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Vietato fumare: non spetta ai titolari dei locali pubblici vigilare sul rispetto delle regole |
(Sezione quinta, decisione n. 6167/09; depositata il 7 ottobre) |
N. 06167/2009 REG.DEC.
N. 09347/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.r.g. 9347/2006, proposto da:
Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Conferenza permanente per i rapporti Stato-regioni e province autonome di Trento e Bolzano; Ministero della salute;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Conferenza permanente per i rapporti Stato-regioni e province autonome di Trento e Bolzano; Ministero della salute;
contro
S.i.l.b.-Associazione Italiana Imprenditori Locali Da Ballo, non costituita in giudizio;
per la riforma
della
sentenza del T.a.r. Lazio – Roma, sezione III-ter, n. 6066/2005, resa
tra le parti, concernente L’APPLICAZIONE DELLA CIRCOLARE ATTUATIVA DI
NORME ANTIFUMO, in rapporto all’impugnazione dei seguenti atti:
-
la circolare del Ministro della salute 17/12/2004, recante “indicazioni
interpretative e attuative dei divieti conseguenti all’entrata in
vigore dell’art. 51, legge 16/1/2003 n. 3, sulla tutela della salute dei
non fumatori”, pubblicata nella G.U. n. 300 del 23/12/2004: a) nella
parte in cui imponeva ai soggetti responsabili della struttura, o loro
delegati, l’obbligo di richiamare formalmente i trasgressori
all’osservanza del divieto di fumare e di segnalare, in caso di
inottemperanza al richiamo, il comportamento del o dei trasgressori, ai
pubblici ufficiali ed agenti ai quali compete la contestazione della
violazione del divieto e la conseguente redazione del verbale di
contravvenzione”; b) nella parte in cui, in caso di inosservanza di tali
obblighi, si applicavano le sanzioni stabilite dall’art. 7, comma 2,
legge 11/11/1975 n. 584, anche in relazione a quanto disposto dall’art.
2, medesima legge n. 584/1975, e le sanzioni di cui all’art. 5, cit.
legge n. 584/1975, in forza del quale, nel caso in cui gli obblighi non
vengano osservati, il Questore può sospendere (per un periodo da tre
giorni a tre mesi) o revocare la licenza di esercizio del locale; c)
nella parte in cui imporrebbe di indicare, nel cartello segnalante il
“divieto di fumo”, il nome dei soggetti responsabili della struttura o
dei loro delegati incaricati di vigilare sul divieto di fumare; d) nella
parte in cui consentiva di attrezzare a norma aree riservate ai
fumatori, purché le stesse fossero di inferiori dimensioni rispetto a
quelle riservate ai non fumatori, anche in locali diversi da quelli
adibiti ad esercizi di ristorazione; e) nella parte in cui non
consentiva, agli esercenti discoteche e locali ad esse assimilati, di
attrezzare a norma la struttura per riservarla integralmente ed
esclusivamente ai fumatori;
- l’accordo 16/12/2004
tra il Ministero della salute, di concerto con i Ministeri dell’interno e
della giustizia, e le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, in materia di tutela della salute dei non fumatori, in
attuazione dell’art. 51, comma 7, legge 16/1/2003 n. 3;
-
ove occorra, e per quanto di ragione, la direttiva del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 14/12/1995 n. 37000, nella parte in cui
prevedeva che “per i locali condotti da soggetti privati, il
responsabile della struttura, ovvero dipendente o collaboratore da lui
incaricato, richiamerà i trasgressori all’osservanza del divieto e
curerà che le infrazioni siano segnalate ai pubblici ufficiali ed agenti
competenti, a norma dell’art. 13 della legge 24/11/1981 n. 689”;
- ogni altro atto presupposto, connesso, e/o consequenziale.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore,
nell'udienza pubblica del 3 luglio 2009, il Consigliere di Stato Aldo
SCOLA ed uditi, per le parti, i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 23-bis, comma 6, legge 6 dicembre 1971 n. 1034, introdotto dalla legge 21 luglio 2000 n. 205;
Relatore,
nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2009, il Consigliere di Stato
Aldo SCOLA e uditi, per le parti, i difensori come specificato nel
verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
A)-
La parte originaria ricorrente impugnava, dinanzi al T.a.r. Lazio, gli
atti in epigrafe indicati, attuativi dei divieti conseguenti all’entrata
in vigore dell’art. 51, legge 16/1/2003 n. 3, sulla tutela della salute
dei non fumatori, nella parte in cui avevano ampliato il contenuto
delle prescrizioni legislative, prevedendo che i soggetti responsabili
della struttura, o i loro delegati, avessero l’obbligo di richiamare
formalmente i trasgressori all’osservanza del divieto di fumare e di
segnalare, in caso di inottemperanza al richiamo, il comportamento dei
trasgressori ai pubblici ufficiali ed agenti competenti per la
contestazione e la conseguente redazione del verbale di contravvenzione,
nonché (la circolare) nella parte in cui non consentiva di attrezzare
le discoteche ed i locali assimilati a norma, al fine di destinarli
integralmente ed esclusivamente, o prevalentemente, ai fumatori.
