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Scatta anche il danno morale se il datore non dimostra di aver protetto a sufficienza l'infortunato |
La
condanna al risarcimento, spiegano i giudici, deriva dalla violazione
dell'articolo 2087 Cc: la colpa è addebitata all'azienda per non aver
fornito la prova liberatoria richiesta dall'articolo 1218 Cc
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Cass. civ. Sez. lavoro, 07-04-2008, n. 8973
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Svolgimento del processo
Con
ricorso al Giudice del lavoro di Spoleto P.A., premesso di essere
rimasto vittima di un infortunio sul lavoro mentre lavorava alle
dipendenze della @@@@@@@@srl e di aver ottenuto dall'INAIL l'indennità
per l'inabilità temporanea e la costituzione di una rendita per
l'inabilità permanente, chiedeva la condanna del datore di lavoro al
risarcimento del danno biologico e del danno morale. La convenuta
contestava la domanda e chiamava in causa per essere garantita il
proprio assicuratore @@@@@@@@ s.p.a., il quale si costituiva ed eccepiva
la non operatività della polizza.
Il
Tribunale accoglieva la domanda e condannava il datore di lavoro al
risarcimento del danno biologico e morale nella misura di L.
183.760.000, oltre accessori di legge, con condanna dell'assicuratore a
tenere indenne detta soc. @@@@@@@@.
Proponeva
appello la soc. @@@@@@@@ lamentando l'inoperatività della polizza e
chiedendo all'assicurato la restituzione della somma di Euro 133.246
corrisposta all'infortunato in esecuzione della sentenza di primo grado,
nonchè per sentir dichiarare che la somma determinata dal Tribunale era
fissata ai valori attuali e non doveva essere rivalutata. Il P. a sua
volta proponeva appello incidentale chiedendo che fosse determinata in
maggior misura la somma liquidata a titolo di danno morale. La soc.
@@@@@@@@proponeva a sua volta appello incidentale condizionato mirato
alla reiezione della domanda dell'infortunato e, in subordine, alla
dichiarazione che la somma eventualmente spettante non era soggetta a
rivalutazione.
La Corte di appello di Perugia
con sentenza 7.10-1.12.04 in riforma della sentenza respingeva la
domanda di garanzia e condannava la soc. @@@@@@@@a rimborsare alla
@@@@@@@@ la somma da questa pagata all'infortunato oltre interessi;
condannava altresì la stessa società a pagare in favore dello stesso
infortunato la somma liquidata dal primo giudice oltre interessi legali
sul capitale, devalutato di anno in anno dal giorno del sinistro a
quello della sentenza di primo grado, oltre interessi e rivalutazione
monetaria dalla data della sentenza impugnata a quella del pagamento.
Il
giudice di merito, per quanto qui interessa, rilevava che la clausola
della polizza di assicurazione prevedeva solo la garanzia della
responsabilità civile collegabile al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11
- come operante antecedentemente al disposto del D.Lgs. 23 febbraio
2000, n. 238, art. 13 ratione temporis non operante nella specie,
essendo l'infortunio occorso nel 1994 - e, quindi, copriva solo il danno
patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa e non
anche il danno morale e biologico, aventi natura non patrimoniale. A
tanto conseguiva, pertanto, fa, l'obbligo dell'assicurato di restituire
all'assicuratore la somma da questi già corrisposta all'infortunato in
esecuzione della prima sentenza.
Rigettava,
inoltre, l'appello della soc. @@@@@@@@, accertando la responsabilità del
datore nella causazione dell'incidente (scoppio di una gomma di un
camion aziendale all'atto del rigonfiaggio dopo la riparazione), sia ai
sensi dell'art. 2049 c.c. (ove si fosse ritenuto che l'ordine di riparazione era stato dato da un preposto del datore), che dell'art. 2087 c.c. o della legislazione antinfortunistica ed escludendo il concorso di colpa del lavoratore.
