Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell'art.
335 c.p.c. dei due ricorsi,
principale ed incidentale, perchè proposti avverso la medesima sentenza.
Col primo motivo di gravame il ricorrente principale lamenta violazione o falsa
applicazione di norme di diritto per non avere la Corte d'appello tenuto conto,
nella individuazione del responsabile della sicurezza, della circostanza che la
normativa concernente l'adozione di misure necessaire a tutelare l'integrità
fisica era applicabile anche nei confronti del committente, e quindi della "B(Lpd)
s.p.a.", e del suo responsabile per la sicurezza P.G., atteso che quest'ultimo
controllava quotidianamente nell'interesse della società l'esecuzione dei
lavori.
Col secondo motivo di gravame il ricorrente principale lamenta omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla circostanza relativa
alla richiesta, dallo stesso formulata, di escussione del teste Pa.Br., il quale
avrebbe potuto confermare che il personale della società committente, e quindi
il P., ispezionava quotidianamente il cantiere e le attrezzature a disposizione
della società appaltatrice.
Col primo motivo del ricorso incidentale la società "F.lli (Lpd) s.n.c." lamenta
violazione e/o falsa applicazione della norma di diritto ex art.
360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione alla errata interpretazione e
conseguente violazione degli artt.
409 e 413 c.p.c..
In particolare rileva che erroneamente la Corte d'appello aveva disatteso
l'eccezione di incompetenza sollevata, atteso che il ricorso era stato
originariamente incoato nei confronti della Bristol e del P., e pertanto il
giudice dei lavoro avrebbe dovuto rilevare e dichiarare la propria incompetenza
per materia.
Col secondo motivo del ricorso incidentale la società predetta lamenta
violazione e/o falsa applicazione della norma di diritto ex art.
360 c.p.c., nn. 3, in relazione alla errata interpretazione e conseguente
violazione degli artt. 1227, 2043
e 2056 c.c..
In particolare rileva che erroneamente la Corte d'appello aveva escluso il
carattere della abnormità della condotta posta in essere dal lavoratore, che
costituiva elemento preponderante se non unico nella causazione del sinistro.
Col terzo motivo del ricorso incidentale la detta società lamenta violazione e/o
falsa applicazione della norma di diritto ex art.
360 c.p.c., n. 3, in relazione alla errata interpretazione e conseguente
violazione degli artt. 1227,
2043, 2055 e 2056 c.c..
In particolare rileva che erroneamente la Corte d'appello aveva ritenuto di
dover escludere da ogni grado e percentuale di corresponsabilità la "B(Lpd)
s.p.a." ed il suo responsabile per la sicurezza P.G., atteso che la committente,
per espressa previsione contrattuale riportata nel capitolato di appalto, doveva
concorrere alla supervisione del rispetto delle norme sulla sicurezza.
I ricorsi non sono fondati.
Ed invero, per quel che riguarda il primo motivo del ricorso principale, che il
Collegio ritiene di dover trattare unitamente al terzo motivo del ricorso
incidentale, concernendo entrambi la mancata affermazione della responsabilità
(o della co-responsabilità) della "B(Lpd)", quale società committente, e quindi
del suo responsabile per la sicurezza P.G., alla stregua delle previsioni
contrattuali contenute nel capitolato di appalto, osserva il Collegio che
entrambi i motivi sono infondati.
Devesi rilevare sul punto che la tradizionale impostazione che parrebbe
richiedere in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro l'esistenza di un
rapporto di lavoro subordinato fra il soggetto danneggiato ed il soggetto
responsabile del danneggiamento, e di cui pare essere pacifica espressione la
norma prevista dall'art. 2087
c.c. che, integrando le
disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da
leggi speciali, impone all'imprenditore l'adozione di misure necessarie a
tutelare l'integrità fisica dei prestatori d'opera, è stata in realtà da tempo
superata dalla giurisprudenza.
Si è invero avvertita l'esigenza di non limitarsi al dato formale costituito
dalla esistenza di un rapporto datore di lavoro - lavoratore subordinato, ma di
dover dare rilievo al dato oggettivo, si da ritenere l'esistenza di tale
responsabilità anche in capo ai soggetti che, se pur non formalmente titolari
del rapporto di lavoro, avessero però la responsabilità dell'impresa o di una
sua unità produttiva.
