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il diritto all'indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali si prescrive in dieci anni -
perché deriva da inadempimento contrattuale (cassazione sezione lavoro n. 9999 del 29 aprile 2009, pres. de luca, rel. nobile).
LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 29-04-2009, n. 9999
Cass. civ. Sez. lavoro, 29-04-2009, n. 9999
Svolgimento del processo
Con
ricorso del 10/4/1996 F.F., premesso di aver lavorato come operaio
qualificato, svolgendo le mansioni indicate, alle dipendenze della SAPIS
s.p.a. dal 1/7/1972 al 1/6/1989, con l'orario indicato, e di aver
percepito una paga inferiore a quella sindacale, rivendicava le relative
differenze retributive rispetto al quarto livello, secondo il ccnl,
nonchè ulteriori differenze a titolo di festività, lavoro festivo,
festività abolite, 14^ mensilità, 13^ mensilità, straordinario,
straordinario festivo, ferie non godute e TFR, il tutto come da
conteggio allegato.
Chiedeva, quindi, la
condanna della società convenuta al pagamento delle differenze
retributive come specificate, ovvero di quella diversa somma che fosse
emersa all'esito del giudizio.
La SAPIS si
costituiva eccependo in via preliminare la inammissibilità e la
improcedibilità del ricorso introduttivo per assoluta indeterminatezza
delle circostanze di fatto e di diritto, nonchè per carente indicazione
dei riferimenti normativi di settore.
La
convenuta eccepiva inoltre di non essere iscritta ad alcuna associazione
sindacale di categoria stipulante, di non essere perciò soggetta
all'applicazione del CCNL invocato e che era intervenuta prescrizione
quinquennale dei crediti retributivi ex art. 2948 c.c., perchè
la notifica del ricorso, primo atto interruttivo, era avvenuta in data
(OMISSIS) e quindi oltre cinque anni dalla fine del rapporto di lavoro.
In ogni caso eccepiva la prescrizione ex art. 2948 c.c., di tutte le
pretese maturate anteriormente al giugno 1983, avendo la società fino a
quella data occupato sempre più di 15 dipendenti, mentre dal (OMISSIS) i
dipendenti erano stati nuovamente più di quindici (con organico attuale
di 22).
La convenuta, inoltre, eccepiva la prescrizione presuntiva di un anno ex art. 2955 c.c., avendo il ricorrente accettato le buste paga, e la prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 c.c.,
per eventuali ma insussistenti diritti di natura economica e/o
normativa, primi tra tutti quelli inerenti alla superiore qualifica
(livello (OMISSIS)) rivendicata.
La società
aggiungeva, poi, che il TFR era stato liquidato in ragione
dell'inquadramento da ultimo rivestito e che le mansioni svolte dal F.
erano esecutive, per cui corretto era l'inquadramento attribuitogli nel
(OMISSIS) livello.
La convenuta contestava, infine, l'orario di lavoro indicato e lo straordinario asserito.
Il
Giudice del lavoro del Tribunale di Nocera Inferiore, con sentenza non
definitiva, emessa in data 3/10/97, respingeva le eccezioni di
prescrizione argomentando dal rilievo che il ricorrente aveva proposto
un precedente ricorso, notificato in data 12/9/94, poi dichiarato mallo,
e che la prescrizione non era decorsa in costanza di rapporto in quanto
non si era trattato di un rapporto "garantito".
Con
successiva sentenza definitiva in data 30/9/2004 il detto Giudice
accoglieva poi le domande relative al superiore inquadramento, allo
straordinario e a tutte le connesse differenze retributive e condannava
la SAPIS al pagamento di Euro 36.874,84 complessivi oltre interessi
rivalutazione e spese.
Avverso le dette sentenze la società proponeva appello lamentando:
la erroneità del rigetto dell'eccezione di nullità del ricorso introduttivo per violazione dell'art. 414 c.p.c.,
e dell'eccezione di prescrizione, la erroneità dell'inquadramento delle
mansioni svolte in quanto comunque riconducibili al livello (OMISSIS),
nonchè la erroneità dell'accertamento in ordine all'entità dello
straordinario svolto.
Si costituiva, dal canto suo, il F. e resisteva al gravame.
La
Corte di Appello di Salerno, con sentenza depositata il 10/11/2005, in
parziale accoglimento dell'appello, condannava la SAPIS al pagamento in
favore del F. della somma complessiva di Euro 14.613,00, in luogo di
quella liquidata dal primo giudice, confermava nel resto e compensava le
spese del grado.
In sintesi la Corte
territoriale respingeva il motivo di appello relativo alla asserita
nullità del ricorso di primo grado, risultando, in sostanza, possibile,
attraverso l'esame complessivo dell'atto, la individuazione esatta della
pretesa dell'attore e ben potendo il convenuto apprestare una compiuta
difesa.
