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ORDINE PUBBLICO (REATI)
Cass. pen. Sez. I, (ud. 04-03-2009) 17-06-2009, n. 25184
Cass. pen. Sez. I, (ud. 04-03-2009) 17-06-2009, n. 25184
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, S.L. è stato giudicato colpevole del reato p. e p. dal D.L. 26 aprile 1993, n. 122, art. 2, convertito con modificazione nella L. 25 giugno 1993, n. 205,
"per avere, all'esterno dello stadio "(OMISSIS)" di (OMISSIS), prima
dell'incontro di calcio (OMISSIS), compiuto manifestazioni esteriori
(saluto romano) proprie delle organizzazioni, associazioni, movimenti o
gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o
alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; fatto
accertato in (OMISSIS)".
La Corte di Appello
di Trieste, ritenuto incontestato il fatto storico addebitato al S.,
riconosciuto dall'agente B. come uno dei soggetti più attivi all'interno
di un "plotone" di tifosi veronesi sprovvisti di biglietto, precisando
che lo stesso aveva seguitato a fare il saluto romano (documentato anche
dai fotogrammi versati in atti dal P.M.) per tutta la durata del Corteo
e richiamato un precedente giurisprudenziale, sia pure risalente nel
tempo (Sez. 1, sentenza n. 11943 del 4/10/1982, Rv. 156667), sulla
ravvisata sussistenza della fattispecie contestata in caso di "saluto
romano" o "saluto fascista", rimandando tale gesto, per comune nozione
storica, all'ideologia fascista, e quindi ad una ideologia politica
"sicuramente non portatrice dei valori paritari e di non violenza, ma,
al contrario, fortemente discriminante ed intollerante", ha valutato
come scarsamente credibile la versione dei fatti resa dal teste So.,
secondo cui tutto sarebbe avvenuto in un clima giocoso, quale usualmente
si presenterebbe in occasione di ogni partita di calcio. Tale
prospettazione, invero, secondo la concorde valutazione dei giudici di
merito, trovava chiara smentita nel fatto che, in occasione di
quell'incontro di calcio, non vi erano stati solo dei blandi spintoni
tra tifosi e Polizia, ma quest'ultima, vistasi incalzata e fatta
bersaglio di lancio di oggetti, per riuscire ad avere la meglio e quindi
bloccare la sommossa incipiente di quelli che, seppur privi di
biglietto, volevano comunque entrare nello stadio, aveva dovuto iniziare
la carica a seguito della quale, come riferito dal teste C. "è iniziata
la battaglia".
A fronte di una siffatta
ricostruzione, ad avviso dei giudici di appello, non poteva attribuirsi
alcun credito al teste So., il quale aveva fatto menzione di un clima di
distensione, oggettivamente incompatibile con i violenti tafferugli che
in quella circostanza si erano verificati, anche perchè non poteva
ritenersi dimostrato l'assunto secondo cui il gesto dell'imputato
sarebbe stato compiuto in "fragenti temporali totalmente estranei a
quelli dei tafferugli". Precisava altresì la Corte, richiamando un
passaggio argomentativo della sentenza di primo grado, che la tesi
difensiva secondo cui il S. non avesse consapevolezza della valenza del
suo comportamento non appariva seriamente prospettabile, tenuto conto
che l'imputato, come riferito dal teste B., era già stato segnalato come
elemento di spicco della tifoseria ultra veronese e che appariva
pertanto difficilmente credibile che egli si fosse indotto a fare il
saluto romano con mero intento scherzoso.
