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lunedì 30 marzo 2015

Infortunio del lavoratore – Corresponsabilità datore di lavoro e committente - Condizioni)



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(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 28 ottobre 2009, n.22818: Infortunio del lavoratore – Corresponsabilità datore di lavoro e committente - Condizioni).
INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. civ. Sez. lavoro, 28-10-2009, n. 22818
Fatto Diritto P.Q.M.

 Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 6.3.1998 G.E., premesso di essere dipendente della "F.lli (Lpd) s.n.c.", esponeva che il giorno 5.9.1992, mentre era intento ad eseguire lavori di stuccatura per un impianto di condizionamento, era precipitato a terra da un ponteggio con ruote, riportando gravissime lesioni. Rilevato che la responsabilità dell'infortunio era da attribuire alla società appaltante, la "B(Lpd) s.p.a.", ed al suo rappresentante per la sicurezza, a nome P.G., chiedeva la condanna degli stessi in solido al risarcimento dei danni conseguenti all'infortunio predetto.
Istauratosi il contraddittorio, i convenuti contestavano quanto dedotto dal ricorrente, e chiedevano comunque che venisse disposta la chiamata in causa della società appaltatrice, la "F.lli (Lpd) s.n.c.", dell'INAIL e della compagnia assicuratrice, la "(Lpd) s.a.", per la garanzia di eventuali esborsi.
Radicatosi il contraddittorio con le parti predette, con sentenza non definitiva in data 3.2.2003, il Tribunale di Latina, decidendo esclusivamente sull'an debeatur, accertava la corresponsabilità nella causazione dell'infortunio della società datoriale, la "F.lli (Lpd) s.n.c.", e dello stesso dipendente infortunato, nella rispettiva misura dell'80% e del 20%; disponeva con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per la liquidazione dei danni.
Avverso tale sentenza proponeva appello l'originario ricorrente lamentandone la erroneità sotto diversi profili; e proponeva altresì appello incidentale la "F.lli (Lpd) s.n.c.", lamentando l'incompetenza per materia del giudice adito e la erroneità dell'impugnata sentenza circa l'affermazione del concorso di colpa della società e la percentuale prevalente attribuita alla stessa.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 21.10.2005, rigettava entrambe le impugnazioni proposte.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione G. E. con due motivi di impugnazione.
Resiste con controricorso la società "F.lli (Lpd) s.n.c.", che propone a sua volta ricorso incidentale affidato a tre motivi di gravame.
Resiste con controricorso nei confronti dell'appello principale la "B(Lpd) s.r.l.".
Resiste altresì con controricorso la "(Lpd) s.a." nei confronti sia dell'appello principale che dell'appello incidentale.
E resiste infine con controricorso, avverso le predette impugnazioni, l'INAIL. Il P. non ha svolto alcuna attività difensiva.
La "B(Lpd) s.r.l." ha presentato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell'art. 335 c.p.c. dei due ricorsi, principale ed incidentale, perchè proposti avverso la medesima sentenza.
Col primo motivo di gravame il ricorrente principale lamenta violazione o falsa applicazione di norme di diritto per non avere la Corte d'appello tenuto conto, nella individuazione del responsabile della sicurezza, della circostanza che la normativa concernente l'adozione di misure necessaire a tutelare l'integrità fisica era applicabile anche nei confronti del committente, e quindi della "B(Lpd) s.p.a.", e del suo responsabile per la sicurezza P.G., atteso che quest'ultimo controllava quotidianamente nell'interesse della società l'esecuzione dei lavori.
Col secondo motivo di gravame il ricorrente principale lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla circostanza relativa alla richiesta, dallo stesso formulata, di escussione del teste Pa.Br., il quale avrebbe potuto confermare che il personale della società committente, e quindi il P., ispezionava quotidianamente il cantiere e le attrezzature a disposizione della società appaltatrice.
Col primo motivo del ricorso incidentale la società "F.lli (Lpd) s.n.c." lamenta violazione e/o falsa applicazione della norma di diritto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione alla errata interpretazione e conseguente violazione degli artt. 409 e 413 c.p.c..
In particolare rileva che erroneamente la Corte d'appello aveva disatteso l'eccezione di incompetenza sollevata, atteso che il ricorso era stato originariamente incoato nei confronti della Bristol e del P., e pertanto il giudice dei lavoro avrebbe dovuto rilevare e dichiarare la propria incompetenza per materia.
Col secondo motivo del ricorso incidentale la società predetta lamenta violazione e/o falsa applicazione della norma di diritto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, in relazione alla errata interpretazione e conseguente violazione degli artt. 1227, 2043 e 2056 c.c..
In particolare rileva che erroneamente la Corte d'appello aveva escluso il carattere della abnormità della condotta posta in essere dal lavoratore, che costituiva elemento preponderante se non unico nella causazione del sinistro.
