N. 117 SENTENZA 12 maggio - 25 giugno 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
Professioni turistiche (disciplina della figura professionale di
guida archeologica subacquea; iscrizione nell'elenco regionale
delle attivita' turistiche dell'interprete turistico riconosciuto
dalla Camera di commercio; abolizione del requisito dell'idoneita'
fisica per l'esercizio delle professioni turistiche) - Edilizia ed
urbanistica (disciplina delle domande di condono edilizio) - Tutela
dell'ambiente (affidamento, mediante convenzione, della gestione
provvisoria del servizio idrico integrato ad uno o piu' soggetti
gestori del servizio; istituzione della Struttura di missione
presso la Giunta regionale per lo svolgimento delle attivita' di
competenza della Regione finalizzate alla determinazione delle
tariffe) - Acque minerali e termali (proroga delle concessioni
termonimerali; condizioni per l'esercizio dell'attivita').
- Legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 (Interventi di
rilancio e sviluppo dell'economia regionale nonche' di carattere
ordinamentale e organizzativo - collegato alla legge di stabilita'
regionale 2014), art. 1, commi 49, lett. a), e), f), g), i) ed l),
72, 88, 89, 93, 104, 105 e 108.
-
(GU n.26 del 1-7-2015 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Alessandro CRISCUOLO;
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI,
Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
de PRETIS, Nicolo' ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi
49, lettere a), e), f), g), i) ed l), 72, 88, 89, 93, 104, 105 e 108,
della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 (Interventi
di rilancio e sviluppo dell'economia regionale nonche' di carattere
ordinamentale e organizzativo - collegato alla legge di stabilita'
regionale 2014), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri,
con ricorso notificato il 6-10 ottobre 2014, depositato in
cancelleria il 14 ottobre 2014 ed iscritto al n. 77 del registro
ricorsi 2014.
Visto l'atto di costituzione della Regione Campania;
udito nell'udienza pubblica del 12 maggio 2015 il Giudice
relatore Giorgio Lattanzi;
uditi l'avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto
per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso spedito per la notificazione il 6 ottobre 2014,
ricevuto il successivo 10 ottobre e depositato il 14 ottobre 2014
(reg. ric. n. 77 del 2014), il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi
49, lettere a), e), f), g), i) ed l), 72, 88, 89, 93, 104, 105 e 108,
della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 (Interventi
di rilancio e sviluppo dell'economia regionale nonche' di carattere
ordinamentale e organizzativo - collegato alla legge di stabilita'
regionale 2014), in riferimento agli artt. 3, 9 e 117, primo comma,
secondo comma, lettere e) ed s), e terzo comma, della Costituzione.
L'art. 1, comma 49, impugnato, alle lettere a), f), g) ed i),
istituisce e disciplina la figura professionale della guida
archeologica subacquea, con cio' ledendo, a parere del ricorrente, la
competenza statale ad individuare nuove figure professionali, anche
nel settore turistico (art. 117, terzo comma, Cost.). La lettera e)
introduce una nuova modalita' di riconoscimento per la professione di
interprete turistico, la cui istituzione non spetterebbe alla Regione
in base alla sentenza n. 132 del 2010 di questa Corte, in violazione
della competenza statale a disciplinare i titoli abilitativi
professionali. La lettera l) incorrerebbe nel medesimo vizio,
abrogando il requisito della idoneita' fisica all'esercizio della
professione turistica, gia' previsto dall'art. 6, primo comma,
lettera e), della legge della Regione Campania 16 marzo 1986, n. 11
(Norme per la disciplina delle attivita' professionali turistiche).
L'art. 1, comma 72, impugnato, modifica l'art. 9 della legge
della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria
degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre 2003, n.
269, articolo 32 cosi' come modificato dalla legge 24 novembre 2003,
n. 326 di conversione e successive modifiche ed integrazioni),
stabilendo anzitutto, alla lettera a), che il termine per definire le
domande di condono edilizio da parte delle amministrazioni locali e'
posticipato dal 31 dicembre 2006 al 31 dicembre 2015. Secondo
l'Avvocatura generale dello Stato, cio' comporta il rischio di
condonare attivita' edilizie svoltesi successivamente alla chiusura
dei termini del condono stesso, in violazione dei valori
paesaggistici tutelati dagli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera
s), Cost., e comunque ampliando l'area del condono, in violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost. Inoltre, posto che il termine e' da
ritenersi ordinatorio, la disposizione sarebbe manifestamente
irragionevole, poiche' "inutile", nonostante il pericolo che essa
genererebbe.
La medesima disposizione impugnata, alla lettera b), escluderebbe
dal condono le opere realizzate su aree vincolate ai sensi dell'art.
