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giovedì 5 febbraio 2015

Cassazione: È reato il "saluto romano" del tifoso, istiga all'odio razziale Tale gesto ha portata discriminatoria: non rientra nella libertà di manifestazione di pensiero ma sconfina nell'istigazione alla violenza. Respinto il ricorso di un ultrà condannato per avere compiuto il "saluto fascista" ripetutamente fuori dallo stadio



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ORDINE PUBBLICO (REATI)
Cass. pen. Sez. I, (ud. 04-03-2009) 17-06-2009, n. 25184
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, S.L. è stato giudicato colpevole del reato p. e p. dal D.L. 26 aprile 1993, n. 122, art. 2, convertito con modificazione nella L. 25 giugno 1993, n. 205, "per avere, all'esterno dello stadio "(OMISSIS)" di (OMISSIS), prima dell'incontro di calcio (OMISSIS), compiuto manifestazioni esteriori (saluto romano) proprie delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; fatto accertato in (OMISSIS)".
La Corte di Appello di Trieste, ritenuto incontestato il fatto storico addebitato al S., riconosciuto dall'agente B. come uno dei soggetti più attivi all'interno di un "plotone" di tifosi veronesi sprovvisti di biglietto, precisando che lo stesso aveva seguitato a fare il saluto romano (documentato anche dai fotogrammi versati in atti dal P.M.) per tutta la durata del Corteo e richiamato un precedente giurisprudenziale, sia pure risalente nel tempo (Sez. 1, sentenza n. 11943 del 4/10/1982, Rv. 156667), sulla ravvisata sussistenza della fattispecie contestata in caso di "saluto romano" o "saluto fascista", rimandando tale gesto, per comune nozione storica, all'ideologia fascista, e quindi ad una ideologia politica "sicuramente non portatrice dei valori paritari e di non violenza, ma, al contrario, fortemente discriminante ed intollerante", ha valutato come scarsamente credibile la versione dei fatti resa dal teste So., secondo cui tutto sarebbe avvenuto in un clima giocoso, quale usualmente si presenterebbe in occasione di ogni partita di calcio. Tale prospettazione, invero, secondo la concorde valutazione dei giudici di merito, trovava chiara smentita nel fatto che, in occasione di quell'incontro di calcio, non vi erano stati solo dei blandi spintoni tra tifosi e Polizia, ma quest'ultima, vistasi incalzata e fatta bersaglio di lancio di oggetti, per riuscire ad avere la meglio e quindi bloccare la sommossa incipiente di quelli che, seppur privi di biglietto, volevano comunque entrare nello stadio, aveva dovuto iniziare la carica a seguito della quale, come riferito dal teste C. "è iniziata la battaglia".
A fronte di una siffatta ricostruzione, ad avviso dei giudici di appello, non poteva attribuirsi alcun credito al teste So., il quale aveva fatto menzione di un clima di distensione, oggettivamente incompatibile con i violenti tafferugli che in quella circostanza si erano verificati, anche perchè non poteva ritenersi dimostrato l'assunto secondo cui il gesto dell'imputato sarebbe stato compiuto in "fragenti temporali totalmente estranei a quelli dei tafferugli". Precisava altresì la Corte, richiamando un passaggio argomentativo della sentenza di primo grado, che la tesi difensiva secondo cui il S. non avesse consapevolezza della valenza del suo comportamento non appariva seriamente prospettabile, tenuto conto che l'imputato, come riferito dal teste B., era già stato segnalato come elemento di spicco della tifoseria ultra veronese e che appariva pertanto difficilmente credibile che egli si fosse indotto a fare il saluto romano con mero intento scherzoso.
2. Avverso la indicata sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato chiedendone l'annullamento:
- con il primo motivo di gravame, per erronea applicazione della legge penale, in quanto: a) la norma incriminatrice contestata richiede, secondo un costante orientamento giurisprudenziale ed anche in ragione delle sopravvenute modificazioni apportate ad analoghe fattispecie penali (L. n. 645 del 1975, art. 3), un quid pluris rispetto al gesto compiuto, concretamente idoneo a condizionare la volontà dei terzi e ad indurli a commettere condotte discriminatorie, insussistente nel caso in esame; b) risulta erroneo il convincimento espresso dai giudici di appello secondo cui non sarebbe richiesto un dolo specifico, essendo sufficiente, invece, la sussistenza di un dolo generico; c) l'insussistenza in ogni caso nella condotta del ricorrente dell'elemento soggettivo, attesa la natura esclusivamente scherzosa del gesto e la obiettiva impossibilità di attribuire allo stesso una natura discriminatoria;
- con il secondo motivo di gravame, per vizio di motivazione, con riferimento; a) alla ritenuta collocazione dell'imputato all'interno di un "plotone" di tifosi sprovvisti di un biglietto di ingresso; b) all'individuazione del momento in cui sarebbe stata compiuta la condotta incriminata come ravvicinato e non invece antecedente ai disordini con le forze dell'ordine; c) alla ritenuta inattendibilità del teste So.; d) all'assunto secondo cui "il saluto romano" sia ricollegabile al fascismo, movimento politico portatore di un'ideologia non democratica; e) all'assunto, del tutto illogico, secondo cui essendo il S. conosciuto alle forze dell'ordine come un elemento di spicco della tifoseria veronese, ed essendo detta tifoseria considerata politicamente orientata "a destra", per ciò solo doveva ritenersi il ricorrente certamente consapevole della portata discriminatoria del suo gesto.