Col terzo motivo del ricorso incidentale la detta società lamenta violazione e/o falsa applicazione della norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla errata interpretazione e conseguente violazione degli artt. 1227, 2043, 2055 e 2056 c.c..
In particolare rileva che erroneamente la Corte d'appello aveva ritenuto di dover escludere da ogni grado e percentuale di corresponsabilità la "B(Lpd) s.p.a." ed il suo responsabile per la sicurezza P.G., atteso che la committente, per espressa previsione contrattuale riportata nel capitolato di appalto, doveva concorrere alla supervisione del rispetto delle norme sulla sicurezza.
I ricorsi non sono fondati.
Ed invero, per quel che riguarda il primo motivo del ricorso principale, che il Collegio ritiene di dover trattare unitamente al terzo motivo del ricorso incidentale, concernendo entrambi la mancata affermazione della responsabilità (o della co-responsabilità) della "B(Lpd)", quale società committente, e quindi del suo responsabile per la sicurezza P.G., alla stregua delle previsioni contrattuali contenute nel capitolato di appalto, osserva il Collegio che entrambi i motivi sono infondati.
Devesi rilevare sul punto che la tradizionale impostazione che parrebbe richiedere in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra il soggetto danneggiato ed il soggetto responsabile del danneggiamento, e di cui pare essere pacifica espressione la norma prevista dall'art. 2087 c.c. che, integrando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da leggi speciali, impone all'imprenditore l'adozione di misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori d'opera, è stata in realtà da tempo superata dalla giurisprudenza.
Si è invero avvertita l'esigenza di non limitarsi al dato formale costituito dalla esistenza di un rapporto datore di lavoro - lavoratore subordinato, ma di dover dare rilievo al dato oggettivo, si da ritenere l'esistenza di tale responsabilità anche in capo ai soggetti che, se pur non formalmente titolari del rapporto di lavoro, avessero però la responsabilità dell'impresa o di una sua unità produttiva.
E pertanto in materia di appalto è stato affermato il principio che la responsabilità per violazione dell'obbligo di adozione di misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro è applicabile anche nei confronti del committente, se pur non incondizionatamente - atteso che non sussiste alcuna norma che prevede direttamente la responsabilità del committente in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro - ma laddove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico organizzativi dell'opera da eseguire (Cass. sez. lav., 22.3.2002 n. 4129).
A tali principi si è in effetti attenuta la Corte territoriale nell'impugnata sentenza posto che, dopo aver rilevato che in base alla regola comune in tema di responsabilità per infortuni sul lavoro tale responsabilità incombeva sul datore di lavoro, ha evidenziato che nel caso di specie il committente non si era mai reso garante della vigilanza delle misure da adottare in concreto, nè si era in alcun modo riservato alcuna ingerenza in relazione alla realizzazione dell'opera sì da essere coinvolto nella responsabilità per la sicurezza.
E sul punto ha correttamente rilevato come nella fattispecie in esame le clausole del contratto di appalto evidenziassero che la responsabilità per la sicurezza incombeva solo sull'appaltatore - datore di lavoro, atteso che l'art. 4 del detto contratto disponeva che "nell'esecuzione dei lavori dovranno essere adottate dall'appaltatore tutte le misure previste dalle vigenti disposizioni di legge in materia di igiene e sicurezza del lavoro", rilevando altresì che la previsione contenuta nel suddetto contratto di appalto secondo cui l'appaltatore era tenuto ad uniformarsi "anche" alle disposizioni che avrebbero potuto essere impartite dal committente in materia di sicurezza, rappresentava per l'appaltatore un obbligo aggiuntivo e per i lavoratori una ulteriore protezione, nel senso che tale previsione contrattuale consentiva al committente di richiedere all'appaltatore misure più rigorose, e di operare degli interventi a tutela della sicurezza dei propri ambienti di lavoro, ma non privava certamente l'appaltatore dei poteri e della responsabilità (esclusiva, nella fattispecie) in materia di sicurezza, e non estendeva tale responsabilità a carico del committente.
Non vi è dubbio, dunque, della correttezza dei principi giuridici che la Corte d'appello ha dichiarato di applicare ed ha applicato, così come della correttezza dell'analisi e della individuazione dei presupposti di fatto necessari per l'applicazione dei suddetti principi, avendo in buona sostanza il giudice di merito rilevato che le previsioni contrattuali non contenevano alcuna deroga al principio generale della responsabilità (esclusiva) del datore di lavoro per infortuni sul lavoro, atteso che prevedevano a carico esclusivo dell'appaltatore la adozione delle misure dettate dalle vigenti disposizioni di legge in materia di sicurezza del lavoro; nè ricorrevano i presupposti per la estensione della relativa responsabilità al committente avuto riguardo alla circostanza che la previsione contrattuale di sorveglianza da parte dello stesso sul rispetto delle norme di sicurezza e di intervento nei casi più gravi qualora l'appaltatore avesse compiuto azioni contrarie a tali misure, non consentiva di ritenere l'esistenza di una ingerenza tale, quale è ravvisabile allorchè il committente si sia riservato i poteri tecnico organizzativi dell'opera da eseguire, da coinvolgerlo nella responsabilità per la sicurezza.
