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Doppia sanzione, penale e amministrativa, per chi circola con un veicolo sequestrato
Se ad essere sorpresi alla guida sono il proprietario o il custode del mezzo, questi risponderanno sia
dell'illecito amministrativo di cui all'articolo 213 Cds che del reato
previsto dall'articolo 334 Cp
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 28-11-2007) 15-
01-2008, n. 2168
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli
Ill.mi Magistrati:
ha
pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO CORTE D'APPELLO di NAPOLI;
nei confronti di:
1) R.B. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del
03/11/2006 TRIBUNALE di NAPOLI;
visti gli atti, la sentenza ed il
ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere
Udito il P.G. in persona del
che ha concluso per l'annullamento con rinvio;
Non è comparso il
difensore.
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Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della
decisione
1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza 3/11/2006, assolveva
R.B. dall'imputazione di cui all'art. 334 c.p., contestatagli, perchè
il fatto non è previsto dalla legge come reato.
All'imputato era stato
addebitato di essere stato sorpreso, in data 31/5/2005, circolare sulla
pubblica via con il motociclo "Piaggio Vespa" di sua proprietà,
sottoposto, il precedente 29 dicembre, a sequestro amministrativo,
perchè privo della copertura assicurativa contro la responsabilità
civile, ed affidato alla sua custodia.
Riteneva il Tribunale che il
fatto era inquadrabile nella previsione di cui all'art. 213 C.d.S.,
comma 4, che sanziona sotto il profilo meramente amministrativo il
comportamento di "chiunque, durante il periodo in cui il veicolo è
sottoposto a sequestro, circola abusivamente con il veicolo stesso";
aggiungeva che tale norma, per la sua collocazione sistematica
nell'ambito di una completa regolamentazione del sequestro
amministrativo e in assenza di una clausola di sussidiarietà, era da
considerarsi speciale rispetto a quella penale di cui all'art. 334 c.
p., la cui operatività potrebbe trovare spazio soltanto nel caso in cui
dalla circolazione del veicolo ne derivasse un deterioramento, inteso
come "apprezzabile e concreto deprezzamento del bene". 2. Ha proposto
ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte
d'Appello partenopea, denunciando l'inosservanza e l'erronea
applicazione della legge penale (art. 334 c.p., in rel. all'art. 213 C.
d.S.).
Ha osservato, in particolare, il ricorrente che il reato di cui
all'art. 334 c.p., in quanto compreso tra i "delitti contro la Pubblica
Amministrazione", tutela l'interesse di questa a mantenere intatto il
vincolo imposto con il sequestro; ha aggiunto che il concetto di
sottrazione è integrato dal semplice spostamento della cosa senza
preavviso agli organi competenti; ha sottolineato infine che non poteva
trovare applicazione, nella specie, il principio di specialità
amministrativa di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 9, il quale
presuppone l'esatta coincidenza tra le due fattispecie, quella
amministrativa e quella penale: il fatto della circolazione su strada
con veicolo sottoposto a sequestro amministrativo (art. 213 C.d.S.) è
condotta ben diversa da quella integrante il reato di cui all'art. 334
c.p., che ben può realizzarsi con la semplice amotio del veicolo,
rispetto alla quale la circolazione costituisce manifestazione della
condotta stessa.
3. Il ricorso è fondato e va accolto.
La quaestio
iuris sulla quale si è sollecitata la verifica di legittimità pone il
problema del concorso di norme tra l'art. 334 c.p., (o art. 335 c.p.,
per l'ipotesi colposa) e l'art. 213 C.d.S., e dell'eventuale
operatività, per risolverlo, del principio di specialità.
Al riguardo,
si registra un contrasto tra recenti decisioni di questa stessa
Sezione, pervenute a conclusioni diverse.
