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Anche le "molestie olfattive" (su scala industriale) costituiscono reato
Linea intransigente da piazza Cavour nei confronti delle
fabbriche che producono odori che superano la "stretta tollerabilità",
un concetto di soglia relativo ma che in ogni caso sopperisce ad un
vuoto legislativo (poche le tipologie previste) in materia
PUBBLICA
(REATI)
Cass. pen. Sez. III, (ud. 09-10-2007) 17-01-2008, n. 2475
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
ha pronunciato la
seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1. A.F., nato a
(OMISSIS);
2. A.N., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza 21.10.2005
del Tribunale monocratico di Crema;
Visti gli atti, la sentenza
impugnata ed i ricorsi;
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta
dal Consigliere Dr. ..
Udito il Pubblico Ministero, in
persona del Dr. ..., il quale ha concluso chiedendo il
rigetto dei ricorsi;
udito il difensore avv. ... - Crema, il
quale ha concluso chiedendo l'accoglimento dei ricorsi.
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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Il Tribunale monocratico
di Crema, con sentenza del 21.10.2005, ha affermato la responsabilità
penale di A.N. e A. F. in ordine ai reati di cui:
- all'art. 81 cpv. c.
p., e art. 674 c.p., poichè, nelle rispettive qualità di presidente del
consiglio di amministrazione e poi di amministratore unico della s.r.l.
"XYXYXY" ( A.N.) e di amministratore unico della s.r.l. "XYXYXY
Trippa" già s.n.c. "XYXYXY" ( A.F.), con più azioni esecutive del
medesimo disegno criminoso, provocavano emissioni consistite in
esalazioni odorose atte a molestare le persone, in quanta nauseanti e
puzzolenti, eccedendo la normale tollerabilità - acc. in (OMISSIS);
e,
riconosciute circostanze attenuanti generiche, condannava ciascuno alla
pena di Euro 180,00 di ammenda, concedendo ad entrambi il beneficio
della non-menzione.
Avverso tale sentenza hanno proposto separati
ricorsi i due imputati, i quali - sotto i profili della violazione di
legge e del vizio di motivazione - hanno eccepito:
- la erroneità
dell'orientamento interpretativo, condiviso dal Tribunale, secondo il
quale la contravvenzione di cui all'art. 674 c.p., sarebbe sempre
configurabile in presenza di una molestia ex art. 844 c.p. e non
sarebbe esclusa dal rispetto dei limiti di tolleranza specificamente
fissati dalla legge.
Gli stabilimenti di confezionamento di "trippa"
alimentare e di lavorazione degli scarti animali, rispettivamente
gestiti da essi imputati ed aventi un impianto comune di abbattimento
dei fumi, erano muniti di regolari autorizzazioni amministrative per le
emissioni in atmosfera; i limiti di emissione imposti da tali
autorizzazioni erano stati sempre rispettati e, nei plurimi controlli
eseguiti dalla pubblica autorità, non erano state mai riscontrate
molestie olfattive. In una situazione siffatta il giudice del merito si
sarebbe dovuto conformare a quella diversa giurisprudenza secondo la
quale "non è configurabile il reato nel caso che le emissioni
provengano da una attività regolarmente autorizzata e siano inferiori
ai limiti previsti dalle leggi in materia di inquinamento atmosferico,
atteso che la espressione nei casi noti consentiti dalla legge
costituisce una precisa indicazione della necessità che l'emissione
avvenga in violazione degli standards fissati dalle normative di
settore, il cui rispetto integra una presunzione di legittimità";
- la
incongrua valutazione delle prove, non avendo il Tribunale tenuto conto
- pure a fronte di deposizioni testimoniali tra loro contrastanti - che
nella zona erano presenti altre aziende che svolgevano la medesima
attività produttiva con impianti per i quali, al contrario, risultava
accertato il superamento dei limiti di legge.
Essi imputati avevano
agito sempre in assoluta buona fede e mai avevano ricevuto notizia di
doglianze mosse dagli abitanti della zona in relazione a molestie
olfattive asseritamente prodotte dalle aziende da loro gestite.
Motivi
della decisione
I ricorsi devono essere rigettati, perchè infondati.
1. In tema di emissioni inquinanti nell'atmosfera, questa Corte
Suprema, in più decisioni, ha ravvisato l'elemento oggettivo del reato
di cui all'art. 674 c.p., seconda parte, affermando che esse possono
certamente ricondursi ad una delle tre tipologie indicate dalla norma
incriminatrice (gas, vapori, fumo).
Parimenti è stata ritenuta la loro
capacità offensiva, in considerazione della indubbia idoneità di tali
emissioni ad arrecare molestia alle persone, dovendosi fare rientrare
nel concetto di "molestia" tutte le situazioni di fastidio, disagio,
disturbo e comunque di "turbamento della tranquillità e della quiete",
che producono "un impatto negativo, anche psichico, sull'esercizio
delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione" (vedi
Cass.:
Sez. 1, 4.2.1994, n. 1293, Sperotto ed altro; Sez. 3,
24.1.1995, n. 771, Rinaldi; Sez. 1, 22.1.1996, n. 678, P.M. in proc.