La
stessa precisava che il suddetto art. 51 avrebbe stabilito un generale
divieto di fumare in tutti i locali chiusi, salvo che si trattasse di
locali “privati non aperti ad utenti o al pubblico”, ovvero “riservati
ai fumatori e come tali contrassegnati”, prevedendo un apposito apparato
sanzionatorio.
In attuazione del settimo comma
dello stesso art. 51 era stato adottato, in sede di Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano, un accordo per definire “le procedure per
l’accertamento delle infrazioni, la relativa modulistica per il rilievo
delle sanzioni, nonché l’individuazione dei soggetti legittimati ad
elevare i relativi processi verbali, di quelli competenti a ricevere il
rapporto sulle infrazioni, accertate ai sensi dell’art. 17 della legge
24/11/1981 n. 689, e di quelli deputati a irrogare le relative
sanzioni”; tale accordo avrebbe previsto l’obbligo dei conduttori dei
predetti locali, o dei loro delegati, di esercitare una generale
vigilanza e segnalare la trasgressione ai soggetti pubblici indicati
nell’accordo stesso, enucleandovisi obblighi “positivi” di ammonimento
(a non fumare) e di segnalazione a pubblico ufficiale, oltre che
obblighi strumentali (ad esempio, iscrizione dei nomi dei responsabili
sul cartello contenente il divieto di fumare) in capo a soggetti privati
(conduttori di locali privati aperti al pubblico) espletanti una
libertà costituzionalmente tutelata (quella di iniziativa economica
privata, ex art. 41, Costituzione).
B)- L’originaria ricorrente deduceva:
1)
violazione del principio di legalità e della riserva di legge di cui
agli artt. 23 e 25, comma 2, e 41, Costituzione; violazione dell’art. 1,
legge 24/11/1981 n. 689; violazione dell’art. 51, legge 16/1/2003 n. 3;
violazione degli artt. 2 e 7, legge 11/11/1975 n. 584; eccesso di
potere per irragionevolezza, illogicità, erronei presupposti e
travisamento dei fatti.
Il punto 4 dell’accordo
impugnato prevedeva che i conduttori dei locali od i loro collaboratori
formalmente delegati alla vigilanza sul rispetto del divieto di fumo,
“richiamano i trasgressori all’osservanza del divieto e curano che le
infrazioni siano immediatamente segnalate ai soggetti pubblici
incaricati, a norma dei punti 2.5 e 3”.
Analoghe
disposizioni erano formulate nella circolare egualmente impugnata, così
addossandosi ai conduttori di locali privati tre obblighi distinti e
coordinati : a) dovere di vigilanza generale sul rispetto del divieto di
fumo all’interno del locale privato da essi gestito; b) dovere di
richiamare i trasgressori all’osservanza del divieto attraverso
interventi attivi e formali di dissuasione e di ammonizione; c) obbligo
di curare che le eventuali infrazioni fossero immediatamente segnalate
agli agenti o funzionari di polizia, ovvero ai soggetti pubblici
incaricati di accertare e contestare la violazione di legge, oltre che
di applicare la relativa sanzione.
Veniva, dunque,
imposto un preciso dovere di vigilanza a fini pubblici a soggetti
privati, del tutto sfornito di base legale e, dunque, illegittimo
anzitutto per violazione del principio di legalità, espressamente
riconosciuto, nell’ambito del diritto amministrativo depenalizzato,
dall’art. 1, legge 24/11/1981 n. 689, ex artt. 23 e/o 25, Costituzione.
