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lunedì 30 marzo 2015

Cassazione: Essere soggetto a continui controlli fiscali in caso di malattia non vuol dire automaticamente essere "perseguitato" dal datore



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CASSAZIONE CIVILE
Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., 30-10-2009, n. 23133
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

L'impugnativa proposta da S.G. avverso il licenziamento disciplinare intimatogli dalla società datrice di lavoro Calzificio Queen, per ripetute assenze alla visita di controllo durante il periodo di malattia, era rigettata dall'adito Tribunale di Cagliari, e la pronuncia era poi confermata dalla Corte di appello della stessa sede con sentenza depositata il 6 luglio 2007.
Il giudice del merito rilevava che gli accennati episodi si erano verificati dopo altre mancanze sanzionate con sospensioni dal lavoro e dalla retribuzione, per cui riteneva sussistente l'ipotesi prevista dall'art. 74, lett. g) del ceni all'epoca vigente, ove era contemplata come "giusta causa di licenziamento disciplinare la recidività nelle mancanze che (avessero) già dato luogo a una sospensione per la medesima mancanza, o ad una sospensione per mancanza diversa nei quattro mesi precedenti".
La cassazione della sentenza è domandata dal lavoratore con ricorso basato su un motivo, cui ha resistito con controricorso la società intimata.
Essendosi ravvisati i presupposti per la decisione del ricorso con il procedimento di cui all'art. 380 bis c.p.c., è stata redatta la relazione prevista dalla medesima norma, poi ritualmente comunicata al Procuratore Generale e notificata alle parti costituite.
Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

L'unico articolato motivo denuncia "omessa motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio", ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e critica la sentenza impugnata per non avere motivato in ordine alla domanda di accertamento circa la sussistenza dell'atteggiamento vessatorio tenuto dal datore di lavoro nei confronti del ricorrente S. e "concretatosi nelle reiterate, quanto inutili richieste di visita di controllo domiciliari, durante il periodo di malattia". Tali visite, assume il ricorrente, integravano piuttosto che una verifica dello stato di salute del dipendente, "un sistematico e stringente regime di controllo, mirato esclusivamente a stabilire se egli si trovasse in casa orari disposti per legge, mortificando e svilendo totalmente lo spirito della norma, attraverso continue e non trascurabili molestie".
Il ricorso è inammissibile. Come è stato già evidenziato nella indicata relazione, il ricorrente non ha adempiuto alla prescrizione dettata dall'art. 366 bis c.p.c., allorchè venga denunciato con il ricorso per cassazione un vizio riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: in tal caso l'illustrazione del motivo deve contenere l'esposizione chiara e sintetica del fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Qui, invece, il fatto controverso del quale si deduce l'omessa motivazione non è chiaramente indicato, nè può ritenersi che l'indicazione imposta dalla norma possa essere soddisfatta, così come sostiene il ricorrente nella memoria presentata, dal richiamo "all'atteggiamento vessatorio tenuto dal datore di lavoro nei suoi confronti, e concretatosi nelle reiterate, quanto inutili richieste di visita di controllo domiciliari, durante il periodo di malattia".
La deduzione svolta dal ricorrente, invero, si riferisce più che ad un fatto, ad un giudizio su circostanze non specificamente indicate, cioè i diversi controlli domiciliari nel corso della malattia, contro la differente valutazione del giudice del merito, il quale aveva escluso l'accennato comportamento vessatorio del datore di lavoro, rimarcando che "non è dato comprendere quali sarebbero state le visite che avrebbero travalicato il corretto esercizio del diritto- dovere di controllo da parte del datore di lavoro, tali da integrare la vessazione, in ordine alla quale nulla è stato dedotto nel ricorso, senza contare che l'invio delle visite fiscali non è deciso unilateralmente dal datore di lavoro, bensì dall'Istituto Previdenziale".
Quest'ultima statuizione non è censurata, e considerato che il lavoratore si è limitato a lamentare la reiterazione dei controlli domiciliari durante l'assenza per malattia, senza spiegare perchè la loro ripetizione, la quale pure rientra nell'ambito dell'esercizio del diritto del datore di lavoro di verificare la condizione di malattia del lavoratore preclusiva della prestazione lavorativa, avrebbe costituito "continua e non trascurabile molestia", si deve concludere per l'inammissibilità del ricorso, oltre che per il profilo già rilevato nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., anche per quello della genericità della censura.
In applicazione del criterio della soccombenza (art. 91 c.p.c.), le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico del S..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 30,00, oltre a Euro 1.000,00, (mille/00) per onorari e a spese generali, i.v.a. e c.p.a..
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2009

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