Accoglieva
invece il motivo subordinato proposto da detto datore, rilevando che
l'obbligazione di risarcimento del danno biologico e di quello morale
sono debiti di valore che debbono essere quantificati al momento della
loro liquidazione (e quindi al momento della pronunzia della sentenza),
di modo che, per evitare indebite locupletazioni gli interessi avrebbero
dovuto essere pagati dalla data del sinistro ((OMISSIS)) alla data
della sentenza (23.11.01), ma non sulla somma determinata al momento
della pronunzia, bensì su quella devalutata di anno in anno fino alla
data del sinistro.
Quanto all'appello
dell'infortunato, la Corte di merito riteneva, infine, adeguato
l'importo fissato per il risarcimento con riguardo sia alla
personalizzazione del danno che alla ai criteri di liquidazione adottati
nel Distretto.
Avverso questa sentenza
propone ricorso la soc. @@@@@@@@, cui rispondono con controricorso la
soc. Fondiaria-@@@@@@@@ s.p.a. (nuova ragione sociale della soc.
@@@@@@@@) ed il P., il quale ha proposto anche ricorso incidentale.
@@@@@@@@ha notificato controricorso su quest'ultima impugnazione ed ha
depositato memoria con nuova procura. Anche la soc. Fondiaria-@@@@@@@@
ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Preliminarmente i due ricorsi debbono essere riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
Con
il primo motivo la soc. @@@@@@@@(ricorrente principale) deduce
violazione degli artt. 1362 - 1363 e segg., 1370 c.c. in relazione
all'art. 1322, 1375 e 1341 - 1342 c.c., degli artt. 1882 - 1886 - 1917
c.c. in relazione all'art. 32 Cost. ed al D.P.R. n. 1124 del 1965
ed agli artt 2043 - 2049 - 2059 c.c.; nonchè carenza di motivazione.
Nella clausola contrattuale in esame - ove il primo comma prevedeva
l'obbligo dell'assicuratore a tenere indenne il datore di lavoro per la
responsabilità civile verso i "prestatori di lavoro da lui dipendenti ed
assicurati ai sensi del t.u. approvato con D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124,
per gli infortuni ... da essi sofferti, in conseguenza di reato
colposo" - il richiamo al testo unico sugli infortuni ha il solo scopo
di individuare quali siano i dipendenti assicurati. L'estensione della
garanzia è, invece, delineata dal comma 2 - ove è detto che
l'assicuratore "si obbliga ... a tenere indenne l'assicurato delle somme
eccedenti le indennità liquidate a norma di legge dall'INAIL" - per il
quale, invece, l'oggetto dell'assicurazione si riferisce chiaramente a
tutti i danni eccedenti le rendite INAIL e non ai soli danni per
invalidità generica derivante dall'infortunio. Tale clausola avrebbe
dovuto inoltre essere interpretata alla luce della giurisprudenza che al
momento della sua stipula (avvenuta il (OMISSIS)) già da tempo
considerava risarcibile il danno alla salute (ed. diritto vivente),
soprattutto a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 88
del 1979 e 319 del 1981.
Lamenta, inoltre, la
società ricorrente la mancata considerazione da parte del giudice di
merito quale argomento interpretativo dell'ammontare del premio
corrisposto dall'assicurato, costituente indice del grado di
responsabilità assunto dall'assicuratore.
Con il secondo motivo di ricorso principale è dedotta ulteriore carenza di motivazione e violazione dell'art. 1362 c.c. e dell'art. 185 c.p. in relazione agli artt. 2043 e 2049 c.c., nonchè degli artt. 1223 e 2055 c.c. e della normativa del D.P.R. n. 1124 del 1965.
Viene
censurata la sentenza di merito nella parte in cui fa derivare la
responsabilità del datore dalla mancata adozione di misure di
protezione, senza tener conto che l'appello incidentale @@@@@@@@aveva
dedotto l'inesistenza del danno morale non essendo ravvisabile un reato,
per la mancanza di un comportamento colposo del datore. Ove nella
motivazione si volesse, invece, ravvisare l'affermazione di un fatto
reato dovrebbe considerarsi anche che l'assicuratore si è obbligato per
la manleva di ogni danno posto a carico del responsabile civile, per
cui, dato che quest'ultimo risponde degli stessi danni per cui risponde
il responsabile penale, dovrebbe concludersi che l'assicuratore fosse
obbligato anche per il danno morale.