Motivi della decisione

3.1 - L'impugnazione proposta nell'interesse del S. è basata su motivi privi di fondamento e va quindi rigettata.
3.2 - Preliminare sul piano logico risulta l'esame del secondo motivo di gravame, in quanto con esso, attraverso la prospettazione di un vizio di motivazione, la difesa del ricorrente intende contestare la ricostruzione del fatto compiuta da entrambi i giudici di merito e segnatamente la circostanza che la "manifestazione esteriore" che l'imputato ha indiscutibilmente posto in essere - il saluto fascista - sia stata compiuta allorquando costui si trovava all'esterno dello stadio, unitamente ad altri tifosi, prima della partita di calcio tra l'Hellas Verona e l'Udinese e poco prima che il predetto gruppo di tifosi, privi del biglietto d'ingresso, iniziasse un fitto lancio di oggetti all'indirizzo delle forze di polizia, che si opponevano al loro ingresso nello stadio.
Orbene, se si considera che la ipotesi di manifesta illogicità della motivazione, secondo l'orientamento giurisprudenziale assolutamente consolidato dal quale non vi è ragione di discostarsi, sussiste "quando il giudice di merito, nel compiere l'esame degli elementi probatori sottoposti alla sua analisi e nell'esplicitare, in sentenza, l'iter logico seguito, si esprima attraverso una motivazione incoerente, incompiuta, monca e parziale" nessun profilo di illegittimità può fondatamente ravvisabile nel caso in esame, in quanto la indicata ricostruzione del fatto, si ricollega nel percorso argomentativo svolto dai giudici di merito, non già ad illazioni indimostrate ed illogiche, ma alle dichiarazioni del teste B., ritenute pienamente attendibili, che aveva riferito come in occasione della partita si era formato come "una specie di plotone di tifosi" che reclamavano per poter entrare allo stadio, e che all'interno di esso, vi era pure il S., il quale aveva seguitato a fare il saluto romano "per tutta la durata del Corteo", che veniva disperso dalle forze dell'ordine, avendo i "tifosi" iniziato un fitto lancio di oggetti all'indirizzo degli agenti che, come i testi B. e C., effettuavano il servizio d'ordine.
3.3 - Così definito il contesto spazio-temporale della condotta materiale ascritta all'imputato, risultano prive di fondamento anche le deduzioni difensive sviluppate con il primo motivo di gravame, con il quale si contesta la riconducibilità del fatto contestato alla norma incriminatrice e più specificamente la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
Esclusa infatti dai giudici di merito, sulla base delle ricordate deposizioni testimoniali, la natura asseritamente scherzosa del gesto posto in essere dal ricorrente - compiuto lo si ripete, in un luogo pubblico, nel quale erano confluite numerose persone, "destinatarie" del "saluto romano" lungamente ripetuto dall'imputato - nessun profilo di illegittimità appare fondatamente ravvisabile nella sentenza impugnata, laddove ha ritenuto sussistenti nella condotta ascritta al S., tutti gli elementi, sia oggettivi che soggettivi, costitutivi del reato contestato. Immuni da vizi logici o giuridici risultano, in primo luogo, le argomentazioni sviluppate dai giudici di appello, laddove sostengono che il "saluto romano" costituisce una manifestazione esteriore, che rimanda, per comune nozione storica, all'ideologia fascista, e quindi ad una ideologia politica "sicuramente non portatrice dei valori paritari e di non violenza, ma, al contrario, fortemente discriminante ed intollerante", ad un regime totalitario che ha emanato, tra l'altro, leggi di discriminazione dei cittadini per motivi razziali (in tal senso, con riferimento ad una fattispecie non dissimile, si veda Cass, sez. 3, sentenza n. 37390 dell'11 ottobre 2007).
Nè hanno pregio le deduzioni difensive svolte in ricorso, con le quali, anche attraverso il richiamo alla giurisprudenza formatasi con riferimento alla fattispecie di cui alla L. 20 giugno 1952, n. 645, art. 5, si sostiene che la condotta del S. non potrebbe venir sanzionata non avendo travalicato i limiti dalla libera manifestazione del pensiero, tutelata dall'art. 21 Cost..
Ed invero, contrariamente a quanto suggestivamente adombrato in ricorso, il S. non è stato condannato in quanto, con la sua condotta, ha manifestato l'opinione di condividire o comunque provare un sentimento di simpatia per gesti e simboli propri del disciolto partito nazionale fascista, ma perchè ha compiuto una manifestazione esteriore - il saluto fascista - propria o usuale di organizzazioni, associazioni o gruppi di cui alla L. n. 205 del 1993, la quale, nel contesto e nell'ambiente in cui era stata compiuta, era non solo idonea a provocare adesioni e consensi tra le numerose persone presenti, ma era inequivocamente diretta a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale od etnico.
Al riguardo, del resto, non è superfluo rammentare che questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 31655 del 24/8/2001, Rv. 220022; Sez. 3, Sentenza n. 37581 del 3/10/2008, Rv. 241071) ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità della L. 13 ottobre 1975, n. 654, art. 3 (modificato dal D.L. 24 aprile 1993, n. 122, conv. con modd. in L. 25 giugno 1993, n. 205 nonchè dal L. 24 febbraio 2006, n. 85, art. 13) laddove vieta la diffusione in qualsiasi modo di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale, per asserito contrasto con l'art. 21 Cost., in quanto la libertà di manifestazione del pensiero e quella di ricerca storica cessano quando travalicano in istigazione alla discriminazione ed alla violenza di tipo razzista, opportunamente rimarcando, tra l'altro, come l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ha un contenuto fattivo di istigazione ad una condotta che realizza un "quid pluris" rispetto alla mera manifestazione di opinioni personali.
Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all'art. 616 c.p.p. in ordine alla spese del presente procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2009

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