L’unica
disposizione di legge astrattamente invocabile era quella di cui
all’art. 51, commi 5 e 7, legge n. 3/2003; il comma 7 rinviava ad un
accordo della Conferenza Stato-regioni la specificazione delle
operazioni relative all’accertamento ed alla contestazione delle
infrazioni al divieto di fumo, senza alcun riferimento al predetto
dovere di vigilanza in capo ai privati gestori, concernendo esso solo le
attività (di accertamento delle infrazioni e relativa modulistica) in
materia di infrazioni spettanti a soggetti pubblici (agenti ed ufficiali
di polizia); il comma 5, a sua volta, faceva rinvio all’art. 7, ed,
indirettamente, all’art. 2, legge 11/11/1975 n. 584, che si limitava a
stabilire, per i conduttori dei locali, l’obbligo di curare l’osservanza
del divieto, “esponendo, in posizione visibile, cartelli riproducenti
la norma con l’indicazione della sanzione comminata ai trasgressori”.
2)
Violazione dell’art. 41, Costituzione, e dei principi di legalità e
riserva di legge; palese irragionevolezza e manifesta illogicità degli
atti impugnati nella parte contemplante in capo ai gestori di pubblici
esercizi o loro delegati il potere-dovere di vigilare sull’osservanza
del divieto di fumare, determinandosi la surrettizia trasformazione
giuridica di un soggetto privato (gestore) in una figura pubblica,
ovvero in un incaricato di pubblica funzione o di pubblico servizio, in
contrasto con l’art. 41, Costituzione.
3)
Violazione dell’art. 51, commi 5 e 7, legge n. 3/2003; erronei
presupposti; sviamento di potere e travisamento dei fatti, avendo la
Conferenza violato apertamente i limiti indicati dalla legge,
introducendo illegittimamente ulteriori incombenti in capo ai soggetti
responsabili della struttura.
4) In via subordinata
: incostituzionalità dell’art. 51, legge n. 3/2003, e degli artt. 2, 5 e
7, legge n. 584/1975, come sostituito dall’art. 52, comma 20, legge n.
448/2001, in relazione agli artt. 2, 3, 23, 25, comma 2, e 41,
Costituzione.
5) Violazione dell’art. 51, commi 1 e
2, legge n. 3/2003, e degli artt. 1, comma 1, lett. b), e 3, comma 1,
legge n. 584/1975; violazione del d.P.C.M. 23/12/2003; erronei
presupposti; sviamento di potere; travisamento dei fatti e manifesta
contraddittorietà.
La circolare impugnata, al punto
3, avrebbe inoltre sancito, in violazione delle norme richiamate,
l’impossibilità di attrezzare a norma le discoteche ed i locali
assimilati (sale chiuse da ballo), per riservarle soltanto o quasi
soltanto ai fumatori.
In realtà, l’art. 51, comma
3, prevederebbe in rapporto ai soli esercizi di ristorazione, per i non
fumatori, locali di superficie prevalente rispetto a quella complessiva
di somministrazione dell’esercizio, con un criterio di prevalenza
sancito solo in rapporto agli esercizi di ristorazione, ma non per gli
altri esercizi pubblici, per i quali risulterebbe, dunque, ancora
vigente il comb. disp. artt. 1 e 3, legge n. 584/1975.
In
forza di tali norme sarebbe possibile ottenere l’esenzione
dall’osservanza dell’art. 1, legge n. 584/1975, previa installazione di
un impianto di condizionamento dell’aria o di un impianto di
ventilazione, rispettivamente corrispondenti alle caratteristiche di
definizione e classificazione determinate dall’ente nazionale italiano
di unificazione, con la correlativa possibilità di destinare ai fumatori
l’intera sala da ballo, o, quanto meno, uno spazio prevalente rispetto
alla superficie complessiva del locale.
Si
costituivano in giudizio le amministrazioni intimate, eccependo
l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, in
considerazione della natura degli atti impugnati, nonché per difetto di
giurisdizione dell’adìto giudice amministrativo, e comunque la sua
infondatezza nel merito.
