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domenica 2 marzo 2014

Cassazione: Scatta anche il danno morale se il datore non dimostra di aver protetto a sufficienza l'infortunato La condanna al risarcimento, spiegano i giudici, deriva dalla violazione dell'articolo 2087 Cc: la colpa è addebitata all'azienda per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall'articolo 1218 Cc




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Scatta anche il danno morale se il datore non dimostra di aver protetto a sufficienza l'infortunato
La condanna al risarcimento, spiegano i giudici, deriva dalla violazione dell'articolo 2087 Cc: la colpa è addebitata all'azienda per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall'articolo 1218 Cc
 
Cass. civ. Sez. lavoro, 07-04-2008, n. 8973
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Con ricorso al Giudice del lavoro di Spoleto P.A., premesso di essere rimasto vittima di un infortunio sul lavoro mentre lavorava alle dipendenze della @@@@@@@@srl e di aver ottenuto dall'INAIL l'indennità per l'inabilità temporanea e la costituzione di una rendita per l'inabilità permanente, chiedeva la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno biologico e del danno morale. La convenuta contestava la domanda e chiamava in causa per essere garantita il proprio assicuratore @@@@@@@@ s.p.a., il quale si costituiva ed eccepiva la non operatività della polizza.
Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava il datore di lavoro al risarcimento del danno biologico e morale nella misura di L. 183.760.000, oltre accessori di legge, con condanna dell'assicuratore a tenere indenne detta soc. @@@@@@@@.
Proponeva appello la soc. @@@@@@@@ lamentando l'inoperatività della polizza e chiedendo all'assicurato la restituzione della somma di Euro 133.246 corrisposta all'infortunato in esecuzione della sentenza di primo grado, nonchè per sentir dichiarare che la somma determinata dal Tribunale era fissata ai valori attuali e non doveva essere rivalutata. Il P. a sua volta proponeva appello incidentale chiedendo che fosse determinata in maggior misura la somma liquidata a titolo di danno morale. La soc. @@@@@@@@proponeva a sua volta appello incidentale condizionato mirato alla reiezione della domanda dell'infortunato e, in subordine, alla dichiarazione che la somma eventualmente spettante non era soggetta a rivalutazione.
La Corte di appello di Perugia con sentenza 7.10-1.12.04 in riforma della sentenza respingeva la domanda di garanzia e condannava la soc. @@@@@@@@a rimborsare alla @@@@@@@@ la somma da questa pagata all'infortunato oltre interessi; condannava altresì la stessa società a pagare in favore dello stesso infortunato la somma liquidata dal primo giudice oltre interessi legali sul capitale, devalutato di anno in anno dal giorno del sinistro a quello della sentenza di primo grado, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza impugnata a quella del pagamento.
Il giudice di merito, per quanto qui interessa, rilevava che la clausola della polizza di assicurazione prevedeva solo la garanzia della responsabilità civile collegabile al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11 - come operante antecedentemente al disposto del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 238, art. 13 ratione temporis non operante nella specie, essendo l'infortunio occorso nel 1994 - e, quindi, copriva solo il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa e non anche il danno morale e biologico, aventi natura non patrimoniale. A tanto conseguiva, pertanto, fa, l'obbligo dell'assicurato di restituire all'assicuratore la somma da questi già corrisposta all'infortunato in esecuzione della prima sentenza.
Rigettava, inoltre, l'appello della soc. @@@@@@@@, accertando la responsabilità del datore nella causazione dell'incidente (scoppio di una gomma di un camion aziendale all'atto del rigonfiaggio dopo la riparazione), sia ai sensi dell'art. 2049 c.c. (ove si fosse ritenuto che l'ordine di riparazione era stato dato da un preposto del datore), che dell'art. 2087 c.c. o della legislazione antinfortunistica ed escludendo il concorso di colpa del lavoratore.