3.a Secondo un primo
orientamento, che sostanzialmente avalla la tesi del giudice di merito,
il principio di specialità opererebbe, almeno in astratto, a favore
della norma dettata dal codice della strada (art. 213 C.d.S.), in
quanto la "circolazione" abusiva del veicolo sequestrato dall'organo di
polizia concreta una condotta specifica di "sottrazione", sia pure
limitata nel tempo; l'elusione del vincolo è elemento comune alle due
fattispecie, ma l'uso del bene, per assumere rilievo sotto il profilo
sanzionatorio penale (art. 334 c.p.), deve comportare il suo
deterioramento, inteso come danneggiamento da verificarsi in concreto e
non come mero logorio conseguente all'uso occasionale, ipotesi
quest'ultima inquadrarle, invece, nella violazione amministrativa di
cui all'art. 213 C.d.S., tenuto conto del contesto normativo in cui
essa è inserita e che disciplina specificamente e compiutamente il
sequestro amministrativo del veicolo (cfr. sentenza 10/10/2007, P.G.
/Illiano).
3.b Altro indirizzo esclude qualunque relazione di
specialità o di assorbimento tra le citate norme e ravvisa il concorso
formale tra le medesime: l'art. 213 C.d.S., si sostiene, è indirizzato
a un numero indeterminato di soggetti attivi, mentre l'art. 334 c.p.,
individua nel custode o nel proprietario il solo soggetto punibile
(reato proprio); la prima da rilievo alla sola circolazione abusiva del
veicolo sequestrato, la seconda prevede una pluralità di condotte;
diversi, inoltre, sono i beni giuridici tutelati dalle due
disposizioni, avendo la prima di mira la regolarità di circolazione del
veicolo e la seconda l'indisponibilità del bene conseguente al vincolo
su di esso impresso e, quindi, il rispetto dovuto alla volontà dello
Stato diretta a quello speciale scopo cautelativo che è proprio del
sequestro (cfr. sentenza 16/10/2007, P.M./Piscopo).
4. La
rimeditazione della questione induce a ritenere più aderente ai
principi generali in tema di concorso di norme e ai dati normativi che
vengono in considerazione il secondo orientamento, che deve essere,
però, più diffusamente esplicitato.
Deve ribadirsi che, nel caso in
esame, non può trovare applicazione il principio di specialità di cui
alla L. n. 689 del 1981, art. 9.
Il comma 1, di tale norma,
richiamando il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p., regola,
in relazione ad "uno stesso fatto", il concorso apparente tra norme,
siano esse plurime disposizioni che prevedono illeciti amministrativi
ovvero una disposizione penale e altra sanzionata sotto il solo profilo
amministrativo.
11 concorso apparente tra disposizioni amministrative,
derogando al criterio del cumulo materiale, costituisce applicazione
del generale principio del ne bis in idem, la cui operatività non pone
alcun particolare problema, essendosi in presenza di sanzioni omogenee
previste da uno stesso sistema.
Più problematica è la estensione del
principio al concorso fra illecito penale e amministrativo.
Sul punto,
il legislatore del 1981 ha adottato una soluzione di tipo misto:
operatività del principio di specialità per il concorso tra
disposizioni penali e amministrative nel caso in cui queste ultime
siano previste da leggi dello Stato (art. 9, comma 1); privilegiare la
sanzione penale (art. 9, comma 2) nell'ipotesi che lo stesso fatto sia
previsto come violazione amministrativa da una disposizione regionale o
delle province autonome di Trento e Bolzano, e ciò per evitare che una
fonte normativa sub primaria possa violare il principio di uguaglianza
(art. 3 Cost., comma 1), determinando situazioni differenziate
nell'ambito spaziale di efficacia della norma penale.
Tale estensione
del principio di specialità, la quale rappresenta una innovazione
rispetto all'opinione tradizionale di ravvisare un rapporto da genus ad
speciem solo tra fatti inquadragli in schemi propri di uno stesso ramo
dell'ordinamento, stravolge "il rapporto di rango tra il maggiore
disvalore dell'illecito penale rispetto a quello dell'illecito
amministrativo", rinuncia a considerare come appartenenti a distinti
rami dell'ordinamento le norme punitive penali e amministrative e rende
inoperante l'effetto deterrente della sanzione penale in tutti quei
casi nei quali la fattispecie amministrativa presenti elementi
specializzanti.