C)- I primi giudici
accoglievano in parte il ricorso, con sentenza prontamente impugnata
dalle amministrazioni pubbliche soccombenti, che deducevano
l’ipotizzabile carenza di potere a monte degli atti gravati, con
correlativa sussistenza della giurisdizione ordinaria; la natura
meramente interpretativa dell’impugnata circolare ministeriale, di per
se stessa non impugnabile; la natura politica (non solo dei
provvedimenti assunti dal Governo ma anche) degli atti adottati dalla
Conferenza Stato-regioni, pertanto non impugnabili dinanzi al giudice
amministrativo (art. 31, r.d. n. 1054/1924), ma semmai presso quello
ordinario, per eventuali sanzioni inflitte per il mancato rispetto degli
obblighi di cui sopra; il carattere relativo e non assoluto del
principio di legalità, temperato per le norme amministrative
depenalizzate, con la connessa possibilità di ampi rinvii a quelle
regolamentari (secondarie); l’impossibilità di configurare l’obbligo di
vigilanza come una prestazione personale imposta, mancandovi qualsiasi
risvolto economico; l’insussistenza di qualunque violazione dell’art.
41, Costituzione, non intendendosi in alcun modo ostacolare l’attività
imprenditoriale, ma solo indirizzarla al rispetto di esigenze superiori
(come quelle connesse alla salute pubblica: art. 32, Costituzione); il
fondamento legislativo del potere esercitato, ravvisabile nella
normativa primaria di cui sopra, nella prospettiva di non rendere vani i
divieti e gli obblighi qui discussi, preservando l’operatività del
relativo apparato sanzionatorio; la sicura possibilità di affidare
funzioni pubbliche a soggetti privati preposti ad attività che lo
impongano o lo consentano.
All’esito della pubblica
udienza di discussione la vertenza passava in decisione sulle sole
conclusioni della parte appellante, non essendosi costituita in giudizio
quella appellata.
DIRITTO
I)-
L’appello è infondato e va respinto, dovendosi condividere quanto
affermato dai primi giudici, dopo aver considerato preliminarmente
ammissibile l’impugnativa avverso la circolare del Ministero della
salute 17/12/2004, non trattandosi di una mera circolare interpretativa
(atto interno alla p.a., finalizzato essenzialmente ad indirizzare
uniformemente l’azione dei vari uffici od organi), ma contenendo la
stessa, al contrario, pure “indicazioni attuative dei divieti
conseguenti all’entrata in vigore dell’art. 51 della legge 16/1/2003 n. 3
…”.
Né rilevava la circostanza che gli obblighi
imposti ai soggetti responsabili della struttura od ai loro delegati
fossero in gran parte previsti dall’accordo 16/12/04 intervenuto presso
la Conferenza permanente di cui in narrativa, o dalla precedente
direttiva P.C.M. in data 14/12/95, ciò non escludendo che i contenuti
della circolare, per ragioni di opportunità e chiarezza, riproducessero
vincoli per i soggetti terzi estranei alla p.a., con possibili profili
di lesività e connessa autonoma impugnabilità.
Analogamente,
non poteva che disattendersi l’eccezione d’inammissibilità
dell’impugnativa del citato accordo 16/12/04, motivata con riguardo alla
natura non amministrativa, ma politica, di tale atto, asseritamente
intercorrente tra soggetti aventi rilevanza costituzionale: il modulo
consensuale, nei rapporti tra Stato e regioni, è espressione di quel
principio di leale collaborazione che la giurisprudenza costituzionale
ha elaborato come strumento utile nel caso d’interferenze per la
competenza legislativa o per quella amministrativa.
Il
d.lgs. 28/8/1997 n. 281, rafforzando i compiti della Conferenza
permanente, aveva previsto il modulo pattizio, distinguendo tra intese
(art. 3) ed accordi (art. 4), i quali ultimi sembrano assumere
collocazione prevalente nel campo dell’attività amministrativa, come si
desume anche dal testuale riferimento ad accordi conclusi in sede di
Conferenza Stato-regioni, “nel perseguimento di obiettivi di
funzionalità, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa”, “al
fine di coordinare l’esercizio delle rispettive competenze e svolgere
attività di interesse comune”: il che, sul piano oggettivo, non poteva
che far escludere la natura di atto politico.
Inoltre,
detta Conferenza permanente non è organo del potere esecutivo e non
appartiene né all’apparato statale né a quello regionale, trattandosi di
un’istituzione attiva nell’ambito della comunità nazionale, quale
strumento per l’attuazione della coooperazione (cfr. Corte cost., sent.
31/3/1994 n. 116): il che non poteva che far escludere la natura di atto
politico dell’accordo pure dall’angolazione soggettiva, in conformità
alla giurisprudenza formatasi sull’art. 31, r.d. 26/6/1924 n. 1054),
ritenuto ipotesi eccezionale di sottrazione al sindacato giurisdizionale
di atti soggettivamente e formalmente amministrativi, ma costituenti
espressione della fondamentale funzione di direzione politica
nell’ordinamento.
