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sabato 22 novembre 2014

Cassazione: Traffico di droga: perseguibile l'agente infiltrato che effettua la cessione La vendita di stupefacenti da parte di poliziotti sotto copertura si colloca fuori dalle attività scriminate dalla causa di non punibilità prevista dall'articolo 97 del Dpr 308/90: consentiti solo gli acquisiti simulati per raccogliere elementi probatori



 

 
COMPETENZA E GIURISDIZIONE PEN.   -   STUPEFACENTI
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 11-02-2009) 19-03-2009, n. 12142

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo


Con sentenza in data 18-4-2004 il Tribunale di Milano ha dichiarato P.G., D.M.G. e S.G. colpevoli del reato di cui all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4, art. 80, comma 1, lett. b) e li ha condannati alla pena di anni 12, mesi 6 di reclusione ed Euro 50.000,00 di multa ciascuno, con interdizione perpetua dai pubblici uffici ed interdizione legale durante l'esecuzione della pena.
Il fatto contestato agli imputati era di avere, in concorso tra loro e con D.P.A., C.M. e Ri.Ga.Jo., nei cui confronti si è proceduto separatamente, e di altra persona non identificata, acquistato 15 kg. di cocaina da R. e Ri. e da tale B., cittadino colombiano non identificato, che lo procuravano loro in vendita per la sua commercializzazione nel mercato italiano, stupefacente nella cui compravendita si intromettevano D.P., detto A., e C., detto P., con l'incarico di riceverlo, ritirandolo in (OMISSIS), di detenerlo e di trasportarlo a (OMISSIS); con le aggravanti di avere agito almeno in tre persone e dell'ingente quantitativo (fatto accertato in (OMISSIS)).
Con sentenza in data 3-10-2005 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma di tale sentenza, concesse a tutti gli imputati le attenuanti generiche, equivalenti rispetto alle contestate aggravanti, ha ridotto la pena agli stessi inflitta ad anni 9 e mesi 6 di reclusione ed Euro 40.000,00 di multa, confermando nel resto l'impugnata decisione.
Ricorrono per cassazione sia il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano che gli imputati.
Il Procuratore Generale, con un unico motivo, si duole della mancanza di motivazione in ordine alla concessione delle attenuanti generiche, che erano state correttamente e motivatamente negate in primo grado.
Rileva, inoltre, che la Corte di Appello non ha speso una parola per giustificare la scelta di equivalenza operata nella comparazione tra le concesse attenuanti generiche e le contestate aggravanti.
Con ricorso a firma dell'avv. D'Aloisi, tutti gli imputati lamentano in primo luogo l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza di motivazione, in relazione alla dedotta improcedibilità dell'azione penale, ai sensi dell'arte 9 c.p.. Rilevano, inoltre, che, poichè il reato, secondo l'assunto posto a base della decisione, è stato interamente consumato all'estero, non può trovare applicazione la norma dettata dall'art. 6 c.p., che postula che l'azione sia avvenuta almeno in parte nel territorio nazionale.
Con un secondo motivo i ricorrenti denunciano la mancanza e contraddittorietà della motivazione, in ordine alla ritenuta consumazione del reato. Fanno presente che, nella specie, i fatti ascritti ai prevenuti andavano inquadrati nella ipotesi del tentativo, non essendo i predetti mai entrati in possesso della sostanza stupefacente, che risulta essere stata venduta ad altro soggetto.
Con un terzo motivo, infine, viene dedotta, con riferimento alla posizione del S., la violazione dell'art. 81 c.p., in relazione alla mancata applicazione della continuazione rispetto ai fatti giudicati con sentenza del Tribunale di Roma del 27-3-1994.
