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lunedì 30 marzo 2015

Cassazione: Il pedone sulle strisce non deve correre rischi



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ASSICURAZIONE (CONTRATTO DI)
Cass. civ. Sez. III, 30-09-2009, n. 20949
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

1.- Il (OMISSIS), nella centrale via dell'(OMISSIS), l'ottantenne B.M. fu investita da un motociclo mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali. Un'ora e mezzo più tardi morì per le lesioni craniche riportate.
I figli Re., R. ed G.A. agirono per il risarcimento innanzi al tribunale di Firenze nei confronti del proprietario e conducente del ciclomotore F.P. e della società assicuratrice Geas Assicurazioni s.p.a., la quale sola si costituì e resistette alla domanda.
Con sentenza del 4.10.2000 l'adito tribunale dichiarò che l'evento era ascrivibile per il 30% alla condotta della stessa B., escluse la sussistenza di danno patrimoniale (ulteriore rispetto alle spese funerarie) e biologico (iure proprio ed hereditario), liquidò il danno morale subito da ciascuno dei figli in L. 80.000.000, condannò i convenuti al pagamento ad ognuno di L. 56.091.142 (pari al 70% dell'importo complessivo) e pose le spese processuali per due terzi a carico dei convenuti, compensandole per il residuo terzo.
2.- La decisione fu appellata da tutte le parti.
Con sentenza n. 167 del 2004 la corte d'appello di Firenze rigettò l'appello dei G. e, dato atto che la somma di L. 50.000.000 versata ad ognuno degli attori nell'intervallo fra la prima e la seconda udienza di primo grado era satisfattiva, condannò i G. al pagamento delle spese del secondo grado e dei due terzi di quelle del primo.
3.- Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione i G., affidandosi a cinque motivi, cui resiste con controricorso la Commerciai Unioni Italia s.p.a. (succeduta alla società che era succeduta alla Geas), che al momento della discussione aveva mutato la denominazione sociale in Aviva Italia s.p.a..