E pertanto in materia di appalto è stato affermato il principio che la
responsabilità per violazione dell'obbligo di adozione di misure necessarie a
tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro è applicabile anche nei
confronti del committente, se pur non incondizionatamente - atteso che non
sussiste alcuna norma che prevede direttamente la responsabilità del committente
in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro - ma laddove egli stesso si
sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto,
riservandosi i poteri tecnico organizzativi dell'opera da eseguire (Cass. sez.
lav., 22.3.2002 n. 4129).
A tali principi si è in effetti attenuta la Corte territoriale nell'impugnata
sentenza posto che, dopo aver rilevato che in base alla regola comune in tema di
responsabilità per infortuni sul lavoro tale responsabilità incombeva sul datore
di lavoro, ha evidenziato che nel caso di specie il committente non si era mai
reso garante della vigilanza delle misure da adottare in concreto, nè si era in
alcun modo riservato alcuna ingerenza in relazione alla realizzazione dell'opera
sì da essere coinvolto nella responsabilità per la sicurezza.
E sul punto ha correttamente rilevato come nella fattispecie in esame le
clausole del contratto di appalto evidenziassero che la responsabilità per la
sicurezza incombeva solo sull'appaltatore - datore di lavoro, atteso che l'art.
4 del detto contratto disponeva che "nell'esecuzione dei lavori dovranno essere
adottate dall'appaltatore tutte le misure previste dalle vigenti disposizioni di
legge in materia di igiene e sicurezza del lavoro", rilevando altresì che la
previsione contenuta nel suddetto contratto di appalto secondo cui l'appaltatore
era tenuto ad uniformarsi "anche" alle disposizioni che avrebbero potuto essere
impartite dal committente in materia di sicurezza, rappresentava per
l'appaltatore un obbligo aggiuntivo e per i lavoratori una ulteriore protezione,
nel senso che tale previsione contrattuale consentiva al committente di
richiedere all'appaltatore misure più rigorose, e di operare degli interventi a
tutela della sicurezza dei propri ambienti di lavoro, ma non privava certamente
l'appaltatore dei poteri e della responsabilità (esclusiva, nella fattispecie)
in materia di sicurezza, e non estendeva tale responsabilità a carico del
committente.
Non vi è dubbio, dunque, della correttezza dei principi giuridici che la Corte
d'appello ha dichiarato di applicare ed ha applicato, così come della
correttezza dell'analisi e della individuazione dei presupposti di fatto
necessari per l'applicazione dei suddetti principi, avendo in buona sostanza il
giudice di merito rilevato che le previsioni contrattuali non contenevano alcuna
deroga al principio generale della responsabilità (esclusiva) del datore di
lavoro per infortuni sul lavoro, atteso che prevedevano a carico esclusivo
dell'appaltatore la adozione delle misure dettate dalle vigenti disposizioni di
legge in materia di sicurezza del lavoro; nè ricorrevano i presupposti per la
estensione della relativa responsabilità al committente avuto riguardo alla
circostanza che la previsione contrattuale di sorveglianza da parte dello stesso
sul rispetto delle norme di sicurezza e di intervento nei casi più gravi qualora
l'appaltatore avesse compiuto azioni contrarie a tali misure, non consentiva di
ritenere l'esistenza di una ingerenza tale, quale è ravvisabile allorchè il
committente si sia riservato i poteri tecnico organizzativi dell'opera da
eseguire, da coinvolgerlo nella responsabilità per la sicurezza.
Posto ciò, è necessario ricordare che, secondo un principio costituente diritto
vivente nella giurisprudenza di questa Corte (v., fra le molte pronunce, Cass.
Sez. 1^, 24.6.2008 n. 17088; Cass. sez. lav. 13.6.2008 n. 16036; Cass. Sez. lav.
12.6.2008 n. 15795; Cass. sez. I, 22.2.2007, n. 4178), l'interpretazione del
contratto e degli atti di autonomia privata, mirando a determinare una realtà
storica e obiettiva, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato
al giudice del merito ed è censurabile soltanto per violazione dei criteri
legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione, qualora quella
adottata sia contraria a logica e incongrua, tale, cioè, da non consentire il
controllo dei procedimento logico seguito per giungere alla decisione: ciò in
quanto il sindacato di questa Corte non può, dunque, investire il risultato
interpretativo in sè, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati
al giudice di merito.