Viale).
In tale prospettiva è stato affermato che può costituire
"molestia" anche il semplice arrecare alle persone preoccupazione ed
allarmi generalizzati circa eventuali danni alla loro salute per
l'esposizione ad emissioni atmosferiche inquinanti (Cass., Sez. 3:
7.4.1994, n. 6598, Gastaldi; 12.5.2003, n. 20755, Di Grado ed altri).
Deve ricordarsi, inoltre, in proposito, che la contravvenzione di cui
all'art. 674 c.p., costituisce reato di pericolo, per cui non è
necessario che sia determinato un effettivo nocumento alle persone,
essendo sufficiente l'attitudine concreta delle emissioni ad offenderle
o molestarle nel senso sopra indicato (vedi Cass., Sez. 1:
15.11.1993,
n. 10336, Grandoni; 17.12.1994, n. 12428, Montini;
4.12.1995, n.
11868, Balestra ed altro; 21.1.1998, n. 739, P.M. in proc. Tilli;
14.1.2000, n. 407, Samengo; nonchè Cass., Sez. 3, 21.3.1998, n. 3531,
Terrile).
1.2 La giurisprudenza di questa Corte, poi ha ravvisato la
possibilità del concorso tra l'art. 674 c.p. e le norme speciali in
materia ambientale (con riferimento all'inquinamento atmosferico (vedi
Cass: Sez. 3, 7.4.1994, n. 6598, Gastaldi; Sez. 1, 31.8.1994, n. 9357,
Turino), all'inquinamento idrico (Cass.: Sez. 1, 10.11.1998, n. 13278,
Mangione; Sez. 3, 7.10.2003, n. 37945, Graziani) e all'inquinamento
elettromagnetico (Cass., Sez. 1: 12.3.2002, n. 10475, Fantasia ed
altri; 14.6.2002, n. 23066, Rinaldi) e, anche in considerazione di tale
asserita concorsualità, particolare attenzione, nell'interpretazione
testuale dell'art. 674 c.p., ha riservato all'inciso "nei casi non
consentiti dalla legge".
In relazione a detto inciso, si era formato
un orientamento giurisprudenziale si ricordino, tra le molte decisioni,
Cass.: Sez. 1, 17.11.1993, n. 781, Scionti; Sez. 3, 7.4.1994, n. 6598,
Roz Gastaldi; Sez. 1, 6.11.1995, n. 11984, Guarnero; Sez. 1, 27.1.1996,
n. 863, Celeghin; Sez. 1, 11.4.1997, n. 3919, Sartori; Sez. 1,
21.1.1998, n. 739, Tilli; Sez. 3, 1.10.1999, n. 11295, Zompa ed altro;
Sez. 1, 24.11.1999, n. 12497, De Gennaro) nel senso che rientra
pacificamente nei "casi non consentiti dalla legge" il superamento
della soglia delle emissioni fissata dalla normativa di settore, ma che
- anche nei casi di attività esercitata previo regolare rilascio
dell'autorizzazione amministrativa e nel rispetto dei limiti tabellari
fissati dalla normativa speciale - la contravvenzione è pur sempre
configurabile alla stregua dei criteri civilistici, in quanto la
"molestia" dell'emissione, non è esclusa per il solo fatto che essa sia
inferiore ai limiti massimi di tolleranza specificamente fissati dalla
legge.
Un diverso indirizzo interpretativo (già isolatamente enunciato
da Cass., Sez. 3, 26.8.1985, n. 7765, Diliberto) si è sviluppato,
invece, a partire dalla sentenza 7.7.2000, n. 8094, ric. Meo, della 1
Sezione di questa Corte Suprema (concernente l'emissione di fumo dagli
impianti di un oleificio), con la quale è stato affermato il principio
che, nella formulazione dell'art. 674 c.p., l'espressione "nei casi non
consentiti dalla legge" si collega alla necessità che l'emissione (di
gas, vapori o forni) atta a molestare le persone avvenga in violazione
delle norme che regolano l'inquinamento atmosferico.
Ne consegue che,
ai fini dell'affermazione di responsabilità in ordine al reato previsto
dall'art. 674 c.p., non basta che le emissioni siano astrattamente
idonee ad arrecare fastidio, ma "è indispensabile la puntuale e
specifica dimostrazione che esse superino gli standards fissati dalla
legge".
Nel campo dell'illecito penale, dunque, si riscontra una sorta
di presunzione di legittimità per quelle emissioni che non superino le
soglie fissate dalle leggi speciali.
Tali conclusioni devono ritenersi
ormai largamente consolidate in una stabile interpretazione
giurisprudenziale (vedi Cass., Sez. 3, 3.3.2004, n. 9757, Pannone, per
emissioni provenienti da cava di estrazione di pietra calcarea e da
Cass., Sez. 1: 12.3,2002, n. 15717, Pagano ed altri; 14.6.2002, n.
23066, Rinaldi, in relazione ad emissioni di onde elettromagnetiche;
nonchè, tra le sentenze più recenti di questa 3 Sezione: 5.6.2007, n.
