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sabato 22 novembre 2014

Cassazione: Tredicesima computabile nell'indennità di integrazione salariale ma nel rispetto del massimale Le mensilità aggiuntive si conteggiano nella retribuzione costituente base di calcolo degli importi del trattamento salariale, nell'ambito dei limiti massimi dell'importo mensile dell'integrazione fissati dalla legge



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(Sezione lavoro, sentenza n. 8919/09; depositata il 15 aprile)

PREVIDENZA SOCIALE
Cass. civ. Sez. lavoro, 15-04-2009, n. 8919
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale d'Isernia, in funzione di giudice del lavoro, D.L.R. lamentava che, collocata in cassa integrazione guadagni straordinaria in vari periodi sino al (OMISSIS), aveva ricevuto la relativa indennità in misura inferiore al dovuto, poichè l'Inps aveva ritenuto che il "tetto" introdotto dalla L. 13 agosto 1980, n. 427 fosse riferito ai mesi di calendario e non anche alle singole mensilità retributive, compresa la tredicesima, e pertanto chiedeva la condanna dell'Istituto al pagamento della indennità sulle tredicesime mensilità relative ai rispettivi periodi di cassa integrazione. La domanda era accolta con sentenza che, a seguito di appello dell'Inps, era confermata dalla Corte d'appello di Campobasso.
L'Inps propone ricorso per cassazione. La lavoratrice intimata non si è costituita.