Siffatta evenienza non si verifica nella fattispecie, avendo la Corte
territoriale evidenziato, con motivazione assolutamente logica e coerente ed
immune da ogni censura, dando quindi espressa ed esauriente contezza delle
proprie determinazioni, come il rilievo dell'appellante circa la concorrente
responsabilità del committente non potesse trovare accoglimento, non emergendo
dalle previsioni contrattuali alcuna deroga al principio della esclusiva
responsabilità del datore dì lavoro in materia di prevenzione degli infortuni; e
pertanto l'assunto del ricorrente si risolve in buona sostanza, sul punto, in
una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base
ad esse, delle conclusioni raggiunte dai giudici del merito.
Passando alla ulteriore censura mossa dal ricorrente principale con il secondo
motivo di gravame, osserva il Collegio che la stessa, per i motivi in precedenza
esposti, non può trovare accoglimento ove si osservi che correttamente e
coerentemente la Corte territoriale ha ritenuto la scarsa significatività della
prova testimoniale dedotta dal lavoratore e concernente la ricorrente presenza
di P. G., responsabile della sicurezza della "Bristol", evidenziando che tale
presenza non comprovava alcuna incisiva ingerenza della committente
nell'organizzazione tecnica dei lavori e nella predisposizione e gestione dei
compiti rilevanti per la sicurezza dei dipendenti della stessa.
Sul punto occorre rilevare che - come questa Corte ha affermato a più riprese -
il giudice del merito non è tenuto ad ammettere i mezzi di prova dedotti dalle
parti ove ritenga sufficientemente istruito il processo e ben può,
nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali insindacabili in cassazione, non
ammettere la dedotta prova testimoniale quando, alla stregua di tutte le altre
risultanze di causa, valuti la stessa come non conducente. Trattasi di
valutazione demandata al potere discrezionale del giudice di merito con
apprezzamento che, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato di
legittimità.
Orbene, il procedimento logico - giuridico sviluppato nell'impugnata decisione a
sostegno delle riportate conclusioni è ineccepibile in quanto logico e razionale
nonchè frutto di una completa valutazione delle risultanze di causa; si tratta
di un giudizio sorretto da congrua e coerente motivazione che sfugge quindi al
sindacato in questa sede di legittimità.
Alla stregua delle argomentazioni svolte, il ricorso principale proposto da G.E.
non può trovare accoglimento.
Per quel che riguarda il ricorso incidentale proposto dalla "F.lli (Lpd)
s.n.c.", osserva il Collegio che chiaramente infondato è il primo motivo
concernente la ritenuta incompetenza del giudice del lavoro adito, sotto il
profilo che la presente controversia era stata originariamente proposta dal
lavoratore nei confronti della società committente e del responsabile per la
sicurezza, e non nei confronti della società datoriale.
Osserva il Collegio che ai fini della individuazione del giudice competente
ratione materiae, la determinazione della materia del contendere va compiuta
anzitutto con riferimento alla domanda, e cioè alla sostanza della pretesa ed ai
fatti posti a fondamento di questa; d'altronde deve altresì evidenziarsi che per
controversie relative ai rapporti di lavoro subordinato debbono intendersi non
solo quelle relative alle obbligazioni caratteristiche del rapporto di lavoro ma
tutte le controversie in cui la pretesa fatta valere si colleghi direttamente al
detto rapporto, nel senso che questo (pur non costituendo la causa petendi di
tale pretesa) si presenti come antecedente e presupposto necessario - non
meramente occasionale - della situazione di fatto in ordine alla quale viene
invocata la tutela giurisdizionale. Applicando tali principi in materia di
infortuni sul lavoro, deve ritenersi che l'elemento fondante la competenza del
Giudice del lavoro non può essere individuato nella circostanza che il soggetto
convenuto in giudizio dal lavoratore rivesta o meno la qualità di datore di
lavoro, bensì nella natura delle norme giuridiche invocate e quindi, nel caso di
specie, nel fatto che l'infortunio si sia verificato nell'assolvimento delle
mansioni affidate al dipendente dal datore di lavoro, trattandosi di
controversia avente ad oggetto diritti sorti in dipendenza diretta e non
meramente occasionale dal rapporto di lavoro (Cass, sez. lav., 8.4.1994 n.
3311).
Orbene, nel caso in esame, proprio dalla prospettazione nell'atto introduttivo
del giudizio si evince il collegamento diretto tra l'illecito contestato dal
lavoratore alla società committente ed al suo responsabile per la sicurezza, ed
il rapporto di lavoro intercorso tra il ricorrente predetto e la società (Lpd)
s.n.c., il quale si pone come antecedente e presupposto necessario della
situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela in sede
giudiziale.
