Cassazione: vietato andare al lavoro in moto
Nuova pagina 1
LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 21-04-2009, n. 9474
Cass. civ. Sez. lavoro, 21-04-2009, n. 9474
Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato in data 4.12.2002, F.G. M.
conveniva dinanzi al Tribunale di Napoli la spa (Lpd) ed esponeva di avere
lavorato per la convenuta quale aiuto medico specialista in geriatria dal
(OMISSIS), con rapporto di lavoro a tempo parziale di trenta ore settimanali;
nel contempo, rivestiva la carica di direttore sanitario del Centro (Lpd) srl.,
fino al (OMISSIS), circostanza questa nota alla (Lpd). Dopo un periodo di
malattia ((OMISSIS)) aveva ripreso servizio, ma in data (OMISSIS) aveva dovuto
nuovamente assentarsi per l'insorgenza di coxoartrosi post-necrotica: pendente
un ciclo riabilitativo consigliato in attesa di intervento chirurgico, la
società gli contestava alcuni illeciti disciplinari; ricevuta la lettera di
giustificazioni, lo licenziava per giusta causa. Egli impugnava il licenziamento
e chiedeva la reintegra, in una col risarcimento del danno per avere riportato
una crisi ansioso - depressiva a causa di tale licenziamento.
2. Previa costituzione ed opposizione della (Lpd) spa, il
Tribunale respingeva la domanda attrice. Proponeva appello l'attore e la Corte
di Appello, previa costituzione della convenuta, riformava parzialmente la
sentenza di primo grado, ordinando la reintegra del F. e la corresponsione delle
retribuzioni "medio tempore" maturate; non riconosceva invece l'ulteriore danno
richiesto dall'attore. Questa, in sintesi, la motivazione della sentenza di
appello:
altro giudizio tra le parti, inerente al riconoscimento
di mansioni superiori, non ha rilevanza nella presente controversia;
irrilevante è pure la mancata affissione del codice
disciplinare, dato che le mancanze addebitate (simulazione dello stato di
malattia, avere ritardato la guarigione, avere svolto attività concorrenziale)
costituiscono mancanze inerenti ad ogni rapporto di lavoro e non tipiche
dell'attività svolta dal datore di lavoro;
lo stato invalidante è accertato dal giudice di primo
grado e sul punto la sentenza è passata in giudicato; il F. è stato visto
mentre, perdurante la malattia, guidava una motocicletta, si recava al mare e
quindi si portava presso il Centro (Lpd) per prestare ivi la propria attività;
viene addebitato all'attore di avere, con tali
comportamenti, ritardato la guarigione, ma di ciò non vi è prova; la terapia in
acqua era consigliata, non risulta che la guida della motocicletta sia
incompatibile col processo di guarigione;
l'attività presso il Centro (Lpd) era nota alla (Lpd);
essendo il F. assunto a tempo parziale; egli avrebbe
potuto richiedere autorizzazione al riguardo, ma nella specie tale
autorizzazione non era necessaria in ragione della consapevolezza della (Lpd),
dell'ampia tolleranza al riguardo esercitata ed infine al fatto che, se del
caso, doveva essere contestata la mancata richiesta dell'autorizzazione e non la
prestazione in sè;
gli ulteriori danni non erano ricollegabili con nesso
causale al licenziamento.
3. Ha proposto ricorso per Cassazione la (Lpd) spa,
deducendo tre motivi. Resiste con controricorso F.F.M.. La ricorrente ha
presentato memoria integrativa.
Motivi della decisione
4. Col primo motivo del ricorso, la ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3,
degli artt. 2697, 2730 e 2909 c.c., nonchè omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art.
360 c.p.c., n. 5: erroneamente la Corte di Appello ha ritenuto che si sia
formato il giudicato interno sul punto inerente alla (insussistente)
dimostrazione dello stato di malattia; infatti la parte convenuta, totalmente
vittoriosa in primo grado, non aveva l'onere di proporre appello incidentale, ma
poteva limitarsi a riproporre in appello la questione ritenuta assorbita. In
ogni caso, l'attività ludica e non, espletata dall'attore durante la presunta
malattia, doveva essere ritenuta idonea a dimostrare che il F. ben avrebbe
potuto prestare il proprio lavoro anche presso la (Lpd). Il fatto di avere
guidato in più occasioni una moto di grossa cilindrata, di essersi recato al
mare a prendere bagni; di avere guidato l'autovettura, di essersi recato presso
il Centro (Lpd), doveva far ritenere sussistente, quanto meno, un'attività
dell'attore in contrasto con gli obblighi di cura e riposo, in modo da non
compromettere ulteriormente la guarigione.
5. Il motivo è fondato nei limiti di cui "infra". Si
premette che la parte totalmente vittoriosa in primo grado non ha l'onere di
proporre appello incidentale, ma può limitarsi a riproporre una questione che il
giudice di primo grado abbia ritenuto "assorbita". Nella specie, il Tribunale ha
respinto la tesi della simulazione dello stato di malattia, ma l'ha superata
addebitando al lavoratore un comportamento comunque illegittimo. La questione
non è stata specificamente riproposta in appello, tanto è vero che la ricorrente
richiamava genericamente tutte le deduzioni svolte in primo grado. Devesi
pertanto ritenere che lo stato di malattia sia coperto da giudicato.