Esclusa, poi, la configurabilità di
una prescrizione presuntiva (incompatibile con la contemporanea
proposizione della eccezione di prescrizione estintiva), ritenuta,
altresì, la applicabilità della prescrizione quinquennale in relazione a
tutte le voci di differenze retributive rivendicate e riconosciuto
l'effetto interruttivo della prescrizione alla notifica del precedente
ricorso (avvenuta in realtà il 6/5/1994 e non in data 12/9/94), la Corte
di Appello, in base all'analisi dei libri matricola, accertava che nei
periodi dal 1972 al 1983 e dal 1989 fino alla fine del rapporto la
società aveva avuto più di quindici dipendenti, mentre nel periodo
intermedio i dipendenti erano stati inferiori a tale numero.
Tanto
premesso, la Corte territoriale rilevava che fino al 1983 si era
verificata la prescrizione di ogni diritto (escluso il TFR che era
maturato alla fine del rapporto), mentre per i diritti maturati
successivamente "solo alla fine del rapporto, avvenuta l'(OMISSIS),
iniziavano a decorrere i cinque anni per attivare i diritti retributivi
relativi al periodo di tempo compreso tra il 1984 ed il 1989". In
sostanza la Corte affermava che "data la proposizione del primo ricorso
nel 1994 (notificato il 6/5/1994)" andavano "corrisposte le differenze
retributive relative agli anni 1984/1989 e, ovviamente l'intero TFR".
Infine
la Corte di merito riteneva applicabile nella specie il ccnl invocato
dall'attore in base alla "pacifica corresponsione di istituti di fonte
contrattuale (come la quattordicesima e gli arretrati da rinnovo CCNL)
come desumibili da ammissione della stessa SAPIS e dalle lettura degli
statini paga" e, sull'inquadramento delle mansioni concretamente svolte
confermava la fondatezza della tesi attorea.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la SAPIS con quattro motivi.
Il F. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'art. 414 c.p.c., e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c.,
nn. 3 e 5), lamenta il mancato accoglimento del motivo di appello
riguardante la nullità del ricorso di primo grado, deducendo che nella
memoria difensiva aveva denunciato "una generica enunciazione delle
mansioni svolte" e "una mancata indicazione del profilo professionale e
delle mansioni riconducibili al profilo stesso", laddove tali elementi
erano necessari per la domanda de qua (ancor più in considerazione del
rilevante importo della stessa).
Inoltre,
nella specie, la mancata specificazione dei detti elementi non era stata
sanata con la fissazione da parte del primo giudice di un termine ai
sensi dell'art. 164 c.p.c., comma 5.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Come
questa Corte ha più volte affermato "nel rito del lavoro la valutazione
di nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per
omessa determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata
esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui
essa si fonda, ravvisabile solo quando attraverso l'esame complessivo
dell'atto risulti impossibile l'individuazione esatta della pretesa del
ricorrente ed il resistente non possa apprestare una compiuta difesa,
implica una interpretazione dell'atto introduttivo della controversia
riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo
per vizi di motivazione, il che comporta l'esame non del ricorso
introduttivo ma delle ragioni esposte nella sentenza impugnata per
affermare che il ricorso stesso sia o meno affetto dal vizio denunciato"
(v. Cass. 16/1/2007 n. 820, Cass. 17/3/2005 n. 5879, Cass. 27/8/2004 n.
17076, Cass. 6/2/2004 n. 2304).
Nella specie
la Corte di Appello ha escluso che ricorresse la nullità della domanda,
avente per oggetto spettanze retributive, avendo l'attore "indicato il
periodo di attività lavorativa, l'orario di lavoro, l'inquadramento
ricevuto e l'inquadramento richiesto in base alla analitica descrizione
delle mansioni superiori svolte" ed avendo lo stesso attore inoltre
"specificato la somma da un lato complessivamente pretesa e dall'altro
parzialmente pretesa in relazione a ciascun titolo", con le "spettanze
singolarmente divise per categorie" ed altresì "con aggiunta di
formulazione di conteggi analitici".
Tale
decisione è, innanzitutto, pienamente conforme con il principio
affermato da questa Corte (v. Cass. 10/11/2003 n. 16855) in base al
quale "nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo
del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell'oggetto
della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle
ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente
l'omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è
necessario che attraverso l'esame complessivo dell'atto - che compete al
giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi
di motivazione - sia impossibile l'individuazione esatta della pretesa
dell'attore e il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa",
con la conseguenza che "la suddetta nullità deve essere esclusa
nell'ipotesi in cui la domanda abbia per oggetto spettanze retributive,
allorchè l'attore abbia indicato il periodo di attività lavorativa,
l'orario di lavoro, l'inquadramento ricevuto ed abbia altresì
specificato la somma complessivamente pretesa e i titoli in base ai
quali vengono richieste le spettanze, rimanendo irrilevante la mancata
formulazione di conteggi analitici" (nella specie anche presenti).
