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Cassazione Penale
Sez. VI, Sent. n. 12142 del 19 marzo 2009
c.p.p. art. 62Sez. VI, Sent. n. 12142 del 19 marzo 2009
c.p.p. art. 192
c.p.p. art. 210
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 97
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 98
La vendita di sostanze stupefacenti non rientra tra le attività sotto copertura scriminate dalle finalità di indagini (art. 97 d.P.R. n. 309 del 1990). Ne consegue che, in tal caso, gli ufficiali di polizia
giudiziaria non possono essere sentiti quali testimoni, ma, assumendo
la qualità di coimputati in procedimento connesso o collegato, possono
essere esaminati a norma dell'art. 210 cod. proc. pen. (Annulla con rinvio, App. Milano, 3 Ottobre 2005)
Sez.
VI, Sent. n. 12142 del 11-02-2009 (ud. del 11-02-2009), Procuratore
Generale della Repubblica presso Corte d'Appello di Milano c. P.G. (rv.
242935)
COMPETENZA E GIURISDIZIONE PEN. - PROVA IN GENERE (MAT. PEN.) - STUPEFACENTI
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 11-02-2009) 19-03-2009, n. 12142
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 11-02-2009) 19-03-2009, n. 12142
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 18-4-2004 il Tribunale di Milano ha dichiarato P.G., D.M.G. e S.G. colpevoli del reato di cui all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4, art. 80, comma 1, lett. b)
e li ha condannati alla pena di anni 12, mesi 6 di reclusione ed Euro
50.000,00 di multa ciascuno, con interdizione perpetua dai pubblici
uffici ed interdizione legale durante l'esecuzione della pena.
Il
fatto contestato agli imputati era di avere, in concorso tra loro e con
D.P.A., C.M. e Ri.Ga.Jo., nei cui confronti si è proceduto
separatamente, e di altra persona non identificata, acquistato 15 kg. di
cocaina da R. e Ri. e da tale B., cittadino colombiano non
identificato, che lo procuravano loro in vendita per la sua
commercializzazione nel mercato italiano, stupefacente nella cui
compravendita si intromettevano D.P., detto A., e C., detto P., con
l'incarico di riceverlo, ritirandolo in (OMISSIS), di detenerlo e di
trasportarlo a (OMISSIS); con le aggravanti di avere agito almeno in tre
persone e dell'ingente quantitativo (fatto accertato in (OMISSIS)).
Con
sentenza in data 3-10-2005 la Corte di Appello di Milano, in parziale
riforma di tale sentenza, concesse a tutti gli imputati le attenuanti
generiche, equivalenti rispetto alle contestate aggravanti, ha ridotto
la pena agli stessi inflitta ad anni 9 e mesi 6 di reclusione ed Euro
40.000,00 di multa, confermando nel resto l'impugnata decisione.
Ricorrono per cassazione sia il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano che gli imputati.
Il
Procuratore Generale, con un unico motivo, si duole della mancanza di
motivazione in ordine alla concessione delle attenuanti generiche, che
erano state correttamente e motivatamente negate in primo grado.
Rileva,
inoltre, che la Corte di Appello non ha speso una parola per
giustificare la scelta di equivalenza operata nella comparazione tra le
concesse attenuanti generiche e le contestate aggravanti.
Con
ricorso a firma dell'avv. D'Aloisi, tutti gli imputati lamentano in
primo luogo l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza di
motivazione, in relazione alla dedotta improcedibilità dell'azione
penale, ai sensi dell'arte 9 c.p.. Rilevano, inoltre, che, poichè il
reato, secondo l'assunto posto a base della decisione, è stato
interamente consumato all'estero, non può trovare applicazione la norma
dettata dall'art. 6 c.p., che postula che l'azione sia avvenuta almeno in parte nel territorio nazionale.
Con
un secondo motivo i ricorrenti denunciano la mancanza e
contraddittorietà della motivazione, in ordine alla ritenuta
consumazione del reato. Fanno presente che, nella specie, i fatti
ascritti ai prevenuti andavano inquadrati nella ipotesi del tentativo,
non essendo i predetti mai entrati in possesso della sostanza
stupefacente, che risulta essere stata venduta ad altro soggetto.
Con un terzo motivo, infine, viene dedotta, con riferimento alla posizione del S., la violazione dell'art. 81 c.p.,
in relazione alla mancata applicazione della continuazione rispetto ai
fatti giudicati con sentenza del Tribunale di Roma del 27-3-1994.