Il P., con ricorso a firma dell'avv. Sotgiu, deduce con un primo motivo che poichè, secondo l'assunto dei giudici di merito, il reato di cessione di sostanza stupefacente si perfeziona con il semplice scambio dei consensi, nella specie il delitto contestato deve ritenersi consumato esclusivamente in (OMISSIS) da cittadini italiani. Sostiene, pertanto, che l'azione penale è improcedibile nei confronti del P. e dei coimputati, per mancanza della richiesta di cui all'art. 9 c.p..
Con un secondo motivo il ricorrente reitera l'eccezione, già sollevata fin dall'udienza preliminare, di incompetenza per territorio del foro di Milano in favore di quello di Roma, luogo in cui è giunto lo stupefacente (poi trasportato a (OMISSIS) dai Carabinieri sotto copertura, per loro esclusiva iniziativa) e in cui avevano residenza i presunti acquirenti e i loro corrieri.
Con un terzo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 62, 63 e 191 c.p.p., art. 195 c.p.p., comma 4, art. 210 c.p.p., avendo i giudici di merito basato l'affermazione di responsabilità del P. sulle sole ammissioni da questi rese a Carabinieri che agivano sotto copertura, i quali non potevano deporre de relato sulle dichiarazioni loro rilasciate dagli imputati allorchè il procedimento era già in corso. Poichè, infatti, gli agenti sotto copertura che hanno deposto hanno venduto materialmente un quantitativo di droga, ne hanno incassato il prezzo e lo hanno anche rimesso con bonifico estero su estero al trafficante colombiano che aveva loro spedito lo stupefacente, la loro condotta esula dall'attività di intelligence consentita dalla legge, che può eventualmente riguardare solo acquisiti simulati di sostanza; sicchè le dichiarazioni dai medesimi rese devono essere ritenute inutilizzabili, ai sensi dell'art. 191 c.p.p., in relazione agli artt. 62, 63 e 195 c.p.p.. Gli stessi agenti, inoltre, essendosi resi autori di un reato, avrebbero dovuto essere sentiti ex art. 210 c.p.p. e, in mancanza, le loro deposizioni sono mille ex art. 191 c.p.p. Il ricorrente deduce altresì la mancanza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alle questioni prospettate al riguardo dall'appellante.
Con un ulteriore motivo, proposto in via subordinata, viene invocata l'applicazione dell'art. 115 c.p., vertendosi in un'ipotesi di mero accordo per commettere un reato poi non commesso, in quanto i tre imputati, subito dopo l'incontro nell'albergo madrileno con gli agenti sotto copertura, sparirono, rinunciando all'ulteriore esecuzione del reato. In via ancora più gradata, viene chiesta l'applicazione dell'art. 114 c.p., stante la minima importanza del presunto accordo dei tre imputati in relazione all'acquisto di droga, che a seguito del loro recesso è stata ceduta per altra via, del tutto estranea alla loro volontà e condotta. L'impugnata sentenza, inoltre, viene censurata nella parte in cui ha ritenuto utilizzabile, ai sensi dell'art. 238 c.p.p., la motivazione di una diversa sentenza, sulla base di riscontri costituiti esclusivamente dalle dichiarazioni testimoniali dei Carabinieri sotto copertura, che hanno deposto illegalmente su dichiarazioni loro rilasciate dagli imputati.
Si fa presente, infine, che la Corte di Appello ha ritenuto applicabile al P. l'aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, pur essendo stata questa contestata solo ai coimputati J. e Ro., e pur sussistendo un giudicato cautelare che aveva ritenuto detta aggravante non riferibile al P..