2. Avverso la indicata sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato chiedendone l'annullamento:
-
con il primo motivo di gravame, per erronea applicazione della legge
penale, in quanto: a) la norma incriminatrice contestata richiede,
secondo un costante orientamento giurisprudenziale ed anche in ragione
delle sopravvenute modificazioni apportate ad analoghe fattispecie
penali (L. n. 645 del 1975, art. 3), un quid pluris rispetto al
gesto compiuto, concretamente idoneo a condizionare la volontà dei
terzi e ad indurli a commettere condotte discriminatorie, insussistente
nel caso in esame; b) risulta erroneo il convincimento espresso dai
giudici di appello secondo cui non sarebbe richiesto un dolo specifico,
essendo sufficiente, invece, la sussistenza di un dolo generico; c)
l'insussistenza in ogni caso nella condotta del ricorrente dell'elemento
soggettivo, attesa la natura esclusivamente scherzosa del gesto e la
obiettiva impossibilità di attribuire allo stesso una natura
discriminatoria;
- con il secondo motivo di
gravame, per vizio di motivazione, con riferimento; a) alla ritenuta
collocazione dell'imputato all'interno di un "plotone" di tifosi
sprovvisti di un biglietto di ingresso; b) all'individuazione del
momento in cui sarebbe stata compiuta la condotta incriminata come
ravvicinato e non invece antecedente ai disordini con le forze
dell'ordine; c) alla ritenuta inattendibilità del teste So.; d)
all'assunto secondo cui "il saluto romano" sia ricollegabile al
fascismo, movimento politico portatore di un'ideologia non democratica;
e) all'assunto, del tutto illogico, secondo cui essendo il S. conosciuto
alle forze dell'ordine come un elemento di spicco della tifoseria
veronese, ed essendo detta tifoseria considerata politicamente orientata
"a destra", per ciò solo doveva ritenersi il ricorrente certamente
consapevole della portata discriminatoria del suo gesto.
Motivi della decisione
3.1 - L'impugnazione proposta nell'interesse del S. è basata su motivi privi di fondamento e va quindi rigettata.
3.2
- Preliminare sul piano logico risulta l'esame del secondo motivo di
gravame, in quanto con esso, attraverso la prospettazione di un vizio di
motivazione, la difesa del ricorrente intende contestare la
ricostruzione del fatto compiuta da entrambi i giudici di merito e
segnatamente la circostanza che la "manifestazione esteriore" che
l'imputato ha indiscutibilmente posto in essere - il saluto fascista -
sia stata compiuta allorquando costui si trovava all'esterno dello
stadio, unitamente ad altri tifosi, prima della partita di calcio tra
l'Hellas Verona e l'Udinese e poco prima che il predetto gruppo di
tifosi, privi del biglietto d'ingresso, iniziasse un fitto lancio di
oggetti all'indirizzo delle forze di polizia, che si opponevano al loro
ingresso nello stadio.
Orbene, se si considera
che la ipotesi di manifesta illogicità della motivazione, secondo
l'orientamento giurisprudenziale assolutamente consolidato dal quale non
vi è ragione di discostarsi, sussiste "quando il giudice di merito, nel
compiere l'esame degli elementi probatori sottoposti alla sua analisi e
nell'esplicitare, in sentenza, l'iter logico seguito, si esprima
attraverso una motivazione incoerente, incompiuta, monca e parziale"
nessun profilo di illegittimità può fondatamente ravvisabile nel caso in
esame, in quanto la indicata ricostruzione del fatto, si ricollega nel
percorso argomentativo svolto dai giudici di merito, non già ad
illazioni indimostrate ed illogiche, ma alle dichiarazioni del teste B.,
ritenute pienamente attendibili, che aveva riferito come in occasione
della partita si era formato come "una specie di plotone di tifosi" che
reclamavano per poter entrare allo stadio, e che all'interno di esso, vi
era pure il S., il quale aveva seguitato a fare il saluto romano "per
tutta la durata del Corteo", che veniva disperso dalle forze
dell'ordine, avendo i "tifosi" iniziato un fitto lancio di oggetti
all'indirizzo degli agenti che, come i testi B. e C., effettuavano il
servizio d'ordine.