Per integrare la nozione
legislativa di atto politico devono concorrere due requisiti, l’uno
soggettivo e l’altro oggettivo : deve trattarsi di atto o provvedimento
emanato dal Governo, nell’esercizio del potere politico, anziché di
attività meramente amministrativa (cfr. C.S., sez. IV, dec. 29/2/1996 n.
217), requisiti entrambi assenti nell’accordo in esame, il che non
impedisce di ritenere comunque utilmente impugnata in questa sede la
circolare, riproduttiva e specificativa del suo contenuto.
II)-
Nella specie, oggetto della controversia non è il divieto di fumo,
inteso quale limite posto ai privati a tutela del diritto alla salute,
bene primario e diritto fondamentale della persona (cfr. Corte cost.,
sent. 20/12/1996 n. 399), ma lo sono gli “obblighi positivi” (di
ammonimento e di segnalazione a pubblico ufficiale), che gli atti
impugnati prevedono in capo ai conduttori di locali privati aperti al
pubblico.
Gli obblighi ricadenti sui soggetti
responsabili della struttura o sui loro delegati sono essenzialmente
quelli di: a) richiamare formalmente i trasgressori all’osservanza del
divieto di fumare; b) segnalare, in caso di inottemperanza al richiamo,
il comportamento del o dei trasgressori ai pubblici ufficiali od agenti
competenti per la contestazione della violazione del divieto e la
conseguente redazione del verbale di contravvenzione: prestazione
personale senza alcun fondamento legislativo.
Neppure
il comma 5 dell’art. 51, riferito alle sanzioni applicabili nel caso
d’infrazioni al divieto di fumo, mediante rinvio all’art. 7, legge
11/11/1975 n. 584, contiene una disciplina del contenuto degli obblighi
gravanti sui soggetti preposti alla vigilanza.
Infatti,
detto art. 7, comma 2, stabilisce solo l’importo della sanzione
pecuniaria, mentre l’art. 2, stessa legge n. 584/1975, cui rimanda
l’art. 7 cit., prevede soltanto che essi “curano l’osservanza del
divieto, esponendo, in posizione visibile, cartelli riproducenti la
norma con l’indicazione della sanzione comminata ai trasgressori”.
Appare,
dunque, evidente la violazione della riserva relativa di legge
contenuta nell’art. 23, Costituzione, dato che le prestazioni personali
possono essere imposte per la soddisfazione di interessi pubblici, ma
unicamente dalla legge, che deve indicare il soggetto pubblico abilitato
ad imporre la prestazione, nonché i limiti dell’imposizione
(rispettivamente, soggetto ed oggetto della prestazione imposta).
La
distinzione tra riserva assoluta e relativa si fonda, poi,
sull’intensità della disciplina legislativa, che nella prima ipotesi
deve regolare compiutamente la materia, mentre nel secondo caso deve
fissare la disciplina fondamentale, lasciandone il dettaglio ad altre
fonti del diritto, gerarchicamente subordinate, anche formalmente
amministrative, per cui la riserva di legge si sovrappone al principio
di legalità sostanziale, imponendo al legislatore l’individuazione dei
limiti di contenuto dell’azione amministrativa (cfr. Corte cost., sent.
5/2/1986 n. 34).
Ciò vale nella prospettiva
dell’art. 23, Costituzione, come dell’art. 41, che sancisce la libertà
d’iniziativa economica privata e, nell’affermarne la libertà, consente
l’apposizione di limiti al suo esercizio, richiedendo, sotto l’aspetto
sostanziale, che questi corrispondano all’utilità sociale, e, sotto
quello formale, che ne sia imposta la disciplina ad opera della legge
(cfr. Corte cost., sent. 8/2/1962 n. 5).
Occorreva,
quindi, una previsione legislativa per imporre i descritti doveri di
vigilanza nei confronti di soggetti esercenti la propria libertà di
iniziativa economica privata nell’ambito di locali aperti al pubblico,
in qualche misura trasformati in incaricati di una pubblica funzione, o,
quanto meno, di un pubblico servizio; anche sotto tale profilo dovevano
apparire, dunque, del tutto inidonei gli impugnati atti amministrativi,
svolgenti non già una funzione integrativa della disciplina sul divieto
di fumo, ma, in violazione della norma costituzionale attributiva della
competenza normativa, disciplinanti funditus i doveri dei gestori
privati, al cospetto di un avventore (utente, collaboratore o fornitore)
eventualmente trasgressivo.