Accoglieva invece il motivo subordinato proposto da detto datore, rilevando che l'obbligazione di risarcimento del danno biologico e di quello morale sono debiti di valore che debbono essere quantificati al momento della loro liquidazione (e quindi al momento della pronunzia della sentenza), di modo che, per evitare indebite locupletazioni gli interessi avrebbero dovuto essere pagati dalla data del sinistro ((OMISSIS)) alla data della sentenza (23.11.01), ma non sulla somma determinata al momento della pronunzia, bensì su quella devalutata di anno in anno fino alla data del sinistro.
Quanto all'appello dell'infortunato, la Corte di merito riteneva, infine, adeguato l'importo fissato per il risarcimento con riguardo sia alla personalizzazione del danno che alla ai criteri di liquidazione adottati nel Distretto.
Avverso questa sentenza propone ricorso la soc. @@@@@@@@, cui rispondono con controricorso la soc. Fondiaria-@@@@@@@@ s.p.a. (nuova ragione sociale della soc. @@@@@@@@) ed il P., il quale ha proposto anche ricorso incidentale. @@@@@@@@ha notificato controricorso su quest'ultima impugnazione ed ha depositato memoria con nuova procura. Anche la soc. Fondiaria-@@@@@@@@ ha depositato memoria.

Motivi della decisione

Preliminarmente i due ricorsi debbono essere riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo la soc. @@@@@@@@(ricorrente principale) deduce violazione degli artt. 1362 - 1363 e segg., 1370 c.c. in relazione all'art. 1322, 1375 e 1341 - 1342 c.c., degli artt. 1882 - 1886 - 1917 c.c. in relazione all'art. 32 Cost. ed al D.P.R. n. 1124 del 1965 ed agli artt 2043 - 2049 - 2059 c.c.; nonchè carenza di motivazione. Nella clausola contrattuale in esame - ove il primo comma prevedeva l'obbligo dell'assicuratore a tenere indenne il datore di lavoro per la responsabilità civile verso i "prestatori di lavoro da lui dipendenti ed assicurati ai sensi del t.u. approvato con D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, per gli infortuni ... da essi sofferti, in conseguenza di reato colposo" - il richiamo al testo unico sugli infortuni ha il solo scopo di individuare quali siano i dipendenti assicurati. L'estensione della garanzia è, invece, delineata dal comma 2 - ove è detto che l'assicuratore "si obbliga ... a tenere indenne l'assicurato delle somme eccedenti le indennità liquidate a norma di legge dall'INAIL" - per il quale, invece, l'oggetto dell'assicurazione si riferisce chiaramente a tutti i danni eccedenti le rendite INAIL e non ai soli danni per invalidità generica derivante dall'infortunio. Tale clausola avrebbe dovuto inoltre essere interpretata alla luce della giurisprudenza che al momento della sua stipula (avvenuta il (OMISSIS)) già da tempo considerava risarcibile il danno alla salute (ed. diritto vivente), soprattutto a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 88 del 1979 e 319 del 1981.
Lamenta, inoltre, la società ricorrente la mancata considerazione da parte del giudice di merito quale argomento interpretativo dell'ammontare del premio corrisposto dall'assicurato, costituente indice del grado di responsabilità assunto dall'assicuratore.
Con il secondo motivo di ricorso principale è dedotta ulteriore carenza di motivazione e violazione dell'art. 1362 c.c. e dell'art. 185 c.p. in relazione agli artt. 2043 e 2049 c.c., nonchè degli artt. 1223 e 2055 c.c. e della normativa del D.P.R. n. 1124 del 1965.
Viene censurata la sentenza di merito nella parte in cui fa derivare la responsabilità del datore dalla mancata adozione di misure di protezione, senza tener conto che l'appello incidentale @@@@@@@@aveva dedotto l'inesistenza del danno morale non essendo ravvisabile un reato, per la mancanza di un comportamento colposo del datore. Ove nella motivazione si volesse, invece, ravvisare l'affermazione di un fatto reato dovrebbe considerarsi anche che l'assicuratore si è obbligato per la manleva di ogni danno posto a carico del responsabile civile, per cui, dato che quest'ultimo risponde degli stessi danni per cui risponde il responsabile penale, dovrebbe concludersi che l'assicuratore fosse obbligato anche per il danno morale.
