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La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 15752/2009) ha stabilito che non è lecito ‘trattare male’ il dipendente che è solito polemizzare su tutto e, il datore di lavoro che...
INGIURIA E DIFFAMAZIONE
Cass. pen. Sez. V, (ud. 24-03-2009) 15-04-2009, n. 15752
Cass. pen. Sez. V, (ud. 24-03-2009) 15-04-2009, n. 15752
Svolgimento del processo
-
Che con l'impugnata sentenza, in riforma di quella di condanna
pronunciata dal tribunale di Trani il 16 maggio 2007, P.M. L. fu assolta
con la formula "il fatto non costituisce reato" dall'addebito di
diffamazione in danno di D.M.G., che le era stato contestato per avere,
nella qualità di capo del Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN)
del comune di (OMISSIS), inviato, il (OMISSIS), al D.M., dirigente
medico di detto servizio, e ad altri soggetti, una nota nella quale, con
riferimento ad una precedente richiesta di chiarimenti avanzata in data
30 ottobre 2001 dallo stesso D. M. relativamente a vere o presunte
inosservanze a lui addebitate di procedure amministrative nell'ambito
dell'attività d'istituto, si affermava, tra l'altro, che: "l'insistenza
con cui la S.V. chiede precisazioni e linee operative su argomenti che
sono già stato oggetto di comunicazioni da parte degli scriventi, e che
non appaiono poi così difficili a capirsi, lascia spazio a valutazioni
poco lusinghiere sulla Sua idoneità a ricoprire il ruolo affidatole.
Così
come non appare per nulla consono, tanto al Suo ruolo quanto a quello
dei destinatari della Sua nota, il tono perentorio e ultimativo colà
utilizzato";
- che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la costituita parte civile D.M.G., denunciando:
1) inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 603 c.p.p., in relazione all'art. 191 c.p.p.,
per avere la Corte d'appello indebitamente acquisito, per quindi
attribuirgli altrettanto indebita rilevanza ai fini del decidere, un
documento costituito da una protesta scritta inviata il (OMISSIS) da
un'organizzazione sindacale al direttore generale della ASL per i
comportamenti del D. M.; documento di data precedente a quella della
sentenza di primo grado e comunque - si sostiene - privo di alcun
rapporto con i fatti di cui è causa;
2) errata applicazione ed interpretazione dell'art. 595 c.p.,
per avere la Corte d'appello ritenuto giustificate le espressioni
contenute nella nota del 9 novembre 2001 sulla sola base della ritenuta
addebitabilità al D.M. dei rapporti conflittuali che si erano creati tra
lui e la dott.ssa P.;
3) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all'art. 192 c.p.p., comma 1, e art. 546 c.p.p.,
comma 1, lett. e), per non avere il giudice d'appello, nel discostarsi
radicalmente dalla decisione assunta da quello di primo grado, adempiuto
all'onere di prendere in esame, confutandoli, i passaggi argomentativi
posti a base di detta decisione, per fondarsi, invece, sull'indebito e
apodittico rilievo, funzionale al ritenuto carattere provocatorio della
missiva del D.M. cui la P. aveva risposto con quella del (OMISSIS),
secondo cui tutto sarebbe nato dal carattere dello stesso D.M.,
presentato come persone sofferente di vittimismo, portata alla polemica
ed incapace di instaurare rapporti d'ufficio sereni e fattivi.
Motivi della decisione
-
Che il ricorso appare meritevole, per quanto di ragione, di
accoglimento, in quanto, prescindendo dal rilievo, in verità non
determinante, attribuito dalla Corte di merito al documento cui si
riferisce il primo motivo di ricorso, quello che deve ritenersi in
effetti censurabile, in linea con quanto lamentato nel secondo e nel
terzo motivo, è l'avvenuto riconoscimento, a fronte della non negata
offensività delle espressioni contenute nella lettera incriminata, della
valenza sostanzialmente scriminante che avrebbe assunto il pregresso
comportamento del D.M., culminato nell'asseritamente pretestuosa
richiesta di chiarimenti cui, con la lettera anzidetta, era stata data
risposta, senza che, peraltro, risulti neppure ben chiarito il
ragionamento giuridico in base al quale si era pervenuti alla suddetta
conclusione, facendosi riferimento, nella parte conclusiva
dell'impugnata sentenza, prima alla pretesa assenza di una "precisa
volontà offensiva" e poi ad un "pregresso comportamento provocatorio"
della persona offesa;
riferimenti, questi, con
riguardo ai quali va osservato, relativamente alla volontà offensiva,
che non risulta in alcun modo specificato per quale ragione essa non
potesse desumersi, contrariamente all'evidenza, dal letterale tenore
delle espressioni adoperate (di cui peraltro si riconosce, nella stessa
impugnata sentenza, il carattere "poco opportuno"); relativamente al
"pregresso comportamento provocatorio", come tale suscettibile di
giuridica rilevanza solo ai sensi dell'art. 599 c.p., comma 2,
che, potendosi in ipotesi individuare il "fatto ingiusto" solo nel
contenuto e nel tono della missiva inviata il (OMISSIS) alla P. dal D.M.
e non certo (come invece sembrerebbe da certi passaggi dell'impugnata
sentenza) nel carattere generalmente polemico mostrato dal D.M. nei
rapporti d'ufficio, non risulta minimamente presa in considerazione, da
parte del giudice d'appello, l'esigenza posta dalla norma, con l'inciso
"subito dopo di esso", della contiguità cronologica tra il "fatto
ingiusto" e lo "stato d'ira" ad esso conseguente; il che appare tanto
più grave in quanto, stando alla ricostruzione dei fatti offerta
dall'impugnata sentenza, tra l'invio della nota del D.M. alla P. e la
risposta di quest'ultima sarebbero passati ben nove giorni;
-
che, alla stregua della suesposte considerazioni, deve quindi darsi
luogo ad annullamento dell'impugnata sentenza, ai soli effetti civili,
con rinvio, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., al giudice civile
competente per valore in grado di appello, il quale, nella massima
libertà di valutazione degli elementi di fatto acquisiti o che venissero
acquisiti, dovrà tuttavia decidere sulle pretese risarcitorie del D.M.
evitando di incorrere nella segnalate carenze motivazionali che hanno
caratterizzato la sentenza annullata;
- che,
con riguardo alle spese relative al presente grado di giudizio, sulle
stesse dovrà provvedere lo stesso giudice civile in sede di definizione
del giudizio.
P.Q.M.
La
Corte annulla, ai soli effetti civili, la sentenza impugnata, con
rinvio, per nuovo esame, al giudice civile competente per valore in
grado di appello. Spese al definitivo.
Così deciso in Roma, il 24 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2009
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