Il
P., con ricorso a firma dell'avv. Sotgiu, deduce con un primo motivo
che poichè, secondo l'assunto dei giudici di merito, il reato di
cessione di sostanza stupefacente si perfeziona con il semplice scambio
dei consensi, nella specie il delitto contestato deve ritenersi
consumato esclusivamente in (OMISSIS) da cittadini italiani. Sostiene,
pertanto, che l'azione penale è improcedibile nei confronti del P. e dei
coimputati, per mancanza della richiesta di cui all'art. 9 c.p..
Con
un secondo motivo il ricorrente reitera l'eccezione, già sollevata fin
dall'udienza preliminare, di incompetenza per territorio del foro di
Milano in favore di quello di Roma, luogo in cui è giunto lo
stupefacente (poi trasportato a (OMISSIS) dai Carabinieri sotto
copertura, per loro esclusiva iniziativa) e in cui avevano residenza i
presunti acquirenti e i loro corrieri.
Con un terzo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 62, 63 e 191 c.p.p., art. 195 c.p.p., comma 4, art. 210 c.p.p.,
avendo i giudici di merito basato l'affermazione di responsabilità del
P. sulle sole ammissioni da questi rese a Carabinieri che agivano sotto
copertura, i quali non potevano deporre de relato sulle dichiarazioni
loro rilasciate dagli imputati allorchè il procedimento era già in
corso. Poichè, infatti, gli agenti sotto copertura che hanno deposto
hanno venduto materialmente un quantitativo di droga, ne hanno incassato
il prezzo e lo hanno anche rimesso con bonifico estero su estero al
trafficante colombiano che aveva loro spedito lo stupefacente, la loro
condotta esula dall'attività di intelligence consentita dalla legge, che
può eventualmente riguardare solo acquisiti simulati di sostanza;
sicchè le dichiarazioni dai medesimi rese devono essere ritenute
inutilizzabili, ai sensi dell'art. 191 c.p.p., in relazione agli artt. 62, 63 e 195 c.p.p.. Gli stessi agenti, inoltre, essendosi resi autori di un reato, avrebbero dovuto essere sentiti ex art. 210 c.p.p. e, in mancanza, le loro deposizioni sono mille ex art. 191 c.p.p.
Il ricorrente deduce altresì la mancanza di motivazione della sentenza
impugnata in ordine alle questioni prospettate al riguardo
dall'appellante.
Con un ulteriore motivo, proposto in via subordinata, viene invocata l'applicazione dell'art. 115 c.p.,
vertendosi in un'ipotesi di mero accordo per commettere un reato poi
non commesso, in quanto i tre imputati, subito dopo l'incontro
nell'albergo madrileno con gli agenti sotto copertura, sparirono,
rinunciando all'ulteriore esecuzione del reato. In via ancora più
gradata, viene chiesta l'applicazione dell'art. 114 c.p.,
stante la minima importanza del presunto accordo dei tre imputati in
relazione all'acquisto di droga, che a seguito del loro recesso è stata
ceduta per altra via, del tutto estranea alla loro volontà e condotta.
L'impugnata sentenza, inoltre, viene censurata nella parte in cui ha
ritenuto utilizzabile, ai sensi dell'art. 238 c.p.p., la
motivazione di una diversa sentenza, sulla base di riscontri costituiti
esclusivamente dalle dichiarazioni testimoniali dei Carabinieri sotto
copertura, che hanno deposto illegalmente su dichiarazioni loro
rilasciate dagli imputati.
Si fa presente, infine, che la Corte di Appello ha ritenuto applicabile al P. l'aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80,
pur essendo stata questa contestata solo ai coimputati J. e Ro., e pur
sussistendo un giudicato cautelare che aveva ritenuto detta aggravante
non riferibile al P..
Motivi della decisione
1) Le censure mosse col primo motivo di ricorso proposto nell'interesse degli imputati sono fondate.
Nel confutare l'eccezione degli appellanti di improcedibilità dell'azione penale per mancanza della richiesta di cui all'art. 9 c.p.,
la Corte di Appello ha affermato, in modo del tutto generico e senza
alcun riferimento alle specifiche circostanze della vicenda in esame,
che "non sussistono le condizioni per dichiarare
l'improcedibilità......anche per la sussistenza, in concreto, delle
condizioni previste dall'art. 6 c.p.".
