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Va risarcito il lavoratore che acquista a sue spese gli abiti da lavoro |
La fornitura al personale dipendente della divisa da indossare durante il servizio, infatti, consiste in una prestazione datoriale di natura retributiva. In caso di inadempimento all'obbligo contrattualmente assunto, quindi, l'azienda deve risarcire |
(Sezione lavoro, sentenza n. 26234/09; depositata il 15 dicembre) |
Cass. civ. Sez. lavoro, 15-12-2009, n. 26234
Svolgimento del processo
Con
sentenza depositata il 25 agosto 2005, la Corte d'appello di Roma, in
parziale riforma della sentenza in data 16 gennaio 2003 del Tribunale
della medesima città (che aveva respinto integralmente le domande), ha
condannato la MET.RO s.p.a. (già Metroferro s.p.a., già Cotral s.p.a.) a
pagare al suo dipendente impiegato F. A. la somma di Euro 826,33, oltre
accessori di legge, a titolo di corrispettivo dei capi di vestiario
annualmente dovuti dalla società - in base agli accordi sindacali del 9
giugno 1972, del 1 marzo 1990 e del 1 giugno 1990 - e non consegnati,
come richiesto dal dipendente relativamente al periodo dal 1983 al 1999.
In
proposito, la Corte territoriale ha dichiarato di condividere la
qualificazione operata da questa Corte con la sentenza n. 9154 del 1998,
relativamente alla natura retributiva della prestazione prevista dagli
accordi citati (consistente nella fornitura, ogni anno, al personale
dipendente di vestiario da indossare durante il servizio) con
conseguente diritto al risarcimento del danno in caso di inadempimento.
Inadempimento
che la Corte ha accertato nel comportamento della società, ritenendo
non fondata la tesi difensiva di questa secondo la quale la mancata
consegna del vestiario sarebbe dipesa dal mancato ritiro degli stessi da
parte degli interessati nei termini stabiliti, ma limitando la misura
del risarcimento a quella richiesta in via subordinata (che teneva conto
dell'accordo transattivo del 1 giugno 1990 relativamente al periodo
pregresso dal 1983 a tutto l'anno 1990), "depurata della eccepita
prescrizione, dovendo ritenersi peraltro fondata la prospettazione del
COTRAL secondo cui il danno subito non può consistere sic et sempliciter
nel controvalore dei capi di vestiario in questione, per l'acquisto dei
quali era peraltro prevista una partecipazione alla spesa anche da
parte dei lavoratori".
Avverso tale sentenza propone ora ricorso per cassazione F. A., con un unico articolato motivo.
Resiste alla domanda di annullamento della sentenza la METRO s.p.a. con rituale controricorso.
Motivi della decisione
Col ricorso F.A. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2948 cod. civ., del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 10, all. A) come modificato dalla L. 24 luglio 1957, n. 633 nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata.
Nell'accogliere
(parzialmente, secondo il dispositivo della sentenza impugnata)
l'eccezione di prescrizione, la Corte territoriale avrebbe infatti
omesso di considerare, accogliendo la domanda subordinata, che alla
stregua dell'accordo del 1 giugno 1990, in atti, ad essa relativo, gli
accordi del 9 luglio 1972 e del 1 marzo 1990 erano stati parzialmente
derogati con la previsione di una distribuzione di vestiario ridotta, "a
sanatoria delle spettanze pregresse fino a tutto l'anno 1990".
Pertanto,
data la natura transattiva e novativa dell'accordo, la eccezione di
prescrizione (decennale, secondo il ricorrente, trattandosi di
violazione di obblighi contrattuali) era da ritenersi infondata,
decorrendo la prescrizione dal 1 giugno 1990 ed essendo stata
interrotta, come risultante dagli atti, con le domande del 22 aprile
1991, del 20 dicembre 1995 e del 9 agosto 2000, essendo poi stato il
ricorso introduttivo del giudizio notificato in data 21 giugno 2001.
Infine,
secondo il ricorrente, non sarebbe comprensibile l'iter logico seguito
per pervenire alla ridotta somma di Euro 826,33 rispetto a quella, pur
richiesta in via subordinata, di Euro 3.150,39, dato che mancherebbe
l'indicazione del periodo temporale al quale si riferisce il
risarcimento e dei criteri seguiti per la sua determinazione.
Il ricorrente conclude pertanto con la richiesta di annullamento della sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge.
Il ricorso è infondato.
Va
subito rilevato che il ricorrente, in applicazione della regola della
autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui cfr., da ultimo,
Cass. nn. 5043/09, 4823/09 e 338/09), avrebbe dovuto dedurre di avere
tempestivamente contrastato, con le deduzioni in fatto e in diritto oggi
prospettate, l'eccezione di prescrizione quinquennale proposta dalla
società in primo grado e di avere ritualmente rinnovato in appello la
relativa difesa.
In difetto, tale difese devono ritenersi tardive e non possono pertanto trovare ingresso in questa sede di legittimità.
Quanto
alla deduzione di incomprensibilità della decisione, una volta accolta
l'eccezione di prescrizione quinquennale, i giudici di appello hanno
liquidato l'importo relativo agli ultimi cinque anni dalla proposizione
del ricorso, avvenuta nel maggio-giugno 2001, partendo quindi dall'anno
1996 e fino all'anno 1999 (data finale della domanda), seguendo i
criteri enunciati nello stesso ricorso introduttivo e ora indicati nel
ricorso per cassazione, vale a dire moltiplicando il valore di L.
500.000 attribuito dal F. al vestito annualmente dovuto per i quattro
anni dal 1996 al 1999 ritenuti non prescritti e depurando il risultato
del 20% (rappresentante la percentuale del costo del vestito posta a
carico del lavoratore), come in realtà già operato nel ricorso
introduttivo del giudizio (per cui appare superflua la considerazione
della Corte laddove dichiara di accogliere in proposito la
prospettazione della società) e ripreso in termini complessivi nelle
conclusioni assunte in appello e riportate in sentenza.
Il risultato, di L. 1.600.000 corrisponde infatti agli Euro 826,33 liquidati nella sentenza di condanna.
Sebbene
con una motivazione estremamente sintetica, la sentenza contiene
pertanto tutti gli elementi per poter comprendere il corretto iter
logico seguito nelle determinazione del quantum liquidato.
Il ricorso va pertanto respinto.
L'esposizione
e le argomentazioni che precedono sostengono la decisione di compensare
integralmente tra le parti le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese di questo giudizio.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2009
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