. 687
e vi si è stabilito che "Le spese d'emissione della fattura e dei
conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto
d'addebito a qualsiasi titolo".
Il giudice di
pace ha condiviso l'interpretazione della norma, sostenuta dalla parte
muovendo dal presupposto che la spedizione della fattura rientri
nell'operazione di emissione e che alla prima si applichi la disciplina
dettata per la seconda.
Se non che una cosa è
l'emissione, che attiene alle operazioni contabili dell'impresa ed è
perciò disciplinata dalla norma, altra la trasmissione della fattura,
che può avvenire con qualsiasi modalità.
A
sostegno di questo approdo interpretativo il tribunale ha richiamato
prese di posizione in questo senso, consegnate dalla amministrazione
finanziaria a risoluzioni ministeriali.
Esclusa la rilevanza del D.P.R. 633 del 1972, art. 21,
ai fini della decisione della causa, ha considerato operante la
clausola delle condizioni generali di abbonamento, conoscibile
dall'utente e non vessatoria, che è contenuta nel sesto paragrafo
dell'art. 14 delle condizioni generali di abbonamento e secondo la quale
le spese postali di spedizione della fattura sono addebitate al
cliente.
Il tribunale ha ancora osservato che
questa condizione è conforme all'art. 30 del regolamento di servizio
concernente le norme e le condizioni di abbonamento al servizio
telefonico, approvato con D.M. 8 maggio 1997, n. 197. 2. - La cassazione della sentenza è chiesta in base a quattro motivi.
3. - Il primo è un motivo di violazione di norme sul procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all'art. 83 dello stesso codice).
Questa la tesi del ricorrente.
La
procura alle liti per proporre l'appello è stata conferita per la
Telecom da persona che si è qualificata come il procuratore speciale
C.A..
Il tribunale ne avrebbe dovuto rilevare
di ufficio la nullità perchè non era stata prodotta la procura notarile
con cui si era indicato che ad C.A. era stato conferito il potere di
rappresentare la società in giudizio.
Aggiunge il ricorrente d'aver fatto regolarmente rilevare il vizio inerente alla mancata allegazione della procura.
Il motivo non è fondato.
E'
onere della parte che si difende sollevare nella prima difesa la
contestazione volta a sostenere che la persona fisica, che si è
presentata come rappresentante processuale di una persona giuridica,
manca del potere di farlo ed è allora onere dell'altra documentare tale
qualità (Cass. Sez. Un. 1 ottobre 2007 n. 20596).
Se tale documentazione non è offerta o non è dimostrativa, la domanda o l'impugnazione non potranno essere esaminate nel merito.
Si
è sostenuto nel corpo del motivo - come si è accennato - che il vizio è
stato fatto regolarmente rilevare, non che lo si sia fatto rilevare
nella prima difesa.
Ma, come si è detto, la
mancanza di legittimazione processuale di una parte può essere
dichiarata dal giudice se la parte che si difende solleva la relativa
contestazione nella prima difesa e tuttavia la legittimazione
processuale resti non dimostrata.
Perciò, la
denunzia del vizio della sentenza pronunciata sulla domanda deve
avvenire mediante la allegazione che la contestazione è stata sollevata
non già - genericamente - in modo regolare, ma nel modo indicato e cioè
con la comparsa di costituzione.
Questo non è avvenuto.
4. - La cassazione della sentenza, col secondo motivo, è chiesta per il vizio di violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21).
4.1.
- E' riproposta la tesi che la disposizione dettata dell'art. 21, comma
8, della legge iva riguarda anche la spedizione della fattura.
Questa
tesi - che è stata accolta da altre decisioni di merito e discussa in
altri ricorsi trattati nella medesima udienza - si può così riassumere.
La
disciplina della fatturazione è tesa a tutelare il corretto andamento
del procedimento di esazione del tributo e così a garantire il controllo
incrociato del suo integrale adempimento. Per farlo, il legislatore,
con l'art. 21 ha voluto evitare che i relativi costi ricadano sul
consumatore finale.
Contrasterebbe con questa
funzione della norma concludere che la disposizione dettata dell'art.
