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CAUSE DI NON PUNIBILITA' - FAVOREGGIAMENTO
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 07-05-2009) 16-07-2009, n. 29429
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 07-05-2009) 16-07-2009, n. 29429
Svolgimento del processo
1.
La ricorrente impugna la sentenza in epigrafe indicata con la quale è
stata confermata la decisione di primo grado che lo dichiarò
responsabile del delitto di favoreggiamento personale, poichè aiutava
Ca.Ma.Eu. a eludere le investigazioni di polizia, fornendo false
informazione agli organi inquirenti nel corso degli accertamenti sul
delitto di favoreggiamento della prostituzione.
In
particolare, C.B. riferiva tra l'altro agli inquirenti di essere stata
accompagnata a Udine per prostituirsi da un ragazzo che conosceva
soltanto di vista e del quale non forniva le generalità.
Ad
avviso della Corte di merito, il quadro probatorio da consistenza
all'accusa formulata a carico di C.B. e le censure alla sentenza di
primo grado sono prive di fondamento. Le circostanze riferite agli
inquirenti dall'imputata circa i rapporti con Co.Ma. sono tali da
integrare il delitto di favoreggiamento poichè volte a fuorviare le
indagini in corso nei confronti della persona che aveva favorito e
sfruttato la sua prostituzione. Il giudice d'appello pone in rilievo che
ai fini dell'integrazione del reato di favoreggiamento non ha alcuna
importanza che gli inquirenti abbiano già acquisito elementi
sull'indagato e provveduto al suo arresto.
Altrettanto
priva di rilievo è la circostanza che la condotta di favoreggiamento
abbia arrecato un effettivo pregiudizio alle indagini. Peraltro, le
false dichiarazioni hanno in concreto reso controversi gli elementi
acquisiti dagli inquirenti.
Per il giudice
d'appello, vi è certezza sulla sussistenza del dolo richiesto per la
configurazione del reato e non rilevano lo stato di disagio psicologico
dell'imputata, tenuto conto che non ha avuto alcuna effetto in concreto
di comprendere e volere realizzare la condotta.
2. La ricorrente deduce:
- la violazione di legge e il difetto di motivazione, sotto il profilo della mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà.
Il
giudice d'appello non ha correttamente accertato la sussistenza degli
elementi costitutivi del delitto di favoreggiamento personale, poichè è
ben vero che si tratta di reato di pericolo, ma la responsabilità non
può essere meramente oggettiva. Errato è il ragionamento del giudice
d'appello secondo cui a nulla rileva che gli inquirenti avessero già
acquisito in base a autonomi accertamenti consistenti elementi di prova
sull'attività illecita svolta da C., peraltro già sottoposto ad arresto.
Anche
i rilievi sulla maggiore problematicità degli accertamenti sono rimasti
a livello di mera asserzione senza averne fornito alcuna dimostrazione.
La
Corte d'appello ha ignorato l'ipotesi del reato impossibile che esige
il requisito dell'idoneità dell'azione e la possibilità che si verifichi
l'evento, anche di pericolo richiesto dalla norma incriminatrice. Si
richiama la testimonianza dell'ispettore D. R. il quale ha riferito
dell'inutilità della testimonianza della C., per l'acquisizione di prove
significative di videoregistrazione.
- si
deduce che il giudice d'appello ha del tutto omesso di motivare sulla
richiesta di applicare la causa di non punibilità di cui all'art. 384 c.p.,
formulata dalla difesa nel corso delle conclusioni della discussione
riportate nel verbale di udienza. Si chiede che tale accertamento sia
effettuato dalla Corte di cassazione ex art. 129 c.p.p., senza che
rilevi la mancanza di uno specifico motivo d'appello là dove sussistano
le condizioni per applicare l'esimente.
Ulteriore
elemento di riflessione è se le dichiarazioni rese alla polizia
avessero potuto comportare una potenziale accusa contra se per il
coinvolgimento nel reato di favoreggiamento della prostituzione, atti
osceni in luogo pubblico e atti contrari alla pubblica decenza.
-
ulteriore censura riguarda il mancato accertamento sulla sussistenza
dell'elemento soggettivo, poichè è mancata ogni verifica sul disagio
psicologico collegato ad una potenziale incriminazione. La C., dopo
essere stata informata e rassicurata che non vi sarebbe stato alcun
pregiudizio per lei, in dibattimento e in sede di interrogatorio ha
dichiarato tutto quello che sapeva.
