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IMPIEGO PUBBLICO - INVALIDI - LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. Unite, 09-07-2009, n. 16102
Cass. civ. Sez. Unite, 09-07-2009, n. 16102
Svolgimento del processo
1.
- Con sentenza del 24 giugno 2004 la Corte d'appello di Messina,
respingendo il gravame proposto dal Ministero dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca, ha confermato la decisione di primo
grado con cui il Tribunale di Patti, in funzione di giudice del lavoro,
aveva accolto la domanda di A.S., docente di scuola elementare, diretta
alla declaratoria di illegittimità del proprio trasferimento dal
(OMISSIS) a quello di (OMISSIS), disposto - per incompatibilità
ambientale - per l'anno scolastico 1998-1999. 1.1. - La Corte
territoriale ha ritenuto che la A., asssistendo un familiare
handicappato con lei convivente, ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5,
non potesse essere trasferita senza il proprio consenso, non prevedendo
la legge, in tale ipotesi, alcun bilanciamento degli interessi
familiari del lavoratore con quelli tecnico-produttivi del datore di
lavoro, così come invece previsto dal Legislatore per l'ipotesi di prima
assegnazione della sede di lavoro, in cui l'interesse del lavoratore è
tutelato "ove possibile". Ha aggiunto che, nel caso di specie, si era
verificata, a causa di comportamenti dell'insegnante, una situazione di
acuta conflittualità con i colleghi, nonchè con gli alunni e le loro
famiglie, sì che il trasferimento non. garantiva, comunque, l'interesse
dell'Amministrazione, non potendosi escludere che una analoga situazione
si ripetesse anche in altra sede.
2. - Avverso questa sentenza il Ministero ha proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi di impugnazione.
3. - La lavoratrice non ha svolto attività difensive in questa sede.
4 - Il ricorso è stato assegnato a queste Sezioni unite, ai sensi dell'art. 374 c.p.c.,
comma 2, a seguito di ordinanza di rimessione della Sezione lavoro che
ha segnalato la particolare importanza della questione sottoposta alla
Corte di Cassazione.
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo di ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, e del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 468, nonchè insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
Si
addebita alla sentenza impugnata di avere introdotto una netta
distinzione fra l'ipotesi di prima assegnazione della sede di servizio,
nella quale avrebbero rilievo anche le esigenze organizzative
dell'Amministrazione, e quella del trasferimento, ove sarebbe
indispensabile il consenso del lavoratore, finendo così per trascurare
la ratto delle disposizioni in esame e per comprimere eccessivamente i
poteri della Amministrazione datrice di lavoro, specialmente in
relazione alle ipotesi di trasferimento d'ufficio previste dalla legge.
2. - Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 468 c.p.c., sopra richiamato, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Si
censura la decisione della Corte d'appello per avere ritenuto
illegittimo il trasferimento in base al rilievo che la situazione di
incompatibilità, che vi aveva dato causa, si sarebbe potuta verificare
anche in una sede diversa, sì che la misura adottata non fosse quindi
quella più idonea a risolvere i problemi ambientali creatisi presso la
scuola di assegnazione.
3. - L'esame del primo
motivo presuppone l'interpretazione dell'art. 33, comma 5, sopra
richiamato, e, in particolare, pone la questione dell'ammissibilità del
trasferimento d'ufficio del lavoratore, che si trovi nella situazione
familiare prevista dalla norma, in ipotesi di accertata incompatibilità
ambientale.
4. - La L. 5 febbraio 1992, n. 104
(legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate) prevede, all'art. 33, agevolazioni per i
lavoratori che assistono soggetti portatori di handicap. In particolare,
il quinto comma, così come modificato dalla L. 8 marzo 2000, n. 53, art. 19,
dispone che il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di
lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un
affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove
possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può
essere trasferito, senza il suo consenso, ad altra sede.
La
norma prevedeva, originariamente, che il lavoratore fosse convivente
con la persona handicappata, ma tale requisito è stato eliminato dalla
richiamata L. n. 53 del 2000, art. 19; l'art. 20 di tale legge ha precisato che l'assistenza deve essere prestata con continuità e in via esclusiva.