33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo
dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria
delle opere edilizie), solo se il vincolo comporta l'inedificabilita'
assoluta e sia stato imposto prima dell'esecuzione dell'opera. A
parere del ricorrente, in tal modo, il legislatore regionale
negherebbe il carattere ostativo dei vincoli di inedificabilita'
relativa, e lederebbe la norma interposta costituita dall'art. 32
della legge n. 47 del 1985, che, con riferimento ai vincoli imposti
successivamente all'abuso edilizio, subordina la sanatoria al parere
favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo.
Sarebbe percio' violato l'art. 117, terzo comma, Cost., poiche'
verrebbe ampliata l'area del condono edilizio.
Inoltre sarebbero lesi gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera
s), Cost., poiche' la norma impugnata permetterebbe sanatorie in zone
a rischio idraulico, ove le misure di salvaguardia, in base all'art.
1, punto 3.1., lettera a), del decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri 29 settembre 1998 (Atto di indirizzo e coordinamento per
l'individuazione dei criteri relativi agli adempimenti di cui
all'art. 1, commi 1 e 2, del D.L. 11 giugno 1998, n. 180), possono
prevedere l'inedificabilita' parziale.
L'art. 1, commi 88 e 89, impugnato, lederebbe l'art. 117, secondo
comma, lettere e) ed s), Cost., permettendo alla Regione di
individuare uno o piu' soggetti gestori del servizio idrico, in via
transitoria, per un periodo di trentasei mesi, e in attesa di avviare
le procedure di affidamento in base alla normativa nazionale e
dell'Unione europea. Tali previsioni contrasterebbero con la
disciplina transitoria dettata dallo Stato ai fini dell'affidamento
del servizio, nell'esercizio della competenza esclusiva in materia di
tutela dell'ambiente e di tutela della concorrenza, e in particolare
con l'art. 13, commi 2 e 3, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n.
150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 27
febbraio 2014, n. 15, e con l'art. 7 del decreto-legge 12 settembre
2014, n. 133 (Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese,
la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto
idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11
novembre 2014, n. 164. In base a tali ultime disposizioni, la mancata
deliberazione dell'affidamento del servizio entro il 30 giugno 2014
comporterebbe l'esercizio del potere sostitutivo del Prefetto, che
completerebbe la procedura entro il 31 dicembre 2014.
All'inosservanza dei termini dovrebbe seguire, in ogni caso, la
cessazione degli affidamenti non conformi alla normativa europea a
tale ultima data.
Inoltre, la disposizione censurata contrasterebbe con gli artt.
142, 147 e 149 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme
in materia ambientale), dai quali si evincerebbe che la competenza ad
individuare il gestore del servizio idrico spetta all'ente locale e
non alla Regione.
L'art. 1, comma 93, impugnato, sarebbe in contrasto con l'art.
117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., con riferimento alla
tutela dell'ambiente e della concorrenza, nella parte in cui
attribuisce alla Regione il compito di determinare le tariffe del
servizio idrico (lettera b).
L'art. 1, commi 104 e 105, impugnato, sarebbe lesivo dell'art.
117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost., poiche'
prorogherebbe in modo automatico le concessioni termominerali in
essere, per il tempo strettamente necessario all'approvazione del
piano regionale di settore. Tale proroga contrasterebbe con i
principi del diritto dell'Unione di «non discriminazione, di parita'
di trattamento e di tutela della concorrenza», nonche' con la
liberta' di stabilimento (art. 49 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea). La mancata previsione di una gara ad evidenza
pubblica, infatti, si tradurrebbe in una compressione della
concorrenza.
L'art. 1, comma 108, impugnato, sempre con riguardo alle
concessioni termominerali, violerebbe l'art. 117, primo comma e
secondo comma, lettera s), Cost., poiche' permetterebbe di avviare e
proseguire l'attivita' prima che siano concluse le procedure di
valutazione di impatto ambientale e di incidenza, ma alla sola
condizione che esse siano state avviate. Tale previsione sarebbe
contraria all'art. 2, comma 1, della direttiva 13 dicembre 2011, n.
2011/92/UE (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio
concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati
progetti pubblici e privati - codificazione), attuata con l'art. 26,
comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006.
2.- Si e' costituita in giudizio la Regione Campania, chiedendo
che il ricorso sia dichiarato in parte inammissibile e in parte non
fondato.
Con riferimento all'art. 1, comma 49, impugnato, la Regione
eccepisce l'inammissibilita' della censura, perche' lo Stato non ha
individuato alcuna norma interposta.
Nel merito, osserva che la competenza regionale a disciplinare le
professioni turistiche e' desumibile dall'art. 6 del decreto
legislativo 23 maggio 2011, n. 79 (Codice della normativa statale in
tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell'articolo 14
della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonche' attuazione della
direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprieta',
contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine,
contratti di rivendita e di scambio), che reca una definizione
generale di tali professioni e quindi presuppone che essa sia
successivamente svolta con norme di dettaglio regionali.
