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Giovane ubriaco investe pedoni per una bravata: è omicidio colposo, perchè non si può ravvisare il dolo eventuale
CASSAZIONE PENALE - OMICIDIO COLPOSO
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 10-02-2009) 25-03-2009, n. 13083
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 10-02-2009) 25-03-2009, n. 13083
Svolgimento del processo
1.
Il 9 luglio 2008 il G.I.P. del Tribunale di Salerno applicava a B.M.G.
la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di omicidio
colposo, così qualificata l'originaria imputazione del P.M. di omicidio
volontario. Sull'appello di quest'ultimo, il Tribunale del riesame di
Salerno, con ordinanza del 5 settembre 2008, confermava il provvedimento
del G.I.P..
Chiariva in fatto l'integrativo
provvedimento di applicazione della misura che verso le ore 21 del
(OMISSIS) il B. si trovava alla guida di un'autovettura nel centro
urbano di Salerno (con a bordo altri amici) ed aveva investito due
persone (una era poi deceduta per le ferite riportate; l'altra aveva
riportato gravi lesioni) che si trovavano sul marciapiedi, finendo poi
la sua corsa contro la vetrina di un negozio; circa cinquanta metri
prima del luogo in cui era avvenuto l'impatto con i pedoni l'indagato si
era fermato ed aveva avuto un alterco con due persone che si trovavano a
bordo di un motorino e dopo il litigio verbale era ripartito a forte
velocità, facendo sgommare le ruote e perdendo, poi, il controllo
dell'autoveicolo; egli era in stato di ebbrezza alcolica, essendogli
stato riscontrato un tasso alcolemico di 1,05 g/l.
Il
Tribunale del riesame, richiamata la distinzione tra dolo eventuale e
colpa cosciente, osservava che "la giovane età del conducente, il
veicolo di grossa cilindrata (una BMW) nella propria disponibilità da
una settimana appena, rende evidente il quadro di un giovane spericolato
ed eccitato dall'avere a disposizione un veicolo di notevole potenza
che lo ha portato ad una condotta di guida estremamente imprudente e
negligente ... L'entusiasmo della nuova auto, in uno alla compagnia di
altri amici, al desiderio di attrarre l'attenzione e ostentare il grosso
veicolo sgommando per il centro cittadino e procedendo a velocità
eccessiva, si confà proprio con la giovane età del soggetto agente.
L'aver poi affrontato più volte ... lo stesso percorso senza ostacoli o
pericoli di sorta, ha di certo giocato un ruolo importante e contribuito
a sostenere la condotta di guida spericolata ed incurante di ogni
regola imposta ...". Soggiungeva che lo "stato di ubriachezza ...
certamente ha contribuito ad ingenerare nell'agente il senso di
onnipotenza che in uno alla giovane età ha consentito di agire convinto
di non correre rischi di sorta, confidando nelle proprie capacità di
guida", non potendosi condividere la tesi del P.M., "che la propria
inesperienza nella guida avrebbe portato il B. a prevedere l'evento ed
ad accertarne il rischio di verificazione ...";
e
che "lo stato di ebbrezza alcolica, che sia lieve o che sia notevole, è
in ogni caso di ostacolo alla possibilità di intravedere una condotta
cosciente di una persona che accetta il rischio di verificazione
dell'evento ...". Rilevava, infine che, "sebbene l'evento fosse
concretamente possibile per la condotta di guida e le circostanze di
tempo e di luogo, non può trarsi direttamente per ciò solo che il B. lo
abbia previsto e ciononostante abbia agito accettandone la possibilità
di verificazione ...", occorrendo "qualche elemento in più che consenta
di ritenere sussistente la previsione dell'evento e l'accettazione del
rischio di verificazione ...". 2. Avverso tale ordinanza ha proposto
ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno,
denunziando:
a) il vizio di violazione di
legge. Premesso che "su un punto vi è convergenza fra la tesi del P.M
..., la tesi del G.I.P. e quella del Tribunale", che, cioè, " B. ha
agito prevedendo l'evento", rileva che "per aversi dolo eventuale va ...