Rileva, inoltre, il ricorrente principale che non è stato valutato dal giudice di merito se il danno complessivamente riconosciuto (rendita INAIL+danno morale+danno biologico) non sia superiore alla capitalizzazione della rendita INAIL che costituisce l'importo effettivo del danno subito dall'infortunato, il cui superamento costituirebbe una indebita locupletazione.
Con il terzo motivo è dedotta violazione degli artt. 2043 e 2049 c.c. in relazione al D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4, 383, e 385 e dell'art. 2087 c.c., nonchè carenza di motivazione. Viene contestata la individuazione delle cause che cagionarono l'infortunio e, in particolare, la loro riferibilità al datore di lavoro e non all'infortunato, che avrebbe invece negligentemente compiuto una operazione semplice ed avrebbe procurato l'esplosione del pneumatico causatrice dei danni occorsi.
Con il primo motivo il P. (ricorrente incidentale) deduce violazione degli artt. 2 - 3 Cost. e artt. 1223, 1224, 2056 e 2059 c.c. e art. 142 c.p.c., nonchè carenza di motivazione, contestando l'affermazione della sentenza di appello che la somma del risarcimento fissata dal primo giudice fosse quantificata alla data della sentenza e non anche alla data dell'infortunio. Tale conclusione è del tutto apodittica e immotivata e non tiene conto della chiara statuizione della sentenza del Tribunale.
Con il secondo motivo il ricorrente incidentale deduce, sotto diverso profilo, gli stessi vizi di cui al motivo precedente, lamentando l'incongrua liquidazione del danno morale da parte del giudice di appello, che, pur richiamando correttamente la giurisprudenza di legittimità al riguardo e accertando che l'infortunato aveva subito sofferenze di carattere psichico di non lieve entità, si è poi attestato nella liquidazione ai minimi consentiti dal criterio liquidatorio adottato.
Sono infondati entrambi i ricorsi.
Con riferimento al primo motivo del ricorso principale, con cui la sentenza di merito è contestata per i criteri interpretativi adottati, sotto i profili sia della violazione di legge che della carenza di motivazione, deve rilevarsi che è principio costantemente affermato da questa Corte (v., tra le altre, Cass. 18.7.06 n. 16376 e 15.5.03 n. 7593) che l'interpretazione delle clausole di un contratto di assicurazione circa la portata e l'estensione del rischio assicurato rientra tra i compiti del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed assistita da congrua motivazione. Nel caso in cui l'assicuratore si obblighi a tenere indenne il datore di lavoro per quanto questi sia tenuto a pagare a norma del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11 si è affermato che il giudice del merito deve individuare la volontà delle parti, secondo i criteri di cui all'art. 1362 e segg. c.c., tenendo presente il contenuto normativo delle disposizioni legali, cui le parti hanno rinviato, al momento della stipula del contratto di assicurazione e, in particolare, ai fini della inclusione nella mani èva anche del danno biologico e del danno morale, del fatto che il citato D.P.R., art. 10 nel regime anteriore al D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, pur non escludendo la responsabilità civile del datore di lavoro per tali componenti del danno, la sottrae alla copertura dell'assicurazione antinfortunistica obbligatoria.
Parte ricorrente, pur menzionando nell'intestazione del motivo il vizio di legittimità e denunziando la violazione di numerose norme di legge, non ha svolto una compiuta illustrazione dei profili ermeneutici che a suo avviso il giudice di merito avrebbe violato, omettendo di precisare quali canoni sarebbero stati violati e quale, invece, avrebbe dovuto essere la corretta applicazione delle norme di cui all'art. 1362 c.c. Pur con questa carenza, il motivo deve essere tuttavia esaminato sotto il profilo del vizio di motivazione, onde verificare se il giudice si sia attenuto alle regole della congruità e della coerenza argomentativa.
