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sabato 22 novembre 2014

Cassazione: il diritto all'indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali si prescrive in dieci anni - perché deriva da inadempimento contrattuale



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il diritto all'indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali si prescrive in dieci anni -
perché deriva da inadempimento contrattuale (cassazione sezione lavoro n. 9999 del 29 aprile 2009, pres. de luca, rel. nobile).



LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 29-04-2009, n. 9999

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo


Con ricorso del 10/4/1996 F.F., premesso di aver lavorato come operaio qualificato, svolgendo le mansioni indicate, alle dipendenze della SAPIS s.p.a. dal 1/7/1972 al 1/6/1989, con l'orario indicato, e di aver percepito una paga inferiore a quella sindacale, rivendicava le relative differenze retributive rispetto al quarto livello, secondo il ccnl, nonchè ulteriori differenze a titolo di festività, lavoro festivo, festività abolite, 14^ mensilità, 13^ mensilità, straordinario, straordinario festivo, ferie non godute e TFR, il tutto come da conteggio allegato.
Chiedeva, quindi, la condanna della società convenuta al pagamento delle differenze retributive come specificate, ovvero di quella diversa somma che fosse emersa all'esito del giudizio.
La SAPIS si costituiva eccependo in via preliminare la inammissibilità e la improcedibilità del ricorso introduttivo per assoluta indeterminatezza delle circostanze di fatto e di diritto, nonchè per carente indicazione dei riferimenti normativi di settore.
La convenuta eccepiva inoltre di non essere iscritta ad alcuna associazione sindacale di categoria stipulante, di non essere perciò soggetta all'applicazione del CCNL invocato e che era intervenuta prescrizione quinquennale dei crediti retributivi ex art. 2948 c.c., perchè la notifica del ricorso, primo atto interruttivo, era avvenuta in data (OMISSIS) e quindi oltre cinque anni dalla fine del rapporto di lavoro. In ogni caso eccepiva la prescrizione ex art. 2948 c.c., di tutte le pretese maturate anteriormente al giugno 1983, avendo la società fino a quella data occupato sempre più di 15 dipendenti, mentre dal (OMISSIS) i dipendenti erano stati nuovamente più di quindici (con organico attuale di 22).
La convenuta, inoltre, eccepiva la prescrizione presuntiva di un anno ex art. 2955 c.c., avendo il ricorrente accettato le buste paga, e la prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 c.c., per eventuali ma insussistenti diritti di natura economica e/o normativa, primi tra tutti quelli inerenti alla superiore qualifica (livello (OMISSIS)) rivendicata.
La società aggiungeva, poi, che il TFR era stato liquidato in ragione dell'inquadramento da ultimo rivestito e che le mansioni svolte dal F. erano esecutive, per cui corretto era l'inquadramento attribuitogli nel (OMISSIS) livello.
La convenuta contestava, infine, l'orario di lavoro indicato e lo straordinario asserito.
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Nocera Inferiore, con sentenza non definitiva, emessa in data 3/10/97, respingeva le eccezioni di prescrizione argomentando dal rilievo che il ricorrente aveva proposto un precedente ricorso, notificato in data 12/9/94, poi dichiarato mallo, e che la prescrizione non era decorsa in costanza di rapporto in quanto non si era trattato di un rapporto "garantito".
Con successiva sentenza definitiva in data 30/9/2004 il detto Giudice accoglieva poi le domande relative al superiore inquadramento, allo straordinario e a tutte le connesse differenze retributive e condannava la SAPIS al pagamento di Euro 36.874,84 complessivi oltre interessi rivalutazione e spese.
Avverso le dette sentenze la società proponeva appello lamentando:
la erroneità del rigetto dell'eccezione di nullità del ricorso introduttivo per violazione dell'art. 414 c.p.c., e dell'eccezione di prescrizione, la erroneità dell'inquadramento delle mansioni svolte in quanto comunque riconducibili al livello (OMISSIS), nonchè la erroneità dell'accertamento in ordine all'entità dello straordinario svolto.
Si costituiva, dal canto suo, il F. e resisteva al gravame.
La Corte di Appello di Salerno, con sentenza depositata il 10/11/2005, in parziale accoglimento dell'appello, condannava la SAPIS al pagamento in favore del F. della somma complessiva di Euro 14.613,00, in luogo di quella liquidata dal primo giudice, confermava nel resto e compensava le spese del grado.
In sintesi la Corte territoriale respingeva il motivo di appello relativo alla asserita nullità del ricorso di primo grado, risultando, in sostanza, possibile, attraverso l'esame complessivo dell'atto, la individuazione esatta della pretesa dell'attore e ben potendo il convenuto apprestare una compiuta difesa.
Esclusa, poi, la configurabilità di una prescrizione presuntiva (incompatibile con la contemporanea proposizione della eccezione di prescrizione estintiva), ritenuta, altresì, la applicabilità della prescrizione quinquennale in relazione a tutte le voci di differenze retributive rivendicate e riconosciuto l'effetto interruttivo della prescrizione alla notifica del precedente ricorso (avvenuta in realtà il 6/5/1994 e non in data 12/9/94), la Corte di Appello, in base all'analisi dei libri matricola, accertava che nei periodi dal 1972 al 1983 e dal 1989 fino alla fine del rapporto la società aveva avuto più di quindici dipendenti, mentre nel periodo intermedio i dipendenti erano stati inferiori a tale numero.
Tanto premesso, la Corte territoriale rilevava che fino al 1983 si era verificata la prescrizione di ogni diritto (escluso il TFR che era maturato alla fine del rapporto), mentre per i diritti maturati successivamente "solo alla fine del rapporto, avvenuta l'(OMISSIS), iniziavano a decorrere i cinque anni per attivare i diritti retributivi relativi al periodo di tempo compreso tra il 1984 ed il 1989". In sostanza la Corte affermava che "data la proposizione del primo ricorso nel 1994 (notificato il 6/5/1994)" andavano "corrisposte le differenze retributive relative agli anni 1984/1989 e, ovviamente l'intero TFR".
Infine la Corte di merito riteneva applicabile nella specie il ccnl invocato dall'attore in base alla "pacifica corresponsione di istituti di fonte contrattuale (come la quattordicesima e gli arretrati da rinnovo CCNL) come desumibili da ammissione della stessa SAPIS e dalle lettura degli statini paga" e, sull'inquadramento delle mansioni concretamente svolte confermava la fondatezza della tesi attorea.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la SAPIS con quattro motivi.
Il F. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione


Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'art. 414 c.p.c., e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamenta il mancato accoglimento del motivo di appello riguardante la nullità del ricorso di primo grado, deducendo che nella memoria difensiva aveva denunciato "una generica enunciazione delle mansioni svolte" e "una mancata indicazione del profilo professionale e delle mansioni riconducibili al profilo stesso", laddove tali elementi erano necessari per la domanda de qua (ancor più in considerazione del rilevante importo della stessa).
Inoltre, nella specie, la mancata specificazione dei detti elementi non era stata sanata con la fissazione da parte del primo giudice di un termine ai sensi dell'art. 164 c.p.c., comma 5.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato "nel rito del lavoro la valutazione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per omessa determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui essa si fonda, ravvisabile solo quando attraverso l'esame complessivo dell'atto risulti impossibile l'individuazione esatta della pretesa del ricorrente ed il resistente non possa apprestare una compiuta difesa, implica una interpretazione dell'atto introduttivo della controversia riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione, il che comporta l'esame non del ricorso introduttivo ma delle ragioni esposte nella sentenza impugnata per affermare che il ricorso stesso sia o meno affetto dal vizio denunciato" (v. Cass. 16/1/2007 n. 820, Cass. 17/3/2005 n. 5879, Cass. 27/8/2004 n. 17076, Cass. 6/2/2004 n. 2304).
Nella specie la Corte di Appello ha escluso che ricorresse la nullità della domanda, avente per oggetto spettanze retributive, avendo l'attore "indicato il periodo di attività lavorativa, l'orario di lavoro, l'inquadramento ricevuto e l'inquadramento richiesto in base alla analitica descrizione delle mansioni superiori svolte" ed avendo lo stesso attore inoltre "specificato la somma da un lato complessivamente pretesa e dall'altro parzialmente pretesa in relazione a ciascun titolo", con le "spettanze singolarmente divise per categorie" ed altresì "con aggiunta di formulazione di conteggi analitici".
Tale decisione è, innanzitutto, pienamente conforme con il principio affermato da questa Corte (v. Cass. 10/11/2003 n. 16855) in base al quale "nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente l'omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che attraverso l'esame complessivo dell'atto - che compete al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione - sia impossibile l'individuazione esatta della pretesa dell'attore e il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa", con la conseguenza che "la suddetta nullità deve essere esclusa nell'ipotesi in cui la domanda abbia per oggetto spettanze retributive, allorchè l'attore abbia indicato il periodo di attività lavorativa, l'orario di lavoro, l'inquadramento ricevuto ed abbia altresì specificato la somma complessivamente pretesa e i titoli in base ai quali vengono richieste le spettanze, rimanendo irrilevante la mancata formulazione di conteggi analitici" (nella specie anche presenti).
Del resto la motivazione della Corte territoriale resiste ampiamente alla censura della ricorrente, in quanto, come si legge nella narrativa della stessa sentenza impugnata, il ricorso introduttivo conteneva, tra l'altro, una accurata descrizione proprio delle mansioni svolte e del livello di riferimento ("...operaio qualificato, addetto alla messa in funzione, regolamentazione e alimentazione di cinque valvole, della colonna distillatrice, della colonna depuratrice, della colonna di rettifica, della colonnina demitilizzante e della colonnina per la separazione degli oli amilici, alla messa in produzione delle materie prime (vino, melassa e sidro) nella colonna distillatrice..., all'estrazione dell'alcool dalla colonna di rettifica..., al controllo degli scarichi..., al prelievo dell'alcool..., alla manutenzione ordinaria dell'impianto", mansioni che "venivano previste per i lavoratori inquadrati nel quarto livello (che svolgono attività tecnico-pratica nelle operazioni di manutenzione e di conduzione, con le necessarie regolazioni delle macchine per la lavorazione)..).
