L'ADDEBITO
DISCIPLINARE DEVE ESSERE RIFERITO A FATTI SPECIFICI
- La
contestazione è immutabile (Cassazione Sezione Lavoro n. 13813 del 28 maggio
2008, Pres. Mattone, Rel. Miani Canevari).
LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 27-05-2008, n. 13813
Cass. civ. Sez. lavoro, 27-05-2008, n. 13813
Svolgimento del processo
D.R. ha convenuto in giudizio la S.r.l. Centro di
Cura (Lpd) impugnando il licenziamento intimatole dopo la contestazione
dell'addebito disciplinare di aver mantenuto in numerose occasioni un
atteggiamento aggressivo e litigioso nei confronti della società. A sostegno
della dedotta illegittimità del provvedimento ha dedotto la genericità della
contestazione disciplinare, priva di indicazioni specifiche in ordine alla
condotta addebitata, alle circostanze di tempo e di luogo e ai soggetti
coinvolti da tale comportamento. Il Giudice adito ha annullato il
licenziamento con la condanna della società convenuta alla reintegrazione
dell'attrice nel posto di lavoro e al risarcimento del danno.
La Corte di Appello di Cagliari ha rigettato il
gravame proposto dalla società avverso tale decisione, confermando i rilievi
del primo Giudice in ordine alla assoluta genericità della contestazione
disciplinare, tale da impedire alla D. di fornire idonee giustificazioni sul
contenuto dell'addebito. Ha osservato che l'addebito mosso aveva assunto un
contenuto concreto solo in relazione ad un episodio specifico richiamato
dalla lavoratrice nella lettera di giustificazioni, in base al quale era
stato motivato il licenziamento. La sentenza impugnata, pur affermando che
tale specificazione non poteva essere presa in considerazione per la
genericità della contestazione, ha tuttavia affermato che non poteva
ritenersi dimostrata la rilevanza disciplinare del suddetto episodio.
La S.r.l. Centro di Cura (Lpd) propone ricorso per
cassazione affidato a unico motivo complesso. D.R. resiste con controricorso
e memoria.
Motivi della decisione
1. Con l'unico motivo complesso si denunciano i vizi
di violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7,
e artt. 2106, 2119 c.c., e L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3, nonchè
difetto di motivazione.
Le censure investono l'applicazione del principio che
impone la contestazione in forma scritta dell'addebito disciplinare,
sostenendosi che detta comunicazione dovrebbe dipendere dalla richiesta del
dipendente incolpato, come è previsto per la motivazione del licenziamento
dalla L. n. 604 del 1966, art. 2: norma da ritenersi altrimenti
incompatibile con il suddetto principio. Si afferma che la contestazione
potrebbe essere anche generica, essendo facoltà del lavoratore interessato
chiedere un'ulteriore specificazione degli addebiti; che deve comunque
escludersi ogni forma di invalidità quando gli atti posti in essere nel
procedimento disciplinare (e anche in fase giurisdizionale) abbiano
consentito all'incolpato di conoscere le ragioni della contestazione.
Il ricorso riporta quindi il contenuto della lettera
di contestazione e della missiva con le giustificazioni fornite dalla D.,
nonchè le allegazioni difensive e i capitoli di prova formulati nel giudizio
di primo grado, che la parte considera come ulteriori specificazioni dei
fatti addebitati alla dipendente, dai quali essa si è difesa nel
procedimento. La ricorrente, criticando il mancato accoglimento da parte del
primo Giudice di richieste istruttorie su alcune di queste circostanze,
ripropone la tesi secondo cui al datore di lavoro sarebbe consentito di
specificare in sede giudiziale i fatti posti a giustificazione del recesso
quando il lavoratore destinatario del licenziamento non abbia esplicitamente
chiesto la indicazione dei motivi ai sensi della L. n. 604 del 1966,
art. 2.
Si afferma quindi che i fatti oggetto della prova
testimoniale ammessa integrano comunque gli estremi della giusta causa o del
giustificato motivo di recesso, concretati da un comportamento gravemente
ingiurioso posto in essere dalla D..
In relazione a tali elementi, la sentenza impugnata
viene censurata perchè ha escluso la configurabilità degli estremi sia della
giusta causa, sia del giustificato motivo soggettivo di licenziamento.
2. Il motivo non merita accoglimento. Va rilevata
anzitutto la manifesta infondatezza dell'assunto secondo cui la
giustificazione del licenziamento potrebbe essere dimostrata con la prova di
fatti diversi da quelli oggetto della contestazione degli addebiti. Nel
procedimento stabilito dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, per
l'irrogazione delle sanzioni disciplinari la regola della preventiva
contestazione dell'addebito rappresenta una essenziale garanzia del
contraddittorio, mentre lo stesso art., comma 5, prescrive la forma scritta
della relativa comunicazione (con riferimento ai provvedimenti più gravi del
rimprovero verbale). L'effettività di questa tutela è assicurata dal
principio della immutabilità della contestazione, che costituisce un
elemento necessario di garanzia dell'effettivo esercizio di difesa del
lavoratore incolpato, precludendo al datore di lavoro di far valere a
sostegno delle sue determinazioni disciplinari circostanze nuove rispetto a
quelle contestate.
3. Alla stessa funzione di garanzia risponde
l'esigenza di specificità della contestazione, integrata solo quando con la
formulazione dell'addebito sono fornite le indicazioni necessarie ed
essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei
quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque
comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c..
In relazione a tale principio, enunciato dalla
costante giurisprudenza, il Giudice dell'appello ha rilevato la genericità
della contestazione dell'addebito così formulato: "in numerose e ripetute
occasioni manteneva un atteggiamento aggressivo e litigioso nei confronti
della dirigenza della società ...". La valutazione espressa dalla Corte
territoriale in ordine all'assenza di qualsiasi riferimento temporale e di
elementi idonei ad identificare circostanze ed episodi concreti - e quindi
dei requisiti richiesti dalla norma imperativa di legge - non costituisce
oggetto di specifica censura, in relazione alla impostazione difensiva
adottata dalla ricorrente.
4. Il Giudice dell'appello, dopo aver escluso la
sussistenza dei requisiti richiesti dalla richiamata regola dell'art. 7 Stat.
Lav. per la contestazione disciplinare, ha osservato che l'addebito ha
assunto contenuti concreti attraverso le giustificazioni scritte della
lavoratrice, che, pur rilevando l'impossibilità di risalire a fatti precisi,
aveva ricordato che in occasione di un incontro con il presidente della
società questi si era risentito perchè non era stato salutato dalla D.. Ha
quindi valutato anche questa circostanza - addotta a giustificazione del
licenziamento-negandone la rilevanza ai fini della configurabilità di un
notevole inadempimento contrattuale.
La Corte osserva che l'accertamento della violazione
delle regole del procedimento disciplinare, cui consegue la nullità del
provvedimento adottato, costituisce un'autonoma ratio decidendi idonea a
sorreggere la decisione impugnata, indipendentemente dalla indagine in
ordine alla sussistenza di tale inadempimento.
La censura formulata dalla ricorrente per questo
profilo è dunque inammissibile.
5. Il ricorso deve essere respinto con la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate
come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente
al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro 14,00, per esborsi,
Euro 3.000,00, per onorari, oltre spese generali.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2008
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