Motivi della decisione

1. Con l'unico motivo l'Inps denuncia violazione del D.Lgs. n. 788 del 1945, art. 1, u.c., del D.L. n. 269 del 2003 e della L. n. 427 del 1980, art. unico. Sostiene che, a seguito dell'introduzione del massimale mensile ai fini delle calcolo delle quote di integrazione salariale, è diventato necessario tenere conto della retribuzione globale, comprensiva delle mensilità aggiuntive e della stessa tredicesima, per il calcolo delle somme dovute a titolo di integrazione salariale, ai fini della verifica del rispetto del massimale mensile, con la conseguenza che la tredicesima è computabile solo in tale sede, e in concreto non rileva se il massimale è raggiunto per effetto del computo della retribuzione base. Si richiama ai fini interpretativi il testo della L. n. 427 del 1980, articolo unico nel testo D.L. n. 299 del 1994, ex art. 1, comma 5, come modificato dalla Legge di conversione n. 451 del 1994, il quale prescrive di computare i ratei delle mensilità aggiuntive esclusivamente ai fini del computo della retribuzione di riferimento da comparare al previsto massimale mensile e della conseguente scelta del maggiore dei due importi. Si richiama infine anche la norma di interpretazione autentica di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 6, convertito con modificazioni dalla L. n. 326 del 2003. 2. In materia di misura dell'indennità di integrazione salariale già la prima fonte normativa dell'istituto, e cioè il D.Lgs.Lgt. n. 788 del 1945, ha previsto all'art. 1, comma 1, che essa fosse ragguagliata a una certa percentuale della "retribuzione globale che sarebbe spettata per le ore non prestate", e successive disposizioni (art. 5) contenevano previsioni finalizzate alla concreta applicazione di tale regola. Il riferimento alla retribuzione globale è contenuto anche nella normativa sulla cassa integrazione straordinaria (L. n. 1115 del 1968, art. 2; nello stesso senso L. n. 164 del 1975, art. 2). Una norma introduttiva di un limite massimo in cifra fissa dell'importo dell'integrazione salariale erogabile è contenuta già nel D.L. n. 624 del 1979, art. 13 che non fu convertito in legge, ma i cui effetti, in caso di provvedimenti già adottati, furono confermati dalla lege n. 33 del 1980, art. 4. E' poi intervenuto la L. n. 427 del 1980, articolo unico che si riferisce sia agli operai che agli impiegati e che, precisata per questi ultimi la misura dell'integrazione nell'80 per cento "della retribuzione che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate" (comma 1), nel comma 2, pur ribadendo che l'importo doveva essere calcolato "tenendo conto dell'orario di ciascuna settimana indipendentemente dal periodo di paga", stabiliva che l'importo stesso non poteva superare l'ammontare mensile di L. 600.000, da rapportare alle ore di integrazione autorizzate (comma 2, il quale prevedeva anche criteri per l'aggiornamento del limite massimo in relazione agli aumenti dell'indennità di contingenza).
Il testo della L. 13 agosto 1980, n. 427, richiamato articolo unico è stato successivamente sostituito dal D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 1 convertito con modificazioni dalla L. 19 luglio 1994, n. 451.
La nuova disposizione, nel modificare (nel comma 2) l'importo dell'integrazione massima fissata su base mensile e nell'aggiornare le modalità della sua rivalutazione (a seguito della soppressione dell'indennità di contingenza), ha in particolare previsto due diversi limiti massimi, di cui il secondo, superiore, applicabile ai lavoratori la cui retribuzione di riferimento per il calcolo dell'integrazione salariale sia superiore a un certo importo. Ai fini della questione in esame, interessa che la disposizione sia formulata nei seguenti termini testuali: "quando la retribuzione di riferimento per il calcolo dell'integrazione medesima, comprensiva dei ratei di mensilità aggiuntive, è superiore a L. (...)".
Infine il D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 6, nel testo di cui alla Legge di conversione n. 326 del 2003, contiene la disposizione secondo cui la L. n. 427 del 1980, articolo unico, comma 2, e successive modificazioni "si interpreta nel senso che, nel corso di un anno solare, il trattamento di integrazione salariale compete, nei limiti dei massimali ivi previsti, per un massimo di dodici mensilità, comprensive dei ratei di mensilità aggiuntive". 3. Questa Corte con la sentenza n. 7870/2004 ha rilevato che la disposizione appena citata ha la funzione di precisare, con gli effetti anche retroattivi delle norme di interpretazione autentica, che i ratei delle mensilità aggiuntive e in particolare della tredicesima devono essere computati nella retribuzione di riferimento per il computo della integrazione salariale e nei limiti del massimale mensile. In altri termini ha ritenuto che la norma di interpretazione avvalorasse l'interpretazione secondo cui la concreta incidenza nella determinazione della integrazione salariale della tredicesima mensilità può essere (in tutto in parte) preclusa dal raggiungimento del massimale mensile di legge per effetto delle altre voci della retribuzione.
4. Questa Corte prescinde dal precedente citato, poichè la Corte costituzionale ha successivamente adottato un orientamento innovativo circa la possibile incidenza nell'ordinamento delle norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e alla luce di tale orientamento si possono prospettare seri dubbi di costituzionalità in merito all'efficacia delle norme di interpretazione autentica sui processi già in corso.
In effetti la Corte costituzionale, con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, ha affermato che le norme della CEDU, così come interpretate dalla relativa Corte con sede in Strasburgo, assumono il valore di fonti integratrici del parametro di costituzionalità di cui all'art. 117 Cost., comma 1, che, nel testo attuale, prevede che la potestà legislativa sia esercitata (sia dallo Stato che dalle Regioni) nel rispetto anche dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. D'altra parte, dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo si evince un orientamento secondo cui in linea di massima il principio di preminenza del diritto e la nozione di giusto processo consacrati dall'art. 6 della Convenzione non consentono l'emanazione nella materia civile di norme con effetti retroattivi, tra cui quelle di interpretazione autentica, incidenti sui processi già in corso.