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo sono denunciati falsa applicazione delle norme poste dal vecchio e dal nuovo codice ella strada (R.D. 8 dicembre 1933, n. 1740 e D.P.R. 15 giugno 1999, n. 393) nonchè vizio di motivazione in ordine al ravvisato, concorrente apporto causale colposo della stessa vittima, che stava attraversando sulle strisce pedonali e della quale non erano stati individuati comportamenti diversi da quelli comuni e legittimi per un pedone, non essendo stato da alcuno affermato che ella avesse tenuto una condotta imprevedibile". 1.1.- Alle (non numerate) pagine 7 e 8 della sentenza la corte d'appello ha ritenuto:
a) che fosse indubitabile la prevalente colpa dell'investitore, "per aver marciato ad una velocità e/o con un'attenzione non adeguate in relazione alla presenza di strisce pedonali ed all'arco posto alla sua sinistra, dal quale non era affatto imprevedibile che sbucasse qualche pedone con l'intento di attraversare la strada sulle strisce pedonali poste nelle immediate vicinanze di tale arco";
b) che tuttavia non poteva negarsi il concorso di colpa del pedone, che aveva attraversato la strada da sinistra a destra rispetto alla direzione di marcia del motociclo, provenendo dalla volta di (OMISSIS), "frettolosamente ... ed a testa bassa senza controllare la sussistenza di veicoli che circolavano in via (OMISSIS)", come dichiarato da un teste in sede penale con affermazioni convergenti con le risultanze del rapporto dei vigili urbani;
c) che il pedone ha certamente il diritto di precedenza nell'attraversamento della strada sulle strisce pedonali o nelle immediate vicinanze, "ma che ciò non lo esime affatto dal controllare con attenzione, nel primario suo interesse, se stiano sopraggiungendo veicoli da destra o da sinistra";
d) che, nella specie, se la B. (pedone) "avesse, uscita dall'arco di (OMISSIS), guardato con attenzione a destra prima di intraprendere l'attraversamento della strada, avrebbe sicuramente visto sopraggiungere il motociclo a velocità non adeguata, o che comunque non mostrava segni di rallentamento tali da farle ragionevolmente presumere che si sarebbe arrestato per concederle la dovuta precedenza". 1.2.- L'inaccettabile corollario dell' affermazione sub d) è dunque che, prima di attraversare sulle strisce, il pedone debba accertarsi anche che i veicoli sopraggiungenti mostrino segni di rallentamento così da consentirgli di presumere che si arrestino; e che, se non lo fa e viene investito perchè un veicolo non si arresta, la "colpa" di quel che accade è anche sua.
Va in contrario osservato che il dovere dì rallentare fino a fermarsi per consentire l'attraversamento del pedone sulle strisce pedonali fa carico al conducente del veicolo, che la velocità va dallo stesso adeguata al contesto dei luoghi ed all'area visibile nelle immediate vicinanze delle strisce, che sul conducente incombe l'obbligo di presumere che nello spazio a tanto destinato un pedone possa in ogni momento attraversare, che, soprattutto, nessun dovere ha il pedone (che ben può essere anche un vecchio o un bambino) di valutare l'intenzione del conducente di lasciarlo effettivamente passare (come deve), apprezzando l'eventuale rallentamento del sopraggiungente veicolo.
A meno, infatti, di riguardare l'attraversamento sulle strisce di una strada come un impegnativo momento di valutazioni di velocità ed intenzioni altrui, occorre che ogni conducente, nell'approssimarsi alle strisce pedonali - ancor più se queste si trovino, come nella specie, in una zona centrale dì una città - abbia la chiara consapevolezza che deve non solo dare la precedenza, ma anche tenere un comportamento idoneo ad ingenerare nel pedone la sicurezza che possa attraversare senza rischi, non essendo in linea con le elementari regole di comportamento proprie di in un paese civile che un conducente possa considerare una mera facoltà il suo inderogabile obbligo di dare la precedenza ai pedoni sulle strisce pedonali e che il pedone debba, dal canto suo, riguardare l'attraversamento come un temerario atto di coraggio, anche dove ha di ritto di farlo con l'aspettativa che i conducenti si fermino per lasciarglielo fare.
Che, poi, egli controlli "nel primario suo interesse" (come afferma la corte d'appello) qual è la situazione che in concreto gli si presenta è senz'altro opportuno ed auspicabile; ma costituisce un errore in diritto ritenere che l'omissione, da parte del pedone che attraversi la strada sulle apposite strisce, del controllo e dell'apprezzamento della velocità dei veicoli sopraggiungenti, o addirittura dell'intenzione di un conducente di rallentare o fermarsi, possa assumere la valenza - ex art. 1227 c.c., comma 1, - di concorso del fatto colposo dello stesso danneggiato nel caso in cui venga investito. E ciò perchè, come sopra s'è detto, nella particolare materia in esame, non può predicarsi il dovere di essere tecnicamente cauto da parte di chi (il pedone), potendo legittimamente essere privo delle doti necessarie per effettuare tale tipo di apprezzamento, ha ragione di fare pieno affidamento sulla specificamente prescritta cautela altrui (del conducente di un veicolo).
