(Sezione lavoro, sentenza n. 22418/09; depositata il 22 ottobre) |
IMPIEGATI DEGLI ENTI LOCALI
Cass. civ. Sez. lavoro, 22-10-2009, n. 22418
Cass. civ. Sez. lavoro, 22-10-2009, n. 22418
Svolgimento del processo
1.
- Con ricorso al Tribunale di Spoleto, in funzione di giudice del
lavoro, P.G. domandava la declaratoria di illegittimità del
licenziamento disciplinare irrogatogli dal Comune di Spoleto a seguito
di condanna penale per furto di libri e stampe dalla biblioteca comunale
presso cui egli lavorava come operaio.
Deduceva
che, a seguito di riattivazione in data 5 settembre 2001 della
procedura disciplinare, precedentemente sospesa in attesa dell'esito del
giudizio penale, il licenziamento era intervenuto il 19 ottobre 2001,
oltre il termine di decadenza di novanta giorni previsto dalla L. n. 97 del 2001, art. 5.
1.1. - Costituitosi il Comune, che resisteva alla domanda, il Tribunale
respingeva il ricorso rilevando che il predetto termine non poteva
decorrere se non dalla effettiva conoscenza, da parte dell'ente
pubblico, del passaggio in giudicato della sentenza penale e che,
pertanto, nella specie non si era verificata alcuna decadenza in ordine
alla prosecuzione del procedimento disciplinare e alla irrogazione della
sanzione espulsiva.
2. - Tale decisione
veniva confermata dalla Corte d'appello di Perugia, che, con sentenza
del 21 marzo 2006, respingeva il gravame del dipendente osservando,
ulteriormente, che la necessaria conoscenza della irrevocabilità della
condanna, ai fini della decorrenza del termine in questione, era stata
esplicitamente ritenuta dalla Corte costituzionale che, con la sentenza
n. 186 del 2004, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della L. n. 97 del 2001, art. 10
nella parte in cui prevedeva, per i fatti commessi anteriormente
all'entrata in vigore della legge, l'instaurazione dei procedimenti
disciplinari entro il termine di centoventi giorni dalla conclusione del
procedimento penale con sentenza irrevocabile di condanna, anzichè
entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza
all'amministrazione; nella specie, quindi, non assumeva alcun rilievo la
semplice comunicazione della sentenza ai fini del decorso del termine
per l'impugnazione, mentre un effetto di piena conoscenza poteva
attribuirsi soltanto alla comunicazione della condanna irrevocabile,
effettuata a cura del difensore del Comune in data 25 luglio 2001, sì
che il termine di novanta giorni non poteva considerarsi compiuto alla
data del 5 settembre 2001 con cui s'identificava, pacificamente, la
riattivazione della procedura disciplinare.
3. - Contro questa sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione deducendo un unico e articolato motivo di impugnazione.
3.1. - Il Comune di Spoleto ha resistito con controricorso, depositando altresì memoria illustrativa ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con l'unico motivo di ricorso il ricorrente deduce, preliminarmente, che l'interpretazione della L. n. 97 del 2001, art. 5, comma 4,
cosi come adottata dalla Corte d'appello, comporterebbe la
illegittimità costituzionale della medesima disposizione per
l'incertezza della data di inizio della decorrenza del termine di
novanta giorni dalla sentenza di condanna, entro cui la pubblica
amministrazione deve instaurare, o riattivare, la procedura
disciplinare. Si sostiene, inoltre, che la mancanza, nell'ordinamento,
di un obbligo di comunicazione del passaggio in giudicato della sentenza
penale di condanna determinerebbe un ingiustificato potere di scelta
dell'amministrazione in ordine ai tempi di attivazione de procedimento
disciplinare. Infine, si denuncia la violazione della indicata
disposizione normativa, nonchè vizio di motivazione, per avere la
sentenza impugnata attribuito rilevanza alla comunicazione effettuata
dal legale del Comune, mentre, in realtà, avrebbe dovuto considerare che
la sentenza di condanna era stata regolarmente comunicata secondo la
disciplina del processo penale.
2. Il motivo non è fondato, in alcuno dei profili evidenziati dal ricorrente.
2.1.