Inoltre, secondo la Regione, in base all'art. 4, comma 2, del
decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei principi
fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell'articolo 1
della L. 5 giugno 2003, n. 131), i requisiti tecnico-professionali e
i titoli professionali sono stabiliti con legge dello Stato solo per
le attivita' che richiedono una specifica preparazione, a garanzia di
interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato. Si
tratterebbe di condizione che non concerne ne' la guida archeologica
subacquea, ne' l'interprete turistico, professioni tradizionalmente
disciplinate dalla normativa delle Regioni.
L'abrogazione del requisito dell'idoneita' fisica sarebbe
applicativa di un principio della legislazione statale traibile
dall'art. 42 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni
urgenti per il rilancio dell'economia), convertito, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n.
98.
Con riferimento all'art. 1, comma 72, impugnato, la Regione
rileva che i vincoli previsti dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985
sono di inedificabilita' assoluta, e che la norma impugnata non ha
affatto il significato di escludere il rilascio del parere favorevole
previsto dall'art. 32 della legge n. 47 del 1985. La disposizione
sarebbe percio' del tutto conforme alla legislazione statale. Essa,
inoltre, non avrebbe ad oggetto il vincolo idrogeologico, poiche'
esso ha carattere relativo, in base agli artt. 23 e 24 della legge
della Regione Campania 7 maggio 1996, n. 11 (Modifiche ed
integrazioni alla legge regionale 28 febbraio 1987, n. 13,
concernente la delega in materia di economia, bonifica montana e
difesa del suolo).
Infine, le censure concernenti la proroga del termine per
definire le domande di condono sarebbero "inconferenti", perche' tale
termine non permette di presentare nuove domande, ma si limita a
stabilire che le amministrazioni locali provvedano sulle domande gia'
pendenti.
Con riferimento all'art. 1, commi 88, 89 e 93, impugnato, la
difesa regionale osserva che il potere sostitutivo statale e'
cedevole innanzi all'esercizio delle competenze proprie
dell'amministrazione sostituita, sulle quali non puo' incidere.
Spetterebbe percio' alla Regione affidare in via transitoria i
servizi che essa stessa gestisce in via di fatto a causa della
soppressione delle Autorita' d'ambito territoriale. La stessa
Autorita' per l'energia, il gas e i servizi idrici avrebbe infatti
riconosciuto alla Regione il ruolo di gestore di fatto, competente a
determinare le tariffe per i servizi da essa effettivamente gestiti.
Con riferimento all'art. 1, commi 104, 105 e 108, impugnato, la
Regione sottolinea che la proroga delle concessioni termominerali ha
carattere meramente transitorio, in attesa della gara ad evidenza
pubblica e dell'adeguamento della normativa interna a quella europea.
Sarebbe poi inammissibile per genericita', e comunque non
fondata, la censura relativa all'art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., poiche' la concessione per l'uso delle acque termali,
equiparabile alla concessione di servizi sanitari, sarebbe sottratta
alla disciplina della concorrenza, in forza dell'art. 2 della
direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento
Europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), e
dell'art. 1 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione
della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno).
Infine, sarebbe infondata anche la censura relativa al comma 108,
perche' l'art. 144 del d.lgs. n. 152 del 2006 esclude le acque
termali e minerali dal suo campo applicativo, sicche', «almeno per
cio' che attiene le concessioni termali», la norma interposta,
individuata nell'art. 26, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006,
sarebbe inapplicabile.
Nell'imminenza dell'udienza pubblica, la Regione Campania ha
depositato una memoria, insistendo sulle conclusioni gia' formulate.
Considerato in diritto
1.- Con ricorso spedito per la notificazione il 6 ottobre 2014,
ricevuto il successivo 10 ottobre e depositato il 14 ottobre 2014
(reg. ric. n. 77 del 2014), il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi
49, lettere a), e), f), g), i) ed l), 72, 88, 89, 93, 104, 105 e 108,
della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 (Interventi
di rilancio e sviluppo dell'economia regionale nonche' di carattere
ordinamentale e organizzativo - collegato alla legge di stabilita'
regionale 2014), in riferimento agli artt. 3, 9 e 117, primo comma,
secondo comma, lettere e) ed s), e terzo comma, della Costituzione.
2.- L'art. 1, comma 49, lettere a), f), g) ed i), della legge
impugnata, istituisce e disciplina la figura professionale della
guida archeologica subacquea, ovvero di chi accompagna singole
persone o gruppi nella esplorazione dei fondali marini o lacustri.