Rileva,
inoltre, il ricorrente principale che non è stato valutato dal giudice
di merito se il danno complessivamente riconosciuto (rendita INAIL+danno
morale+danno biologico) non sia superiore alla capitalizzazione della
rendita INAIL che costituisce l'importo effettivo del danno subito
dall'infortunato, il cui superamento costituirebbe una indebita
locupletazione.
Con il terzo motivo è dedotta violazione degli artt. 2043 e 2049 c.c. in relazione al D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4, 383, e
385 e dell'art. 2087 c.c., nonchè carenza di motivazione. Viene
contestata la individuazione delle cause che cagionarono l'infortunio e,
in particolare, la loro riferibilità al datore di lavoro e non
all'infortunato, che avrebbe invece negligentemente compiuto una
operazione semplice ed avrebbe procurato l'esplosione del pneumatico
causatrice dei danni occorsi.
Con il primo motivo il P. (ricorrente incidentale) deduce violazione degli artt. 2 - 3 Cost. e artt. 1223, 1224, 2056 e 2059 c.c. e art. 142 c.p.c.,
nonchè carenza di motivazione, contestando l'affermazione della
sentenza di appello che la somma del risarcimento fissata dal primo
giudice fosse quantificata alla data della sentenza e non anche alla
data dell'infortunio. Tale conclusione è del tutto apodittica e
immotivata e non tiene conto della chiara statuizione della sentenza del
Tribunale.
Con il secondo motivo il
ricorrente incidentale deduce, sotto diverso profilo, gli stessi vizi di
cui al motivo precedente, lamentando l'incongrua liquidazione del danno
morale da parte del giudice di appello, che, pur richiamando
correttamente la giurisprudenza di legittimità al riguardo e accertando
che l'infortunato aveva subito sofferenze di carattere psichico di non
lieve entità, si è poi attestato nella liquidazione ai minimi consentiti
dal criterio liquidatorio adottato.
Sono infondati entrambi i ricorsi.
Con
riferimento al primo motivo del ricorso principale, con cui la sentenza
di merito è contestata per i criteri interpretativi adottati, sotto i
profili sia della violazione di legge che della carenza di motivazione,
deve rilevarsi che è principio costantemente affermato da questa Corte
(v., tra le altre, Cass. 18.7.06 n. 16376 e 15.5.03 n. 7593) che
l'interpretazione delle clausole di un contratto di assicurazione circa
la portata e l'estensione del rischio assicurato rientra tra i compiti
del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se
rispettosa dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed assistita da
congrua motivazione. Nel caso in cui l'assicuratore si obblighi a
tenere indenne il datore di lavoro per quanto questi sia tenuto a pagare
a norma del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11 si è
affermato che il giudice del merito deve individuare la volontà delle
parti, secondo i criteri di cui all'art. 1362 e segg. c.c., tenendo
presente il contenuto normativo delle disposizioni legali, cui le parti
hanno rinviato, al momento della stipula del contratto di assicurazione
e, in particolare, ai fini della inclusione nella mani èva anche del
danno biologico e del danno morale, del fatto che il citato D.P.R., art.
10 nel regime anteriore al D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, pur
non escludendo la responsabilità civile del datore di lavoro per tali
componenti del danno, la sottrae alla copertura dell'assicurazione
antinfortunistica obbligatoria.
Parte
ricorrente, pur menzionando nell'intestazione del motivo il vizio di
legittimità e denunziando la violazione di numerose norme di legge, non
ha svolto una compiuta illustrazione dei profili ermeneutici che a suo
avviso il giudice di merito avrebbe violato, omettendo di precisare
quali canoni sarebbero stati violati e quale, invece, avrebbe dovuto
essere la corretta applicazione delle norme di cui all'art. 1362 c.c.
Pur con questa carenza, il motivo deve essere tuttavia esaminato sotto
il profilo del vizio di motivazione, onde verificare se il giudice si
sia attenuto alle regole della congruità e della coerenza argomentativa.