Peraltro la ricorrente non può lamentare per la prima volta in questa sede la mancata fissazione da parte del primo giudice di un termine ex art. 164 c.p.c., comma 5 (cfr. Cass. S.U. 17/6/2004 n. 11353).
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2946 e 2948 c.c., e vizio di motivazione, lamenta che erroneamente la Corte di Appello, disattendendo il relativo motivo di gravame della società, ha ritenuto che "non vi è differenza di regime giuridico tra le varie voci rivendicate, da un lato, cioè, la indennità sostitutiva delle ferie e quella per il mancato riposo e dall'altro la congerie delle differenze semplici: le prime, pur avendo a base una ratio risarcitoria, non si sottraggono al regime prescrizionale che riguarda tutte le differenze retributive e che è previsto con unità di disciplina dall'art. 2948 c.c.".
Al riguardo la ricorrente deduce che la indennità sostitutiva ferie e la indennità per mancati riposi settimanali hanno natura risarcitoria e sono soggette alla prescrizione ordinaria, che decorre durante il corso del rapporto di lavoro.
Il motivo è fondato.
Come più volte è stato affermato da questa Corte "l'indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti ha natura non retribuiva ma risarcitoria e, pertanto, è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, decorrente anche in pendenza del rapporto di lavoro" (v. Cass. 16/7/1992 n. 8627, Cass. 13/3/1997 n. 2231, Cass. 29/8/1997 n. 8212, v. anche Cass. 24/12/1997 n. 13039, Cass. 7/3/2002 n. 3298).
Il fondamento è pur sempre l'inadempimento contrattuale del datore di lavoro di lavoro, che obbliga quest'ultimo (quando l'adempimento in forma specifica sia divenuto impossibile) al risarcimento del danno, che comprende, in primo luogo, la retribuzione dovuta per il lavoro prestato nei giorni destinati alle ferie o al riposo (nonchè la riparazione di eventuali ulteriori danni) e che soggiace alla prescrizione ordinaria decennale prevista dall'art. 2946 c.c., e non già a quella quinquennale ex art. 2947 c.c. (concernente la prescrizione del diritto al risarcimento del danno per responsabilità aquiliana) (cfr. Cass. 27/4/1992 n. 5015, Cass. 6/6/1997 n. 5045, Cass. 4/12/1997 n. 12334).
Peraltro, nella fattispecie, nella quale sono state riconosciute le differenze relative agli anni 1984/1989, l'interesse della società ricorrente deriva proprio dal decorso della prescrizione decennale durante il rapporto di lavoro e, quindi - relativamente alle dette indennità - anche nel periodo non garantito da stabilità, con conseguente prescrizione dei crediti anteriori al 6/5/1984 (e cioè al decennio che precede l'atto interruttivo, costituito, come accertato in sentenza, dalla notifica, in data 6/5/1994, del primo ricorso, dichiarato nullo).
Sul punto va pertanto cassata la impugnata sentenza.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'art. 36 Cost., art. 1362 c.c., e segg., art. 2099 c.c., e vizio di motivazione, in sostanza lamenta che gli elementi esposti nell'impugnata sentenza, per ritenere una applicazione di fatto della contrattazione collettiva da parte del datore di lavoro, sarebbero insufficienti, non risultando una applicazione di tutti gli istituti contrattuali della riferita contrattazione.
Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato "i contratti collettivi di lavoro non dichiarati efficaci "erga omnes" ai sensi della L. n. 741 del 1959, in quanto costituiscono atti di natura negoziale e privatistica, si applicano esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti, ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano fatto espressa adesione ai patti collettivi e li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente, desumibile da una costante e prolungata applicazione delle relative clausole ai singoli rapporti" (v. Cass. 6/8/2003 n. 11875).