Nel procedere alla considerazione dei limiti della polizza e per escluderne la garanzia dell'assicuratore la Corte di merito è partita dall'esame del testo contrattuale e, preso atto che la garanzia - con polizza stipulata nell'anno 1986 - veniva offerta solo per quanto il datore fosse tenuto a pagare "quale civilmente responsabile verso i prestatori di lavoro da lui dipendenti ed assicurati ai sensi del t.u. D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 per gli infortuni ... da essi sofferti", ha ritenuto che la stessa inerisse solo il danno patrimoniale e non anche il danno biologico e quello morale, richiamando la corposa giurisprudenza di legittimità cheesclude (nel regime antecedente al D.Lgs. n. 38 del 2000) la copertura di tali voci di danno dalla assicurazione antinfortunistica obbligatoria.
Tale percorso argomentativo è sicuramente congruo, in quanto non solo perviene a conclusioni in diritto coerenti all'orientamento consolidato di questa Corte (oltre le sentenze sopra richiamate v. anche Cass. 18.3.04 n. 5507 e 10.3.04 n. 4920), ma ancora a sicuri dati rilevanti sul piano ermeneutico l'interpretazione della volontà delle parti.
Non pare, invece, calzante l'obiezione di parte ricorrente circa la mancata valorizzazione dell'evoluzione giurisprudenziale in punto di risarcimento del danno già realizzatasi al momento della stipula della polizza, quando, secondo il ricorrente, "già da molti anni la risarcibilità del danno alla salute era entrata a far parte del diritto vivente". Una considerazione di questo genere non può essere effettuata da questa Corte in quanto richiederebbe valutazioni consequenziali (quali quella dell'ammontare del premio assicurativo in relazione al rischio assunto) tipicamente di merito, da ritenere estranee al documento contrattuale ed opportunamente non rilevate dalla Corte territoriale. In ogni caso un percorso argomentativo del genere suggerito dalla ricorrente è stato ritenuto incongruo da Cass. n. 4920 del 2004, cit..
Passando all'esame del secondo motivo del ricorso principale, con il quale si contesta la condanna al risarcimento del danno morale e, in subordine, si lamenta il rigetto della chiamata in garanzia per quanto dovuto all'infortunato per questa specifica voce di danno, deve rilevarsi che il riferimento all'art. 185 c.p. (per il quale ogni reato obbliga il colpevole, o il soggetto che debba rispondere per legge del fatto di lui, al risarcimento del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale) desumibile dall'art. 2059 c.c. non postula la ricorrenza di una concreta fattispecie di reato, ma solo di una fattispecie corrispondente, nella sua oggettività, all'astratta previsione di una figura di reato (giurisprudenza costante, v. tra le tante Cass. 16.1.06 n. 720). E', altresì, principio consolidato che in presenza di una fattispecie contrattuale che, come nell'ipotesi del contratto di lavoro, obblighi uno dei contraenti (il datore di lavoro) a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l'integrità fisica e psichica dell'altro ex art. 2087 c.c., non può sussistere alcuna incompatibilità tra responsabilità contrattuale e risarcimento del danno morale, dato che la fattispecie astratta di reato è configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata al datore di lavoro per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 c.c. (Cass. 24.2.06 n. 4184).
Il giudice di merito ha fatto corretta applicazione di questi principi, in quanto, una volta ricostruita nella sua materialità la dinamica dell'infortunio, ha concluso per la responsabilità del datore di lavoro sia ai sensi dell'art. 2049 c.c. (per l'ipotesi che si ritenesse che l'ordine da cui era scaturito il sinistro fosse stato impartito da persona diversa dal legale rappresentante dell'impresa), sia per violazione di specifiche norme antinfortunistiche, sia per violazione dell'art. 2087 c.c., ritenendo così giustificata, per i principi sopra indicati, la condanna al risarcimento del danno morale del datore.
