(Cass. Civ., Sez. II, 6 novembre 2006, n. 23622)
Svolgimento del processo
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@@@ propose opposizione innanzi al giudice di pace di Torino avverso il
verbale di contravvenzione elevato nei suoi confronti il (OMISSIS)
dalla Polizia Municipale per l'infrazione di cui all'art. 142 C.d.S.,
comma 9 per avere egli superato di oltre 40 Km/h il limite di velocità
stabilito con ordinanza Dirigenziale del 30.01.01, La violazione venne
accertata a mezzo di apparecchio TELELASER ed fu immediatamente
contestata al contravventore.
Il giudice di
pace, con sentenza del 20.12.2002, ha rigettato l'opposizione avendo
ritenuto che il limite di velocità era stato legittimamente imposto è
che il rilevamento della velocità eccessiva, con l'attribuzione al
veicolo del contravventore, erano correttamente avvenuti.
Avverso
la sentenza del giudice di pace il C. ricorre per cassazione con due
motivi. Il Comune di Torino resiste con controricorso.
All'udienza del 15.2. 32006 questa Corte ha disposto l'acquisizione dello Statuto adottato dalla Città di (OMISSIS).
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 6, 7 e 142 C.d.S.; D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, commi 3 e 4 e art. 107 nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4
sul rilievo che, come disposto dai commi 5, 6 e 7 dell'art. 6 C.d.S.
deve individuarsi nel sindaco l'organo legittimato ad emettere le
ordinanze di cui all'art. 4 e che l'art. 7, comma 9 assegna a diverso
organo di governo la competenza a delimitare le aree pedonali e le zona a
traffico limitato. La mancata inclusione delle ordinanze in tema di
viabilità tra gli atti esplicitamente demandati ai dirigenti ed elencati
nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107 non è casuale ed il
legislatore del 1992 (codice della strada) era già conscio della
delimitazione dei compiti assegnati ai dirigenti con la precedente L. n. 142 del 1990, il cui contenuto è stato ricalcato dal D.Lgs. n. 267 del 2000.
In definitiva, il limite di velocità sul tratto di strade percorso dal
ricorrente, imposto dal Dirigente comunale invece che dal Sindaco, quale
Organo di governo, era da considerarsi illegittimo ed il relativo
provvedimento doveva essere disapplicato dal giudice di merito. La
censura non è fondata.
1. a Lo Statuto della
Città di (OMISSIS) non reca norme specifiche sulle competenze dei
Dirigenti comunali e rimanda alle disposizioni di L.(artt. 40 e 65).
1.
b La normativa di riferimento è, nella specie, quella dell'art. 142
C.d.S., nel quale si prevede che gli "enti proprietari delle strade",
senza ulteriori specificazioni, possono fissare i limiti minimi e
massimi di velocità. Ma è pur vero che l'art. 7 C.d.S. assegna al
Sindaco il potere di emettere, ordinanza per stabilire, tra l'altro,
obblighi, divieti e limitazioni di carattere temporaneo o permanente
relativi alla circolazione sulle strade comunali.
1.
c Si deve, tuttavia, necessariamente premettere che gli artt. 4, 5, 6, 7
e 142 C.d.S. sono entrati in vigore ben prima che il D.Lgs. n. 29 del 1993 (ora trasfuso nel Decreto 30 marzo 2001, n. 165 e, segnatamente, art. 4), e il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
Il sistema normativo testè citato ha introdotto nel governo degli enti locali, il fondamentale principio (già recepito nella L. 8 giugno 1990, n. 142)
della netta separazione tra la gestione amministrativa, finanziaria e
tecnica (spettante ai dirigenti) ed i poteri di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo (spettanti agli organi di governo),
individuando gli atti di competenza dei dirigenti, e riservando agli
organi politici la fissazione delle linee generali da seguire e degli
scopi da perseguire con l'attività di gestione, senza, peraltro, la
necessità di alcuna previa approvazione di apposita disciplina
statutaria e regolamentare, stante - come si è ritenuto da condivisibile
giurisprudenza amministrativa (ex aliis: T.A.R. Campania Napoli, Sez.
7^, 02/11/2005, n. 18229) - il carattere immediatamente precettivo e non
programmatico della normativa in esame.
1. c
In tale prospettiva, non può esservi dubbio che competa ai dirigenti la
disciplina della circolazione stradale che nei suoi aspetti concreti,
assume ad oggetto l'adozione di sole specifiche misure di limitazione
della circolazione veicolare per determinate esigenze e viene attuata
con provvedimenti a contenuto limitativo o inibitorio, adottati in
presenza di ragioni contingenti e, come tali, non necessariamente
collocabili in ambito programmatico ma piuttosto ancorabili ai profili
tecnico-gestionali dell'amministrazione.
Competerà,
invece, gli organi deliberanti dell'ente, nell'ambito del potere di
indirizzo e controllo politico-amministrativo, la disciplina del
traffico attuata a mezzo di atti normativi e di indirizzo a contenuto
programmatolo e recanti la previsione e la delimitazione di intere zone e
la configurazione di un sistema generale della circolazione e
dell'assetto del territorio con riferimento al traffico veicolare e
pedonale nel territorio comunale.