E pertanto correttamente il giudice del lavoro ha ritenuto la propria competenza
in materia, a prescindere dalla iniziale omessa chiamata in causa della società
datoriale e degli altri soggetti, evocati in giudizio ai sensi dell'art.
106 c.p.c. ad istanza di parte;
e correttamente la Corte Territoriale ha rilevato che la causa in esame, avendo
per oggetto principale il risarcimento dei danni per violazione dell'obbligo
contrattuale di cui all'art. 2087
c.c. di tutela delle condizioni
di lavoro, rientrasse nel novero delle controversie individuali di cui all'art.
409 c.p.c..
Del pari infondato è il secondo motivo del ricorso incidentale proposto dalla
società predetta concernente la illegittima esclusione da parte della Corte dì
appello del carattere della abnormità della condotta posta in essere dal
lavoratore, che costituirebbe pertanto elemento preponderante se non unico nella
causazione del sinistro.
Rileva il Collegio che il proposto gravame, sul punto, sotto la specie della
violazione di norme di diritto, involge in realtà la valutazione di specifiche
questioni di fatto, valutazione non consentita in sede di giudizio di
legittimità. Devesi in proposito evidenziare che la deduzione di un vizio di
motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al
giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di
controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico
- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta
in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e
di dare adeguata contezza dell'iter logico - argomentativo seguito per giungere
ad una determinata conclusione. Ne consegue che il preteso vizio della
motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà
della stessa, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento
del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o
insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero quando esista
insanabile contrasto fra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da
non consentire l'identificazione del procedimento logico -giuridico posto a base
della decisione (Cass. sez. 1^, 26.1.2007 n. 1754; Cass. sez. 1^, 21.8.2006 n.
18214; Cass. sez. lav., 20.4.2006 n. 9234;
Cass. sez. trib., 1.7.2003 n. 10330; Cass. sez. lav., 9.3.2002 n. 3161; Cass.
sez. 3^, 15.4.2000 n. 4916).
In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto - consentito al
giudice di legittimità - non equivale alla revisione del "ragionamento
decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una
determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta
si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di
fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla
funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità il quale deve
limitarsi a verificare se siano stati dal ricorrente denunciati specificamente -
ed esistano effettivamente - vizi che, per quanto si è detto, siano deducibili
in sede di legittimità.
Orbene nel caso di specie i giudici di merito, nel rilevare che i connotati
della abnormità ricorrono allorchè la condotta posta in essere costituisca unico
elemento causale escludendo l'incidenza di altri fattori, hanno evidenziato come
l'incidente verificatosi fosse stato determinato dal mancato bloccaggio delle
ruote del trabattello sul quale il lavoratore si apprestava ad effettuare il
proprio intervento. E la Corte territoriale ha correttamente posto in rilievo
che era stato ascritto alla società datoriale il preponderante concorso di colpa
nella causazione dell'infortunio sotto il profilo che il responsabile della
sicurezza della società predetta aveva l'obbligo della puntuale vigilanza sulla
esecuzione dei lavori, proprio al fine di evitare che i lavoratori ponessero in
essere comportamenti imprudenti o negligenti; ed ha altresì rilevato, citando
copiosa giurisprudenza conforme, che il responsabile della sicurezza aveva il
dovere di vigilare affinchè le condizioni e l'uso delle attrezzature fossero
conformi alle condizioni di sicurezza specifiche o generiche, con la conseguenza
che la condotta del lavoratore assume le connotazioni della abnormità divenendo
unico elemento causale del fatto non già quando la condotta sia caratterizzata
da imprudenza, imperizia o negligenza, ma quando assume le connotazioni della
inopinabilità e della esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo.
Alla stregua di quanto sopra, neanche sotto tale profilo il ricorso incidentale
può trovare accoglimento.
Vanno di conseguenza rigettati entrambi i ricorsi, principale ed incidentale,
proposti avverso l'impugnata sentenza.
In ordine alle spese di giudizio, ritiene il Collegio che sussistano giusti
motivi per procedere ad una compensazione delle stesse fra tutte le parti
costituite, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie ed alla
complessità della causa in relazione alla individuazione del soggetto
responsabile in materia di prevenzione di infortuni; nessuna statuizione va
adottata nei confronti del P., non avendo lo stesso svolto alcuna attività
difensiva.
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