Inoltre,
la fruizione di tali agevolazioni presuppone che la condizione di
portatore di handicap deve essere accertata mediante le commissioni
mediche previste dalla L. n. 104 del 1992, art. 4 (cfr., ex plurimis, Cass. n. 8436 del 2003).
4.1.
- Sul piano sistematico, la configurazione giuridica delle posizioni
soggettive riconosciute dalla norma, e i limiti del relativo esercizio
all'interno del rapporto di lavoro, devono essere individuati alla luce
dei numerosi interventi della Corte costituzionale, che - collocando le
agevolazioni in esame all'interno di un'ampia sfera di applicazione
della L. n. 104 del 1992, diretta ad assicurare, in termini
quanto più possibile soddisfacente, la tutela dei soggetti portatori di
handicap, destinata a incidere sul settore sanitario e assistenziale,
sulla formazione professionale, sulle condizioni di lavoro, sulla
integrazione scolastica - ha tuttavia precisato la discrezionalità del
Legislatore nell'individuare le diverse misure operative finalizzate a
garantire la condizione del portatore di handicap mediante la
interrelazione e la integrazione dei valori espressi dal disegno
costituzionale (cfr.
Corte cost. n. 406 del 1992; id., n. 325 del 1996).
In
questa ottica, le misure previste dall'art. 33, comma 5, devono
intendersi come razionalmente inserite in un ampio complesso normativo -
riconducibile al principio sancito dall'art. 3 Cost., comma 2 -
che deve trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che, da
un lato, non si identificano esclusivamente con l'assistenza familiare
e, dall'altro, devono coesistere e bilanciarsi con altri valori
costituzionali.
Può osservarsi, al riguardo, che la tutela è riconosciuta - come s'è visto, a seguito della richiamata L. n. 53 del 2000
- al lavoratore che provveda all'assistenza della persona handicappata
pur non essendo con essa convivente, sì che l'agevolazione è diretta non
tanto a garantire la presenza del lavoratore nel proprio nucleo
familiare, quanto ad evitare che la persona handicappata resti priva di
assistenza in relazione alla sede lavorativa del familiare che la
assiste, di modo che possa risultare compromessa la sua tutela psico-
fisica e la sua integrazione nella famiglia e nella collettività (cfr.
Corte cost. n. 19 del 2009); e, d'altra parte, un'uguale agevolazione,
quanto alla scelta della sede di lavoro e alla inamovibilità, è prevista
dal comma 6 dello stesso art. 33 in favore della persona handicappata
in situazione di gravità, così confermandosi che, in generale, il
destinatario della tutela realizzata mediante le agevolazioni previste
dalla legge non è il nucleo familiare in sè, bensì la persona portatrice
di handicap. Una configurazione siffatta, d'altronde, è in linea con la
definizione contenuta nella Convenzione ONU sui diritti delle persone
con disabilità, approvata il 13 dicembre 2006, là dove la finalità
comune dei diversi ordinamenti viene identificata nella piena ed
effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con
gli altri, nonchè con la nuova classificazione adottata nel 1999 dalla
Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha sostituito il termine
"disabilita" con "attività personali" e i termini "handicap" e
"svantaggio esistenziale" con il termine "partecipazione sociale".
L'efficacia
di questa tutela si realizza, per quanto qui interessa, anche mediante
una regolamentazione del contratto di lavoro in cui è parte il familiare
della persona tutelata, là dove il riconoscimento di diritti in capo al
lavoratore è in funzione del diritto del portatore di handicap a
ricevere assistenza.
4.2. - In considerazione
dei richiamati orientamenti della Corte costituzionale, queste Sezioni
unite, occupandosi del diritto di scelta della sede di lavoro a
conclusione di una procedura concorsuale pubblica, hanno già avuto modo
di rilevare che la L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, non
configura in generale, in capo ai soggetti ivi individuati, un diritto
assoluto e illimitato, poichè esso può essere fatto valere allorquando,
alla stregua di un equo bilanciamento fra tutti gli implicati interessi
costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in
maniera consistente le esigenze economiche, produttive ed organizzative
del datore di lavoro e per tradursi - soprattutto nei casi relativi a
rapporti di lavoro pubblico - in un danno per l'interesse della
collettività (cfr. Cass., sez. un., n. 7945 del 2008).
