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(Sezione quarta, sentenza n. 23923/09; depositata il 10 giugno) |
IMPIEGO PUBBLICO - REATO IN GENERE
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 09-04-2009) 10-06-2009, n. 23923
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 09-04-2009) 10-06-2009, n. 23923
Svolgimento del processo
1.0.
Il 30 novembre 2005 la Corte di Appello di Genova confermava la
sentenza in data 15 dicembre 2003 del Tribunale di Imperia, con la quale
D.M.L., riconosciutegli le attenuanti generiche, era stato condannato
alla pena (condizionalmente sospesa nella sua esecuzione) di giorni
venti di reclusione, nonchè al risarcimento del danno in favore della
costituita parte civile, per imputazioni, unificate per concorso
formale, di cui agli artt. 594 e 612 c.p., art. 81 cpv., e art. 590 c.p..
Si
contestava all'imputato, funzionario dirigente della Pretura di
(OMISSIS), di avere minacciato C.R., operatrice amministrativa presso lo
stesso ufficio, e di averne offeso l'onore ed il decoro profferendo al
suo indirizzo le espressioni "lei è una falsa, non finisce qui, gliela
farò pagare..., è una irresponsabile, non si vergogna, gliela farò
pagare"; e di avere cagionato, per colpa, alla stessa C., per i fatti
sopra indicati e "con atteggiamento quotidiano violento, aggressivo,
alimentato da intemperanze, gesti di violenza e di prevaricazione", uno
"stato ansioso depressivo, con tachicardia in stress emotivo, malattia
che imponeva ai medici di prescrivere prima, il (OMISSIS), 7 giorni di
riposo e cura e poi, il (OMISSIS), altri 15 giorni di riposo e cure".
1.1. I fatti in questione si erano verificati nel contesto del comune
rapporto di lavoro che legava l'imputato e la persona offesa a
quell'ufficio, con le rispettive diverse qualifiche sopra indicate:
l'imputato era ivi stato distaccato dal Tribunale di (OMISSIS) verso la
fine del (OMISSIS), con funzioni di dirigente in sostituzione della
Dott.ssa S., in congedo per maternità, e la sua applicazione era durata
sino al (OMISSIS); la C. svolgeva mansioni di operatore amministrativo
presso l'ufficio G.I.P. dell'allora Pretura di (OMISSIS) ed assolveva,
di fatto, "mansioni di livello superiore, ottemperando all'intera
assistenza al magistrato anche in udienza". Nella sporta querela, la
persona offesa, poi costituitasi parte civile, aveva rappresentato una
serie di atti vessatori posti in essere dall'imputato nei suoi
confronti, che le avevano anche provocato le lesioni indicate nel capo
di imputazione, "un continuo e pressante stillicidio finalizzato a
sminuirne le capacità professionali, percepito come pubblico ludibrio"
(cosi annota la sentenza di prime cure).
1.2.
Il giudice di primo grado premetteva, innanzitutto, che "la legittimità e
la liceità delle disposizioni del funzionario dirigente mai sono state
messe in dubbio...", ma che non era questo l'oggetto della imputazione e
del procedimento, che "deve più propriamente inquadrarsi nell'ambito di
quel fenomeno che la scienza medica prima e la giurisprudenza poi - in
aderenza a quella - hanno indicato con la locuzione inglese mobbing",
fenomeno, questo, che "non solo prescinde dall'assunzione di atti
(quantomeno) illegittimi, ma - anzi - spesso diparte da atteggiamenti
orali e scritti assolutamente leciti se non anche dovuti".
Si
soffermava, poi, innanzitutto, sull'episodio "del fax del (OMISSIS)",
che riteneva "acquisire una fondamentale importanza nell'economia del
processo non tanto per il contenuto in sè dell'episodio, quanto per la
globale valutazione dell'attendibilità non solo della persona offesa, ma
anche degli altri ulteriori testimoni, poichè il dr. D.M.... ha negato
la propria presenza in ufficio quel giorno... ovvero la effettiva
esistenza del fax in questione". Aveva affermato la persona offesa che
ella, su disposizione dell'imputato, aveva inviato un fax all'ufficio
matricola del locale istituto penitenziario; sull'atto "la C. aveva
apposto l'indicazione di un'ora (10,45)" e l'atto medesimo "riporta
annotazione di pugno del dr. D.M. nonchè la firma per ricevuta della
Procura". Essendosi accertato che il fax, in realtà, era stato inviato, e
non ricevuto, dall'istituto penitenziario, annotava il primo giudice
che "poco importa se fu la Pretura a inviare il fax o se lo ricevette
dal carcere... In ogni caso, ciò che rileva è che, in effetti, il
(OMISSIS) vi fu un carteggio relativo ad un fax proveniente dalla Casa
circondariale di (OMISSIS)..., il che è prova indiscutibile del
presupposto di fatto indicato dalla C...."; questa aveva denunciato che
infondatamente l'imputato le aveva contestato di aver apposto una falsa
indicazione oraria e le aveva rivolto quelle espressioni ingiuriose e
minacciose riportate nel capo di imputazione (sub a) della rubrica).