21, u.c., non includa nel suo ambito d'applicazione le spese di
spedizione della fattura, perchè, se il consumatore finale, per la
spedizione della fattura, dovesse sopportare un costo aggiuntivo,
potrebbe rinunciarvi e questo renderebbe più agevole all'emittente
alterare o sopprimere il documento, così inibendo all'amministrazione
finanziaria il controllo sul regolare adempimento dell'imposta.
Da
qui, la conseguenza della natura imperativa della norma e della nullità
delle clausole negoziali invocate dalla Telecom, in particolare
all'art. 28 del contratto di abbonamento ed all'art. 14 delle condizioni
generali di abbonamento, secondo il quale le spese postali di
spedizione delle bollette telefoniche sono addebitate al cliente.
Si
è, infine, osservato che, non essendo previsto dall'art. 21 delle Legge
Iva un diverso meccanismo per realizzare ugualmente gli scopi della
norma, non potrebbe valere ad escludere la nullità della clausola
contrattuale contraria, il limite alla sanzione di nullità che, nell'art. 1418 c.c., comma 1 è espresso attraverso la locuzione salvo che la legge disponga altrimenti.
4.2. - La Telecom vi ha contrapposto questa diversa tesi.
Nel
riferimento che dell'art. 21, comma 8, fa alle spese di emissione della
fattura non si possono comprendere quelle di spedizione.
Emettere
una fattura, infatti, non vuoi dire spedirla, perchè la spedizione è
un'attività che segue e si aggiunge alla emissione:
ciò
è dimostrato dal fatto che l'attività di spedizione è solo eventuale,
perchè sostituisce la consegna a mano e può a sua volta essere
sostituita dalla trasmissione via e mail. Emissione e spedizione della
fattura si debbono distinguere anche sotto il profilo dell'onere
economico: le spese di emissione si correlano - in termini di impiego di
tempo e di materiali - alla redazione per iscritto in duplice
esemplare; alla particolare composizione tipografica; al collegamento
con altri documenti.
Anche i conseguenti
adempimenti e formalità, cui pure allude la norma, si prestano ad essere
identificati e lo sono nel dovere di conservare le fatture per dieci
anni e di annotarle su apposito registro; nel collegamento al dovere
dell'emittente di redigere le dichiarazioni mensili, trimestrali ed
annuali per il competente ufficio I.V.A.; in quello di trascrivere il
contenuto contabile della fattura nel libro giornale ed in altri
adempimenti, tutti sanzionati dallo stesso decreto.
Diverso
è invece il caso delle spese per l'uso del servizio postale, che sono
del tutto eventuali, sicchè la spedizione non può essere nemmeno
ricondotta alla formula conseguenti adempimenti e formalità:
solo
questi ultimi sono infatti tipici ed obbligatori ed hanno una finalità
contabile e fiscale e per tale ragione la loro inosservanza è
sanzionata.
Secondo la tesi svolta questa esegesi è avvalorata da altri argomenti di ordine sistematico.
Essi sono:
a) il principio espresso dall'art. 1196 c.c., secondo cui le spese collegate al pagamento sono a carico del debitore;
b) il principio che emerge dall'art. 1245 c.c., per cui si debbono computare le spese del trasporto al luogo del pagamento e, con riferimento al contratto di compravendita, l'art. 1475 c.c., là dove precisa che le spese accessorie sono a carico del compratore, se non diversamente pattuito;
c)
la considerazione che, per converso, le spese di emissione, cui l'art.
21 ha inteso riferirsi, non sono omologhe a quelle precedenti, perchè
sono collegate non all'obbligo di pagamento del prezzo da parte di chi
fruisce della prestazione, ma al compimento di operazioni disposte dalle
norme fiscali.
Lo conferma il art. 15, comma
1, n. 3, del D.P.R. che ha escluso dalla base imponibile le somme dovute
a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto
della controparte, se regolarmente documentate.
E' a queste che vanno ricondotte le spese postali di invio della fattura, in quanto anticipate dall'emittente.
4.3. - Il motivo non è fondato.
4.4. - Una premessa deve precederne la discussione.
La
Telecom ha sostenuto di ritrarre il suo diritto ad ottenere il rimborso
delle spese postali di spedizione della fattura, perchè v'è nelle
condizioni generali di abbonamento una clausola che obbliga l'utente a
sostenerle.