Il ricorrente rileva che si tratta di una professione che non
trova riconoscimento nella normativa statale, e che, di conseguenza,
per l'art. 117, terzo comma, Cost., la legge regionale non puo'
disciplinare.
2.1.- La Regione Campania ha eccepito l'inammissibilita' della
censura, poiche' il ricorso non ha specificato quale normativa
interposta sarebbe stata violata.
L'eccezione non e' fondata: il ricorrente non contesta al
legislatore campano di avere malamente sviluppato un principio
fondamentale della legislazione statale nella materia concorrente
«professioni», ma di averlo direttamente formulato, provvedendo alla
istituzione e alla regolamentazione di una nuova figura
professionale. Tale opzione normativa sarebbe di per se' contraria al
riparto costituzionale delle competenze, che riserva alla
legislazione statale la indicazione dei principi fondamentali, e, in
questi termini, la censura e' percio' ammissibile (sentenza n. 132
del 2010).
2.2.- La questione e' fondata.
Questa Corte ha reiteratamente affermato che, ai sensi dell'art.
117, terzo comma, Cost., l'individuazione delle figure professionali,
con i relativi profili, e' riservata allo Stato (sentenza n. 353 del
2003; in seguito, tra le molte, sentenze n. 98 del 2013, n. 138 del
2009, n. 93 del 2008, n. 300 del 2007, n. 40 del 2006 e n. 424 del
2005).
Contrariamente a quanto ha sostenuto la difesa regionale, tale
asserzione ha gia' riguardato le professioni turistiche (sentenze n.
132 del 2010, n. 271 del 2009 e n. 222 del 2008), anche nel periodo
successivo all'entrata in vigore del decreto legislativo 23 maggio
2011, n. 79 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e
mercato del turismo, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre
2005, n. 246, nonche' attuazione della direttiva 2008/122/CE,
relativa ai contratti di multiproprieta', contratti relativi ai
prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di
scambio), il cui art. 6 contiene una definizione generale di
professione turistica (sentenza n. 178 del 2014), del resto gia'
offerta dall'art. 7, comma 5, della legge 29 marzo 2001, n. 135
(Riforma della legislazione nazionale del turismo).
Infatti, l'enucleazione di peculiari figure professionali, a
partire da un genus indicato dalla legge statale, e' preclusa alla
legge regionale (sentenza n. 328 del 2009).
2.3.- L'art. 1, comma 49, lettera e), della legge impugnata,
modifica l'art. 3, comma 3, della legge della Regione Campania 16
marzo 1986, n. 11 (Norme per la disciplina delle attivita'
professionali turistiche), consentendo che l'interprete turistico
riconosciuto dalla Camera di commercio competente per territorio sia
iscritto nell'elenco regionale delle attivita' turistiche.
Il ricorrente ribadisce che, in base all'art. 117, terzo comma,
Cost., non spetta alla legge regionale disciplinare elenchi di
professioni che non siano state istituite dalla normativa statale.
La questione e' fondata.
La legge regionale n. 11 del 1986, nell'attribuire autonomo
rilievo all'interprete turistico, si basa sull'art. 11 della legge 17
maggio 1983, n. 217 (Legge quadro per il turismo e interventi per il
potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica), che
definiva questa professione, ma che non e' piu' in vigore. Allo
stato, percio', l'interprete turistico non e' disciplinato dalla
legge dello Stato, con la conseguenza che il legislatore regionale
non puo' prevederne l'iscrizione in un elenco professionale (sentenze
n. 132 del 2010, n. 300 e n. 57 del 2007).
2.4.- L'art. 1, comma 49, lettera l), della legge impugnata,
abroga l'art. 6, primo comma, lettera e), della legge regionale n. 11
del 1986, che prescriveva il requisito della idoneita' fisica per
l'esercizio delle professioni turistiche.
Il ricorrente sostiene che l'art. 117, terzo comma, Cost.,
riserva allo Stato la determinazione dei requisiti di idoneita'
all'esercizio di una professione.
La questione e' inammissibile, poiche' la norma impugnata e'
priva di attitudine lesiva.
Essa, infatti, interviene su una disposizione regionale che deve
gia' ritenersi abrogata in forza dell'art. 4 del decreto legislativo
2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei principi fondamentali in
materia di professioni, ai sensi dell'articolo 1 della L. 5 giugno
2003, n. 131), con il quale sono stati modificati i principi
fondamentali relativi all'accesso alle professioni. In particolare
l'art. 4 del d.lgs. n. 30 del 2006 ha enunciato il principio per cui
l'accesso alle professioni e' libero, nel rispetto delle specifiche
disposizioni della legge. Esse definiscono i requisiti
tecnico-professionali e i titoli professionali necessari per
l'esercizio delle attivita' professionali che richiedono una
specifica preparazione, a garanzia di interessi pubblici generali la
cui tutela compete allo Stato. Sulla base del nuovo principio
fondamentale della materia cosi' enunciato, spetta percio' solo alla
legge dello Stato, e nei casi specificamente indicati, la
determinazione dei requisiti di accesso alle professioni, con
conseguente abrogazione della previgente normativa regionale, come e'
previsto dall'art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, recante
«Costituzione e funzionamento degli organi regionali» (sentenza n.