3. Tale è la sintesi ex art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, dei termini delle questioni poste.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
La motivazione è congrua e corretta.
Questa
Corte si è espressa nel senso che integrano il reato di favoreggiamento
personale le false indicazioni rese all'autorità di polizia giudiziaria
che siano dirette a non consentire l'identificazione del colpevole, a
nulla rilevando che le investigazioni dell'autorità siano effettivamente
eluse, in quanto è sufficiente che la condotta dell'agente abbia
l'attitudine, sia pure astratta, a intralciare il corso della giustizia,
sicchè nessun rilievo scriminante può essere attribuito alla loro
ininfluenza nel caso concreto 8 Sez. 6, 24 ottobre 2006, dep. 20 giugno
2007, n.24161).
Si è già detto in narrativa,
C.B. rese agli inquirenti informazioni non veritiere sui rapporti con il
proprio sfruttatore, condotta che ebbe a recare un concreto intralcio
alle indagini.
Quanto all'asserita esimente di cui all'art. 384 c.p.,
comma 1, occorre precisare che essa non può essere invocata sulla base
di un mero timore, anche solo presunto od ipotetico, ma occorre un
effettivo danno nella libertà o nell'onore, evitabile solo con la
commissione di uno dei reati in relazione alla quale l'esimente opera.
La
circostanza che l'imputata ebbe poi a dichiarare successivamente il
vero non può valere ad escludere la configurabilità del delitto di
favoreggiamento nè essere elemento idoneo a dare concretezza
all'invocata esimente.
Quanto al potere che si
vuole attribuire alla Corte di legittimità di verificare la sussistenza
dell'esimente in ordine alla quale è mancato uno specifico motivo
d'appello, va precisato che tale potere vi è solo nell'ipotesi in cui in
realtà poi il soggetto abbia assunto la qualità di indagato, poichè
tale ipotesi, esclude in radice la configurabilità del reato.
Il Giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 384 c.p.,
comma 2 "nella parte in cui non prevede l'esclusione della punibilità
per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria da
chi non avrebbe potuto essere obbligato a renderle o comunque rispondere
in quanto persona indagata per reato probatoriamente collegato, ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b) - a quello commesso da altri, le cui dichiarazioni si riferiscono (C.cost. n. 75 del 2009).
Situazione,
nella concreta fattispecie, non sussistente. Risulta che l'attuale
imputata sarebbe stata sentita solo quale persona informata sui fatti e
non risulta, nè è stato specificamente dedotto, che nei confronti della
stessa vi fossero, sia al momento in cui fu sentita dagli organi di
polizia nè emersi successivamente, elementi di un suo coinvolgimento nel
reato commesso dalla persona da lei favorita e, in ogni caso,
imputazioni relative a reato connesso o collegato.
Il
delitto, come ribadisce il giudice di merito, si è concretizzato in
dichiarazioni volte a fuorviare le indagini in corso nei confronti di
persone le quali avevano favorito e sfruttato la prostituzione della
stessa C..
Peraltro, il generico timore di
rimanere coinvolto nella vicenda criminosa non può valere a rendere
configurabile, in favore dell'autore di una condotta oggettivamente
idonea a favorire la persona cui detta vicenda sia attribuibile, la
causa di non punibilità invocata.
Anche, in
relazione al profilo dell'elemento soggettivo la questione è stata, pur
se in termini sintetici, correttamente risolta e giustificata dal
giudice di merito.
Mette conto chiarire che,
ai fini della configurabilità del reato di favoreggiamento personale
occorre, sotto il profilo soggettivo, che la condotta favoreggiatrice
sia stata posta in essere ad esclusivo vantaggio del soggetto favorito.
Situazione che emerge, afferma il giudice di merito, là dove di pone in
rilievo che le informazioni rese da C.B. furono tali da arrecare ab
origine un concreto intralcio alle indagini. In realtà, sono stati in
tal modo posti in rilievo elementi che in concreto - al di là di
generiche supposizioni e alterante ipotesi ricostruttive cui si fa
riferimento in ricorso - dimostrano la volontà dell'imputata chiaramente
volta, attraverso le false informazioni, a fuorviare l'attività
investigative nei confronti del suo sfruttatore.
Il ricorso è infondato e va rigettato. A norma dell'art. 616 c.p.p., la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2009.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2009
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