L'esame del presente motivo di
ricorso non è diretto a riscontrare se questa clausola è sotto ogni
aspetto valida, ma se è fondato l'assunto che essa sia nulla per
contrasto con la norma contenuta nell'art. 21, comma 8, della Legge Iva.
Orbene,
il comma 8 aggiunto all'art. 21 dispone - come si è già visto - che "Le
spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e
formalità non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo".
Scopo
della norma è di segnare la distinzione tra ciò che fa capo
all'operazione commerciale ed è valutabile come sua base imponibile per
l'applicazione dell'imposta e della rivalsa e ciò che pertiene alla
fatturazione dell'operazione, che il legislatore ha voluto restasse
estraneo sia all'applicazione dell'imposta sia alla rivalsa.
Ciò
posto, è giustificato chiedersi se la spedizione della fattura - che
può esserci come non esserci - per l'ipotesi in cui c'è, sia stata presa
in considerazione dal legislatore come aspetto della fatturazione, il
cui costo si è voluto come gli altri lasciare a carico di chi cede il
bene o presta il servizio, o se, non potendo però essere considerata la
spedizione della fattura una componente degli obblighi contrattuali di
chi cede il bene o presta il servizio, il legislatore tributario non si
sia solo limitato a non comprenderlo nella base imponibile.
Sicchè è rimasta al diritto civile ed alla volontà delle parti la disciplina della sopportazione del suo onere.
Orbene,
l'interpretazione letterale delle disposizioni dettate nell'art. 21
della Legge Iva a disciplina della fatturazione delle operazioni non
somministra dati univoci a favore della prima conclusione.
La
spedizione della fattura non si presta ad essere ricondotta
all'operazione di emissione per il fatto che l'ultimo periodo dell'art.
21, comma 1, reciti che "La fattura si ha per emessa all'atto della sua
consegna o spedizione all'altra parte...".
Posto
che in base all'art. 21, comma 4, e art. 6 della legge la fattura va
emessa nel momento in cui l'operazione commerciale è o si considera
eseguita, scopo della disposizione è individuare in quale momento la
fatturazione si ha per effettuata: consegna o spedizione della fattura
non costituiscono un segmento della fatturazione, ma il momento fino al
quale e prima del quale non si può considerare compiuta.
Nè
si riesce a cogliere per quale ragione, una volta avvertita dal
legislatore l'esigenza di apportare una correzione al testo originario
dell'art. 21 e di apportarla proprio perchè la pretesa di trasferire sui
clienti i costi della operazione di fatturazione manifestava d'essere
d'ostacolo all'applicazione dell'imposta non si sarebbe scelta la via
del parlare chiaro (id est: Le spese di emissione, consegna o spedizione
della fattura e dei conseguenti adempimenti ...) e si sarebbe scelta la
criptica via di affidare l'espressione della volontà normativa ad una
disposizione capace di prestarsi ad una diversa interpretazione; e
questo proprio nel momento in cui il legislatore avrebbe mostrato di
voler in particolare soffermarsi sul ruolo della consegna della fattura e
su quello succedaneo della consegna nel quadro della fatturazione.
E
per le stesse ragioni, non appare condivisibile l'operazione
ermeneutica per cui consegna o spedizione alla ricerca di una
collocazione purchessia - andrebbero allora ricondotte almeno ai
conseguenti adempimenti e formalità di cui si parla nel seguito della
disposizione.
Per converso, le norme che nella
Legge Iva determinano la base imponibile e le esclusioni dal computo
della base imponibile permettono di ritenere che, se le parti prevedono
come forma di consegna della fattura la sua spedizione ed il costo ne è
anticipato da chi la emette, il relativo rimborso non fa parte della
base imponibile (art. 15, n. 3 della Legge Iva).
A questo riguardo, si deve considerare che, in rapporto all'art. 1182 c.c.,
l'obbligazione di pagamento del costo del servizio telefonico va
adempiuta al domicilio del creditore nè importa che non sia già
conosciuta dal debitore, bastando ai fini della applicazione dell'art. 1182 c.c., comma 3, che la somma dovuta alla scadenza sia determinabile in base ai criteri stabiliti nel contratto.
E
perciò se le parti si accordano invece nel senso che il pagamento possa
essere fatto dall'utente dietro ricevimento della fattura che a spese
dell'utente e mediante spedizione per posta gli è inviata dal gestore,
questa spesa che per contratto deve essere sopportata dall'utente è
anticipata dal gestore e così rientra tra quelle cui si applica l'art.