Quest'ultimo
rilievo, inerente all'esigenza di una compatibilità di ogni interesse
individuale quantunque garantito dalla Costituzione - con il principio
di buon andamento e imparzialità dei pubblici uffici, viene sottolineato
nell'ordinanza di rimessione della Sezione lavoro e, d'altra parte,
trova un significativo riscontro nella Legge- Delega 3 marzo 2009, n.
15, finalizzata alla attuazione del principio costituzionale mediante
l'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e la
determinazione di precisi livelli di efficienza per ciascuna struttura
della pubblica amministrazione.
4.3. - Mette
conto rilevare che il bilanciamento degli indicati interessi avviene a
livelli diversi in relazione alle distinte posizioni soggettive
contemplate dalla disposizione in esame.
La
limitazione del diritto, in ragione della concomitanza di valori di
rilievo costituzionale, quali i principi distintamente espressi dagli artt. 97 e 41 Cost.,
si esplicita nella norma, con riguardo alla scelta della sede di lavoro
all'atto dell'assunzione (od anche in via di successivo trasferimento a
domanda: cfr., da ultimo, con riferimento all'ipotesi dell'art. 33,
comma 6, Cass. n. 3896 del 2009), con l'inciso "ove possibile", che vale
a configurare una subordinazione del diritto alla condizione che il suo
esercizio non comporti una lesione eccessiva delle esigenze
organizzative ed economiche del datore di lavoro privato, ovvero non
determini un danno per la collettività compromettendo il buon andamento e
l'efficienza della pubblica amministrazione (cfr. Corte Cost. n. 372
del 2002; Cass., sez. un., n. 7945 del 2008, cit.; Cass. n. 1396 del
2006; id., n. 8436 del 2003; id. , n. 12692 del 2002).
La
mancanza di tale esplicitazione per l'ipotesi del trasferimento, per il
quale la seconda parte della disposizione prevede semplicemente che il
lavoratore non può essere trasferito ad altra sede senza il suo
consenso, esprime una diversa scelta di valori che è collegata alla
diversità delle due situazioni, e specificamente ai riflessi negativi
per il portatore di handicap di un trasferimento di sede del congiunto a
fronte di una situazione assistenziale già consolidata.
Tuttavia,
la scelta operata dal Legislatore significa soltanto che in questa
ipotesi l'interesse della persona handicappata, ponendosi come limite
esterno del potere datoriale di trasferimento, quale disciplinato in via
generale dall'art. 2103 c.c., prevale sulle ordinarie esigenze produttive e organizzative del datore di lavoro;
ma
non esclude che il medesimo interesse, pure prevalente rispetto alle
predette esigenze, debba conciliarsi con altri rilevanti interessi,
diversi da quelli sottesi alla ordinaria mobilità, che possono entrare
in gioco nello svolgimento del rapporto di lavoro, pubblico o privato,
così come avviene in altre ipotesi di divieto di trasferimento previste
dall'ordinamento per le quali la considerazione dei principi
costituzionali coinvolti può determinare, concretamente, un limite alla
prescrizione di inamovibilità (cfr. L. n. 300 del 1970, art. 22, comma 2; del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 78, comma 6; della L. n. 1264 del 1971, art. 2, comma 6, introdotto dalla L. n. 53 del 2000, art. 17, comma 1).
4.4.
- La ricognizione di siffatti interessi è presente nella evoluzione
della giurisprudenza di legittimità, che ha individuato situazioni di
fatto, di incompatibilità ambientale, che, se pure prescindono da
ragioni punitive o disciplinari e sono riconducibili in via sistematica all'art. 2103 c.c.,
si distinguono dalle ordinarie esigenze di assetto organizzativo in
quanto costituiscono esse stesse causa di disorganizzazione e
disfunzione realizzando, di per sè, un'obiettiva esigenza di modifica
del luogo di lavoro (cfr. Cass. n. 4265 del 2007; id., 10252 del 1995).