E' pacificamente accertato che la vicenda disciplinare in esame sia
soggetta ratione temporis alla disciplina dettata dalla L. n. 97 del 2001, e specificamente alla disposizione della L. n. 97 del 2001, art. 5,
che prevede il termine di novanta giorni per l'instaurazione, o la
riattivazione, della procedura disciplinare, stante la dichiarazione di
illegittimità costituzionale della L. n. 97 del 2001, art. 10, comma 3,
che disponeva che i procedimenti disciplinari per fatti commessi
anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge devono
essere instaurati entro centoventi giorni dalla conclusione del
procedimento penale con sentenza irrevocabile; in particolare, con la
sentenza n. 186 del 2004 la Corte costituzionale ha dichiarato la
illegittimità costituzionale della L. n. 97 del 2001, art. 10 nella parte in cui non prevede il termine di novanta giorni (previsto, invece, dalla L. n. 97 del 2001, art. 5) dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione o all'ente competente per il procedimento disciplinare.
2.2.
L'interpretazione data dalla sentenza impugnata alla disciplina
risultante dall'intervento della Corte costituzionale si rivela del
tutto corretta, ove si consideri che la fissazione del predetto termine
risponde, da un lato, all'esigenza di non procrastinare eccessivamente
il potere disciplinare dell'amministrazione, così tutelandosi il diritto
del lavoratore, e, dall'altro, alla necessità di non far decorrere il
termine prima del passaggio in giudicato della sentenza penale di
condanna e prima che l'amministrazione datrice di lavoro abbia avuto
conoscenza della irrevocabilità della condanna del dipendente, così
evitandosi che il termine decorra in un periodo nel quale la predetta
amministrazione sia oggettivamente impossibilitata ad esercitare ogni
valutazione in ordine alla instaurazione, ovvero alla riattivazione,
della procedura disciplinare.
2.3.
L'equilibrio fra le due diverse finalità, specificamente desumibili
dalla stessa sentenza della Corte costituzionale, esclude
necessariamente che il termine iniziale possa identificarsi con la
comunicazione della sentenza penale alle parti e ai loro difensori.
Ed
invero tale comunicazione si configura come un atto che, all'interno
del processo penale, consente alle parti l'impugnazione della sentenza,
che diviene irrevocabile soltanto in mancanza dell'iniziativa
impugnatoria; non potrebbe pretendersi, pertanto, che l'amministrazione
proceda disciplinarmente in base a tale comunicazione, avvenuta nella
specie - come indica il ricorrente - anche nei confronti del Comune di
Spoleto, costituitosi parte civile nel procedimento penale a carico del
P., poichè si tratterebbe di un atto disciplinare evidentemente viziato,
anche in pregiudizio del lavoratore, in quanto emesso in assenza di
irrevocabilità, e cioè sulla base di una condanna non ancora definitiva.
2.4.
Non può dirsi, d'altra parte, che il Comune sia rimasto inerte nel caso
di specie, essendosi attivato per la ripresa del procedimento pure a
seguito di una comunicazione non ufficiale, quale quella proveniente dal
proprio difensore, e senza che il dipendente condannato abbia a sua
volta proceduto ad informare il datore di lavoro della situazione di
irrevocabilità, in virtù di un proprio interesse, da identificare nella
necessità di fare decorrere il termine e di non procrastinare sine die
il potere disciplinare (che l'ente non avrebbe potuto esercitare in
mancanza di conoscenza della condanna irrevocabile) e secondo un dovere
di collaborazione inteso alla soddisfazione di esigenze di buona
amministrazione, che devono governare, in ogni circostanza, lo
svolgimento del rapporto di impiego in base al principio stabilito dall'art. 97 Cost..
2.5.
Alla stregua di tali considerazioni deve senz'altro escludersi che la
disciplina del termine de quo, così intesa in base alle diverse esigenze
di tutela ad essa sottese, susciti dubbi di illegittimità
costituzionale, atteso che in virtù della citata sentenza della Corte
costituzionale non sarebbe comunque consentito pretendere l'iniziativa
dell'amministrazione senza che la situazione di irrevocabilità della
condanna penale sia comunque comunicata, eventualmente a cura dello
stesso dipendente al fine di impedire una situazione di incertezza per
lui pregiudizievole 2.6. In conclusione, il ricorso deve essere
respinto.
3. Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 1, con liquidazione come in dispositivo.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio, liquidate in Euro 32,00 per esborsi e in Euro
4.000,00 (quattromila) per onorari, oltre accessori.
Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2009
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