15 n. 3 della Legge Iva.
5. - Il terzo motivo del ricorso denunzia un vizio di violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 1418 e 1441 c.c. e segg.).
Il motivo di articola in due parti.
5.1.
- Nella prima parte è svolto il tema della inderogabilità della
disposizione contenuta nell'art. 21, comma 8, Legge Iva, se interpretato
nel senso di riferirsi anche alle spese di spedizione.
Per questa parte esso è assorbito nel rigetto del secondo motivo.
5.2. - Nella sua seconda parte e "ad abudantiam" è svolta questa ulteriore tesi.
Si
premette che in entrambi i gradi di giudizio la Telecom non ha mai
esibito ed allegato in atti alcun documento dal quale si potesse
desumere la esistenza della clausola - di cui si è riferito in
precedenza - e della relativa sottoscrizione e conoscibilità.
A
questa premessa, tuttavia, non si correla la denunzia di un vizio di
difetto di motivazione quanto alla conoscibilità della clausola;
l'oggettìva
esistenza della clausola nelle condizioni generali di abbonamento si
può considerare notoria e trattandosi di condizioni generali di
contratto, per la loro efficacia - se conosciute o conoscibili con
l'ordinaria diligenza - non si richiede che siano sottoscritte.
Si aggiunge però nel motivo:
a)
che l'art. 1469 - bis non sembra prestarsi all'approccio esegetico
restrittivo voluto dalla Telecom, perchè la vessatorietà della clausola
non può nè deve essere considerata tale solo nelle ipotesi in cui la
somma in gioco sia cospicua;
b) la vessatorietà di una clausola deve essere valutata anche in relazione al diritto, garantito dalla L. 30 luglio 1998, n. 281, art. 1, comma 2, lett. e), alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi.
Il
dovere di correttezza comporta doveri di rettitudine e buona fede nei
rapporti tra le parti nello svolgimento del contratto, codificati in
linea generale dagli artt. 1175, 1176 e 1375 c.c., ed il dovere
di trasparenza impone mancanza di ambiguità nel corso delle trattative e
dell'esecuzione del contratto, le cui clausole sono soggette al
criterio ermeneutico posto dall'art. 1370 c.c., che impone di risolvere le ambiguità del testo contrattuale in senso favorevole al consumatore;
c) la condotta della convenuta non va esente da censure neppure sotto l'aspetto di un diretto contrasto con gli artt. 1175, 1176 e 1375 c.c..
La
buona fede nell'esecuzione del contratto si sostanzia, tra, l'altro, in
un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di
agire in modo da preservare gli interessi dell'altra a prescindere
tanto dagli specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extra
contrattuale del "neminem laedere", trovando tale impegno solidaristico
il suo limite precipuo unicamente nell'interesse proprio del soggetto,
tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e materiali
che si rendono necessari alla salvaguardia dell'interesse della
controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile
sacrificio a suo carico.
Ma anche per questa parte il motivo non è fondato.
La
Corte osserva che - come risulta dalle stesse difese che la Telecom ha
svolto negli altri ricorsi di cui si è fatto cenno - dopo l'entrata in
vigore della Legge Iva, è stato emanato il D.P.R. 29 marzo 1973, n. 186 -
T.U. delle disposizioni in materia postale, di bancoposta e di
telecomunicazioni - che, all'art. 2 stabilisce che "quando la legge non
dispone diversamente, i provvedimenti in materia postale, di bancoposta e
di telecomunicazioni nella Repubblica rientrano nella competenza del
Ministero delle poste e delle Telecomunicazioni".
Il
successivo art. 194 T.U. cit. (condizioni, limiti, diritti ed obblighi
del concessionario) prevede poi che "le condizioni, amministrative e
tecniche, i limiti, i diritti, e gli obblighi del Concessionario, ove
non previsti nel presente decreto sono stabiliti nel regolamento e negli
atti di concessione".
Ed in attuazione di tale disposizione del T.U. sono stati emanati il D.P.R. 13 agosto 1984, n. 523
relativo all'approvazione ed esecuzione delle convenzioni per la
concessione dei servizi di telecomunicazione ad uso pubblico delle
società SIP, Italcable e Telespazio ed il D.M. 8 marzo 1997, n. 197,
concernente il regolamento di servizio e le condizioni di abbonamento al
servizio telefonico.