La
motivazione resa al riguardo risulta meramente apparente e non
soddisfa, pertanto, l'obbligo motivazionale posto a carico del giudice dall'art. 125 c.p.p.,
risolvendosi in mere enunciazioni di principio, non accompagnate dalla
illustrazione delle ragioni giustificatrici della decisione.
Non
è dato comprendere, in particolare, quale sia stato l'iter logico
seguito dal giudice del gravame per ritenere l'applicabilità, nella
specie, dell'art. 6 c.p., il quale, come è noto, nel sancire il
principio di territorialità, stabilisce, al secondo comma, che "il
reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l'azione
od omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte,
ovvero si è ivi verificato l'evento che è conseguenza dell'azione od
omissione".
Premesso, infatti, che, secondo la
ricostruzione fattuale della vicenda operata nella sentenza impugnata
(v. pag. 7), l'accordo (nel quale la Corte di Appello ha ravvisato il
momento consumativo del reato contestato) relativo all'acquisto della
cocaina tra i trafficanti di stupefacenti colombiani e gli odierni
imputati è intervenuto il (OMISSIS), si osserva che, per poter ritenere
il reato commesso almeno in parte nel territorio nazionale, occorrerebbe
la prova di un collegamento tra l'accordo concluso dai ricorrenti e la
consegna di 8 chili di cocaina (facenti parte della partita di 15 chili
già arrivata per via aerea a (OMISSIS) e sottoposta dagli operanti al
regime di ritardato sequestro) effettuata il successivo (OMISSIS) a
Sa.An. e G.M.. Ma una simile ipotesi sembra contraddetta
dall'affermazione, contenuta a pag. 7 della sentenza impugnata, secondo
cui, il (OMISSIS), il Ri. aveva informato l'agente sotto copertura Ra.
che la consegna della cocaina avrebbe dovuto essere effettuata ad "altro
gruppo di italiani", in quanto le trattative con gli odierni imputati
si erano interrotte.
Si rendono necessari,
pertanto, migliori chiarimenti circa il ruolo assunto nella complessiva
vicenda dai ricorrenti, onde verificare se agli stessi possa essere o
meno addebitata, a titolo di concorso, l'ulteriore attività svolta dalle
persone che hanno materialmente ritirato la droga in Italia, potendo
trovare applicazione solo nell'ipotesi affermativa il principio di
territorialità ex art. 6 c.p., evocato dalla Corte di Appello.
Come si è rilevato, infatti, in relazione a reati commessi in parte
anche all'estero, ai fini dell'affermazione della giurisdizione
italiana, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato
l'evento o sia stata compiuta, in tutto o in parte, l'azione; sicchè,
in ipotesi di concorso di persone, perchè possa ritenersi estesa la
potestà punitiva dello Stato a tutti i compartecipi e a tutta l'attività
criminosa, ovunque realizzata, è sufficiente che in (OMISSIS) sia stata
posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione ad opera di
uno qualsiasi dei concorrenti, a nulla rilevando che tale attività
parziale non rivesta in sè carattere di illiceità, dovendo essa essere
intesa come frammento di un unico "iter" delittuoso da considerarsi come
inscindibile (Cass. Sez. 6, 10-4-2003 n. 29702; Cass. Sez. 6,
16-12-1999/6-4-2000 n. 4284).
2) La Corte di
Appello ha disatteso l'eccezione di incompetenza per territorio del foro
di Milano in favore di quello di Roma, sollevata dal P., rilevando che
"non sono emersi elementi certi in ordine all'integrale avvenimento
degli accordi all'estero ed a (OMISSIS), ove si sono svolti parte degli
accordi relativi alla compravendita e alla consegna della sostanza
stupefacente ed ove sono state compiute parte delle condotte di maggior
disvalore sociale, rispetto a (OMISSIS), ove la sostanza era solo
transitata". Trattasi di un procedere argomentativo poco comprensibile,
inidoneo a dar conto delle ragioni che hanno indotto la Corte a ritenere
radicata a (OMISSIS) la competenza territoriale.
Ma,
al di là di tale rilievo, si osserva che, ai fini delle necessarie
valutazioni in ordine alla competenza territoriale, si rende necessario
verificare previamente se il reato per il quale si procede sia stato
commesso in tutto o solo in parte all'estero, dato il diverso regime
contemplato per le due ipotesi dall'art. 10 c.p.p..
