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INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. civ. Sez. lavoro, 10-09-2009, n. 19494
Cass. civ. Sez. lavoro, 10-09-2009, n. 19494
Svolgimento del processo
1.
Con ricorso depositato il 7.1.1997 l'Inail, in persona del legale
rappresentante pro tempore, adiva il giudice unico del lavoro del
Tribunale di Verona chiedendo la condanna dell'Azienda Agricola C.A., in
persona dell'omonimo titolare, al rimborso in proprio favore della
somma di L. 279.691.116, erogata a titolo di prestazioni previdenziali
agli eredi di P.A., deceduto in conseguenza dell'infortunio sul lavoro
del (OMISSIS), previo accertamento della responsabilità della suddetta
azienda nella causazione di tale infortunio.
Esponeva
l'Istituto che erano imputabili alla ditta datrice di lavoro numerose
violazioni di norme di prevenzione antinfortunistica, nonchè dell'art. 2087 c.c.; che il fatto costituiva reato e che sussisteva la responsabilità dell'azienda convenuta D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ex artt. 10 e 11.
Si
costituiva ritualmente la ditta resistente chiedendo il rigetto del
ricorso e contestando le pretese avversarie. Chiedeva preliminarmente la
chiamata in causa della Assicurazioni FATA s.p.a. ai sensi degli artt. 32 e 106 c.p.c.. Esponeva, nel merito, che l'infortunio era stato causato unicamente dal comportamento imprudente del lavoratore.
Veniva
autorizzata la chiamata in causa della FATA s.p.a., che si costituiva
ritualmente chiedendo il rigetto delle domande avversarie, associandosi
alle argomentazioni della parte resistente.
Dopo
l'assunzione della prova per testi, all'udienza del 21.2.2002 il
giudice unico del lavoro del Tribunale di Verona, all'esito della
discussione orale, decideva la causa con sentenza 21.2.2002 - 20.1.2003
n. 116 respingendo il ricorso con la compensazione delle spese di lite
tra tutte le parti.
2.
Con ricorso depositato il 23.4.2003 l'Inail proponeva appello avverso
la citata sentenza chiedendo l'accoglimento dell'originaria domanda.
Si costituiva l'Azienda Agricola C. chiedendo rigettarsi l'appello della controparte.
A
seguito di ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti
della FATA s.p.a., si costituiva anche tale parte associandosi alle
argomentazioni difensive della ditta datrice di lavoro e facendo
rilevare, in denegata ipotesi di accoglimento dell'appello, di essere
tenuta a manlevare la ditta C. solo nei limiti del massimale di polizza.
Con
sentenza del 18 gennaio - 18 febbraio 2005 la Corte d'appello di
Venezia dichiarava l'Azienda Agricola C.A., in persona dell'omonimo
titolare, responsabile dell'infortunio occorso in data (OMISSIS) al sig.
P.A. e per l'effetto condannava la suddetta ditta al rimborso in favore
dell'Inail della somma di Euro 144.448,40, oltre interessi legali dalla
messa in mora (30.9.1993) fino al saldo. Accoglieva poi la domanda di
manleva proposta dall'Azienda Agricola C.A. nei confronti di FATA s.p.a.
e condannava detta ultima società, in persona del legale rappresentante
pro tempore, a tenere indenne l'Azienda Agricola C.A. di quanto era
stata condannata a pagare all'Inail nei limiti del massimale di polizza.
Condanna l'Azienda Agricola C. alla rifusione in favore dell'Inail
delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
In
particolare la sentenza escludeva che la condotta del P. potesse essere
considerata abnorme, imprevedibile ed assolutamente inopinabile.
3. Avvero questa pronuncia propone ricorso per Cassazione l'Azienda agricola con due motivi.
Resistono con controricorso l'INAIL. La società FATA non ha svolto difesa alcuna.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è articolato in due motivi.
Con il primo motivo di ricorso l'odierna ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di norma di diritto (art. 2087 c.c.) nonchè contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c.,
nn. 3 e 5). La ricorrente, partendo dalla considerazione che la Corte
d'appello ha ritenuto "normale" il comportamento dell'infortunato e da
tale erronea convinzione ha dedotto la responsabilità datoriale, afferma
che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in palese contraddizione sia
sotto il profilo logico-formale che della correttezza giuridica, nonchè
del travisamento dei fatti. A giudizio della ricorrente la Corte avrebbe
erroneamente considerato "normale" il comportamento del lavoratore
sulla base della considerazione essenziale che l'utilizzo in posizione
obliqua del carro miscelatore - dessilatore fosse altrettanto normale
presso l'Azienda C., e proprio in tale convincimento risiederebbe
l'erroneità della sentenza che, partendo da un presupposto non
dimostrato, o comunque errato sotto il profilo logico - giuridico,
sarebbe pervenuta poi ad una conclusione appunto errata.
