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IL
discorso del Generale Masiello fa eco agli avvertimenti, inascoltati ,
del Generale Mini in “ la Rivincita di Sparta”, pubblicato su LIMES nel
2012 .
Il discorso del
Generale Carmine Masiello, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito
Italiano, pronunciato il 9 novembre 2024, ha suscitato numerosi
interrogativi sul futuro dell’esercito italiano e il suo ruolo crescente
nella politica interna. Masiello ha affermato che l’esercito non
desidera la guerra, ma che la preparazione alla guerra è essenziale per
garantire la pace, un concetto che non solo tradisce i principi
costituzionali italiani, ma sottolinea una pericolosa visione della
forza armata come pilastro della sicurezza e dell’ordine interno. Questo
approccio, che implica un esercito sempre pronto ad agire, non solo in
scenari di guerra, ma anche per risolvere le crisi interne, segna un
cambio di paradigma che merita attenzione.La proposta di rinominare
l’Accademia di Stato Maggiore dell’Esercito in “Scuola di Guerra” è un
segnale evidente di un’escalation militare nella visione istituzionale.
Non si tratta più solo di una forza di difesa, ma di una forza sempre
pronta a rispondere a scenari complessi, interni ed esterni, dove
l’esercito potrebbe essere visto come l’attore centrale nel garantire la
stabilità. Questo non è solo un cambiamento nell’educazione militare,
ma un’apertura a una visione in cui la politica non è più l’unica
responsabile nella gestione delle crisi.Le parole di Masiello, pur non
invocando esplicitamente una modifica della Costituzione, rispondono
alla logica di un esercito sempre pronto, che va oltre la semplice
difesa della patria, con implicazioni che vanno ad intaccare il
controllo civile e democratico sulle forze armate. Se l’esercito viene
visto come il principale strumento per garantire la sicurezza e la
stabilità, è chiaro che si sta minando il ruolo delle istituzioni
politiche, sempre più sopraffatte da una crescente influenza militare
nelle dinamiche interne. E ciò è tanto più preoccupante se messo in
relazione con il rischio di una politicizzazione delle forze armate, che
rischia di portare l’Italia verso una deriva autoritaria.Alla luce dei
generali in politica, di questo genere di esternazioni,dei venti di
guerra che soffiano forti e della presidenza trump che invita al
bilateralismo cercando di affossare, ancora più di quanto non sia già ,
il rapporto multilaterale delle politica estera USA, impongono una
riflessione profonda su quali siano i rischi che stiamo correndo, del
destino dei sistemi democratici , del ruolo dell’Unione Europea come
possibile rete di protezione. Ricordo le riflessioni di Fabio Mini, che
nel suo articolo La Rivincita di Sparta del 2012 evidenziava come il
crescente potere militare potesse minacciare la democrazia. Mini parlava
di vere e proprie “pulsioni” autoritarie all’interno dell’esercito, e
delle pericolose interazioni con le oligarchie economiche, che avrebbero
potuto sfociare in un pericoloso intervento militare nella gestione
politica del paese. Secondo Mini, le forze armate, pur essendo
strutturalmente autoritarie e gerarchiche, sono in grado di farsi
protagoniste in tempi di crisi, soprattutto quando la politica civile
fallisce nel garantire la stabilità o non sa rispondere ai propri
impegni sulla scena internazionale. Mini non metteva in dubbio che
l’esercito potesse essere necessario in determinati scenari, ma
avvertiva della pericolosità di una politicizzazione delle forze armate,
le cui “pulsioni” autoritarie avrebbero potuto emergere se la politica
civile avesse perso la sua capacità di governare efficacemente. In un
contesto come quello che stiamo vivendo, dove l’esercito sembra
acquistare sempre più visibilità e potere, le sue parole risultano
estremamente attuali.Da Vannacci alle parole di Masiello, passando per
il DDL Sicurezza, tutti i segnali sembrano indicarci una tendenza
inquietante, che va ben oltre la semplice necessità di prepararsi a
conflitti esterni. La crescita della militarizzazione della politica
interna, insieme all’inasprimento…
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