223 del 2007).
3.- L'art. 1, comma 72, della legge impugnata modifica l'art. 9
della legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme
sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30
settembre 2003, n. 269, articolo 32 cosi' come modificato dalla legge
24 novembre 2003, n. 326 di conversione e successive modifiche ed
integrazioni), che disciplina le domande di condono edilizio
presentate ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in
materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni,
recupero e sanatoria delle opere edilizie), e ai sensi dell'art. 39
della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica).
L'art. 1, comma 72, lettera a), in particolare, proroga al 31
dicembre 2015 il termine assegnato ai Comuni per definire le domande
di condono ancora pendenti.
Il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 3, 9 e 117,
secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., affermando che la
norma impugnata permette irragionevolmente di «integrare» e
«modificare» le domande di condono e allarga l'area della sanatoria
in danno dei valori ambientali.
La questione non e' fondata, perche' si basa su un erroneo
presupposto interpretativo.
Con ogni evidenza, infatti, la disposizione censurata si limita a
formulare un termine sollecitatorio entro cui i Comuni debbono
definire le domande pendenti, ma in nessun modo consente che queste
ultime siano modificate o integrate. In particolare, il termine
indicato dall'art. 9, comma 2, della legge regionale n. 10 del 2004
per inoltrare la documentazione e' oramai spirato e non viene
riaperto per effetto della disposizione impugnata.
3.1.- L'art. 1, comma 72, lettera b), della legge impugnata
modifica il comma 5 dell'art. 9 della legge regionale n. 10 del 2004,
nel senso che il condono non e' ammesso per gli abusi edilizi
realizzati su aree del territorio regionale sottoposte ai vincoli di
cui all'art. 33 della legge n. 47 del 1985, «solo ed esclusivamente
se i predetti vincoli comportano l'inedificabilita' assoluta delle
aree su cui insistono e siano stati imposti prima della esecuzione
delle opere stesse».
Il ricorrente lamenta che in tal modo e' stata ampliata l'area
del condono, sia ammettendo la sanatoria in caso di inedificabilita'
meramente relativa, sia escludendo la rilevanza dei vincoli
sopravvenuti all'abuso, in violazione dell'art. 117, terzo comma,
Cost.
Con riguardo al solo vincolo idrogeologico, viene dedotta anche
la lesione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
poiche' si ammetterebbe la sanatoria di opere eseguite «in zone a
"rischio idraulico"», ovvero in zone indicate dai piani di bacino
come potenzialmente soggette ad esondazioni d'acqua, ed eventualmente
vincolate, o soggette a misure di salvaguardia in attesa del vincolo.
Le questioni non sono fondate.
E' pacifico che non spetta alla legge regionale allargare l'area
del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello
Stato (sentenza n. 196 del 2004).
Nel caso di specie, la norma impugnata va percio' posta a
raffronto con l'art. 33 della legge n. 47 del 1985, che esclude la
sanatoria di opere in contrasto con vincoli che comportino
l'inedificabilita' e siano stati imposti prima della esecuzione delle
opere stesse.
Quanto alla natura di tale inedificabilita', costituisce diritto
vivente che, nell'ambito dei condoni aperti con le leggi n. 47 del
1985 e n. 724 del 1994, essa rileva, ai sensi dell'art. 33 della
legge n. 47 del 1985, soltanto se di carattere assoluto (Consiglio di
Stato, adunanza plenaria, 7 giugno-22 luglio 1999, n. 20), posto che
gli effetti del vincolo di inedificabilita' relativa sono regolati,
entro tale contesto normativo, dall'art. 32 della legge n. 47 del
1985.
Diverso e' il caso del cosiddetto terzo condono, di cui all'art.
32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti
per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 24 novembre 2003, n. 326, in relazione al quale questa Corte ha
gia' rilevato che il suo oggetto e' «piu' circoscritto» (sentenza n.
225 del 2012), cosi' da attribuire carattere ostativo alla sanatoria
anche in presenza di vincoli che non comportino l'inedificabilita'
assoluta (sentenze n. 290 e n. 54 del 2009; ordinanza n. 150 del
2009).