Posto ciò, è necessario ricordare che, secondo un principio costituente diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte (v., fra le molte pronunce, Cass. Sez. 1^, 24.6.2008 n. 17088; Cass. sez. lav. 13.6.2008 n. 16036; Cass. Sez. lav. 12.6.2008 n. 15795; Cass. sez. I, 22.2.2007, n. 4178), l'interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata, mirando a determinare una realtà storica e obiettiva, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito ed è censurabile soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione, qualora quella adottata sia contraria a logica e incongrua, tale, cioè, da non consentire il controllo dei procedimento logico seguito per giungere alla decisione: ciò in quanto il sindacato di questa Corte non può, dunque, investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito.
Siffatta evenienza non si verifica nella fattispecie, avendo la Corte territoriale evidenziato, con motivazione assolutamente logica e coerente ed immune da ogni censura, dando quindi espressa ed esauriente contezza delle proprie determinazioni, come il rilievo dell'appellante circa la concorrente responsabilità del committente non potesse trovare accoglimento, non emergendo dalle previsioni contrattuali alcuna deroga al principio della esclusiva responsabilità del datore dì lavoro in materia di prevenzione degli infortuni; e pertanto l'assunto del ricorrente si risolve in buona sostanza, sul punto, in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dai giudici del merito.
Passando alla ulteriore censura mossa dal ricorrente principale con il secondo motivo di gravame, osserva il Collegio che la stessa, per i motivi in precedenza esposti, non può trovare accoglimento ove si osservi che correttamente e coerentemente la Corte territoriale ha ritenuto la scarsa significatività della prova testimoniale dedotta dal lavoratore e concernente la ricorrente presenza di P. G., responsabile della sicurezza della "Bristol", evidenziando che tale presenza non comprovava alcuna incisiva ingerenza della committente nell'organizzazione tecnica dei lavori e nella predisposizione e gestione dei compiti rilevanti per la sicurezza dei dipendenti della stessa.
Sul punto occorre rilevare che - come questa Corte ha affermato a più riprese - il giudice del merito non è tenuto ad ammettere i mezzi di prova dedotti dalle parti ove ritenga sufficientemente istruito il processo e ben può, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali insindacabili in cassazione, non ammettere la dedotta prova testimoniale quando, alla stregua di tutte le altre risultanze di causa, valuti la stessa come non conducente. Trattasi di valutazione demandata al potere discrezionale del giudice di merito con apprezzamento che, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità.
Orbene, il procedimento logico - giuridico sviluppato nell'impugnata decisione a sostegno delle riportate conclusioni è ineccepibile in quanto logico e razionale nonchè frutto di una completa valutazione delle risultanze di causa; si tratta di un giudizio sorretto da congrua e coerente motivazione che sfugge quindi al sindacato in questa sede di legittimità.
Alla stregua delle argomentazioni svolte, il ricorso principale proposto da G.E. non può trovare accoglimento.
Per quel che riguarda il ricorso incidentale proposto dalla "F.lli (Lpd) s.n.c.", osserva il Collegio che chiaramente infondato è il primo motivo concernente la ritenuta incompetenza del giudice del lavoro adito, sotto il profilo che la presente controversia era stata originariamente proposta dal lavoratore nei confronti della società committente e del responsabile per la sicurezza, e non nei confronti della società datoriale.
Osserva il Collegio che ai fini della individuazione del giudice competente ratione materiae, la determinazione della materia del contendere va compiuta anzitutto con riferimento alla domanda, e cioè alla sostanza della pretesa ed ai fatti posti a fondamento di questa; d'altronde deve altresì evidenziarsi che per controversie relative ai rapporti di lavoro subordinato debbono intendersi non solo quelle relative alle obbligazioni caratteristiche del rapporto di lavoro ma tutte le controversie in cui la pretesa fatta valere si colleghi direttamente al detto rapporto, nel senso che questo (pur non costituendo la causa petendi di tale pretesa) si presenti come antecedente e presupposto necessario - non meramente occasionale - della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale. Applicando tali principi in materia di infortuni sul lavoro, deve ritenersi che l'elemento fondante la competenza del Giudice del lavoro non può essere individuato nella circostanza che il soggetto convenuto in giudizio dal lavoratore rivesta o meno la qualità di datore di lavoro, bensì nella natura delle norme giuridiche invocate e quindi, nel caso di specie, nel fatto che l'infortunio si sia verificato nell'assolvimento delle mansioni affidate al dipendente dal datore di lavoro, trattandosi di controversia avente ad oggetto diritti sorti in dipendenza diretta e non meramente occasionale dal rapporto di lavoro (Cass, sez. lav., 8.4.1994 n. 3311).