Del
resto la motivazione della Corte territoriale resiste ampiamente alla
censura della ricorrente, in quanto, come si legge nella narrativa della
stessa sentenza impugnata, il ricorso introduttivo conteneva, tra
l'altro, una accurata descrizione proprio delle mansioni svolte e del
livello di riferimento ("...operaio qualificato, addetto alla messa in
funzione, regolamentazione e alimentazione di cinque valvole, della
colonna distillatrice, della colonna depuratrice, della colonna di
rettifica, della colonnina demitilizzante e della colonnina per la
separazione degli oli amilici, alla messa in produzione delle materie
prime (vino, melassa e sidro) nella colonna distillatrice...,
all'estrazione dell'alcool dalla colonna di rettifica..., al controllo
degli scarichi..., al prelievo dell'alcool..., alla manutenzione
ordinaria dell'impianto", mansioni che "venivano previste per i
lavoratori inquadrati nel quarto livello (che svolgono attività
tecnico-pratica nelle operazioni di manutenzione e di conduzione, con le
necessarie regolazioni delle macchine per la lavorazione)..).
Peraltro
la ricorrente non può lamentare per la prima volta in questa sede la
mancata fissazione da parte del primo giudice di un termine ex art. 164 c.p.c., comma 5 (cfr. Cass. S.U. 17/6/2004 n. 11353).
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2946 e 2948 c.c.,
e vizio di motivazione, lamenta che erroneamente la Corte di Appello,
disattendendo il relativo motivo di gravame della società, ha ritenuto
che "non vi è differenza di regime giuridico tra le varie voci
rivendicate, da un lato, cioè, la indennità sostitutiva delle ferie e
quella per il mancato riposo e dall'altro la congerie delle differenze
semplici: le prime, pur avendo a base una ratio risarcitoria, non si
sottraggono al regime prescrizionale che riguarda tutte le differenze
retributive e che è previsto con unità di disciplina dall'art. 2948 c.c.".
Al
riguardo la ricorrente deduce che la indennità sostitutiva ferie e la
indennità per mancati riposi settimanali hanno natura risarcitoria e
sono soggette alla prescrizione ordinaria, che decorre durante il corso
del rapporto di lavoro.
Il motivo è fondato.
Come
più volte è stato affermato da questa Corte "l'indennità sostitutiva
delle ferie e dei riposi settimanali non goduti ha natura non retribuiva
ma risarcitoria e, pertanto, è soggetta alla prescrizione ordinaria
decennale, decorrente anche in pendenza del rapporto di lavoro" (v.
Cass. 16/7/1992 n. 8627, Cass. 13/3/1997 n. 2231, Cass. 29/8/1997 n.
8212, v. anche Cass. 24/12/1997 n. 13039, Cass. 7/3/2002 n. 3298).
Il
fondamento è pur sempre l'inadempimento contrattuale del datore di
lavoro di lavoro, che obbliga quest'ultimo (quando l'adempimento in
forma specifica sia divenuto impossibile) al risarcimento del danno, che
comprende, in primo luogo, la retribuzione dovuta per il lavoro
prestato nei giorni destinati alle ferie o al riposo (nonchè la
riparazione di eventuali ulteriori danni) e che soggiace alla
prescrizione ordinaria decennale prevista dall'art. 2946 c.c., e non già a quella quinquennale ex art. 2947 c.c.
(concernente la prescrizione del diritto al risarcimento del danno per
responsabilità aquiliana) (cfr. Cass. 27/4/1992 n. 5015, Cass. 6/6/1997
n. 5045, Cass. 4/12/1997 n. 12334).
Peraltro,
nella fattispecie, nella quale sono state riconosciute le differenze
relative agli anni 1984/1989, l'interesse della società ricorrente
deriva proprio dal decorso della prescrizione decennale durante il
rapporto di lavoro e, quindi - relativamente alle dette indennità -
anche nel periodo non garantito da stabilità, con conseguente
prescrizione dei crediti anteriori al 6/5/1984 (e cioè al decennio che
precede l'atto interruttivo, costituito, come accertato in sentenza,
dalla notifica, in data 6/5/1994, del primo ricorso, dichiarato nullo).
Sul punto va pertanto cassata la impugnata sentenza.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'art. 36 Cost., art. 1362 c.c., e segg., art. 2099 c.c.,
e vizio di motivazione, in sostanza lamenta che gli elementi esposti
nell'impugnata sentenza, per ritenere una applicazione di fatto della
contrattazione collettiva da parte del datore di lavoro, sarebbero
insufficienti, non risultando una applicazione di tutti gli istituti
contrattuali della riferita contrattazione.
Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato "i contratti collettivi di lavoro non dichiarati efficaci "erga omnes" ai sensi della L. n. 741 del 1959,
in quanto costituiscono atti di natura negoziale e privatistica, si
applicano esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra
soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti,
ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano fatto espressa
adesione ai patti collettivi e li abbiano implicitamente recepiti
attraverso un comportamento concludente, desumibile da una costante e
prolungata applicazione delle relative clausole ai singoli rapporti" (v.
Cass. 6/8/2003 n. 11875).
Con riferimento a
quest'ultima ipotesi è stato precisato che "non è sufficiente a
concretizzare un'adesione implicita, idonea a rendere applicabile
l'intero contratto collettivo, il semplice richiamo alle tabelle
salariali ivi contenute, nè la circostanza che il datore di lavoro abbia
proceduto all'applicazione di alcune clausole di tale contratto
contestandone invece esplicitamente altre" (v. Cass. 16/1/1996 n. 319,
Cass. 16/3/2001 n. 3813, Cass. 14/4/2001 n. 5596).
Orbene
la impugnata sentenza ha fondato la adesione implicita al contratto
collettivo sulla "pacifica corresponsione di istituti di fonte
contrattuale (come la quattordicesima e gli arretrati da rinnovo CCNL),
come desumibili da ammissione della stessa SAPIS e dalla lettura degli
statini paga" per il lungo periodo di lavoro intercorso.
Tale decisione è rispettosa del principio sopra richiamato e resiste alla censura della società ricorrente.
Al
riguardo, infatti, non si tratta soltanto di un richiamo alle tabelle
salariali e neppure si tratta della semplice corresponsione della
quattordicesima, bensì, anche, dell'espresso richiamo ad una voce
retributiva ("arretrati da rinnovo CCNL") che si riferisce, in sostanza,
al contratto collettivo nel suo complesso.
Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'art. 2908 c.c.
e della L. n. 692 del 1923, nonchè vizio di motivazione, in sostanza
lamenta che la Corte di Appello riconoscendo un orario di lavoro
ininterrotto ha "escluso di fatto la pausa pasto di un'ora al giorno,
affermata da alcuni testimoni e dedotta nel motivo di appello".
La censura è inammissibile.
In
primo luogo deve ribadirsi l'indirizzo consolidato in base al quale "la
valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio
sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di
altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle
ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti
di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a
fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di
altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del
proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo
elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi
implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non
menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la
decisione adottata" (v. Cass. 9/4/2001 n. 5231, Cass. 15/4/2004 n. 7201,
Cass. 7/8/2003 n. 11933, Cass. 5/10/2006 n. 21412).
Sul
punto, poi, la sentenza impugnata, "sulla base delle prove testimoniali
che descrivono quasi all'unanimità un orario di lavoro estremamente
prolungato e degli stessi statini delle presenze", ha accertato in fatto
che il F. seguiva un "orario di lavoro dalle 7.00 alle 19.00, tutti i
giorni, compresa la domenica, tranne che per un periodo di quattro mesi
all'anno, in cui egli aveva lavorato 10 ore al giorno per sei giorni
alla settimana".
A fronte di tale
accertamento, prettamente di merito, la ricorrente invoca la
interruzione di un'ora per il pasto "affermata da alcuni testimoni",
senza, peraltro, in alcun modo indicare e tanto meno riportare le
relative testimonianze che sarebbero state trascurate dalla Corte di
merito.
Al riguardo ripetutamente questa Corte
ha affermato il principio secondo cui "il ricorrente che denuncia sotto
il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo
della controversia, l'omessa o erronea valutazione delle risultanze
istruttorie ha l'onere di indicarne specificamente il contenuto" (v. fra
le altre Cass. sez. 1^, 17/7/2007 n. 15952, Cass. 20/2/2003 n. 2527,
Cass. 25/8/2003 n. 12468, Cass. sez. 3^, 20/10/2005 n. 2032), essendo
"necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il
controllo della decisività della risultanza non valutata (o
insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante
integrale trascrizione della medesima, la risultanza che egli asserisce
decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo
tale specificazione consente alla Corte di Cassazione, alla quale è
precluso l'esame diretto degli atti, di delibare la decisività della
medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in
meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti" (v. Cass. sez.
3^, 24/5/2006 n. 12362, Cass. sez. 3^, 26/6/2007 n. 14751, Cass. sez.
3^, 26/6/2007 n. 14767).
Infine, così accolto
il secondo motivo e respinti gli altri, va cassata la impugnata sentenza
in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di
Napoli, la quale provvederà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La
Corte accoglie il secondo motivo, rigetta gli altri, cassa la impugnata
sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese,
alla Corte di Appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2009
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