3.3 - Così definito il
contesto spazio-temporale della condotta materiale ascritta
all'imputato, risultano prive di fondamento anche le deduzioni difensive
sviluppate con il primo motivo di gravame, con il quale si contesta la
riconducibilità del fatto contestato alla norma incriminatrice e più
specificamente la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
Esclusa
infatti dai giudici di merito, sulla base delle ricordate deposizioni
testimoniali, la natura asseritamente scherzosa del gesto posto in
essere dal ricorrente - compiuto lo si ripete, in un luogo pubblico, nel
quale erano confluite numerose persone, "destinatarie" del "saluto
romano" lungamente ripetuto dall'imputato - nessun profilo di
illegittimità appare fondatamente ravvisabile nella sentenza impugnata,
laddove ha ritenuto sussistenti nella condotta ascritta al S., tutti gli
elementi, sia oggettivi che soggettivi, costitutivi del reato
contestato. Immuni da vizi logici o giuridici risultano, in primo luogo,
le argomentazioni sviluppate dai giudici di appello, laddove sostengono
che il "saluto romano" costituisce una manifestazione esteriore, che
rimanda, per comune nozione storica, all'ideologia fascista, e quindi ad
una ideologia politica "sicuramente non portatrice dei valori paritari e
di non violenza, ma, al contrario, fortemente discriminante ed
intollerante", ad un regime totalitario che ha emanato, tra l'altro,
leggi di discriminazione dei cittadini per motivi razziali (in tal
senso, con riferimento ad una fattispecie non dissimile, si veda Cass,
sez. 3, sentenza n. 37390 dell'11 ottobre 2007).
Nè
hanno pregio le deduzioni difensive svolte in ricorso, con le quali,
anche attraverso il richiamo alla giurisprudenza formatasi con
riferimento alla fattispecie di cui alla L. 20 giugno 1952, n. 645, art. 5,
si sostiene che la condotta del S. non potrebbe venir sanzionata non
avendo travalicato i limiti dalla libera manifestazione del pensiero,
tutelata dall'art. 21 Cost..
Ed
invero, contrariamente a quanto suggestivamente adombrato in ricorso, il
S. non è stato condannato in quanto, con la sua condotta, ha
manifestato l'opinione di condividire o comunque provare un sentimento
di simpatia per gesti e simboli propri del disciolto partito nazionale
fascista, ma perchè ha compiuto una manifestazione esteriore - il saluto
fascista - propria o usuale di organizzazioni, associazioni o gruppi di
cui alla L. n. 205 del 1993, la quale, nel contesto e
nell'ambiente in cui era stata compiuta, era non solo idonea a provocare
adesioni e consensi tra le numerose persone presenti, ma era
inequivocamente diretta a favorire la diffusione di idee fondate sulla
superiorità o sull'odio razziale od etnico.
Al
riguardo, del resto, non è superfluo rammentare che questa Corte (Sez.
5, Sentenza n. 31655 del 24/8/2001, Rv. 220022; Sez. 3, Sentenza n.
37581 del 3/10/2008, Rv. 241071) ha ritenuto manifestamente infondata la
questione di costituzionalità della L. 13 ottobre 1975, n. 654, art. 3 (modificato dal D.L. 24 aprile 1993, n. 122, conv. con modd. in L. 25 giugno 1993, n. 205 nonchè dal L. 24 febbraio 2006, n. 85, art. 13)
laddove vieta la diffusione in qualsiasi modo di idee fondate sulla
superiorità o sull'odio razziale, per asserito contrasto con l'art. 21 Cost.,
in quanto la libertà di manifestazione del pensiero e quella di ricerca
storica cessano quando travalicano in istigazione alla discriminazione
ed alla violenza di tipo razzista, opportunamente rimarcando, tra
l'altro, come l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per
motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ha un contenuto fattivo
di istigazione ad una condotta che realizza un "quid pluris" rispetto
alla mera manifestazione di opinioni personali.
Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all'art. 616 c.p.p. in ordine alla spese del presente procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2009
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