portata la prova della volontà intesa quale adesione o consenso
all'evento; è necessario, in altri termini, che l'evento sia stato
rappresentato dal soggetto come una conseguenza, probabile o solo
possibile in modo apprezzabile, della sua azione, purchè egli non abbia
agito nel ragionevole convincimento o, almeno, nella speranza di una
mancata verificazione ...": nella specie sarebbe "assolutamente
pacifico" che la condotta dell'indagato "è consistita nell'accettazione
del rischio, nell'adesione al verificarsi dell'evento, in presenza di
dati di fatto, dai quali escludere con elevato grado di verosimiglianza
che egli abbia potuto coltivare la certezza o la probabilità o solo
anche la mera speranza di evitare l'evento e, ancora, in assenza di dati
di fatto idonei a dimostrare che egli, sia pure in extremis, abbia
posto in essere una condotta contraria e, pertanto, sintomatica di un
disvolere ...". Soggiunge che "è da escludere che la giovane età e la
inesperienza possano essere adottati quali elementi di demarcazione fra
dolo eventuale e colpa cosciente ..." e "l'assenza di tracce di frenata
non consent(e) nemmeno di ipotizzare che egli in extremis abbia
disvoluto l'evento, revocando, sia pure tardivamente, quella adesione al
rischio di precedenza manifestata; nulla, in definitiva, consente di
affermare che egli abbia agito senza accettare l'evento, nè in termini
di certezza, nè in termini di verosimiglianza, nè in termini di mera
possibilità ...";
b) il vizio di manifesta
illogicità. Il provvedimento impugnato - rileva il ricorrente - ha
affermato, "a distanza di pochi righi", che "è proprio tipico della
giovane età agire con incoscienza" e poi che "il giovane pur
raffigurandosi il pericolo ha confidato nella propria capacità di guida
in grado di evitare l'evento nel convincimento di essere più bravo degli
altri": quindi, "da un lato il guidatore è ritenuto incosciente per la
giovane età, dall'altro è in grado di raffigurarsi l'evento", sicchè "si
è in presenza di un ossimoro: la colpa cosciente dell'incosciente".
Anche per quanto riguarda la ritenuta inesperienza, nel provvedimento
impugnato "si profila l'ipotesi, affatto originale ed eccentrica, della
inesperienza putativa ...".
Motivi della decisione
3. Le proposte doglianze non sono condivisibili.
E'
ben noto, invero, che, come pure richiama il provvedimento impugnato,
la differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente risiede nella
considerazione che - per mutuare l'espressione di autorevole dottrina -
"il dolo eventuale è ... rappresentazione della (concreta) possibilità
della realizzazione del fatto e accettazione del rischio (quindi,
volizione) di esso; la colpa cosciente è invece rappresentazione della
(astratta, o meglio, semplice) possibilità della realizzazione del
fatto, ma accompagnata dalla sicura fiducia che in concreto non si
realizzerà (quindi, non-volizione)". E la giurisprudenza di questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di ribadire siffatti principi,
chiarendo che "la linea di demarcazione tra dolo eventuale e colpa con
previsione è individuata nel diverso atteggiamento psicologico
dell'agente che, nel primo caso, accetta il rischio che si realizzi un
evento diverso non direttamente voluto, mentre nella seconda ipotesi,
nonostante l'identità di prospettazione, respinge il rischio, confidando
nella propria capacità di controllare l'azione" (Cass., Sez. 4^,
10.10.1996, n. 11024). Quindi, "il dato differenziale tra dolo eventuale
e colpa cosciente va rinvenuto nella previsione dell'evento. Questa,
nel dolo eventuale, si propone non come incerta ma come concretamente
possibile e l'agente nella volizione dell'azione ne accetta il rischio,
così che la volontà investe anche l'evento rappresentato.
Nella
colpa cosciente la verificabilità dell'evento rimane un'ipotesi
astratta, che nella coscienza dell'autore non viene concepita come
concretamente realizzabile e, pertanto, non è in alcun modo voluta"
(Cass., Sez. 1^, 8.11.1995, n. 832; id., Sez. 1^, 24.2.1994, n. 4583;
id., Sez. 1^, 3.6.1993, n. 7382; id., Sez. 1^, 28.1.1991, n. 5527; id.,
Sez. 1^, 12.1.1989, n. 4912). E s'è anche al riguardo pertinentemente
chiarito che, "al fine di accertare la ricorrenza del dolo eventuale o
della colpa con previsione dell'evento, non è sufficiente il rilievo che
l'evento stesso si presenti come obiettivamente prevedibile, dovendosi
avere riguardo alla reale previsione e volizione di esso, ovvero
all'imprudente o negligente valutazione delle circostanze di fatto"
(Cass., Sez. 1^, 15.7.1988, n. 6581).
