E' valido il periodo del servizio militare per calcolare l'anzianità lavorativa?
LAVORO (RAPPORTO) - LEVA MILITARE
Cass. civ. Sez. lavoro, 17-01-2008, n. 847
Cass. civ. Sez. lavoro, 17-01-2008, n. 847
Svolgimento del processo
Con
ricorso alla Corte d'Appello di Roma la @@@@@@@@ Telecomunicazioni Spa
proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, emessa nei
confronti di @@@@@@@@, con la quale era stata rigettata la opposizione
proposta dalla società avverso il decreto ingiuntivo per il pagamento
del premio ventennale di servizio, nella misura di tre mensilità
previsto dall'accordo aziendale del 4/7/97.
Il
lavoratore resisteva al gravame, ma la Corte d'Appello l'accoglieva,
sulla base delle seguenti considerazioni: inammissibile era la chiamata
in causa della società @@@@@@@@ Srl, cessionaria del ramo d'azienda cui
era addetto il lavoratore. Nel merito, l'istante assumeva di avere
diritto al premio perchè era stato assunto in data 5/9/1977 e quindi
aveva maturato il diritto alla data del 5/9/1997; l'accordo aziendale
che istituiva detto premio però prevedeva l'erogazione del premio in
favore dei dipendenti che avessero raggiunto il ventesimo anno di
servizio consecutivo e che ai fini del computo non venivano considerati i
periodi di aspettativa volontaria. L'assolvimento del servizio militare
da parte del ricorrente nel periodo fra il 17/8/1978 ed il 10/9/1979
non poteva essere equiparato a quello di aspettativa volontaria, ma
produceva comunque la sospensione del rapporto di lavoro e non la
maturazione di un servizio effettivo e continuativo. Il rapporto di
lavoro del Lo. si era protratto continuativamente dal 5 settembre 1977
all'agosto dell'anno successivo, quando si era interrotto, per
riprendere poi in data 10 settembre 1979. Tenuto conto di detta
interruzione l'anzianità convenzionalmente stabilita per la maturazione
del premio si era quindi maturata successivamente al 5/9/97, quando il
lavoratore non era più dipendente della società appellante, bensì della
@@@@@@@@.
L'appello doveva quindi essere accolto e revocato il decreto ingiuntivo.
Motivi della decisione
E'
domandata ora ad istanza del lavoratore la cassazione di detta
pronuncia con due motivi: col primo si lamenta violazione dell'art. 1362
c.c. e segg., e vizio di motivazione, per avere il giudice inteso
l'accordo aziendale nel senso che lo stesso faccia riferimento a 20 anni
di lavoro "effettivo", senza indicare le ragioni che l'hanno indotto ad
una simile interpretazione in senso contrastante con la lettera della
norma convenzionale: l'accordo, infatti, riconosce il beneficio in
favore dei dipendenti al "raggiungimento del ventesimo e del
venticinquesimo anno di servizio continuativo", "incluso il periodo di
dipendenza presso diverse aziende del gruppo purchè svolto senza
soluzione di continuità" con l'esclusione "di più periodi se non
continuativi" (art. 1362 c.c., comma 3) e dei "periodi di aspettativa sotto qualsiasi forma, nonchè di integrazione salariale straordinaria" (art. 1362 c.c., comma 2).
L'art. 1362 c.c., comma 1, quindi si limita qualificare "l'anzianità di servizio" come "continuativa" e senza interruzione del rapporto;
che
tale sia il significato dell'espressione lo si deduce dall'art. 1362
c.c., comma 3, che esclude i rapporti di lavoro intercorsi in periodi
separati. Da nessun elemento si ricava che le parti abbiano fatto
riferimento ad un servizio "effettivo" e quindi la sentenza ha violato
non solo il criterio letterale, ma anche quello della interpretazione
complessiva dell'accordo. Sussiste perciò la violazione dei criteri
ermeneutici e la sentenza deve essere cassata.
Col secondo motivo si lamenta violazione dell'art. 52 Cost., comma 2, e dell'art. 112 c.p.c.
vizio di motivazione: in relazione al D.L.C.P.S. 13 settembre 1946, n.
303, che disciplina il diritto alla "conservazione del posto ai
lavoratori chiamati alle armi per servizio di leva" la Corte
Costituzionale con sentenza n. 53 del 23/2/1963 (recte n. 8 del 7 -
16/2/1963) ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma
contenute nel D.L.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303, art. 1, comma 2,
(secondo cui il tempo trascorso in servizio militare "può essere,
mediante contratti la lavoro, computato agli effetti dell'anzianità), in
quanto la stessa può essere intesa nel senso di subordinare ad una
clausola contrattuale, e quindi di limitare, il diritto del lavoratore
al computo, agli effetti dell'anzianità, del periodo trascorso in
servizio militare di leva. Secondo la Consulta, infatti, l'art. 52 Cost.,
comma 2, nel disporre che l'adempimento del servizio militare non
pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, si riferisce tanto al
servizio prestato in adempimento degli obblighi di leva, quanto agli
eventuali richiami alle armi; ed il concetto di "posizione di lavoro"
non deve essere considerato equivalente a quello di posto di lavoro,
così da attribuire alla norma costituzionale il solo significato di
garanzia dell'occupazione, ma comprende anche il diritto all'indennità
di anzianità.
La Suprema Corte ha precisato
che il lavoratore ha diritto a percepire gli aumenti connessi
all'anzianità "su ogni altro emolumento corrisposto con riferimento ad
essa" (Cass. n. 2788/86).