Si
tratta, a ben vedere, di situazioni che possono essere accomunate alla
soppressione del posto, per il fatto che in entrambi i casi il mutamento
della sede corrisponde alla necessità obiettiva, da accertare
rigorosamente anche in sede giurisdizionale, di conservare al lavoratore
il posto di lavoro, ove risulti l'impossibilità della prosecuzione del
rapporto nella precedente sede. E, peraltro, la eadem ratio delle due
ipotesi si rinviene proprio nella previsione normativa applicabile nella
controversia in esame, che il D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 467
- inserito in un testo unico delle disposizioni legislative in materia
di istruzione che prevede, all'art. 601, l'applicazione, anche per la
mobilità, delle agevolazioni della L. n. 104 del 1992, dispone
che si fa luogo al trasferimento d'ufficio soltanto in caso di
soppressione di posto o di cattedre, ovvero per accertata situazione di
incompatibilità di permanenza del personale nella scuola o nella sede.
Proprio
nell'ottica di considerare ciascun principio e ciascun valore "senza
perdere di vista, comunque, l'insieme normativo" (cfr. Corte cost. n.
325 del 1996, cit.), occorre anche osservare come l'accertata esistenza
di tali situazioni comporti in realtà una pluralità di esigenze - ognuna
diversa dalla mera mobilità del personale - che si identificano non
soltanto con il funzionamento dell'azienda, ovvero dell'ente pubblico,
ma anche con la necessità di conservare il posto al lavoratore:
necessità che si riflette, d'altronde, sulla stessa persona
handicappata, poichè la perdita del lavoro comporterebbe per il
familiare uno squilibrio di assetti destinato a mettere a rischio la
stessa possibilità dell'assistenza.
Pertanto,
la particolarità delle esigenze sottese a tali situazioni, riconducibili
a valori di rilievo costituzionale e allo stesso mantenimento
dell'assistenza alle persone handicappate, determina la inapplicabilità,
in caso di soppressione del posto o di incompatibilità ambientale,
della tutela di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, seconda parte, che riguarda invece le ipotesi di mobilità dei lavoratori per ordinarie ragioni tecnico-produttive.
4.5. - In conclusione, si deve affermare che, alla luce di una interpretazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5,
orientata alla complessiva considerazione dei principi e dei valori
costituzionali coinvolti, il diritto del genitore o del familiare
lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con
continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, di
non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, mentre non
può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie
esigenze tecnico-produttive dell'azienda, ovvero della pubblica
amministrazione, non è invece attuabile ove sia accertata, in base ad
una verifica rigorosa anche in sede giurisdizionale, la incompatibilità
della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro.
4.6.
- Alla stregua dell'enunciato principio di diritto, si rivela fondato
il primo motivo di ricorso poichè la sentenza impugnata ha affermato la
illegittimità del trasferimento della docente, odierna intimata, pure in
presenza di una accertata, gravissima situazione di incompatibilità
ambientale nella sede di assegnazione.
5. - Fondato è anche il secondo motivo.
La
concorrente ratio decidendi della sentenza impugnata si fonda
sull'affermazione che la misura del trasferimento non era comunque
quella più idonea, in quanto la conflittualità dei rapporti personali,
addebitabili alla docente, si sarebbe ripresentata in una sede diversa.
Orbene,
tale affermazione si rivela in netto contrasto con i principi di
diritto sopra enunciati, secondo cui il trasferimento d'ufficio del
lavoratore per incompatibilità ambientale, evitando la cessazione del
rapporto di lavoro, concorre a realizzare le finalità dell'assistenza
alla persona handicappata.
Nella specie, il
provvedimento di trasferimento si configura come misura necessaria a
contemperare i diversi interessi coinvolti - della scuola, della
lavoratrice e del familiare assistito -, non essendo consentito, d'altra
parte, sopperire a tale oggettiva incompatibilità con il licenziamento,
che presuppone comunque l'accertamento di autonome ragioni, del tutto
estranee all'oggetto della presente controversia.
6. - Il ricorso va pertanto accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata.
7. - La causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda proposta dalla A..
8. - La difficoltà delle questioni giuridiche trattate induce a compensare fra le parti le spese dell'intero processo.
P.Q.M.
La
Corte, a sezioni unite, accoglie il ricorso, cassa la sentenza
impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa fra le
parti le spese dell'intero processo.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2009
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