Ora, l'art. 9 della legge regionale n. 10 del 2004, e percio' la
norma impugnata che lo ha modificato, non ha per oggetto il
cosiddetto terzo condono, ma esclusivamente i precedenti, di cui
intende sollecitare la definizione. Ne consegue che la disposizione
censurata, inapplicabile alle domande presentate ai sensi dell'art.
32 del d.l. n. 269 del 2003, si limita a recepire quanto previsto
dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985, con riguardo al carattere
assoluto della inedificabilita'.
Analoga conclusione va tratta con riferimento alla porzione della
norma impugnata che attribuisce rilievo ai soli vincoli imposti prima
dell'esecuzione delle opere, con formula lessicale identica a quella
contenuta nell'art. 33 della legge n. 47 del 1985.
La piena coincidenza del portato normativo della norma impugnata
con quello dell'art. 33 della legge n. 47 del 1985 rende non fondata
anche la questione concernente il rispetto del vincolo idrogeologico,
la cui osservanza e' parimenti assicurata dalla disposizione
censurata e dalla normativa statale di riferimento.
4.- I commi 88 e 89 dell'art. 1 della legge impugnata, prevedono,
quanto ai servizi idrici integrati ancora in gestione alla Regione
Campania, che quest'ultima ne affidi mediante convenzione la gestione
provvisoria, per trentasei mesi, ad uno o piu' soggetti gestori del
servizio tra quelli operanti nei rispettivi ambiti territoriali
ottimali di competenza.
L'art. 1, comma 93, lettera b), della stessa legge, cui deve
ritenersi limitata la censura, assegna poi alla cosiddetta
«Struttura» lo svolgimento delle attivita' di competenza della
Regione finalizzate alla determinazione delle tariffe.
Il ricorrente reputa lese le competenze esclusive dello Stato in
materia di tutela della concorrenza e dell'ambiente (art. 117,
secondo comma, lettere e ed s, Cost.).
Le questioni sono fondate, in relazione ad entrambi i parametri
indicati.
Questa Corte ha gia' affermato che il servizio idrico integrato
e' un servizio pubblico locale a rilevanza economica, in relazione al
quale spetta alla competenza esclusiva dello Stato in materia di
tutela della concorrenza e dell'ambiente stabilire, sia le forme di
gestione, sia le modalita' di affidamento al soggetto gestore, sia il
procedimento di determinazione della tariffa (sentenza n. 246 del
2009).
In particolare, in base a quanto stabilito fin dall'art. 2, comma
186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria 2010), non rientra tra le competenze regionali
individuare direttamente il soggetto gestore del servizio idrico
integrato (sentenze n. 228 del 2013 e n. 62 del 2012), posto che tale
funzione e' attribuita dall'art. 3-bis del decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione e per
lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
della legge 14 settembre 2011, n. 148, all'ente di governo istituito
o designato dalla Regione, come da ultimo ribadito con l'art. 149-bis
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale), introdotto dall'art. 7, comma 1, lettera d), del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica,
l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle
attivita' produttive), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164.
Le norme impugnate, viceversa, provvedono proprio in tal senso,
invadendo le attribuzioni statali dedotte a fondamento del ricorso.
E' fuor di dubbio, in definitiva, che il legislatore regionale
non ha competenza in punto di affidamento del servizio. Pertanto, la
difesa della Regione Campania ha torto quando afferma che le norme
impugnate sarebbero espressione di un potere che lo Stato puo'
esercitare in via sostitutiva, ai sensi dell'art. 13, comma 2, del
decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti
da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, ma la cui
titolarita' permarrebbe in capo alla Regione, che avrebbe appunto
provveduto per mezzo della legge impugnata. La sola competenza
regionale oggetto di eventuale esercizio del potere sostitutivo, tra
quelle pertinenti, attiene alla istituzione o alla designazione
dell'ente di governo, ed e' estranea al contenuto delle disposizioni
oggetto di censura.
Ne' ha rilievo alcuno la circostanza, segnalata dalla difesa
regionale, che la Regione Campania e' ancora gestore in via di fatto
di parte del servizio.
E' ovvio, infatti, che l'inerzia regionale nella individuazione
dell'ente di governo, entro il termine originariamente fissato al 30
giugno 2012 dall'art. 3-bis del d.l. n. 138 del 2011, ed il mancato
affidamento della gestione, da parte di quest'ultimo, nelle forme e
nei termini inizialmente indicati dall'art. 34, commi 20 e 21, del
decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per
la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, pur parzialmente
derogati dall'art. 13 del d.l. n. 150 del 2013, non valgono a
giustificare l'ulteriore esercizio di una competenza legislativa che
non spetta alla Regione. Con essa, per di piu', la Regione Campania
intende differire di trentasei mesi il doveroso perfezionamento delle
procedure imposte dalla normativa statale per l'affidamento del
servizio al gestore da parte dell'ente di governo, nei termini da
ultimo disciplinati dall'art. 7 del d.l. n. 133 del 2014, che ha
modificato, a tal fine, il d.lgs. n. 152 del 2006.