Motivi della decisione


1) Le censure mosse col primo motivo di ricorso proposto nell'interesse degli imputati sono fondate.
Nel confutare l'eccezione degli appellanti di improcedibilità dell'azione penale per mancanza della richiesta di cui all'art. 9 c.p., la Corte di Appello ha affermato, in modo del tutto generico e senza alcun riferimento alle specifiche circostanze della vicenda in esame, che "non sussistono le condizioni per dichiarare l'improcedibilità......anche per la sussistenza, in concreto, delle condizioni previste dall'art. 6 c.p.".
La motivazione resa al riguardo risulta meramente apparente e non soddisfa, pertanto, l'obbligo motivazionale posto a carico del giudice dall'art. 125 c.p.p., risolvendosi in mere enunciazioni di principio, non accompagnate dalla illustrazione delle ragioni giustificatrici della decisione.
Non è dato comprendere, in particolare, quale sia stato l'iter logico seguito dal giudice del gravame per ritenere l'applicabilità, nella specie, dell'art. 6 c.p., il quale, come è noto, nel sancire il principio di territorialità, stabilisce, al secondo comma, che "il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l'azione od omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l'evento che è conseguenza dell'azione od omissione".
Premesso, infatti, che, secondo la ricostruzione fattuale della vicenda operata nella sentenza impugnata (v. pag. 7), l'accordo (nel quale la Corte di Appello ha ravvisato il momento consumativo del reato contestato) relativo all'acquisto della cocaina tra i trafficanti di stupefacenti colombiani e gli odierni imputati è intervenuto il (OMISSIS), si osserva che, per poter ritenere il reato commesso almeno in parte nel territorio nazionale, occorrerebbe la prova di un collegamento tra l'accordo concluso dai ricorrenti e la consegna di 8 chili di cocaina (facenti parte della partita di 15 chili già arrivata per via aerea a (OMISSIS) e sottoposta dagli operanti al regime di ritardato sequestro) effettuata il successivo (OMISSIS) a Sa.An. e G.M.. Ma una simile ipotesi sembra contraddetta dall'affermazione, contenuta a pag. 7 della sentenza impugnata, secondo cui, il (OMISSIS), il Ri. aveva informato l'agente sotto copertura Ra. che la consegna della cocaina avrebbe dovuto essere effettuata ad "altro gruppo di italiani", in quanto le trattative con gli odierni imputati si erano interrotte.
Si rendono necessari, pertanto, migliori chiarimenti circa il ruolo assunto nella complessiva vicenda dai ricorrenti, onde verificare se agli stessi possa essere o meno addebitata, a titolo di concorso, l'ulteriore attività svolta dalle persone che hanno materialmente ritirato la droga in Italia, potendo trovare applicazione solo nell'ipotesi affermativa il principio di territorialità ex art. 6 c.p., evocato dalla Corte di Appello. Come si è rilevato, infatti, in relazione a reati commessi in parte anche all'estero, ai fini dell'affermazione della giurisdizione italiana, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato l'evento o sia stata compiuta, in tutto o in parte, l'azione; sicchè, in ipotesi di concorso di persone, perchè possa ritenersi estesa la potestà punitiva dello Stato a tutti i compartecipi e a tutta l'attività criminosa, ovunque realizzata, è sufficiente che in (OMISSIS) sia stata posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione ad opera di uno qualsiasi dei concorrenti, a nulla rilevando che tale attività parziale non rivesta in sè carattere di illiceità, dovendo essa essere intesa come frammento di un unico "iter" delittuoso da considerarsi come inscindibile (Cass. Sez. 6, 10-4-2003 n. 29702; Cass. Sez. 6, 16-12-1999/6-4-2000 n. 4284).
2) La Corte di Appello ha disatteso l'eccezione di incompetenza per territorio del foro di Milano in favore di quello di Roma, sollevata dal P., rilevando che "non sono emersi elementi certi in ordine all'integrale avvenimento degli accordi all'estero ed a (OMISSIS), ove si sono svolti parte degli accordi relativi alla compravendita e alla consegna della sostanza stupefacente ed ove sono state compiute parte delle condotte di maggior disvalore sociale, rispetto a (OMISSIS), ove la sostanza era solo transitata". Trattasi di un procedere argomentativo poco comprensibile, inidoneo a dar conto delle ragioni che hanno indotto la Corte a ritenere radicata a (OMISSIS) la competenza territoriale.
