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lunedì 13 luglio 2015

Cassazione: Va risarcito il lavoratore che acquista a sue spese gli abiti da lavoro La fornitura al personale dipendente della divisa da indossare durante il servizio, infatti, consiste in una prestazione datoriale di natura retributiva. In caso di inadempimento all'obbligo contrattualmente assunto, quindi, l'azienda deve risarcire



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Va risarcito il lavoratore che acquista a sue spese gli abiti da lavoro
La fornitura al personale dipendente della divisa da indossare durante il servizio, infatti, consiste in una prestazione datoriale di natura retributiva. In caso di inadempimento all'obbligo contrattualmente assunto, quindi, l'azienda deve risarcire
(Sezione lavoro, sentenza n. 26234/09; depositata il 15 dicembre)
Cass. civ. Sez. lavoro, 15-12-2009, n. 26234
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 25 agosto 2005, la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza in data 16 gennaio 2003 del Tribunale della medesima città (che aveva respinto integralmente le domande), ha condannato la MET.RO s.p.a. (già Metroferro s.p.a., già Cotral s.p.a.) a pagare al suo dipendente impiegato F. A. la somma di Euro 826,33, oltre accessori di legge, a titolo di corrispettivo dei capi di vestiario annualmente dovuti dalla società - in base agli accordi sindacali del 9 giugno 1972, del 1 marzo 1990 e del 1 giugno 1990 - e non consegnati, come richiesto dal dipendente relativamente al periodo dal 1983 al 1999.
In proposito, la Corte territoriale ha dichiarato di condividere la qualificazione operata da questa Corte con la sentenza n. 9154 del 1998, relativamente alla natura retributiva della prestazione prevista dagli accordi citati (consistente nella fornitura, ogni anno, al personale dipendente di vestiario da indossare durante il servizio) con conseguente diritto al risarcimento del danno in caso di inadempimento.
Inadempimento che la Corte ha accertato nel comportamento della società, ritenendo non fondata la tesi difensiva di questa secondo la quale la mancata consegna del vestiario sarebbe dipesa dal mancato ritiro degli stessi da parte degli interessati nei termini stabiliti, ma limitando la misura del risarcimento a quella richiesta in via subordinata (che teneva conto dell'accordo transattivo del 1 giugno 1990 relativamente al periodo pregresso dal 1983 a tutto l'anno 1990), "depurata della eccepita prescrizione, dovendo ritenersi peraltro fondata la prospettazione del COTRAL secondo cui il danno subito non può consistere sic et sempliciter nel controvalore dei capi di vestiario in questione, per l'acquisto dei quali era peraltro prevista una partecipazione alla spesa anche da parte dei lavoratori".
Avverso tale sentenza propone ora ricorso per cassazione F. A., con un unico articolato motivo.
Resiste alla domanda di annullamento della sentenza la METRO s.p.a. con rituale controricorso.

Motivi della decisione

Col ricorso F.A. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2948 cod. civ., del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 10, all. A) come modificato dalla L. 24 luglio 1957, n. 633 nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata.
Nell'accogliere (parzialmente, secondo il dispositivo della sentenza impugnata) l'eccezione di prescrizione, la Corte territoriale avrebbe infatti omesso di considerare, accogliendo la domanda subordinata, che alla stregua dell'accordo del 1 giugno 1990, in atti, ad essa relativo, gli accordi del 9 luglio 1972 e del 1 marzo 1990 erano stati parzialmente derogati con la previsione di una distribuzione di vestiario ridotta, "a sanatoria delle spettanze pregresse fino a tutto l'anno 1990".
Pertanto, data la natura transattiva e novativa dell'accordo, la eccezione di prescrizione (decennale, secondo il ricorrente, trattandosi di violazione di obblighi contrattuali) era da ritenersi infondata, decorrendo la prescrizione dal 1 giugno 1990 ed essendo stata interrotta, come risultante dagli atti, con le domande del 22 aprile 1991, del 20 dicembre 1995 e del 9 agosto 2000, essendo poi stato il ricorso introduttivo del giudizio notificato in data 21 giugno 2001.
Infine, secondo il ricorrente, non sarebbe comprensibile l'iter logico seguito per pervenire alla ridotta somma di Euro 826,33 rispetto a quella, pur richiesta in via subordinata, di Euro 3.150,39, dato che mancherebbe l'indicazione del periodo temporale al quale si riferisce il risarcimento e dei criteri seguiti per la sua determinazione.
Il ricorrente conclude pertanto con la richiesta di annullamento della sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge.
Il ricorso è infondato.
Va subito rilevato che il ricorrente, in applicazione della regola della autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui cfr., da ultimo, Cass. nn. 5043/09, 4823/09 e 338/09), avrebbe dovuto dedurre di avere tempestivamente contrastato, con le deduzioni in fatto e in diritto oggi prospettate, l'eccezione di prescrizione quinquennale proposta dalla società in primo grado e di avere ritualmente rinnovato in appello la relativa difesa.
In difetto, tale difese devono ritenersi tardive e non possono pertanto trovare ingresso in questa sede di legittimità.
Quanto alla deduzione di incomprensibilità della decisione, una volta accolta l'eccezione di prescrizione quinquennale, i giudici di appello hanno liquidato l'importo relativo agli ultimi cinque anni dalla proposizione del ricorso, avvenuta nel maggio-giugno 2001, partendo quindi dall'anno 1996 e fino all'anno 1999 (data finale della domanda), seguendo i criteri enunciati nello stesso ricorso introduttivo e ora indicati nel ricorso per cassazione, vale a dire moltiplicando il valore di L. 500.000 attribuito dal F. al vestito annualmente dovuto per i quattro anni dal 1996 al 1999 ritenuti non prescritti e depurando il risultato del 20% (rappresentante la percentuale del costo del vestito posta a carico del lavoratore), come in realtà già operato nel ricorso introduttivo del giudizio (per cui appare superflua la considerazione della Corte laddove dichiara di accogliere in proposito la prospettazione della società) e ripreso in termini complessivi nelle conclusioni assunte in appello e riportate in sentenza.
Il risultato, di L. 1.600.000 corrisponde infatti agli Euro 826,33 liquidati nella sentenza di condanna.
Sebbene con una motivazione estremamente sintetica, la sentenza contiene pertanto tutti gli elementi per poter comprendere il corretto iter logico seguito nelle determinazione del quantum liquidato.
Il ricorso va pertanto respinto.
L'esposizione e le argomentazioni che precedono sostengono la decisione di compensare integralmente tra le parti le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese di questo giudizio.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2009

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