La questione, pertanto, risulta strettamente collegata a quella prospettata al punto 1).
3)
Con i motivi di appello la difesa del P. aveva eccepito
l'inutilizzabilità delle deposizioni rese in dibattimento dagli agenti
sotto copertura in ordine alle dichiarazioni loro rilasciate, senza le
garanzie apprestate dalla legge, dagli imputati durante l'incontro
nell'hotel di (OMISSIS).
La Corte territoriale
ha disatteso l'eccezione in parola, sul rilievo che, in tema di
acquisto simulato di sostanze stupefacenti, è applicabile la speciale
causa di giustificazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 97 e 98
e che, pertanto, nel caso in esame, poichè gli Ufficiali di Polizia
Giudiziaria hanno operato lecitamente, in quanto non hanno compiuto
alcuna attività di istigazione, ma esclusivamente atti finalizzati
all'acquisizione di prove di un acquisto già avvenuto tra altri
soggetti, i medesimi non hanno mai rivestito la qualità di indagati. La
decisione adottata si pone sulla scia della costante giurisprudenza di
questa Corte, secondo cui, in tema di reati concernenti le sostanze
stupefacenti, gli agenti che svolgono attività investigative da
infiltrati secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 97
non agiscono, nell'ambito della operazione svolta, come ufficiali di
polizia giudiziaria con i poteri autoritativi e certificatori connessi
alla qualifica, ma come soggetti che partecipano all'azione; con la
conseguenza che non trova applicazione il divieto di testimonianza sulle
dichiarazioni dell'imputato di cui all'art. 62 c.p.p., e,
dunque, che le deposizioni rese da tali soggetti su quanto appreso
dall'imputato nel corso dell'investigazione sotto copertura sono
utilizzabili in dibattimento (Cass. Sez. 6, 5-12-2006 n. 41730; Cass.
Sez. 4, 29-5-2001 n. 33561).
Nel pervenire a
tali conclusioni, tuttavia, la Corte di Appello non ha risposto alle
specifiche deduzioni dell'appellante, con le quali era stato posto in
evidenza che, nella specie, gli agenti sotto copertura avevano
effettuato una vera e propria cessione di droga, ricevendo il relativo
pagamento e rimettendolo mediante bonifico al trafficante colombiano di
nome J., che aveva inviato la sostanza. La circostanza prospettata era
senz'altro rilevante ai fini della decisione, atteso che la vendita di
sostanze stupefacenti si colloca fuori dalle attività scriminate dalla
causa di non punibilità prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 97,
il quale consente agli agenti sotto copertura impegnati in operazioni
antidroga, al solo fine di acquisire elementi di prova concernenti
delitti in materia di stupefacenti, di effettuare acquisiti simulati di
sostanze, ma non anche di cederle; il che si spiega agevolmente in
considerazione del fatto che operazioni di cessione, immettendo sul
mercato nuove sostanze stupefacenti, sarebbero ben poco conciliabili con
la finalità di tutela della salute pubblica perseguita dalla normativa
in materia di droga, nell'ottica della quale si giustifica la speciale
causa di non punibilità prevista dal menzionato art. 97.
Ne
consegue che, qualora l'agente sotto copertura, esorbitando dai limiti
legislativi posti alla sua azione, abbia posto in essere un'attività di
vendita di sostanze stupefacenti, non vi è ragione di deroga al divieto
di testimoniare sulle dichiarazioni rese da persona sottoposta ad
indagini, previsto dall'art. 62 c.p.p.; e che, anzi, il
predetto, avendo determinato con il suo comportamento fatti penalmente
rilevanti, assume la figura di coimputato in procedimento connesso o
collegato, di modo che alle sue dichiarazioni si applica la disciplina
di cui agli artt. 192 e 210 c.p.p. (Cass. Sez. 2, 28-5- 2008 n. 38488).
Date
le rilevanti implicazioni connesse all'assunto dei ricorrenti,
pertanto, si rende necessario accertare, all'esito delle verifiche da
compiersi in ordine ai punti sub 1) e 2), se, nel caso in esame, gli
ufficiali di polizia giudiziaria che hanno partecipato all'operazione
antidroga abbiano proceduto o meno alla vendita di parte dello
stupefacente.
4) S'impone, di conseguenza,
l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio
ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.
Le altre questioni prospettate dai ricorrenti restano assorbite.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2009
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