Risulta quindi necessario, al fine di vagliare l'effettiva rilevanza nel presente giudizio della questione di costituzionalità relativa al D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 6, nel testo di cui alla Legge di conversione n. 326 del 2003, esaminare puntualmente quale sarebbe l'incidenza sulla definizione del medesimo giudizio di un'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma di interpretazione in questione. A tal fine è necessario individuare, con un compiuto esame del quadro normativo su cui è intervenuta la disposizione di interpretazione autentica, come lo stesso dovrebbe essere interpretato ai fini della decisione della causa in assenza della disposizione di interpretazione autentica (cfr. Cass., Sez. un., n. 25505/2006, paragr. 2.4. della motivazione, che ha ritenuto priva di rilevanza la questione di legittimità costituzionale, prospettata sotto il profilo del possibile contrasto con il parametro costituzionale di cui all'art. 111 Cost., di una norma di interpretazione autentica in materia fiscale, emanata con un Decreto Legge convertito con legge approvata con voto di fiducia, visto che il collegio avrebbe recepito la soluzione adottata dalla norma di interpretazione autentica anche in mancanza della stessa;
cfr. anche Cass. n. 21692/2008).
5. Procedendo a tale approfondimento interpretativo, è opportuno rilevare che la fattispecie è regolata, ratione temporis, in parte dal testo originario della L. n. 427 del 1980, articolo unico e in parte dal testo così come modificato dal D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 1 convertito con modificazioni dalla L. 19 luglio 1994, n. 451.
Ad avviso della Corte, la soluzione da dare alla questione interpretativa in esame è desumibile in maniera chiara dagli elementi testuali e sistematici della normativa applicabile.
Si è già visto come le disposizioni in materia di integrazione salariale hanno sempre fatto riferimento ad una nozione omnicomprensiva della retribuzione, in maniera coerente con i principi generalmente applicabili in materia di base di calcolo retributiva delle prestazioni previdenziali, principi i quali devono assicurare che non si verifichino discriminazioni tra lavoratori appartenenti a settori produttivi diversi, caratterizzati da articolazioni eterogenee delle componenti retributive.
Inoltre, con riferimento a una disposizione, come quella della L. n. 427 del 1980, articolo unico che ha introdotto un limite massimo mensile dell'importo dell'integrazione salariale, non vi può essere alcun dubbio che anche le mensilità aggiuntive debbano concorrere alla determinazione della retribuzione oraria costituente base di calcolo dell'integrazione salariale, ai fini del rispetto dei massimali mensili. Ciò perchè, in difetto di una diversa espressa previsione, fissato dalla legge un massimale mensile, deve escludersi la facoltà dell'Inps di corrispondere separatamente l'incidenza sulla integrazione salariale di componenti della retribuzione aventi cadenza di maturazione eccedente il mese di calendario, come le mensilità aggiuntive. Ed è del tutto logico che una prestazione previdenziale corrisposta al fine di compensare il pregiudizio retributivo causato al lavoratore dipendente da sospensioni temporanee del rapporto di lavoro si riferisca unitariamente e definitivamente a tutto il pregiudizio inerente al periodo di riferimento, mentre sarebbe illogico, oltre che privo del necessario fondamento normativo, che l'Inps debba corrispondere dei supplementi in riferimento a particolari componenti retributive previste dalle varie discipline legali o contrattuali e alle relative scadenze.
Coerentemente con tali necessarie conclusioni, in sede di modifica del testo dell'articolo unico citato, comma 2, essendosi indicato un massimale differenziato per l'ipotesi di retribuzione superiore a un certo importo, si è precisato che la retribuzione di riferimento per il calcolo dell'integrazione è comprensiva dei ratei delle mensilità aggiuntive.
Quanto alla giurisprudenza di questa Corte, deve rilevarsi che la sentenza n. 6665/2000 non prende specificamente in esame il problema del rapporto tra incidenza della tredicesima, mensilità e massimale mensile di legge dell'integrazione salariale, ma indirettamente avvalora le tesi interpretativa appena illustrata, in quanto sancisce che l'incidenza di tale mensilità aggiuntiva deve essere computata nel determinare la retribuzione oraria da prendere a base di calcolo dell'indennità. 6. E' opportuno infine rilevare che è coerente con il risultato interpretativo a cui si è pervenuti l'impostazione delle problematiche applicative formulata dall'Inps nei termini secondo cui, in tanto gli assicurati possono fondatamente lamentare il mancato computo della tredicesima, in quanto il massimale mensile non sia già stato raggiunto con il computo delle altre componenti della retribuzione.
7, Passando allo specifico esame del ricorso, deve rilevarsi che la sentenza impugnata non evidenzia una chiara comprensione dei termini della problematica. Infatti, mentre dallo stesso tenore della domanda, come riferita, sembra che la pretesa riguardasse un computo della tredicesima al di fuori dei massimali mensili di cui ai "mesi di calendario", la motivazione, nell'asserire il rispetto dei criteri legali da parte del giudice di primo grado, fa un generico riferimento alla regola della computabilità della tredicesima e a quella sui massimali mensili, di cui non chiarisce la portata, anche perchè mancano i conseguenti accertamenti di fatto.
Il ricorso deve quindi essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altro giudice che si atterrà al seguente principio di diritto: "Con riferimento alla disciplina di cui alla L. 13 agosto 1980, n. 427, articolo unico sia nel suo testo originario che in quello parzialmente modificato dal D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 1 convertito con modificazioni dalla L. 19 luglio 1994, n. 451, le mensilità aggiuntive e in particolare la tredicesima mensilità sono computabili nella retribuzione costituente base di calcolo degli importi della integrazione salariale, nell'ambito dei limiti massimi dell'importo mensile della integrazione fissati dal citato articolo unico e successive modificazioni, ed è conseguentemente esclusa una diversa e ulteriore incidenza delle mensilità aggiuntive sul trattamento di integrazione salariale. Ne consegue l'irrilevanza della questione di costituzionalità in riferimento all'art. 117 Cost., comma 1 e all'art. 6, paragr. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, della norma di interpretazione autentica di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 6, nel testo di cui alla Legge di conversione n. 326 del 2003". Conseguentemente il giudice di rinvio non potrà valutare positivamente la domanda qualora la assicurata abbia già percepito il trattamento di integrazione salariale nella misura massima di legge in rapporto alle ore autorizzate. Al giudice di rinvio si demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Salerno anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2009

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