L'interpretazione
dell'accordo aziendale del 1997 nel senso che lo stesso escluda il
periodo di leva dall'anzianità utile per la maturazione dell'emolumento
si pone in contrasto con l'art. 52 Cost., comma 2, con conseguente nullità della clausola pattizia e sostituzione della stessa, ex art. 1419 c.c.,
con la detta norma costituzionale, che impone di considerare il periodo
di leva nell'anzianità di servizio. La questione era stata posta in
appello, ma il giudice non si è pronunciato in merito. Resiste la
società con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie
illustrative.
Il ricorso è fondato.
In
ordine al primo motivo si osserva che sussiste il vizio di motivazione
lamentato, per avere il giudice equiparato al lavoro "effettivo"
"l'anzianità di servizio continuativa", intesa, non come semplice
diritto alla conservazione del posto, ma in senso conforme alla
Costituzione come unica "posizione di lavoro" a tutti gli effetti
retributivi legati all'anzianità. In proposito si osserva che la Corte
ha già precisato che "la deduzione di un vizio di motivazione della
sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di
legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di
controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito,
in quanto è del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni
possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio
di merito attraverso l'autonoma valutazione delle risultanze degli atti
di causa; ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il
profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della
medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel
ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del
mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia,
prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista
insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate,
tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico -
giuridico posto a base della decisione;
pertanto
le censure concernenti vizi di motivazione devono indicare quali siano i
vizi logici del ragionamento decisorio e non possono risolversi nel
sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella
operata dal giudice di merito" (Cass. n. 12467/03).
Nella
specie, il giudice d'appello si è limitato a rilevare che la norma
convenzionale esclude dal computo del "servizio continuativo" i periodi
di "aspettativa volontaria" e che "il periodo di assolvimento
dell'obbligo di leva non può equipararsi a quello di aspettativa
volontaria". Dopo queste premesse il giudicante omette di trame le
dovute conseguenze ed inizia un diverso ragionamento, legato alle
conseguenze della sospensione del rapporto di lavoro "per tutto il
periodo del servizio militare di leva" disciplinato dal D.Lgs. C.P.S. 13
settembre 1946, n. 303, ratificato con L. 5 gennaio 1953, n. 35.
Omette
però il giudice di esaminare quali siano le conseguenze di tale
sospensione in relazione alla legge che la disciplina, così come
risultante dopo la declaratoria di incostituzionalità della L. 5 gennaio 1953, n. 35, art. 1, comma 2,
sulla base dei principi di diritto indicati dalla Consulta; giunge così
assiomaticamente alla conclusione che l'assolvimento dell'obbligo di
leva comporta "la sospensione del rapporto di lavoro", ma non la
"maturazione di un servizio effettivo e continuativo", cui sarebbe
legata la corresponsione del "premio per il raggiungimento del ventesimo
anno di servizio continuativo"; in tal modo finisce
contraddittoriamente per applicare al periodo trascorso in servizio
militare di leva la medesima disciplina dell'aspettativa volontaria.
Sussistono quindi i vizi denunciati di insufficienza e contraddittorietà
della decisione.
In ordine al secondo motivo si osserva che, ai sensi della L. 24 dicembre 1986, n. 958 art. 20,
il periodo di servizio militare "è valido a tutti gli effetti per
l'inquadramento economico e per la determinazione dell'anzianità
lavorativa ai fini del trattamento economico del settore pubblico"; la
norma non trova applicazione nei confronti dei dipendenti di datori di
lavoro privati, come ha già precisato la giurisprudenza nettamente
prevalente della Corte (Cass. n. 7697/03; 12258/99). Questa disposizione
però riguarda soltanto il periodo di servizio militare in corso alla
data di entrata in vigore della legge o prestato successivamente, come
precisato in via di interpretazione autentica dalla L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 7, comma 1,
(Cass. n. 6811/03). Per il periodo precedente valgono i principi
sanciti dalla pronuncia della Consulta n. 8 del 16/2/63, secondo cui è
costituzionalmente illegittimo il D.Lgs. C.P.S. 13 settembre 1943, n.
303, art. 1, comma 2, ratificato con L. 5 gennaio 1963, n. 35, nella
parte in cui esclude che il periodo in servizio militare debba essere
computato nell'anzianità di servizio. A seguito di questa pronuncia il
diritto alla conservazione del posto va inteso non come semplice
conservazione del posto, ma come unica "posizione di lavoro", a tutti
gli effetti retributivi legati all'anzianità. Ne consegue che
l'interruzione del servizio effettivo dal 17/8/1978 ed il 10/9/1979 non
influisce sulla continuità del rapporto di lavoro e quindi il ventennio
di servizio necessario per la maturazione del diritto al beneficio
richiesto si matura alla data del 5/9/97.
Il ricorso è quindi fondato e va accolto. Sussistono le condizioni ex art. 384 c.p.c.
per la pronuncia di merito da parte della Corte ed il rigetto
dell'opposizione al decreto ingiuntivo proposto dall'attuale resistente,
non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Le spese vanno
regolate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA
CORTE Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel
merito, rigetta l'opposizione a decreto ingiuntivo proposte
dall'attuale resistente.
Conferma le
statuizioni sulle spese delle sentenze di merito e condanna la
resistente alla rifusione delle spese di questo giudizio, che liquida in
Euro 19,00 oltre ad Euro 2000,00 per onorario, nonchè alle spese
generali IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 15 novembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2008
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