La
indagine sulla sussistenza dell'una o dell'altra di tali distinte
ipotesi postula, quindi, pur sempre un accertamento ed una valutazione
di merito sulla ricorrenza o meno dei distinti presupposti soggettivi
sui quali si situa la linea di demarcazione tra le stesse.
Orbene,
ciò posto, deve riconoscersi che, nella specie, i giudici del merito
hanno dato congrua contezza del percorso argomentativo seguito nel
pervenire alla resa statuizione. Hanno, in sostanza, rilevato che "la
giovane età del conducente" e la sua disponibilità di un "veicolo di
grossa cilindrata" rendevano evidente "il quadro di un giovane
spericolato ed eccitato", indotto ad "una condotta di guida estremamente
imprudente e negligente" e intesa a "rimarcare agli occhi degli amici
passeggeri e dei ragazzi che poco prima avevano contestato la guida
pericolosa, la propria sicurezza, il predominio e la padronanza
dell'auto e della strada". Hanno considerato - richiamando un arresto
giurisprudenziale di questa Suprema Corte - che, "non essendo provata
una volontà diversa, non è possibile ritenere che l'agente abbia voluto
l'evento, altrimenti si finirebbe per sostenere l'esistenza di un dolo
in re ipsa per il solo fatto della condotta rimproverabile con
conseguente inversione dell'onere della prova". Ed hanno ulteriormente
rilevato che il riscontrato "stato di ubriachezza ... certamente ha
contribuito ad ingenerare nell'agente il senso di onnipotenza che in uno
alla giovane età ha consentito di agire convinto di non correre rischi
di sorta, confidando nelle proprie capacità di guida", considerando,
sotto un profilo più generale, che "lo stato di ebbrezza alcolica che
sia lieve o che sia notevole" malamente si concilia con una "condotta
cosciente di una persona che accetta il rischio di verificazione
dell'evento ...", conclusivamente ritenendo che "dagli elementi ... a
disposizione di questo collegio tutto sembra far propendere per una
bravata di un ragazzo, convinto di essere più bravo degli altri a
guidare e convinto che nulla gli sarebbe potuto accadere".
Tale
argomentare, come si vede, si fa carico della delibazione di tutti gli
elementi di giudizio e circostanze acquisiti alla realtà procedimentale e
procede ad una loro valutazione di merito che si appalesa improntata ad
inscalfittibile acribia, non caducata o inficiata, in particolare, da
rinvenibili vizi di illogicità, che, peraltro, la norma vuole dover
essere manifesta, cioè coglibile immediatamente, ictu oculi. Nè tanto è
possibile inferire dalla addotta contraddittorietà individuata dal
ricorrente in un passo della decisione impugnata: appare, difatti,
evidente, nel complessivo ed unitario contesto del ragionamento
giustificativo esplicitato dai giudici del merito, che, quando si parla
di "giovane età che (porta a) sopravvalutare le proprie capacità e agire
con incoscienza ...", tale ultima espressione va assunta non come
"totale mancanza di coscienza o di lucidità mentale", ma come "colpevole
noncuranza o avventatezza", secondo la diversa significazione ad essa
attribuita nei dizionari linguistici, quindi del tutto compatibile con
la ritenuta sussistenza di una colpa con previsione, piuttosto che del
dolo eventuale.
In definitiva, i rilievi
gravatori del ricorrente appaiono per lo più improntati ad una critica
della valutazione (di merito) esplicitata dal provvedimento impugnato ed
alla prospettazione di un diverso apprezzamento (ancora di merito)
degli stessi elementi di giudizio valutati dai giudici del merito. Ma,
in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di
legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella
compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se questi ultimi
abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano
fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e
convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano
correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle
argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate
conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n.
930/1996); id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12).
D'altra
parte, il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve,
per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento
impugnato, o - a seguito della modifica apportata all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8
- da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di
gravame", il che vuoi dire - quanto al vizio di manifesta illogicità -,
per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l'iter
argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano
logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che
fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro
iter, quand'anche in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne
consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli
atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si
prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite, in
tesi, di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n.
30).
4. Il ricorso va, dunque, rigettato.
Deve,
altresì, disporsi che copia del presente provvedimento sia trasmesso al
Direttore dell'istituto penitenziario competente perchè provveda a
quanto stabilito dall'art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso. Dispone inoltre che copia del presente
provvedimento sia trasmesso al Direttore dell'istituto penitenziario
competente perchè provveda a quanto stabilito dall'art. 94 disp. att.
cod. proc. pen., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2009
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