Ritenuta,
quindi, la "attendibilità intrinseca della p.o.", il giudice richiamava
gli esiti delle acquisite dichiarazioni dei numerosi testi escussi (
M., A., Ce.Ni., D.S., F., S., T., P., D.V., O., Su., Q., I.) e riteneva
che "è indubbio come la condotta tenuta dal dr. D.M. nei confronti di
C.R. assuma i connotati di quello che ormai comunemente viene definito
mobbing..."; evocava le risultanze della "pregevole perizia" del dr. B.,
alla stregua della quale evidenziava la effettiva sussistenza delle
lesioni lamentate dalla persona offesa; riteneva, in conclusione,
comprovatamente realizzate le due ipotesi di reato contestate, quanto a
quella di lesioni colpose (sub b) della rubrica ritenendo la
prevedibilità del "risultato del proprio operato", secondo il modello di
agente dell'homo eiusdem professionis et condicionis; liquidava il
danno ritenuto dovuto, argomentando sulle singole voci al riguardo.
1.3.
I giudici di secondo grado, dal canto loro, condividevano
"l'esaustività della sentenza del primo giudice, che ha argomentato su
ogni piano logico e giuridico a sostegno della sua decisione"; davano
contezza della ritenuta insussistenza di condizioni di legge per la
richiesta rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale; ritenevano che
"la qualità e la durata della malattia siano state accertate con
sufficiente grado di certezza" e che "l'entità del risarcimento è del
tutto condivisibile...": donde la conferma della sentenza impugnata.
2.0. Avverso tale decisione ha proposto ricorso l'imputato con due atti, uno a sua firma, l'altro a firma del proprio difensore.
2.1. Con l'atto sottoscritto dal difensore si denuncia:
a)
"mancanza di motivazione sull'esistenza della colpa". Premesso che con
l'atto di appello ci si era doluti "che il primo giudice avesse fondato
la responsabilità del D.M. in relazione al reato di lesioni colpose
contestato sub b) assumendo una prevedibilità dell'evento che invece nel
caso concreto - secondo l'imputato - non era riscontrabile", assume che
"la motivazione non è affatto coerente con le censure mosse". Specifica
che "il problema prospettato dall'appellante consisteva nel rilievo che
un funzionario di cancelleria, per quanto esperto, non fosse in grado
di interpretare quei segni manifestati dalla C. come sintomi di una
malattia, anzichè come reazione umana ad un atto reputato ingiusto,
mentre... la Corte di Appello risponde in termini di possibilità di
percezione di reazioni patologiche senza motivare sul punto se il
soggetto fosse o meno capace d'intendere le reazioni come sintomi di una
malattia...". Soggiunge che "la Corte di Genova... ha frainteso la
critica dell'imputato ritenendo che questi intendesse negare un
collegamento causale tra condotta ed evento, mentre invece si faceva
questione di colpa...";
b) il vizio di
violazione di legge "in relazione alla mancata ammissione delle prove
richieste (acquisizione dell'originale del fax ed esperimento
giudiziale)". Poichè vi erano state contrastanti allegazioni di parte
sul punto, "diventava indispensabile acquisire l'originale dell'atto per
capire se l'annotazione della C. - che secondo la persona offesa
rappresentava il motivo del dissidio tra lei e l'imputato... - fosse
stata posta o meno; e ciò anche per consentire un'effettiva difesa
dell'imputato...". La Corte di Appello aveva rigettato tale richiesta
affermando che "i numerosi testi escussi sono stati concordi e non
contraddittori nel ricostruire le modalità dell'ingiuria", mentre "in
realtà una sola teste, oltre alla parte civile e cioè M.F., si sofferma
sull'episodio, e sulla stessa grava un sospetto di nessuna
credibilità...". Conclude rilevando che le "stesse considerazioni
valgono per quanto concerne la deposizione dell' A...."; si era
rappresentata la necessità di "provare che dal luogo ove l' A. aveva
detto di trovarsi... non poteva assolutamente vedere il corridoio dove
aveva dichiarato di aver visto transitare il Dott. D.M.: da qui la
richiesta di un esperimento giudiziale per valutare la possibilità della
visione da parte dell' A.", disattesa dai giudici del merito.