Ed è perciò che la regola introdotta dal legislatore
del 1981 sul concorso apparente tra norma penale e norma prevedente la
sanzione amministrativa deve essere interpretata e applicata in senso
rigorosamente restrittivo, vale a dire verificandone scrupolosamente la
ricorrenza dei relativi presupposti.
Va premesso che il concorso
apparente di norme riguarda le ipotesi in cui più norme sembrano prima
facie disciplinare un medesimo fatto, ma una sola di esse è
effettivamente applicabile al caso concreto, perchè il legislatore ha
preventivamente optato introducendo il criterio regolatore di cui al L.
n. 689 del 1981, cit. art. 9, comma 1, per l'operatività di una singola
disposizione in ragione del principio del ne bis in idem sostanziale,
secondo il quale nessuno può essere assoggetto a una duplice sanzione
per lo stesso fatto.
Il rapporto di specialità è un rapporto di
continenza strutturale fra due norme, nel senso che le relative
fattispecie possono inscriversi come due cerchi concentrici aventi un
raggio disuguale l'ima nell'altra; una di esse contiene in sè tutti gli
elementi presenti nell'altra e, allo steso tempo, presenta uno o più
elementi specializzanti, per specificazione o per aggiunta; la
fattispecie speciale ha un'area di applicazione logicamente minore
rispetto a quella della fattispecie generale.
Presupposto per
delimitare l'ambito di operatività del principio di specialità è,
quindi, l'esistenza di un concorso apparente di norme che sanzionano,
in modo convergente, uno stesso fatto, intendendosi per tale, secondo
un canone di tipo strutturale, la medesima situazione di fatto, la cui
verifica comporta il raffronto tra le due fattispecie, al fine di
stabilire se tra le stesse, considerate in astratto, vi sia omogeneità,
quanto agli elementi costitutivi dell'illecito, all'ambito dei soggetti
attivi, all'oggetto giuridico e all'interesse protetto, salva la
presenza nella norma speciale di quel quid pluris che ne determina
l'applicabilità in via esclusiva.
In difetto di convergenza sullo
stesso fatto, non v'è spazio per risolvere, in base al principio di
specialità, il concorso tra la disposizione sanzionata penalmente e
quella sanzionata come mero illecito amministrativo.
5. Alla luce
degli esposti principi, deve escludersi che tra l'art. 334 c.p., e
l'art. 213 C.d.S., possa determinarsi, in relazione alla condotta
addebitata all'imputato, un concorso apparente di norme.
Ed invero,
differenti sono le condotte considerate dalle due norme:
la
disposizione penale prevede una serie di comportamenti, tra loro
equivalenti e alternativi, che si sostanziano nella sottrazione,
soppressione, distruzione, dispersione, deterioramento della cosa
sottoposta a sequestro nel corso di un procedimento penale o
dall'Autorità amministrativa; la violazione amministrativa contempla
un'unica condotta, la circolazione abusiva del veicolo durante il
periodo in cui lo stesso è sottoposto a sequestro ex citato art. 213 C.
d.S.. Diversi sono i soggetti attivi degli illeciti: l'art. 334 c.p.,
punisce il "custode", il "proprietario-custode" o il semplice
"proprietario", trattasi, quindi, di reato proprio; l'art. 213 C.d.S.,
si rivolge genericamente a "chiunque" e ha come destinatario anche il
soggetto che non riveste la qualità di custode o di proprietario.
Diverso è anche il bene giuridico protetto, che, pur implicando giudizi
di valore estranei a stretto rigore alla sfera di operatività del
criterio di specialità, può rivestire e, nel caso in esame, certamente
riveste un valore sintomatico: l'ipotesi di reato mira a predisporre
una tutela penale per l'interesse cautelativo proprio del vincolo
imposto con il sequestro, che rappresenta un momento di protezione
strumentale per il buon andamento e l'imparzialità della Pubblica
Amministrazione in senso lato, la quale riceve certamente pregiudizio
dalla violazione degli obblighi di custodia, perchè viene frustrato o
reso più difficoltoso il raggiungimento degli scopi caratteristici dei
singoli procedimenti cautelari; l'illecito amministrativo ha, invece,
di mira esclusivamente, perchè irregolare, l'abusiva circolazione
stradale del veicolo sequestrato, tanto che, oltre al pagamento di una
somma di denaro, prevede anche la sospensione della patente di guida,
sanzione accessoria questa tipica del diverso interesse protetto, che è
quello della sicurezza stradale.