6. La Corte di Appello ha però ritenuto che i vari
comportamenti ascritti al F. non fossero in contrasto coi doveri del dipendente
durante il periodo di malattia. Ha perciò ritenuto che il fatto di avere guidato
una motocicletta, nonostante la coxo-artrosi dell'anca, di avere preso bagni di
mare e di avere comunque prestato una (limitata) attività presso il Centro (Lpd)
non fossero idonei a compromettere l'interesse del datore di lavoro ad una
pronta guarigione del lavoratore. Quanto affermato dalla Corte di Appello appare
in contrasto coi principi più volte affermati da questa Corte di Cassazione in
ordine ai doveri del lavoratore durante la malattia.
Si veda al riguardo Cass. 7.6.1995 n. 6399: "Lo
svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per
malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla
violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici
obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata
o meno a titolo oneroso, sia per sè sufficiente a far presumere l'inesistenza
della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolenta simulazione ovvero
quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni
svolte, l'attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il
rientro in servizio del lavoratore". 7. Si veda ancora Cass. 1.7.2005 n. 14046:
"Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per
malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla
violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici
obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell'ipotesi in cui tale
attività esterna sia per sè sufficiente a far presumere l'inesistenza della
malattia, dimostrando, quindi, una fraudolenta simulazione, anche nel caso in
cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura
della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la
guarigione e il rientro in servizio, con conseguente irrilevanza della
tempestiva ripresa del lavoro alla scadenza del periodo di malattia. (Nella
specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva riconosciuto
legittimo il licenziamento di un dipendente che era stato sorpreso a lavorare
con mansioni di carico e scarico merci e servizio ai tavoli nel circolo
ricreativo gestito dalla moglie durante un periodo di assenza dal servizio per
distorsione al ginocchio)". 7. Applicando i suddetti principi alla fattispecie
in esame si ha che l'espletamento di altra attività lavorativa ed
extralavorativa da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idonea a
violare i doveri contrattuali di correttezza e buonafede nell'adempimento
dell'obbligazione, posto che il fatto di guidare una moto di grossa cilindrata,
di recarsi in spiaggia e di prestare una seconda attività lavorativa sono di per
sè indici di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai
relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltrechè dimostrativi del
fatto che lo stato di malattia non è assoluto e non impedisce comunque
l'espletamento di una attività ludica o lavorativa.
8. Con il secondo motivo del ricorso, la ricorrente
deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c.,
n. 3, degli artt. 1362 c.c. e segg., art. 2105 c.c., in relazione agli
artt. 14 e 30 del CCNL di settore; della L.R. n. 377 del 1998 e vizio di
motivazione: la Corte di Appello ha errato ritenendo che l'attività presso altro
centro clinico fosse consentita, sulla base di una infondata interpretazione
della norma contrattuale. La norma del CCNL, se intesa nel senso di autorizzare
comunque un'attività in favore di terzi, è nulla per contrasto con l'art. 2105
cit.; in ogni caso il F. doveva chiedere l'autorizzazione.
9. Il motivo è infondato. L'argomentazione secondo la
quale la norma contrattuale sarebbe nulla per contrasto con norma imperativa è
nuova ed inammissibile. In ogni caso, trattandosi di rapporto di lavoro "part
time", la prestazione di ulteriore attività "part time" presso altro centro
medico non può essere ritenuta vietata "tout court". Ma diversa è la "ratio
decidendi" della Corte di Appello:
muovendo dall'art. 30 del CCNL, essa ha ritenuto che non
sussiste divieto di prestare la propria opera presso terzi in caso di lavoratori
a tempo definito, essendo in tal caso sufficiente una richiesta di
autorizzazione. Nella specie, come accerta la Corte di Appello, la (Lpd) era da
tempo a conoscenza dell'ulteriore attività del F. - per circa dieci ore
settimanali - e nulla aveva rilevato al proposito; circostanza questa tale da
integrare gli estremi della tolleranza, ovvero da indurre a diversa e più tenue
valutazione dell'infrazione nel giudizio di proporzionalità tra mancanza e
sanzione. Il motivo si risolve quindi in una censura in fatto, inammissibile nel
giudizio di legittimità, avendo la Corte di Appello giustificato il proprio
convincimento sul punto con motivazione esauriente, immune da vizi logici o
contraddizioni, talchè essa si sottrae ad ogni censura in sede di legittimità
10. Col terzo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 300
del 1970, art. 18, e vizio di motivazione, per avere la Corte di Appello
condannato essa (Lpd) al versamento delle retribuzioni globali di fatto, senza
tenere conto dell'"aliunde perceptum" in ragione del rapporto di lavoro presso
il Centro (Lpd).
11. Il motivo è manifestamente infondato e va rigettato.
Trattasi infatti di rapporto di lavoro "part time", onde quanto percepito in
conseguenza di una diversa attività lavorativa per un orario di lavoro ulteriore
non costituisce "aliunde perceptum" rispetto all'orario praticato presso la
(Lpd). La ricorrente avrebbe dovuto allegare e dimostrare la sussistenza di una
diversa fonte di guadagno, sostitutiva della retribuzione dovuta dalla
convenuta.
12. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata
limitatamente al primo motivo del ricorso, che viene accolto, ed il processo va
rinviato alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, anche per le
statuizioni circa le spese. Il principio di diritto è quello indicato al par. n.
7 che precede.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il primo motivo
del ricorso, rigetta il secondo e il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata
in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di
Appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24
febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2009
Nessun commento:
Posta un commento