21814, Pierangeli;
10.10.2006, n. 33971, Bortolato; 9.2.2006, n. 8299,
Tortora;
26.5.2005, n. 19898, Pandolfini; 29.9.2004, n. 38297, P.M. in
proc. Previdenti ed altri).
In ogni caso, comunque, affinchè possa
configurarsi il reato di cui all'art. 674 c.p., non basta che le
immissioni in atmosfera superino i limiti eventualmente fissati dalla
normativa speciale, ma occorre anche che esse abbiano carattere
effettivamente molesto, nel senso dianzi delineato (vedi Cass., Sez. 1:
13.1.2003, n. 760, Tringali;
7.7.2000, n. 8094, Meo).
1.3. Il
consolidato orientamento giurisprudenziale del quale si è riferito
dianzi trova applicazione nei casi in cui esistono precisi limiti
tabellari fissati dalla legge, ed in tali casi non possono ritenersi
"non consentite" le emissioni che abbiano, in concreto, le
caratteristiche qualitative e quantitative già valutate ed ammesse dal
legislatore ed eventualmente trasfuse in legittimi provvedimenti
amministrativi autorizzatori.
Deve ritenersi, però, che - ove
un'autorizzazione abbia consentito valori in contrasto rispetto a
quelli normativamente delineati - resti ferma la valutazione del
giudice circa l'illegittimità dell'autorizzazione medesima, con ogni
conseguenza penale, non potendo negarsi la rilevanza della produzione
degli effetti che l'art. 674 c.p. è rivolto a scongiurare.
Diversa è
l'ipotesi in cui non esiste una predeterminazione normativa, ove è
affidata al giudice penale la valutazione della tollerabilità
consentita, alla stregua delle conseguenze che le emissioni producono
sull'area esterna all'azienda e sulle persone che vi abitano o comunque
vi operano.
Tale valutazione deve operarsi secondo criteri di "stretta
tollerabilità" (in tal senso Cass., Sez. 3: 5.6.2007, n. 21814,
Pierangeli; 10.10.2006, n. 33971, Bortolato; 31.3.2006, n. 11556,
Davito Bava), dovendo ritenersi riduttivo ed inadeguato il riferimento
alla "normale tollerabilità" fissato dall'art. 844 c.p., che appare
inidoneo ad approntare una protezione adeguata all'ambiente ed alla
salute umana, attesa la sua portata individualistica e non collettiva
(vedi sul punto Corte Cost., 23.7.1974, n. 247).
In quest'ottica
devono essere riguardate le c.d. "molestie olfattive", dal momento che
non sussiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche
e valori-limite in materia di odori e tale materia è diversa da quella
dell'inquinamento atmosferico, che il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
art. 268, comma 1 - lett. a), del definisce "ogni modificazione
dell'aria atmosferica, dovuta all'introduzione nella stessa di una o di
più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da
costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità
dell'ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere
gli usi legittimi dell'ambiente".
La normativa nazionale si limita a
stabilire alcuni principi fondamentali al fine di prevenire le molestie
olfattive, ovvero i criteri generali di localizzazione di alcune
tipologie di impianti e le prescrizioni relative all'applicazione delle
migliori tecniche disponibili per il contenimento e l'abbattimento
delle emissioni.
Essa, tuttavia, non prevede limiti, espressi in unità
odorimetriche, alle emissioni di sostanze osmogene dagli impianti e
metodologie o parametri per valutare la rilevanza o meno del livello di
molestia olfattiva da essi determinato.
Solo alcune Regioni hanno
individuato normativamente valori-limite alle emissioni di odori.
In
assenza di una normativa di settore e di standards fissati dalla legge,
dunque, può trovare senz'altro applicazione l'art. 674 c.p., con
individuazione del parametro di legalità nel criterio della "stretta
tollerabilità", secondo le argomentazioni già svolte al riguardo.
2.
Nella fattispecie in esame - in cui non risultano riscontrate
violazioni della normativa in relazione al contenuto delle emissioni
autorizzate di scarico in atmosfera - il giudice del merito ha tuttavia
accertato la intervenuta produzione di esalazioni puzzolenti,
provenienti con carattere duraturo proprio dagli stabilimenti gestiti
dai due imputati, idonee a cagionare nausea e disgusto, con impatto
negativo, anche psichico, sull'esercizio delle normali attività
quotidiane di lavoro e di relazione. Nè gli imputati hanno dimostrato
di avere adottato tutte le misure imposte, secondo la particolarità del
lavoro, dalla migliore esperienza e dalla tecnica più avanzata per
evitare quelle molestie (solo nell'ottobre del 2003 è stato messo in
funzione un potenziato impianto di abbattimento fumi).
In ordine
all'accertamento anzidetto, va rilevato che le censure concernenti
asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione
dei fatti e dell'attribuzione degli stessi alla persona dell'imputato
non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura
razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e
coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti
dal processo e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la
rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito
della sentenza impugnata.
3. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna
solidale dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 601, 615 e 616 c.p.p.,
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento
delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2008
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c.p. art. 674
c.p. art. 844
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