Orbene, nel caso in esame, proprio dalla prospettazione nell'atto introduttivo del giudizio si evince il collegamento diretto tra l'illecito contestato dal lavoratore alla società committente ed al suo responsabile per la sicurezza, ed il rapporto di lavoro intercorso tra il ricorrente predetto e la società (Lpd) s.n.c., il quale si pone come antecedente e presupposto necessario della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela in sede giudiziale.
E pertanto correttamente il giudice del lavoro ha ritenuto la propria competenza in materia, a prescindere dalla iniziale omessa chiamata in causa della società datoriale e degli altri soggetti, evocati in giudizio ai sensi dell'art. 106 c.p.c. ad istanza di parte; e correttamente la Corte Territoriale ha rilevato che la causa in esame, avendo per oggetto principale il risarcimento dei danni per violazione dell'obbligo contrattuale di cui all'art. 2087 c.c. di tutela delle condizioni di lavoro, rientrasse nel novero delle controversie individuali di cui all'art. 409 c.p.c..
Del pari infondato è il secondo motivo del ricorso incidentale proposto dalla società predetta concernente la illegittima esclusione da parte della Corte dì appello del carattere della abnormità della condotta posta in essere dal lavoratore, che costituirebbe pertanto elemento preponderante se non unico nella causazione del sinistro.
Rileva il Collegio che il proposto gravame, sul punto, sotto la specie della violazione di norme di diritto, involge in realtà la valutazione di specifiche questioni di fatto, valutazione non consentita in sede di giudizio di legittimità. Devesi in proposito evidenziare che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e di dare adeguata contezza dell'iter logico - argomentativo seguito per giungere ad una determinata conclusione. Ne consegue che il preteso vizio della motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della stessa, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero quando esista insanabile contrasto fra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico -giuridico posto a base della decisione (Cass. sez. 1^, 26.1.2007 n. 1754; Cass. sez. 1^, 21.8.2006 n. 18214; Cass. sez. lav., 20.4.2006 n. 9234;
Cass. sez. trib., 1.7.2003 n. 10330; Cass. sez. lav., 9.3.2002 n. 3161; Cass. sez. 3^, 15.4.2000 n. 4916).
In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto - consentito al giudice di legittimità - non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità il quale deve limitarsi a verificare se siano stati dal ricorrente denunciati specificamente - ed esistano effettivamente - vizi che, per quanto si è detto, siano deducibili in sede di legittimità.
Orbene nel caso di specie i giudici di merito, nel rilevare che i connotati della abnormità ricorrono allorchè la condotta posta in essere costituisca unico elemento causale escludendo l'incidenza di altri fattori, hanno evidenziato come l'incidente verificatosi fosse stato determinato dal mancato bloccaggio delle ruote del trabattello sul quale il lavoratore si apprestava ad effettuare il proprio intervento. E la Corte territoriale ha correttamente posto in rilievo che era stato ascritto alla società datoriale il preponderante concorso di colpa nella causazione dell'infortunio sotto il profilo che il responsabile della sicurezza della società predetta aveva l'obbligo della puntuale vigilanza sulla esecuzione dei lavori, proprio al fine di evitare che i lavoratori ponessero in essere comportamenti imprudenti o negligenti; ed ha altresì rilevato, citando copiosa giurisprudenza conforme, che il responsabile della sicurezza aveva il dovere di vigilare affinchè le condizioni e l'uso delle attrezzature fossero conformi alle condizioni di sicurezza specifiche o generiche, con la conseguenza che la condotta del lavoratore assume le connotazioni della abnormità divenendo unico elemento causale del fatto non già quando la condotta sia caratterizzata da imprudenza, imperizia o negligenza, ma quando assume le connotazioni della inopinabilità e della esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo.
Alla stregua di quanto sopra, neanche sotto tale profilo il ricorso incidentale può trovare accoglimento.
Vanno di conseguenza rigettati entrambi i ricorsi, principale ed incidentale, proposti avverso l'impugnata sentenza.
In ordine alle spese di giudizio, ritiene il Collegio che sussistano giusti motivi per procedere ad una compensazione delle stesse fra tutte le parti costituite, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie ed alla complessità della causa in relazione alla individuazione del soggetto responsabile in materia di prevenzione di infortuni; nessuna statuizione va adottata nei confronti del P., non avendo lo stesso svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi; compensa le spese di giudizio fra tutte le parti costituite.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2009

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