Con riferimento a quest'ultima ipotesi è stato precisato che "non è sufficiente a concretizzare un'adesione implicita, idonea a rendere applicabile l'intero contratto collettivo, il semplice richiamo alle tabelle salariali ivi contenute, nè la circostanza che il datore di lavoro abbia proceduto all'applicazione di alcune clausole di tale contratto contestandone invece esplicitamente altre" (v. Cass. 16/1/1996 n. 319, Cass. 16/3/2001 n. 3813, Cass. 14/4/2001 n. 5596).
Orbene la impugnata sentenza ha fondato la adesione implicita al contratto collettivo sulla "pacifica corresponsione di istituti di fonte contrattuale (come la quattordicesima e gli arretrati da rinnovo CCNL), come desumibili da ammissione della stessa SAPIS e dalla lettura degli statini paga" per il lungo periodo di lavoro intercorso.
Tale decisione è rispettosa del principio sopra richiamato e resiste alla censura della società ricorrente.
Al riguardo, infatti, non si tratta soltanto di un richiamo alle tabelle salariali e neppure si tratta della semplice corresponsione della quattordicesima, bensì, anche, dell'espresso richiamo ad una voce retributiva ("arretrati da rinnovo CCNL") che si riferisce, in sostanza, al contratto collettivo nel suo complesso.
Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'art. 2908 c.c. e della L. n. 692 del 1923, nonchè vizio di motivazione, in sostanza lamenta che la Corte di Appello riconoscendo un orario di lavoro ininterrotto ha "escluso di fatto la pausa pasto di un'ora al giorno, affermata da alcuni testimoni e dedotta nel motivo di appello".
La censura è inammissibile.
In primo luogo deve ribadirsi l'indirizzo consolidato in base al quale "la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata" (v. Cass. 9/4/2001 n. 5231, Cass. 15/4/2004 n. 7201, Cass. 7/8/2003 n. 11933, Cass. 5/10/2006 n. 21412).
Sul punto, poi, la sentenza impugnata, "sulla base delle prove testimoniali che descrivono quasi all'unanimità un orario di lavoro estremamente prolungato e degli stessi statini delle presenze", ha accertato in fatto che il F. seguiva un "orario di lavoro dalle 7.00 alle 19.00, tutti i giorni, compresa la domenica, tranne che per un periodo di quattro mesi all'anno, in cui egli aveva lavorato 10 ore al giorno per sei giorni alla settimana".
A fronte di tale accertamento, prettamente di merito, la ricorrente invoca la interruzione di un'ora per il pasto "affermata da alcuni testimoni", senza, peraltro, in alcun modo indicare e tanto meno riportare le relative testimonianze che sarebbero state trascurate dalla Corte di merito.
Al riguardo ripetutamente questa Corte ha affermato il principio secondo cui "il ricorrente che denuncia sotto il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, l'omessa o erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l'onere di indicarne specificamente il contenuto" (v. fra le altre Cass. sez. 1^, 17/7/2007 n. 15952, Cass. 20/2/2003 n. 2527, Cass. 25/8/2003 n. 12468, Cass. sez. 3^, 20/10/2005 n. 2032), essendo "necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione, alla quale è precluso l'esame diretto degli atti, di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti" (v. Cass. sez. 3^, 24/5/2006 n. 12362, Cass. sez. 3^, 26/6/2007 n. 14751, Cass. sez. 3^, 26/6/2007 n. 14767).
Infine, così accolto il secondo motivo e respinti gli altri, va cassata la impugnata sentenza in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Napoli, la quale provvederà anche sulle spese di legittimità.

P.Q.M.


La Corte accoglie il secondo motivo, rigetta gli altri, cassa la impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2009

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