E', invece, inammissibile la seconda parte del motivo, attinente la mancata condanna dell'assicuratore alla manleva per il solo danno morale, in forza del dettato della polizza che comunque prevedeva la garanzia dell'assicurato "quale civilmente responsabile in conseguenza di reato colposo". Fermo restando quanto già rilevato sul piano generale in risposta al motivo n. 1, deve rilevarsi che questo secondo aspetto di interpretazione della polizza risulta evidenziato solo in sede di legittimità, in quanto non solo non risulta esaminato dal giudice di merito, ma neppure risulta oggetto di specifico motivo di censura per mancato esame in appello.
Analogamente deve ritenersi inammissibile il terzo "sottomotivo" (per usare la terminologia della ricorrente) indicato in ricorso. La questione se il danno complessivamente riconosciuto (rendita INAIL+danno morale+danno biologico) sia superiore alla capitalizzazione della rendita INAIL che costituisce l'importo effettivo del danno subito dall'infortunato, risulta del tutto nuova.
E', infine, inammissibile il terzo motivo di ricorso principale. Con lo stesso, sotto l'apparente censura della violazione di norme di diritto, si sollecita la Corte a procedere ad un inammissibile giudizio di merito circa le modalità di accadimento del sinistro, le quali invece sono state dal giudice di appello ampiamente e congruamente ricostruite.
Passando al ricorso incidentale, è infondato il primo motivo, con cui si contesta l'affermazione che il giudice di primo grado avesse quantificato il danno ai valori monetati del momento in cui emanò la sentenza e non al momento dell'infortunio.
La Corte di appello è pervenuta alla conclusione che la liquidazione del danno fosse rapportata ai valori monetali della data della sentenza di primo grado sulla base di un dato estrinseco, ma incontrovertibile. I criteri che il primo giudice adotta per quantificare il danno morale e quello biologico sono quelli delle "tabelle adottate dal Tribunale di Perugia, e utilizzate come punto di riferimento, in genere, in tutta l'Umbria"; essendo tali tabelle adottate dall'anno 2000 ed essendo i parametri riferiti a questa epoca (circostanza ovviamente nota alla Corte di merito), la sentenza del Tribunale, in quanto emanata nell'anno 2001, non poteva certo far riferimento ai valori monetari del 1994.
La motivazione non pare logicamente contestabile e, pertanto, deve ritenersi corretta la statuizione in punto di devalutazione dell'importo liquidato dal giudice di primo grado alla data del sinistro.
Quanto alla censura sollevata con il secondo motivo in punto di quantificazione del danno morale, deve rilevarsi che il giudice di merito ha fatto applicazione delle "tabelle" sopra richiamate, liquidando detto profilo di danno nella misura minima ivi prevista (un quarto del danno biologico accertato) sulla base di una articolata valutazione del pregiudizio materialmente sopportato dall'infortunato. Il ricorrente incidentale non contesta l'iter argomentativo adottato, ma la conclusione cui è giunto il giudice, e cioè che il danno debba liquidarsi al minimo tabellare pur essendo di "non parva entità", in quanto tale graduazione di grandezza avrebbe raccomandato una liquidazione non ancorata al minimo, ma rapportabile ad un'entità intermedia tra minimo e massimo.
Prospettato in questi termini, il motivo deve essere rigettato perchè inammissibile, sollecitando esso la Corte a procedere ad un giudizio di merito in punto di valutazione dell'entità del danno e di congruità, non sull'iter argomentativo, ma sul risultato dell'attività valutativa.
In conclusione, entrambi i ricorsi sono infondati e debbono essere rigettati.
Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione della reciproca soccombenza tra @@@@@@@@e P. e per la sussistenza di giusti motivi tra @@@@@@@@e assicuratore. Nulla deve prevedersi circa le spese tra P. e assicuratore non essendosi quest'ultimo costituito nei confronti del primo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di legittimità tra @@@@@@@@e @@@@@@@@ s.p.a. e tra @@@@@@@@e P.. Nulla per le spese tra a. e @@@@@@@@ s.p.a..
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2008

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