Tanto non significa che un possibile concorso colposo del pedone non sia mai ravvisabile. Ma può esserlo solo se il pedone abbia tenuto una condotta assolutamente imprevedibile e del tutto straordinaria, non ipotizzatale nel caso di semplice attraversamento "frettoloso ed a testa bassa", cui la corte territoriale ha invece conferito determinante rilievo.
Il motivo va pertanto accolto.
2. - Col secondo, terzo e quarto motivo i ricorrenti rispettivamente si dolgono, denunciando violazione di norme di diritto e vizi della motivazione su punti decisivi:
a) che la corte d'appello non avesse riconosciuto, quale lesione del credito, il danno loro derivato dalla perdita della possibilità di ereditare dalla madre l'appartamento che il suo locatore ATER le aveva offerto di acquistare ad un prezzo assolutamente vantaggioso (L. 31.400.000, in luogo di quello corrispondente al valore commerciale di L. 170.000.000) benchè ella avesse accettato l'offerta, riservandosi solo di indicare le modalità di pagamento;
b) che fosse stata esclusa anche la risarcibilità, iure hereditario, del danno biologico subito alla madre in ragione della brevità del lasso di tempo per il quale era sopravvissuta alle lesioni (circa un'ora e mezzo), nonchè del danno "esistenziale" che i figli avevano subito;
c) che il danno morale fosse stato loro liquidato nella inadeguata misura di L. 80.000.000 ciascuno (con la ulteriore diminuzione connessa all'apporto causale colposo ravvisato a carico della vittima).
2.1.- Tutti e tre i motivi di censura sono infondati.
Sul primo è sufficiente rilevare che non sussiste lesione di un credito (che avrebbe presupposto l'obbligo di vendere da parte di ACER e, dunque, l'intervenuta conclusione di un contratto preliminare di compravendita) e che i rilievi, in fatto, del giudice del merito circa le incertezze relative al raggiungimento dell'accordo sulle modalità di pagamento, al loro rispetto da parte dell'eventuale acquirente, alla possibile incertezza che la madre, quand'anche avesse acquistato, avrebbe poi lasciato in eredità l'immobile ai figli e non ne avrebbe invece diversamente disposto, ai dubbi sulle possibili premorienze costituiscono apprezzamenti di merito adeguatamente motivati, insuscettibili di diverse valutazioni in sede di legittimità ed in se stessi integranti una coerente spiegazione delle ragioni per le quali la corte ha in sostanza escluso, pur senza espressa citazione dell'art. 1223 c.c., (la cui violazione non è, peraltro denunciata), che il preteso danno costituisse conseguenza immediata e diretta dell'illecito, essendo l'aspettativa dei figli soggetta "a tali e tante condizioni da non meritare tutela giuridica";
2.2.- L'infondatezza del secondo e del terzo motivo discende dall'applicazione dei principi enunciati dalle sezioni unite, con sentenza 11 novembre 2008, n. 26972, con la quale sono stati ampiamente svolti gli approfondimenti e le meditazioni sollecitati dai ricorrenti.
E' stata, in particolare esclusa la riconoscibilità del danno da morte (cosiddetto tanatologico) come danno biologico e si è specificato che determina una duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno da perdita del rapporto parentale e del danno morale, inteso in una configurazione più lata della sofferenza psichica transeunte (cfr. la motivazione, sub. 4.9.)- Nella specie, il danno morale delle vittime secondarie del fatto costituente reato è stato riconosciuto in misura che non autorizza in alcun modo la conclusione che il giudice del merito abbia inteso indennizzare solo la sofferenza transeunte, sicchè il pregiudizio da perdita del rapporto parentale deve dirsi sostanza già risarcito.
3.- Fondato è, invece, il quinto motivo, col quale i ricorrenti censurano la sentenza per vizio di ultrapetizione nella parte in cui ha addossato le spese del primo grado ai G. per 2/3, benchè la controparte società assicuratrice avesse chiesto che fosse riformata nel senso della compensazione integrale la sentenza de tribunale che aveva, invece, posto le spese per 2/3 a carico dei convenuti (assicurato ed assicuratore).
Sussistono in realtà distonie logiche fra motivazione e dispositivo, verosimilmente frutto di un duplice errore trascrittivo.
4.- In conclusione, accolto il primo ed il quinto motivo e rigettati gli altri, la sentenza va cassata in relazione alle censure accolte con rinvio alla stessa corte d'appello in diversa composizione affinchè, nel rispetto degli enunciati principi (sui) 1.2.), effettui un nuovo apprezzamento di fatto sulla sussistenza dell'apporto causale colposo del pedone, si pronunci sulle spese del primo grado senza eccedere rispetto alla richiesta dì riforma sul punto e liquidi anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il primo ed il quinto motivo di ricorso e rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla corte d'appello di Firenze in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2009

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