Analogo ragionamento chiarisce la fondatezza delle questioni
relative all'art. 1, comma 93, lettera b), con il quale si postula la
competenza della Regione, per mezzo della cosiddetta «Struttura», a
partecipare al procedimento di determinazione delle tariffe.
Invero, in base agli artt. 149, comma 1, lettera d), e 152, comma
4, del d.lgs. n. 152 del 2006, tale compito e' di spettanza dell'ente
di governo, che e' subentrato alle Autorita' d'ambito, e deve
predisporre la tariffa di base da sottoporre all'approvazione
dell'Autorita' per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico.
In forza di tale opzione normativa, appartenente alla sfera di
competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 29 del 2010), e'
inibito al legislatore regionale riservare alla Regione una funzione
che non le spetta, ed il cui esercizio in via di fatto ancora una
volta non giustifica l'alterazione delle sfere di competenza
legislativa. Del resto, l'art. 3, comma 1, lettera f), del decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012
(Individuazione delle funzioni dell'Autorita' per l'energia elettrica
e il gas attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi
idrici, ai sensi dell'articolo 21, comma 19 del decreto-legge 6
dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22
dicembre 2011, n. 214), consente all'Autorita' per l'energia
elettrica e il gas di determinare in via provvisoria le tariffe,
quando manchi la predisposizione di esse da parte dell'ente
competente, che, nel caso di specie, e' solo l'ente di governo.
5.- L'art. 1, commi 104 e 105, della legge impugnata proroga, per
un periodo massimo di cinque anni, le concessioni termominerali
scadute ed in fase di prosecuzione (art. 1, comma 104, lettera a,
numero 1), ovvero destinate a scadere nei cinque anni successivi alla
data di entrata in vigore della legge (art. 1, comma 104, lettera a,
numero 2). La proroga e' disposta in attesa dell'approvazione del
piano regionale di settore.
Il ricorrente deduce la violazione dell'art. 117, primo comma e
secondo comma, lettera e), Cost., poiche' la proroga automatica delle
concessioni contrasterebbe con la liberta' di stabilimento (art. 49
del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) e con i principi
di «non discriminazione, parita' di trattamento e tutela della
concorrenza», operanti nello spazio dell'Unione. Verrebbe infatti
eluso l'obbligo della gara pubblica, in danno anche della competenza
esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza.
Le censure, a cui resta estraneo l'art. 104, comma 1, lettera b),
impugnato, che concerne l'avvio di nuove attivita', sono chiare ed
adeguatamente sviluppate: e' percio' infondata l'eccezione di
inammissibilita' per genericita', sollevata dalla difesa regionale,
data la palese incidenza della disciplina censurata sulla materia
della concorrenza e la evidente interferenza rispetto ai principi
generali stabiliti dalla legislazione statale e comunitaria (sentenza
n. 114 del 2012).
5.1.- Le questioni sono fondate, con riferimento ad entrambi i
parametri costituzionali dedotti.
L'attivita' di sfruttamento oggetto di concessione termominerale
ricade nel campo applicativo della direttiva 12 dicembre 2006, n.
2006/123/CE (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio
relativa ai servizi nel mercato interno), attuata dal decreto
legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), posto che tali
fonti hanno ad oggetto «qualunque attivita' economica, di carattere
imprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di
subordinazione, diretta allo scambio di beni o alla fornitura di
altra prestazione» (art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 59 del 2010),
salve le eccezioni specificamente indicate.
Tra tali eccezioni non rientra lo sfruttamento delle acque
termali per fini terapeutici ai sensi dell'art. 7, comma 1, lettera
b), del d.lgs. n. 59 del 2010, come questa Corte ha gia' ritenuto,
dichiarando l'illegittimita' costituzionale di una norma regionale
campana che aveva sottratto le concessioni termominerali al campo
applicativo del d.lgs. n. 59 del 2010, in quanto afferenti alle
attivita' sanitarie (sentenza n. 235 del 2011).
La Corte, in tale occasione, ha riconosciuto l'applicabilita'
della direttiva 2006/123/CE e del d.lgs. n. 59 del 2010 alle
concessioni del demanio idrico.
L'art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010, quando l'attivita' deve
essere contingentata a causa della scarsita' delle risorse naturali,
impone una procedura di evidenza pubblica per la scelta del
concessionario e vieta la proroga automatica delle concessioni,
nonche' l'attribuzione di «vantaggi» al concessionario uscente.
Si tratta di disposizioni che favoriscono l'ingresso nel mercato
di altri operatori economici e ostano all'introduzione di barriere
tali da alterare la concorrenza tra imprenditori (sentenze n. 340, n.