Nel
procedere alla considerazione dei limiti della polizza e per escluderne
la garanzia dell'assicuratore la Corte di merito è partita dall'esame
del testo contrattuale e, preso atto che la garanzia - con polizza
stipulata nell'anno 1986 - veniva offerta solo per quanto il datore
fosse tenuto a pagare "quale civilmente responsabile verso i prestatori
di lavoro da lui dipendenti ed assicurati ai sensi del t.u. D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124
per gli infortuni ... da essi sofferti", ha ritenuto che la stessa
inerisse solo il danno patrimoniale e non anche il danno biologico e
quello morale, richiamando la corposa giurisprudenza di legittimità
cheesclude (nel regime antecedente al D.Lgs. n. 38 del 2000) la copertura di tali voci di danno dalla assicurazione antinfortunistica obbligatoria.
Tale
percorso argomentativo è sicuramente congruo, in quanto non solo
perviene a conclusioni in diritto coerenti all'orientamento consolidato
di questa Corte (oltre le sentenze sopra richiamate v. anche Cass.
18.3.04 n. 5507 e 10.3.04 n. 4920), ma ancora a sicuri dati rilevanti
sul piano ermeneutico l'interpretazione della volontà delle parti.
Non
pare, invece, calzante l'obiezione di parte ricorrente circa la mancata
valorizzazione dell'evoluzione giurisprudenziale in punto di
risarcimento del danno già realizzatasi al momento della stipula della
polizza, quando, secondo il ricorrente, "già da molti anni la
risarcibilità del danno alla salute era entrata a far parte del diritto
vivente". Una considerazione di questo genere non può essere effettuata
da questa Corte in quanto richiederebbe valutazioni consequenziali
(quali quella dell'ammontare del premio assicurativo in relazione al
rischio assunto) tipicamente di merito, da ritenere estranee al
documento contrattuale ed opportunamente non rilevate dalla Corte
territoriale. In ogni caso un percorso argomentativo del genere
suggerito dalla ricorrente è stato ritenuto incongruo da Cass. n. 4920
del 2004, cit..
Passando all'esame del secondo
motivo del ricorso principale, con il quale si contesta la condanna al
risarcimento del danno morale e, in subordine, si lamenta il rigetto
della chiamata in garanzia per quanto dovuto all'infortunato per questa
specifica voce di danno, deve rilevarsi che il riferimento all'art. 185 c.p.
(per il quale ogni reato obbliga il colpevole, o il soggetto che debba
rispondere per legge del fatto di lui, al risarcimento del danno
patrimoniale e di quello non patrimoniale) desumibile dall'art. 2059 c.c.
non postula la ricorrenza di una concreta fattispecie di reato, ma solo
di una fattispecie corrispondente, nella sua oggettività, all'astratta
previsione di una figura di reato (giurisprudenza costante, v. tra le
tante Cass. 16.1.06 n. 720). E', altresì, principio consolidato che in
presenza di una fattispecie contrattuale che, come nell'ipotesi del
contratto di lavoro, obblighi uno dei contraenti (il datore di lavoro) a
prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l'integrità
fisica e psichica dell'altro ex art. 2087 c.c., non può
sussistere alcuna incompatibilità tra responsabilità contrattuale e
risarcimento del danno morale, dato che la fattispecie astratta di reato
è configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata al datore
di lavoro per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 c.c. (Cass. 24.2.06 n. 4184).
Il
giudice di merito ha fatto corretta applicazione di questi principi, in
quanto, una volta ricostruita nella sua materialità la dinamica
dell'infortunio, ha concluso per la responsabilità del datore di lavoro
sia ai sensi dell'art. 2049 c.c. (per l'ipotesi che si
ritenesse che l'ordine da cui era scaturito il sinistro fosse stato
impartito da persona diversa dal legale rappresentante dell'impresa),
sia per violazione di specifiche norme antinfortunistiche, sia per
violazione dell'art. 2087 c.c., ritenendo così giustificata, per i principi sopra indicati, la condanna al risarcimento del danno morale del datore.