Con il secondo motivo l'odierna ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l'erronea applicazione dell'art. 1227 c.c.,
deducendo in particolare il concorso di colpa del dipendente che, al
momento dell'infortunio, indossava una sciarpa, contrariamente alle
indicazioni dell'azienda che avrebbe raccomandato ai lavoratori di non
indossare indumenti che potessero impigliarsi nei macchinari utilizzati.
2. Il ricorso - i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente - è infondato.
I motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente almeno in parte, stante la loro connessione.
La
Corte territoriale, con tipica valutazione di merito di apprezzamento
delle risultanze processuali, ha accertato che il lavoratore, al momento
dell'infortunio, stava svolgendo le sue mansioni abituali secondo le
modalità consuete, eseguendo la fase di carico di un carro agricolo;
carro questo che era venuto a trovarsi con la parte anteriore rialzata e
con l'albero cardanico in posizione obliqua. Proprio in conseguenza di
tale posizione, si era creata un'apertura tra il cono di protezione
dell'albero stesso e lo schermo - cuffia di protezione applicato sul
carro ed era divenuta accessibile la parte, in rotazione, del giunto
cardanico con il pulsante di aggancio.
Il
P. si era avvicinato all'albero cardanico, in prossimità della zona in
cui erano presenti sia le leve di comando del carro, sia il display per
la programmazione della bilancia e/o delle altre parti meccaniche; così
facendo, la sciarpa che il P. indossava si era infilata nell'apertura
accessibile, era stata presa dalla parte rotante del giunto cardanico ed
aveva causato la morte per strangolamento del lavoratore.
Nello
svolgimento di questa attività - ha accertato la Corte territoriale -
l'uso della sciarpa, che aveva provocato lo strangolamento, era
risultato tollerato dal datore di lavoro.
Immune
da vizi logici è quindi la pronuncia della Corte d'appello nella parte
in cui ha ritenuto che il datore di lavoro sia responsabile
dell'infortunio occorso al lavoratore per aver omesso di controllare e
vigilare che di tali misure si fosse fatto effettivamente uso da parte
del dipendente, non assumendo alcun valore esimente per l'imprenditore
l'eventuale concorso di colpa del lavoratore e potendo configurarsi un
esonero da responsabilità per il datore di lavoro solo quando il
comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità e
dell'assoluta inopinabilità.
Quindi
l'eventuale colpa del lavoratore, dovuta ad imprudenza, negligenza o
imperizia, non elimina quella del datore di lavoro, sul quale incombe
l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il
danno, non essendo sufficiente un semplice concorso di colpa del
lavoratore per interrompere il nesso di causalità.
Nella
specie la Corte d'appello ha valutato che la condotta del P. non era in
alcun modo configurabile come abnorme, imprevedibile e assolutamente
inopinabile, oppure come rischio elettivo, generato da attività non
avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti
di esso. Il lavoratore stava eseguendo le ordinarie mansioni
assegnategli, senza che gli fosse stata vietata espressamente
l'operazione con quelle modalità, laddove il posizionamento in obliquo
del carro era evenienza non solo possibile ma anche probabile, per
effetto delle caratteristiche costruttive del mezzo. Quest'ultimo
avrebbe dovuto essere munito delle protezioni anche per la posizione
obliqua ed invece si creava una fessura che rendeva la zona pericolosa
non completamente protetta.
La
sentenza impugnata perviene quindi all'accoglimento dell'appello
dell'INAIL all'esito di un accertamento di fatto che risulta
incensurabile, sotto l'unico profilo, deducibile in sede di legittimità,
quello del vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).
Invero
- come questa Corte ha più volte affermato - la denuncia di un vizio di
motivazione in fatto della sentenza, impugnata con ricorso per
Cassazione (ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5) - vizio nel
quale si traduce anche la mancata ammissione di un mezzo istruttorio,
nonchè l'omessa od erronea valutazione di alcune risultanze probatorie -
non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare
autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al
suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della
correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, le
argomentazioni - svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via
esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito della insindacabile
selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento - con la
conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere dall'esame del
ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza
impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel
ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o
insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati
dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile
contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non
consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a
base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e
significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da
lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi
elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti,
nè, comunque, una diversa valutazione dei medesimi fatti.
3. Il ricorso va quindi rigettato.
Alla
soccombenza consegue la condanna della società ricorrente al pagamento
delle spese processuali di questo giudizio di cassazione in favore
dell'INAIL nella misura liquidata in dispositivo; nulla invece sulle
spese per l'altra parte intimata non costituita.
P.Q.M.
LA
CORTE Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle
spese di questo giudizio di cassazione, in favore dell'INAIL, liquidate
in Euro 30,00 oltre Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorario d'avvocato
ed oltre IVA, CPA e spese generali;
nulla per la parte intimata non costituita.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2009
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