In definiva
rientrano nelle competenze dirigenziali i provvedimenti che - pur
dovendosi adeguare agli eventuali atti normativi e di indirizzo generale
emanati dagli organi di governo e ferma restando l'attività di
vigilanza e verifica successiva riservata a tali organi, secondo il
disposto di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4 - siano
diretti a regolamentare gli aspetti particolari della circolazione su
singole strade del centro abitato (nella specie: il limite di velocità
su una determinata strada), a nulla rilevando, in contrario, che il
combinato disposto di cui agli art. 6 e 7 C.d.S., precedentemente
emanato, attribuisca al sindaco la regolamentazione della circolazione
nei centri abitati e che i provvedimenti in questione non risultino
specificamente tra quelli enumerati dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107, comma 3,
attesa la natura meramente esemplificativa dell'elenco contenuto in
tale disposizione, come emerge chiaramente dal testo di questa, che
espressamente dichiara di segnalare solo alcuni atti "in particolare".
Del
resto, il D.Lgs. n. 267 del 2002, art. 107 comma 5 stabilisce che a
decorrere dalla sua entrata in vigore "le disposizioni che conferiscono
agli organi di cui al capo 1^ del titolo 3^ l'adozione di atti di
gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel
senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto
previsto dall'art. 50 comma 3 e dall'art. 54" (ipotesi nella specie non
ricorrenti).
2. Col secondo mezzo il ricorrente denunzia violazione a falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c., art. 2700 c.c. art. 142 C.d.S., D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, L. n. 689 del 1981, art. 23 comma 12 nonchè insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia.
L'apparecchio
Telelaser, impiegato nel caso concreto, misura la velocità a distanza
di oltre trecento metri dalla postazione dell'operatore e l'attribuzione
della velocità rilevata dall'apparecchio al veicolo del presunto
contravventore è frutto di un apprezzamento personale del verbalizzante
in quanto lo strumento non è in grado di fissare e documentare quale sia
il veicolo puntato. Nella specie, peraltro, era emerso dalla prova il
mancato controllo del mirino dell'apparecchio di tal che la carenza ben
poteva essersi sommata all'errore umano rendendo, nel complesso,
inattendibile il rilevamento ed il verbale.
Neppure tale censura è fondata.
2.
a Secondo la giurisprudenza assolutamente costante di questa Corte,
deve ritenersi non solo legittimo ma anche attendibile, ai fini della
prova del fatto contestato, il rilevamento della velocità effettuato a
mezzo di apparecchiature elettroniche debitamente omologate che fissano
la velocità dei veicoli in un dato momento, pur senza un rilevamento
fotografico del veicolo, che viene supplito dalla diretta osservazione
dei verbalizzanti e dal valore di prova privilegiata del verbale da essi
redatto, da cui può essere derivata l'attribuzione della velocità
rilevata dall'apparecchio al veicolo del contravventore (Cass. nn. 5873,
10106, 21360, 21408, 21241/2004; 943, 1234, 4785, 8232, 8675/2005).
2.
b E' principio ancora una volta costantemente affermato da questa Corte
che, il verbale di accertamento dell'infrazione fa piena prova, fino a
querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale
come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di
apprezzamento, oppure da lui compiuti, nonchè riguardo alla provenienza
del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni
delle parti. Non può essere, invece, attribuita la fede privilegiata
soltanto ai giudizi valutativi oppure alla menzione di quelle
circostanze relative ai fatti avvenuti in presenza del pubblico
ufficiale che possono risolversi in suoi apprezzamenti personali, perchè
mediati attraverso l'occasionale percezione sensoriale di accadimenti
che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e
controllare secondo un metro obiettivo.
Riaffermando
tale principio, questa Corte (Cass. civ. Sez. 1^, 03/12/2002, n. 17106)
ha, tuttavia, ritenuto che il rilevamento del numero di targa di un
autoveicolo non implica alcuna attività di valutazione o di elaborazione
da parte dell'agente accertatore e che, se dagli atti di causa non
emergono sufficienti elementi per ipotizzare un errore materiale di
verbalizzanti, deve attribuirsi pieno valore probatorio al verbale da
essi redatto.
2. c Nel caso di specie il
giudice di pace ha esplicitamente e correttamente ricondotto sul piano
della prova il problema delle identificazione del veicolo puntato - e
successivamente fermato per la contestazione immediata - ed ha ritenuto,
con proprio apprezzamento, la coincidenza tra i due veicoli (puntato e
fermato), avendo valutato attentamente le deposizioni dei verbalizzanti e
le circostanze del caso concreto. Simile apprezzamento di fatto,
rientrando nei poteri esclusivi demandati al giudice di merito, non
merita censure in questa sede essendo immune da vizi logici.
2.
d Il giudice di pace non ha mancato di rilevare - ed il rilievo è
assorbente ai fini della inammissibilità della relativa censura
contenuta nel ricorso odierno - che i vizi (peraltro non dimostrati)
dell'apparecchio, denunziati genericamente nell'atto di opposizione,
erano stati esposti solo in sede di discussione.
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente alle spese, liquidate come nel dispositivo.
P.Q.M.
La
Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle
spese, che liquida in complessivi Euro 600,00 di cui euro cinquecento
per onorario, oltre spese fisse, IVA, CPA e d altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2006
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