l'azienda non può negare al lavoratore l'audizione
in sede disciplinare perché egli ha chiesto di essere sentito con
l'assistenza del suo avvocato - violazione dell'art. 7 st. lav.
LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., 11-12-2009, n. 26023
Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., 11-12-2009, n. 26023
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
A.F.
impugnava dinanzi al giudice del lavoro di Isernia il licenziamento
disciplinare irrogatogli dalla @@@@@@@ @@@@@@@ s.r.l., presso la quale
aveva svolto mansioni di (OMISSIS) del dipartimento qualità. Il
Tribunale dichiarava illegittimo il recesso in quanto non preceduto
dalla audizione dell'incolpato, secondo la richiesta dallo stesso
avanzata.
Proponeva appello la soc. @@@@@@@
@@@@@@@ sostenendo che l'incolpato aveva condizionato l'audizione alla
presenza di un rappresentante sindacale e di uri legale di fiducia e
che, in ogni caso, il dipendente aveva già presentato le proprie
giustificazioni scritte. La Corte di appello di Campobasso con sentenza
2.5-30.7.07 rigettava l'impugnazione, rilevando che il datore aveva
l'obbligo di procedere all'audizione del dipendente e che, in ogni caso,
lo stesso non aveva avuto potuto esplicitare per intero la sua difesa
per iscritto essendosi limitato solo ad una generica negazione degli
addebiti, facendo rinvio all'audizione per le ulteriori precisazioni.
Proponeva
ricorso la soc. @@@@@@@ @@@@@@@ deducendo violazione: 1) dell'art. 7,
commi 2 e 3, statuto lavoratori con riferimento alla pretesa di farsi
assistere dal legale durante l'audizione, con il quesito: il lavoratore
non può chiedere di essere sentito a difesa con l'assistenza, oltre che
del rappresentante sindacale, anche del legale di fiducia e, pertanto,
tale richiesta non obbliga il datore a convocarlo; 2) delle stesse norme
e carenza di motivazione, con il quesito: il datore, dopo la
contestazione dell'addebito, non ha l'obbligo di sentire a voce il
dipendente se questi si sia già esaustivamente difeso per iscritto; 3) dell'art. 2119 c.c.
e della L. 11 luglio 1966, artt. 1 e 3, n. 604, per la mancata
conversione della giusta causa in giustificato motivo soggettivo, con il
quesito: è ammissibile la richiesta di conversione del licenziamento
per g.c. in recesso per g.m.s. della L. n. 604 del 1966, ex art. 3 in quanto tale conversione deve essere pronunziata dal giudice anche d'ufficio.
Il dipendente si difendeva con controricorso.
Il
consigliere relatore redigeva relazione ex art. 380 bis c.p.c., che
veniva comunicata al Procuratore generale ed era notificata unitamente
al decreto di fi@@@@@@@zione dell'odierna adunanza in camera di
consiglio ai difensori costituiti, entrambi i quali depositavano
memoria.
Il ricorso non è fondato.
Quanto
al primo motivo, il consigliere relatore ha sottoposto al Collegio la
giurisprudenza di questa Corte secondo cui nel sistema della L. n. 300 del 1970, art. 7
il diritto di difesa è garantito al lavoratore dalla contestazione
dell'addebito, dal diritto che egli ha di essere sentito e dalla
necessità di attendere cinque giorni prima che il datore po@@@@@@@ dar
luogo a sanzioni più gravi del rimprovero verbale, nonchè anche
dall'assistenza di un rappresentante sindacale, riconosciuta dalla legge
al fine di assicurare al lavoratore una migliore tutela, dovendosi
invece escludere la facoltà per quest'ultimo di farsi assistere da un
legale, non essendovi nella legge alcun riferimento all'assistenza
cosiddetta tecnica, che è normalmente prevista nell'ordinamento solo in
giudizio (art. 24 Cost., comma 2) e può essere riconosciuta o
meno a) di fuori di tale ipotesi in base a valutazione discrezionale del
legislatore (Cass. 17.3.08 n. 7153).
Considerato
che il datore non ha un obbligo di convocazione del lavoratore e che è
tenuto solo a procedere all'audizione ove questi ne faccia richiesta (v.
per tutte Cass. 4.3.04 n. 4435 e 1.9.03 n. 12735) (ovviamente non
superando i limiti consentiti dalla legge), nella specie è sottoposta al
Collegio la questione se, alla luce di tali principi, non fosse
corretta la non convocazione del dipendente e, conseguentemente, fosse
legittimo il recesso.
Rileva il Collegio che
la disposizione dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori - per il quale
"il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare
nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato
l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa" (comma 2) - impone al
datore di lavoro l'audizione orale del dipendente non come dovere
autonomo di convocazione del dipendente, ma come obbligo correlato alla
manifestazione tempestiva della volontà del lavoratore di essere sentito
di persona. La circostanza che tale volontà sia dal lavoratore
accompagnata da una richiesta di una garanzia difensiva non consentita,
non esclude che venga meno l'obbligo di convocazione onde l'audizione si
svolga nei limiti e con le garanzie difensive offerte dalla norma di
legge, atteso che detto art. 7 subordina in maniera rigorosa
l'irrogazione della sanzione all'audizione (ove richiesta), hi altre
parole, di fronte alla richiesta del suo dipendente, sarebbe stato onere
del datore quello di procedere alla convocazione con la precisazione
che l'audizione sarebbe stata consentita alla presenza del solo
rappresentante dell'associazione sindacale (come consentito dall'art. 7,
successivo comma 3) e non anche del difensore di fiducia.
Per
completezza, e a prescindere da quanto verrà detto in seguito a
proposito del secondo motivo di impugnazione, va precisato che detto
rigore normativo a maggior ragione esclude che il datore po@@@@@@@
arrogarsi un potere discrezionale in punto di formale convocazione in
forza di una supposta esaustività di altre forme di difesa scritte ed
orali.
In conclusione, ritiene il Collegio che
debba ritenersi infondato il primo motivo, avendo il giudice di merito
con accertamento di fatto non contestato accertato che il datore -
nonostante la formale richiesta di audizione - non ha mai convocato il
lavoratore ed ha irrogato il licenziamento senza aver ascoltato il
dipendente.
Il secondo motivo è inammissibile,
atteso che il quesito formulato ex art. 366 bis c.p.c. sottopone al
Collegio un inammissibile giudizio di fatto, quale quello della
esaustività della difesa svolta per iscritto dal lavoratore all'atto
della risposta alla contestazione del datore di lavoro.
In ragione del rigetto del primo, il terzo motivo è da ritenere assorbito.
Il ricorso è, dunque, infondato e deve essere rigettato.
Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese nella
misura di Euro 30,00 per esborsi e di Euro 1.500 per onorari, oltre
spese generali, Iva e cpa.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2009
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