Ciò posto, è di tutta evidenza che
trattasi di due norme eterogenee e strutturalmente diverse, che
disciplinano differenti quadri di vita sociale e non sono, pertanto, in
concorso apparente tra loro, con l'effetto che non può operare, nella
specie, il principio di specialità della L. n. 689 del 1981, art. 9,
comma 1.
Non rileva l'assenza nell'art. 213 C.d.S., di una clausola di
salvezza della norma penale, posto che tale clausola si sarebbe
rivelata superflua proprio per l'impossibilità di applicare il
principio di specialità al rapporto tra le due norme.
Conclusivamente
deve affermarsi che, quando autore della circolazione abusiva di un
veicolo sottoposto a sequestro amministrativo sia il custode o il
proprietario, non sussistono ragioni, connesse alla struttura delle
norme che vengono in rilievo, per escludere il concorso formale tra la
violazione amministrativa di cui all'art. 213 C.d.S., comma 4, e il
reato di cui all'art. 334 c.p..
6. Tale concorso formale dei due
distinti illeciti, tuttavia, presuppone l'individuazione dei rispettivi
ambiti applicativi delle due norme citate e, in particolare, la
soluzione dell'ulteriore e residuale problema relativo
all'inquadrabilità della circolazione abusiva del veicolo sottoposto a
sequestro amministrativo in una delle condotte previste dall'art. 334 c.
p., e, più specificamente, in quella della sottrazione o in quella del
deterioramento, le uniche concettualmente compatibili con una
circolazione del veicolo da cui non ne derivi la soppressione,
distruzione o dispersione.
6.a La circolazione non autorizzata del
veicolo sequestrato implica, di per sè, la sottrazione del bene al
vincolo d'indisponibilità della misura reale ed è, pertanto, condotta
sufficiente a integrare il reato (oltre ovviamente l'illecito
amministrativo ex art. 213 C.d.S.), considerato che è obiettivamente
idonea, almeno in astratto, a impedire o a rendere più difficoltosa
l'acquisizione del bene sequestrato ovvero a determinare la
compromissione delle finalità di preservazione della cosa, insite nel
vincolo d'intangibilità, strumentale il quanto al sequestro
amministrativo di cui si discute alla confisca.
Il termine "sottrarre"
di cui all'art. 334 c.p., deve essere inteso nella sua accezione più
ampia, tenuto conto della sua collocazione nell'ambito di una norma che
prevede un delitto contro la P.A., posto a tutela del buon andamento di
questa, e non contro il patrimonio, con l'effetto che il concetto di
sottrazione non coincide necessariamente con quello di appropriazione
ed è integrato anche dalla semplice amotio del bene, la quale di norma
è idonea a pregiudicare la finalità pubblicistica del sequestro,
perchè, eludendo il corrispondente vincolo, crea quanto meno ostacoli e
difficoltà al compimento degli ulteriori atti esecutivi,
compromettendone o addirittura vanificandone gli effetti. Più in
particolare, quando oggetto del sequestro è un autoveicolo o
motoveicolo, la disinvolta utilizzazione dello stesso, attraverso la
messa in circolazione non autorizzata e, quindi, lo spostamento non più
controllabile dal luogo di custodia, integra la condotta di
"sottrazione", perchè il bene esce dalla sfera giuridica propria della
procedura ablatoria ed entra in quella di fatto e privatistica
dell'utilizzatore, sia esso il proprietario o il custode, con
conseguente incidenza negativa sulla regolarità della procedura,
avviata, nel caso in esame, con l'imposizione del vincolo di
coercizione reale da parte dell'Autorità amministrativa.
Nè la
circolazione del veicolo può rappresentare, come sostenuto nella
sentenza P.G./Illiano, una forma speciale di sottrazione, tenuto conto
della particolare natura del bene, destinato fisiologicamente alla
mobilità.