L'art. 53 di detta
convenzione infine dispone che "la società ... provvede alla riscossione
dei corrispettivi dei servizi fruiti dagli abbonati e di quant'altro
dovuto dagli stessi ... mediante bollette periodiche che provvede a
spedire al domicilio degli abbonati addebitando le sole spese postali
... salvo la facoltà degli abbonati di provvedere senza addebito di
spese al ritiro delle bollette presso gli uffici della società".
Orbene,
il tribunale ha fondato il rigetto della domanda sul rilievo che l'art.
14, paragrafo 6, delle condizioni generali di abbonamento obbliga
l'utente al pagamento delle spese postali di spedizione della fattura.
Ed
ha ulteriormente considerato che tale condizione generale di contratto
obbligava l'utente perchè egli era stato posto sin dall'origine del
rapporto in grado di conoscere tale clausola.
Ora,
non è dubbio che, formulando la clausola delle condizioni generali di
contratto di cui si è venuti discutendo e formulandola in modo da
collegare l'obbligo dell'utente di pagare le spese di spedizione postale
alla sola condizione di riceverla, la Telecom mostra di non aver
trasfuso nel suo contenuto la salvezza di quella facoltà - che l'utente
ha ed alla quale la Telecom si è invece più volte richiamata nei suoi
scritti difensivi - di scegliere modalità alternative di ricezione ed in
particolare quella del ritiro presso gli uffici della stessa Telecom,
cui si è ora venuta ad aggiungere la trasmissione telematica.
Tuttavia,
dalla postulazione che un tale comportamento possa essere in contrasto
con le norme richiamate nel motivo - diverse dall'art. 1469 - bis c.c., -
non si può dedurre la nullità della clausola, il cui contenuto non è
per sè in contrasto con norme imperative, ma si sarebbe eventualmente
potuta derivare la loro annullabilità, comèè quando il concreto
contenuto assunto dal contratto, per sè lecito, dipende dal non aver una
parte osservato nella conclusione del contratto norme di comportamento
poste a tutela di diritti dell'altra (Cass. Sez. Un., 19 dicembre 2007
n. 26724).
Ma tale annullabilità avrebbe dovuto costituire oggetto di eccezione da parte dell'utente e di questa nel motivo si tace.
Resta allora il profilo della vessatorietà della clausola in discussione, esso si apprezzabile di ufficio.
E
però lei clausola avrebbe dovuto comportare un significativo squilibrio
dei diritti e degli obblighi altrimenti derivanti dal contratto di
utenza.
Ora, il tribunale non può essere
seguito la dove per escludere la vessatorietà della clausola ha ritenuto
di aggiungere che l'utente avrebbe avuto la possibilità di sottrarsi al
pagamento delle spese di spedizione avvalendosi della facoltà offerta
dal D.P.R. 523 del 1984, art. 53, recepito dalla normativa di cui al D.P.R. 197 del 1997: come si è visto, di tale facoltà la clausola non faceva menzione.
Resta tuttavia l'altro rilievo, che il costo della spedizione della fattura fosse irrisorio.
Per
scalzarlo sarebbe stato necessario almeno indicare in che rapporto
fosse stato nel periodo preso in considerazione il costo di spedizione
della fattura con quello dell'abbonamento.
6. - Con l'ultimo motivo la cassazione è chiesta per il vizio di violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.P.R. 633 del 1972, art. 10, n. 16).
La
ricorrente deduce che la Telecom, in aperta violazione del D.P.R. n.
663 del 1972, art. 10, n. 16, non solo non si è limitata ad addebitare
le spese di spedizione al cliente, ma addirittura le ha sottoposte ad
iva, benchè l'articolo indicato preveda per tale tipologia di spese una
totale esenzione del tributo.
Il motivo è inammissibile perchè prospetta una questione nuova.
7. - Il ricorso è rigettato.
8.
- I diversi orientamenti maturati dai giudici di primo grado in questo
vasto contenzioso giustificano che le spese del giudizio di cassazione
siano dichiarate compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del giudizio di cassazione.
Così
deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sezione terza civile
della Corte Suprema di Cassazione, il 19 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2009
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