233 e n. 180 del 2010), la cui efficacia non puo' venire paralizzata
neppure transitoriamente, a causa dell'inerzia della Regione
nell'approvazione del piano regionale di settore delle acque.
Ne segue che l'automatica proroga delle concessioni termominerali
disposta dalle norme impugnate, per un periodo di tempo peraltro
considerevole e superiore a quanto strettamente necessario ai fini
della definizione della gara pubblica, contrasta con tali regole,
espressive del diritto dell'Unione e proprie della sfera di
competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della
concorrenza.
Questa Corte ha infatti gia' reputato illegittima, anche con
riferimento all'art. 12 della direttiva 2006/123/CE, la proroga
automatica delle concessioni del demanio marittimo (da ultimo,
sentenza n. 171 del 2013), nonche' quella delle concessioni idriche
(sentenza n. 114 del 2012).
5.2.- L'art. 1, comma 108, della legge impugnata, stabilisce a
quali condizioni possono essere avviate, ovvero proseguite, le
attivita' oggetto dei precedenti commi 104 e 105.
Dal tenore del ricorso si evince chiaramente che oggetto di
impugnazione e' la sola lettera a) del comma 108, con la quale si
consente l'esercizio della concessione, purche' siano state avviate
le procedure di valutazione di impatto ambientale e di valutazione di
incidenza, e percio' anche prima che esse siano concluse
favorevolmente.
Il ricorrente ritiene leso l'art. 117, primo comma e secondo
comma, lettera s), Cost., quest'ultimo in materia di tutela
dell'ambiente, perche', sia il diritto dell'Unione, sia l'art. 26,
comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, prevedono che la valutazione di
impatto ambientale (VIA) abbia carattere preventivo rispetto
all'inizio dell'attivita', al pari di quanto e' stabilito per la
valutazione di incidenza ambientale (VINCA).
Le questioni sono fondate, con riguardo ad entrambi i parametri
invocati.
Va precisato che le censure debbono essere valutate con
riferimento all'avvio di nuove attivita' di cui all'art. 1, comma
104, lettera b), della legge impugnata, posto che la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale della lettera a) del medesimo comma,
quanto alla prosecuzione delle attivita' gia' in essere, priva di
oggetto la norma impugnata, nella parte in cui si riferisce a queste
ultime.
Non e' dubbio che la disciplina della VIA e della VINCA sia
riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, anche con riferimento agli
effetti connessi al rilascio di concessioni relative alle acque
minerali e termali (sentenza n. 1 del 2010).
La legislazione statale, peraltro, attua quanto disposto dalla
normativa dell'Unione, in base alla quale VIA e VINCA debbono
precedere l'avvio dell'attivita' (art. 2, comma 1, della direttiva 13
dicembre 2011, n. 2011/92/UE - Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio concernente la valutazione dell'impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati - codificazione, e art. 6,
comma 3, della direttiva 21 maggio 1992, n. 92/43/CEE - Direttiva del
Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e
seminaturali e della flora e della fauna selvatiche), e provvede in
tal senso con l'art. 26, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, e con
l'art. 5, comma 8, del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento
recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla
conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonche' della
flora e della fauna selvatiche).
Una volta postulata la necessita' di procedere a VIA e VINCA,
come presuppone la norma impugnata, non vi e' alcuno spazio per il
legislatore regionale che gli permetta di apportare deroghe alla
natura preventiva di tali istituti (sentenze n. 28 del 2013 e n. 227
del 2011).
E' percio' da escludere, come invece suggerisce la difesa
regionale, che l'art. 144, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, che
fa salva l'applicazione alle acque termali, minerali e per uso
geotermico della normativa speciale ad esse dedicata, precluda
l'operativita' dell'art. 26, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 152 del
2006, con il quale si attua una previsione del diritto dell'Unione di
necessaria rilevanza, ogni qual volta sia richiesta la valutazione di
impatto ambientale.
Disponendo in senso contrario, la norma impugnata ha leso l'art.
117, primo comma e secondo comma, lettera s), Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi
49, lettere a), e), f), g), i), 88, 89, 93, lettera b), 104, lettera
a), 105 e 108, lettera a), della legge della Regione Campania 7
agosto 2014, n. 16 (Interventi di rilancio e sviluppo dell'economia
regionale nonche' di carattere ordinamentale e organizzativo -
collegato alla legge di stabilita' regionale 2014);
2) dichiara inammissibile la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 49, lettera l), della legge della
Regione Campania n. 16 del 2014, promossa, in riferimento all'art.
117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio
dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 72, della legge della Regione
Campania n. 16 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9 e
117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., dal Presidente
del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI
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