E',
invece, inammissibile la seconda parte del motivo, attinente la mancata
condanna dell'assicuratore alla manleva per il solo danno morale, in
forza del dettato della polizza che comunque prevedeva la garanzia
dell'assicurato "quale civilmente responsabile in conseguenza di reato
colposo". Fermo restando quanto già rilevato sul piano generale in
risposta al motivo n. 1, deve rilevarsi che questo secondo aspetto di
interpretazione della polizza risulta evidenziato solo in sede di
legittimità, in quanto non solo non risulta esaminato dal giudice di
merito, ma neppure risulta oggetto di specifico motivo di censura per
mancato esame in appello.
Analogamente deve
ritenersi inammissibile il terzo "sottomotivo" (per usare la
terminologia della ricorrente) indicato in ricorso. La questione se il
danno complessivamente riconosciuto (rendita INAIL+danno morale+danno
biologico) sia superiore alla capitalizzazione della rendita INAIL che
costituisce l'importo effettivo del danno subito dall'infortunato,
risulta del tutto nuova.
E', infine,
inammissibile il terzo motivo di ricorso principale. Con lo stesso,
sotto l'apparente censura della violazione di norme di diritto, si
sollecita la Corte a procedere ad un inammissibile giudizio di merito
circa le modalità di accadimento del sinistro, le quali invece sono
state dal giudice di appello ampiamente e congruamente ricostruite.
Passando
al ricorso incidentale, è infondato il primo motivo, con cui si
contesta l'affermazione che il giudice di primo grado avesse
quantificato il danno ai valori monetati del momento in cui emanò la
sentenza e non al momento dell'infortunio.
La
Corte di appello è pervenuta alla conclusione che la liquidazione del
danno fosse rapportata ai valori monetali della data della sentenza di
primo grado sulla base di un dato estrinseco, ma incontrovertibile. I
criteri che il primo giudice adotta per quantificare il danno morale e
quello biologico sono quelli delle "tabelle adottate dal Tribunale di
Perugia, e utilizzate come punto di riferimento, in genere, in tutta
l'Umbria"; essendo tali tabelle adottate dall'anno 2000 ed essendo i
parametri riferiti a questa epoca (circostanza ovviamente nota alla
Corte di merito), la sentenza del Tribunale, in quanto emanata nell'anno
2001, non poteva certo far riferimento ai valori monetari del 1994.
La
motivazione non pare logicamente contestabile e, pertanto, deve
ritenersi corretta la statuizione in punto di devalutazione dell'importo
liquidato dal giudice di primo grado alla data del sinistro.
Quanto
alla censura sollevata con il secondo motivo in punto di
quantificazione del danno morale, deve rilevarsi che il giudice di
merito ha fatto applicazione delle "tabelle" sopra richiamate,
liquidando detto profilo di danno nella misura minima ivi prevista (un
quarto del danno biologico accertato) sulla base di una articolata
valutazione del pregiudizio materialmente sopportato dall'infortunato.
Il ricorrente incidentale non contesta l'iter argomentativo adottato, ma
la conclusione cui è giunto il giudice, e cioè che il danno debba
liquidarsi al minimo tabellare pur essendo di "non parva entità", in
quanto tale graduazione di grandezza avrebbe raccomandato una
liquidazione non ancorata al minimo, ma rapportabile ad un'entità
intermedia tra minimo e massimo.
Prospettato
in questi termini, il motivo deve essere rigettato perchè inammissibile,
sollecitando esso la Corte a procedere ad un giudizio di merito in
punto di valutazione dell'entità del danno e di congruità, non sull'iter
argomentativo, ma sul risultato dell'attività valutativa.
In conclusione, entrambi i ricorsi sono infondati e debbono essere rigettati.
Le
spese del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione della
reciproca soccombenza tra @@@@@@@@e P. e per la sussistenza di giusti
motivi tra @@@@@@@@e assicuratore. Nulla deve prevedersi circa le spese
tra P. e assicuratore non essendosi quest'ultimo costituito nei
confronti del primo.
P.Q.M.
La
Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio
di legittimità tra @@@@@@@@e @@@@@@@@ s.p.a. e tra @@@@@@@@e P.. Nulla
per le spese tra a. e @@@@@@@@ s.p.a..
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2008
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