2.2. Con l'atto personalmente sottoscritto, il ricorrente assume:
v)
che "il giudice di Genova ha esaminato soltanto l'impugnazione
presentata dal proprio difensore e non anche gli otto motivi di appello
presentati dal sottoscritto con atto separato, determinando un saltum in
Cassazione di fatto";
d) che, quanto al teste
A., "la mancanza di prova riferita dal giudice dell'appello è invece
contenuta in un documento ufficiale sottoscritto dal medesimo teste, dal
quale risulta che era impegnato in udienza tutti i martedì fino a
tardi, e il (OMISSIS) era un martedì...";
e)
che, quanto "all'asserita concordanza dei testi", quelli "citati dalla
parte civile hanno negato di avere assistito all'episodio riferito dalla
medesima...";
f) che egli "ha adempiuto ad
obblighi discendenti da disposizioni di legge dello Stato, regolando i
suoi rapporti giuridici con il personale attraverso ordini scritti...";
g)
che "la documentazione prodotta e ignorata testimonia che quella
Pretura era stata caratterizzata, dal (OMISSIS), in epoca antecedente
all'arrivo del sottoscritto, da un clima di dissidi, di stress
lavorativo, di denunce di privati, di esposti degli avvocati...";
h)
che, quanto "all'asserita malattia della parte civile, il giudice
dell'appello ha ignorato totalmente un documento fondamentale datato
(OMISSIS), con il quale il sottoscritto... tentò di assegnare compiti
diversi alla parte civile per evitare che la stessa manipolasse
fascicoli processuali penali e sentenze penali attestandone
l'irrevocabilità...; la C. si ritirò in malattia perchè non intendeva
accettare altre mansioni..." ed egli "non poteva assolutamente tollerare
l'attività di cancelliere di fatto svolta dalla parte civile, che
riveste la qualifica di operatore (OMISSIS), assolutamente incompetente,
ed in una materia delicatissima come il penale";
i)
che, "relativamente all'episodio del fax..., la parte civile non ha
prodotto alcun fax riportante un'asserita annotazione di orario";
l)
che, infine, "supponendo una situazione quale asserita dalla parte
civile, l'ingiuria e la minaccia sarebbero state giuste, perchè il
procedimento era stato attivato dal G.I.P. di Genova e non da quello di
Imperia e "sempre in ipotesi, se fosse stato vero il linguaggio colorito
del sottoscritto..., sarebbe stato ampiamente giustificato in presenza
di una situazione quale quella citata - impugnazione da parte di un
detenuto - che richiede la massima e celere urgenza della procedura...".
2.3. Il 12 marzo scorso il ricorrente ha prodotto una memoria a sua
firma, con la quale reitera l'affermazione della sua innocenza,
assumendo che "sono stato condannato, ingiustamente, per reati che
risultano palesemente inventati...". 2.4. Lo stesso ricorrente ha
prodotto altra memoria a sua firma, datata 18 marzo 2009, rappresentando
che "nell'ottica di ausilio, che ha sempre caratterizzato le mie
funzioni..., mi sono permesso di stralciare dagli atti processuali
alcuni documenti inseriti nelle seguenti cartelle, a supporto della
memoria precedentemente depositata...", ed allega copia di documenti
vari.
Motivi della decisione
3.0.
Per quel che concerne gli aspetti penali della vicenda che occupa, deve
rilevarsi che, contestandosi i reati come commessi sino al (OMISSIS),
si è allo stato perento il termine prescrizionale massimo di legge, ai
sensi dell'art. 157 c.p., comma 1, n. 4, e art. 160 c.p., comma 3, nella lettura antecedente alla modifica normativa di cui alla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6,
quella nella specie applicabile per l'art. 10, di tal ultimo disposto
normativo, pur considerandosi i periodi di sospensione di tale termine
intervenuti nel primo grado di merito.
Non si ravvisano ipotesi di inammissibilità del gravame, nè altre sussumibili nella previsione di cui all'art. 129 c.p.,
comma 2, per tutto quanto evidenziato nelle conformi statuizioni di
merito e per quant'altro si dirà a proposito delle statuizioni
civilistiche.
3.1. Quanto a queste ultime il ricorso è infondato.
Per
quanto riguarda, invero, l'atto di gravame sottoscritto dal difensore,
in riferimento a quanto ivi dedotto sub a) appare di intuitiva evidenza
che, sotto il profilo della prevedibilità, quel comportamento addebitato
potesse sfociare nelle conseguenze lesive lamentate, secondo il
parametro di apprezzamento riferibile all'uomo medio, cioè ad un
qualsiasi soggetto che, dotato di comuni poteri percettivi e valutativi,
intenda doverosamente prefigurarsi la gamma delle possibili conseguenze
del suo agire e sia, perciò, indotto ad attivare i suoi conseguenti
poteri inibitori. E pertinentemente la integrativa sentenza di prime
cure, dopo aver rilevato che "per la valutazione della colpa generica
non può utilizzarsi un parametro esclusivamente personalistico" e "la
prevedibilità va riferita al tipo di eventi che si tratta di prevenire
mediante l'osservanza di date regole cautelari, valide per la generalità
dei soggetti", aveva pure annotato che "è comune esperienza che una
condotta imprudente... come quella tenuta dal D.M. provoca, nella
normalità dei casi, effetti quali quelli sopportati dalla parte offesa: è
il perito Dott. B. che lo conferma".