III)- Non si trattava,
peraltro, di un atto adottato in carenza di potere, conoscibile dalla
giurisdizione ordinaria, secondo la prospettazione della p.a.
appellante, essendosi fuori dell’ambito del difetto assoluto di
attribuzione (c.d. carenza in astratto) e manifestandosi piuttosto un
cattivo uso del potere, nei cui riguardi il privato vanta una posizione
di interesse legittimo, tutelabile dinanzi al giudice amministrativo.
Neppure
può condivedersi quanto contenuto nel punto 5) della circolare
17/12/04, secondo cui il rinvio (indiretto) all’art. 2, legge n. 584/75,
nell’assetto di cui alla legge n. 3/2003, precluderebbe
un’interpretazione restrittiva, tale da limitare l’obbligo dei gestori
soltanto alla materiale apposizione del cartello recante il divieto di
fumo, in quanto risulterebbe altrimenti irrazionale l’applicazione delle
rigorose misure sanzionatorie previste dall’art. 7, comma 2, legge n.
584/1975 (nel testo sostituito dall’art. 52, legge 28/12/2001 n. 448),
non potendo la circolare impropriamente fornire un’interpretazione
“adeguatrice” della norma, peraltro insanabilmente in contrasto con il
testuale dettato normativo: il contenuto dell’obbligo imposto ai
conduttori dei locali dall’art. 2, comma 3, legge n. 584/1975, è solo
quello di esporre, in posizione visibile, cartelli riproducenti il
divieto di fumo, con l’indicazione della sanzione comminata ai
trasgressori (l’uso del gerundio specifica proprio il contenuto
dell’obbligo enunciato nella proposizione principale).
Si
deve poi considerare che la disciplina sul divieto di fumo, introdotta
dall’art. 51, legge n. 3/2003, è tale da avere un ambito oggettivo di
applicazione esteso a tutti i locali chiusi ma aperti ad utenti od al
pubblico (discoteche e simili), per cui la (consentita) riserva di
taluni di questi ai fumatori si pone come eccezione alla regola, il che
rende ragionevolmente condivisibile l’interpretazione normativa fatta
propria dalla circolare, secondo cui, “considerata la libera
accessibilità a tutti i locali di fumatori e non fumatori, la
possibilità di fumare non può essere consentita se non in spazi di
inferiore dimensione attrezzati all’interno dei locali”.
IV)-
La legge 25/8/1991 n. 287, all’art. 5, nell’enucleare la tipologia dei
pubblici esercizi, distingue tra esercizi di ristorazione (lett. a) ed
esercizi per la somministrazione di bevande (lett. b); alla lett. c)
prevede, inoltre, che l’esercizio di ristorazione e di somministrazione
di bevande possa essere effettuato “congiuntamente ad attività di
trattenimento e svago, in sale da ballo, sale da gioco, locali notturni,
stabilimenti balneari ed esercizi similari”, con un’accezione ampia di
“esercizio di ristorazione” che può, per espressa previsione normativa,
interessare anche le discoteche e non esclusivamente i ristoranti.
Il
ricorso introduttivo non poteva, dunque, che essere in parte accolto,
con conseguente annullamento parziale degli atti impugnati, nella parte
in cui imponevano ai soggetti responsabili di locali privati aperti al
pubblico, o loro delegati, l’obbligo di richiamare formalmente i
trasgressori all’osservanza del divieto di fumare e di segnalare, in
caso di inottemperanza al richiamo, il comportamento dei trasgressori ai
pubblici ufficiali competenti a contestare la violazione e ad elevare
il conseguente verbale di contravvenzione.
Conclusivamente,
l’appello va quindi respinto, con salvezza dell’impugnata sentenza,
mentre nulla deve disporsi per spese ed onorari del giudizio di secondo
grado, non essendovisi costituita la parte appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, sezione V, respinge l'appello e nulla dispone per spese ed onorari del secondo grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 luglio 2009, con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Cesare Lamberti, Consigliere
Aldo Scola, Consigliere, Estensore
Francesco Caringella, Consigliere
Giancarlo Montedoro, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/10/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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