Certo, non va sottovalutata anche la verifica in ordine alla
oggettiva offensività della condotta di sottrazione e alla sussistenza
dell'elemento soggettivo, al fine di scongiurare una applicazione
eccessivamente formalistica del precetto penale, la quale ne tradirebbe
lo spirito. Si pensi al caso limite di una utilizzazione del veicolo
momentanea, occasionale, circoscritta nello spazio e non sorretta da
coscienza e volontà di eludere il vincolo, come esemplificativamente
potrebbe verificarsi nel caso di temporaneo spostamento dal luogo di
custodia del veicolo, per evitare il deperimento di parti meccaniche o
dell'impianto elettrico o per fronteggiare altre contingenti esigenze
meritevoli di considerazione.
6.b La circolazione del veicolo
sequestrato può comportare altresì il deterioramento dello stesso,
conseguenza questa che, però, va apprezzata e valutata in concreto dal
giudice di merito, che deve avere riguardo alla durata e alle
condizioni di uso del mezzo. In sostanza, non va confuso il concetto di
deterioramento, che consiste nella diminuzione della idoneità del bene
a svolgere la propria funzione, con quello di usura, che, se contenuta
entro limiti di tollerabilità, non necessariamente comporta uno
scadimento qualitativo del bene.
7. Alla luce delle argomentazioni
svolte, devono essere riassuntivamente enunciati i seguenti principi:
- il custode o il proprietario sorpreso a circolare con un veicolo
sottoposto a sequestro ai sensi dell'art. 213 C.d.S., risponde sia
dell'illecito amministrativo di cui al quarto comma della stessa
disposizione sia del reato previsto dall'art. 334 c.p., (in relazione
alle distinte ipotesi in esso disciplinate), considerato che tale
utilizzazione del bene presuppone di norma la sottrazione dello stesso
al vincolo d'indisponibilità, fatti salvi casi marginali di oggettiva
inoffensività della condotta o di assenza dell'elemento soggettivo, e
può comportare, ove concretamente accertato, anche il deterioramento
del bene medesimo;
- se a circolare con il veicolo sequestrato sia una
terza persona, il custode sarà chiamato a rispondere del reato di cui
all'art. 334 c.p., comma 1, qualora abbia voluto favorire il
proprietario, ovvero del reato di cui all'art. 335 c.p., se abbia
colposamente agevolato la sottrazione del veicolo in sequestro; il
proprietario - custode risponderà del reato di cui al secondo comma
dell'art. 334 c.p., o, in caso di mera colpa, di quello di cui all'art.
335 c.p.;
- il terzo (non proprietario nè custode) che circoli con il
veicolo sequestrato risponde del solo illecito amministrativo, a meno
che non abbia concorso nella sottrazione del bene, nel qual caso deve
rispondere, quale extraneus, a titolo appunto di concorso nel reato
posto in essere dal soggetto qualificato.
8. L'impugnata sentenza,
emessa in sede dibattimentale, non avendo fatto buon governo della
legge penale in relazione ai punti esaminati, deve essere, pertanto,
annullata con rinvio alla Corte d'Appello di Napoli.
Il ricorso del P.
G. è, infatti, precedente alla decisione n. 26/'07 della Corte
Costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale L. 20
febbraio 2006, n. 46, art. 1, nella parte in cui, sostituendo l'art.
593 c.p., esclude che il pubblico ministero possa appellare le sentenze
di proscioglimento (ad eccezione delle ipotesi di cui all'art. 603 c.p.
p., comma 2, se la prova è decisiva), per cui trova comunque
applicazione l'art. 569 c.p.p., comma 4, essendo stato, nelle more del
ricorso, ripristinato l'appello del pubblico ministero.
La Corte
territoriale, in sede di rinvio, dovrà rivalutare la vicenda nei suoi
elementi di fatto e adeguarsi ai principi innanzi esposti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Napoli
per il giudizio.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2007.
Depositato
in Cancelleria il 15 gennaio 2008
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