E per
quanto riguarda quanto dedotto sub b), la sentenza impugnata ha dato
atto che "i numerosi testi escussi sono stati concordi, e non
contraddittori, nel ricostruire le modalità dell'ingiuria e la dinamica
della stessa", ed ha anche sottolineato che non è stata fornita "alcuna
prova di uno spaventevole complotto ordito ai danni dell'imputato, per
cui tutti gli impiegati della Pretura avessero deciso di costruire sulla
personalità fragile della C. un castello di menzogne...". La
integrativa sentenza di primo grado, dal canto suo, aveva ricordato che
"il dr. D.M. ha in un primo tempo negato l'esistenza stessa del fax
(OMISSIS) (memoria del 10.10.01), per poi - una volta acquisito quel
documento al dibattimento, recante scrittura di pugno dell'imputato -
modificare la propria posizione, con memoria del 19.11.03..."; ed aveva
giustamente rilevato che, a fronte del dato oggettivo così acquisito,
"poco importa se fu la Pretura ad inviare il fax o se lo ricevette dal
carcere...". E "per quanto concerne la deposizione dell' A.", i giudici
del gravame hanno dato atto che "non è stato dimostrato che l' A. non si
fosse mai allontanato dall'aula di udienza", soggiungendo che "il fatto
comunque è stato riferito anche dagli altri testi escussi"; il che
toglie ogni rilievo decisorio al lamentato mancato espletamento di un
"esperimento giudiziale", sicchè a ragione i giudici dell'appello hanno
disatteso la relativa richiesta, in riferimento al disposto di cui all'art. 603 c.p.p..
3.2.
Quanto all'atto di gravame sottoscritto dall'imputato, il motivo
dedotto sub c) è, assorbentemente, del tutto generico, giacchè, a fronte
di un apparato argomentativo diffuso, articolato e puntuale su tutti i
punti e le circostanze rilevanti ai fini della decisione, non si deduce
quale ulteriore aspetto decisorio, contenuto negli "otto motivi di
appello presentati dal sottoscritto", sarebbe stato disatteso.
Per ciò che attiene al motivo sub d), concernente il teste A., s'è già sopra detto.
Quanto
al rilievo sub e), è appena il caso di ricordare che il vizio di
motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa
previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o
- a seguito della modifica apportata all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8,
- da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di
gravame"; e che tale vizio non può certo consistere in un diverso
apprezzamento fattuale di circostanze logicamente valutate dal giudice
del merito.
Le circostanze rappresentate sub f) e g) sono del tutto neutre rispetto al contenuto fattuale dell'addebito contestato.
Quanto
al motivo sub h), concernente la "asserita malattia della parte
civile", il ricorrente inammissibilmente pretende di rimettere in
discussione, in questa sede di legittimità, un accertamento di fatto
logicamente compiuto dal giudice del merito. Quello di prime cure aveva,
tra l'altro, richiamato "l'elaborato peritale depositato dal perito dr.
B.", che "appare assolutamente scevro da contraddizioni, idoneamente
argomentato e coerente nelle sue complessive considerazioni...". I
giudici di secondo grado, dopo aver rilevato che "l'ampia istruttoria
dibattimentale ha consentito di evidenziare come i sintomi della
malattia, pur non ancora conclamata, erano palesi non solo all'imputato,
ma ai colleghi della parte lesa...", hanno conclusivamente dato atto
che "la qualità e la durata della malattia sono state accertate con
sufficiente grado di certezza...".
Quanto,
infine, ai motivi sub i) ed l), "relativamente all'episodio del fax", di
tanto si è già detto sopra; e davvero non è dato scorgere come e
perchè, "supponendo una situazione quale asserita dalla parte civile,
l'ingiuria e la minaccia sarebbero state giuste", come vuole il
ricorrente, certo tanto non potendo scaturire dalla irrilevante, e
certamente non discriminante, circostanza "che il procedimento era stato
attivato dal G.I.P. di Genova e non da quello di Imperia...". 4.
Conclusivamente: la sentenza impugnata va annullata senza rinvio agli
effetti penali perchè estinti i reati per prescrizione; il ricorso va
rigettato relativamente alle statuizioni civili.
P.Q.M.
La
Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali
perchè i reati estinti per prescrizione. Rigetta il ricorso
relativamente alle statuizioni civili.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2009
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