Ma, al di là di tale rilievo, si osserva che, ai fini delle necessarie valutazioni in ordine alla competenza territoriale, si rende necessario verificare previamente se il reato per il quale si procede sia stato commesso in tutto o solo in parte all'estero, dato il diverso regime contemplato per le due ipotesi dall'art. 10 c.p.p..
La questione, pertanto, risulta strettamente collegata a quella prospettata al punto 1).
3) Con i motivi di appello la difesa del P. aveva eccepito l'inutilizzabilità delle deposizioni rese in dibattimento dagli agenti sotto copertura in ordine alle dichiarazioni loro rilasciate, senza le garanzie apprestate dalla legge, dagli imputati durante l'incontro nell'hotel di (OMISSIS).
La Corte territoriale ha disatteso l'eccezione in parola, sul rilievo che, in tema di acquisto simulato di sostanze stupefacenti, è applicabile la speciale causa di giustificazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 97 e 98 e che, pertanto, nel caso in esame, poichè gli Ufficiali di Polizia Giudiziaria hanno operato lecitamente, in quanto non hanno compiuto alcuna attività di istigazione, ma esclusivamente atti finalizzati all'acquisizione di prove di un acquisto già avvenuto tra altri soggetti, i medesimi non hanno mai rivestito la qualità di indagati. La decisione adottata si pone sulla scia della costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, gli agenti che svolgono attività investigative da infiltrati secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 97 non agiscono, nell'ambito della operazione svolta, come ufficiali di polizia giudiziaria con i poteri autoritativi e certificatori connessi alla qualifica, ma come soggetti che partecipano all'azione; con la conseguenza che non trova applicazione il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato di cui all'art. 62 c.p.p., e, dunque, che le deposizioni rese da tali soggetti su quanto appreso dall'imputato nel corso dell'investigazione sotto copertura sono utilizzabili in dibattimento (Cass. Sez. 6, 5-12-2006 n. 41730; Cass. Sez. 4, 29-5-2001 n. 33561).
Nel pervenire a tali conclusioni, tuttavia, la Corte di Appello non ha risposto alle specifiche deduzioni dell'appellante, con le quali era stato posto in evidenza che, nella specie, gli agenti sotto copertura avevano effettuato una vera e propria cessione di droga, ricevendo il relativo pagamento e rimettendolo mediante bonifico al trafficante colombiano di nome J., che aveva inviato la sostanza. La circostanza prospettata era senz'altro rilevante ai fini della decisione, atteso che la vendita di sostanze stupefacenti si colloca fuori dalle attività scriminate dalla causa di non punibilità prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 97, il quale consente agli agenti sotto copertura impegnati in operazioni antidroga, al solo fine di acquisire elementi di prova concernenti delitti in materia di stupefacenti, di effettuare acquisiti simulati di sostanze, ma non anche di cederle; il che si spiega agevolmente in considerazione del fatto che operazioni di cessione, immettendo sul mercato nuove sostanze stupefacenti, sarebbero ben poco conciliabili con la finalità di tutela della salute pubblica perseguita dalla normativa in materia di droga, nell'ottica della quale si giustifica la speciale causa di non punibilità prevista dal menzionato art. 97.
Ne consegue che, qualora l'agente sotto copertura, esorbitando dai limiti legislativi posti alla sua azione, abbia posto in essere un'attività di vendita di sostanze stupefacenti, non vi è ragione di deroga al divieto di testimoniare sulle dichiarazioni rese da persona sottoposta ad indagini, previsto dall'art. 62 c.p.p.; e che, anzi, il predetto, avendo determinato con il suo comportamento fatti penalmente rilevanti, assume la figura di coimputato in procedimento connesso o collegato, di modo che alle sue dichiarazioni si applica la disciplina di cui agli artt. 192 e 210 c.p.p. (Cass. Sez. 2, 28-5- 2008 n. 38488).
Date le rilevanti implicazioni connesse all'assunto dei ricorrenti, pertanto, si rende necessario accertare, all'esito delle verifiche da compiersi in ordine ai punti sub 1) e 2), se, nel caso in esame, gli ufficiali di polizia giudiziaria che hanno partecipato all'operazione antidroga abbiano proceduto o meno alla vendita di parte dello stupefacente.
4) S'impone, di conseguenza, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.
Le altre questioni prospettate dai ricorrenti restano assorbite.

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2009

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