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domenica 2 marzo 2014

Cassazione: E' valido il periodo del servizio militare per calcolare l'anzianità lavorativa?




E' valido il periodo del servizio militare per calcolare l'anzianità lavorativa?
LAVORO (RAPPORTO)   -   LEVA MILITARE
Cass. civ. Sez. lavoro, 17-01-2008, n. 847
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Con ricorso alla Corte d'Appello di Roma la @@@@@@@@ Telecomunicazioni Spa proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, emessa nei confronti di @@@@@@@@, con la quale era stata rigettata la opposizione proposta dalla società avverso il decreto ingiuntivo per il pagamento del premio ventennale di servizio, nella misura di tre mensilità previsto dall'accordo aziendale del 4/7/97.
Il lavoratore resisteva al gravame, ma la Corte d'Appello l'accoglieva, sulla base delle seguenti considerazioni: inammissibile era la chiamata in causa della società @@@@@@@@ Srl, cessionaria del ramo d'azienda cui era addetto il lavoratore. Nel merito, l'istante assumeva di avere diritto al premio perchè era stato assunto in data 5/9/1977 e quindi aveva maturato il diritto alla data del 5/9/1997; l'accordo aziendale che istituiva detto premio però prevedeva l'erogazione del premio in favore dei dipendenti che avessero raggiunto il ventesimo anno di servizio consecutivo e che ai fini del computo non venivano considerati i periodi di aspettativa volontaria. L'assolvimento del servizio militare da parte del ricorrente nel periodo fra il 17/8/1978 ed il 10/9/1979 non poteva essere equiparato a quello di aspettativa volontaria, ma produceva comunque la sospensione del rapporto di lavoro e non la maturazione di un servizio effettivo e continuativo. Il rapporto di lavoro del Lo. si era protratto continuativamente dal 5 settembre 1977 all'agosto dell'anno successivo, quando si era interrotto, per riprendere poi in data 10 settembre 1979. Tenuto conto di detta interruzione l'anzianità convenzionalmente stabilita per la maturazione del premio si era quindi maturata successivamente al 5/9/97, quando il lavoratore non era più dipendente della società appellante, bensì della @@@@@@@@.
L'appello doveva quindi essere accolto e revocato il decreto ingiuntivo.

Motivi della decisione

E' domandata ora ad istanza del lavoratore la cassazione di detta pronuncia con due motivi: col primo si lamenta violazione dell'art. 1362 c.c. e segg., e vizio di motivazione, per avere il giudice inteso l'accordo aziendale nel senso che lo stesso faccia riferimento a 20 anni di lavoro "effettivo", senza indicare le ragioni che l'hanno indotto ad una simile interpretazione in senso contrastante con la lettera della norma convenzionale: l'accordo, infatti, riconosce il beneficio in favore dei dipendenti al "raggiungimento del ventesimo e del venticinquesimo anno di servizio continuativo", "incluso il periodo di dipendenza presso diverse aziende del gruppo purchè svolto senza soluzione di continuità" con l'esclusione "di più periodi se non continuativi" (art. 1362 c.c., comma 3) e dei "periodi di aspettativa sotto qualsiasi forma, nonchè di integrazione salariale straordinaria" (art. 1362 c.c., comma 2).
L'art. 1362 c.c., comma 1, quindi si limita qualificare "l'anzianità di servizio" come "continuativa" e senza interruzione del rapporto;
che tale sia il significato dell'espressione lo si deduce dall'art. 1362 c.c., comma 3, che esclude i rapporti di lavoro intercorsi in periodi separati. Da nessun elemento si ricava che le parti abbiano fatto riferimento ad un servizio "effettivo" e quindi la sentenza ha violato non solo il criterio letterale, ma anche quello della interpretazione complessiva dell'accordo. Sussiste perciò la violazione dei criteri ermeneutici e la sentenza deve essere cassata.
Col secondo motivo si lamenta violazione dell'art. 52 Cost., comma 2, e dell'art. 112 c.p.c. vizio di motivazione: in relazione al D.L.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303, che disciplina il diritto alla "conservazione del posto ai lavoratori chiamati alle armi per servizio di leva" la Corte Costituzionale con sentenza n. 53 del 23/2/1963 (recte n. 8 del 7 - 16/2/1963) ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma contenute nel D.L.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303, art. 1, comma 2, (secondo cui il tempo trascorso in servizio militare "può essere, mediante contratti la lavoro, computato agli effetti dell'anzianità), in quanto la stessa può essere intesa nel senso di subordinare ad una clausola contrattuale, e quindi di limitare, il diritto del lavoratore al computo, agli effetti dell'anzianità, del periodo trascorso in servizio militare di leva. Secondo la Consulta, infatti, l'art. 52 Cost., comma 2, nel disporre che l'adempimento del servizio militare non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, si riferisce tanto al servizio prestato in adempimento degli obblighi di leva, quanto agli eventuali richiami alle armi; ed il concetto di "posizione di lavoro" non deve essere considerato equivalente a quello di posto di lavoro, così da attribuire alla norma costituzionale il solo significato di garanzia dell'occupazione, ma comprende anche il diritto all'indennità di anzianità.
La Suprema Corte ha precisato che il lavoratore ha diritto a percepire gli aumenti connessi all'anzianità "su ogni altro emolumento corrisposto con riferimento ad essa" (Cass. n. 2788/86).
L'interpretazione dell'accordo aziendale del 1997 nel senso che lo stesso escluda il periodo di leva dall'anzianità utile per la maturazione dell'emolumento si pone in contrasto con l'art. 52 Cost., comma 2, con conseguente nullità della clausola pattizia e sostituzione della stessa, ex art. 1419 c.c., con la detta norma costituzionale, che impone di considerare il periodo di leva nell'anzianità di servizio. La questione era stata posta in appello, ma il giudice non si è pronunciato in merito. Resiste la società con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie illustrative.
Il ricorso è fondato.
In ordine al primo motivo si osserva che sussiste il vizio di motivazione lamentato, per avere il giudice equiparato al lavoro "effettivo" "l'anzianità di servizio continuativa", intesa, non come semplice diritto alla conservazione del posto, ma in senso conforme alla Costituzione come unica "posizione di lavoro" a tutti gli effetti retributivi legati all'anzianità. In proposito si osserva che la Corte ha già precisato che "la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, in quanto è del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa; ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione;
pertanto le censure concernenti vizi di motivazione devono indicare quali siano i vizi logici del ragionamento decisorio e non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito" (Cass. n. 12467/03).
Nella specie, il giudice d'appello si è limitato a rilevare che la norma convenzionale esclude dal computo del "servizio continuativo" i periodi di "aspettativa volontaria" e che "il periodo di assolvimento dell'obbligo di leva non può equipararsi a quello di aspettativa volontaria". Dopo queste premesse il giudicante omette di trame le dovute conseguenze ed inizia un diverso ragionamento, legato alle conseguenze della sospensione del rapporto di lavoro "per tutto il periodo del servizio militare di leva" disciplinato dal D.Lgs. C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303, ratificato con L. 5 gennaio 1953, n. 35.
Omette però il giudice di esaminare quali siano le conseguenze di tale sospensione in relazione alla legge che la disciplina, così come risultante dopo la declaratoria di incostituzionalità della L. 5 gennaio 1953, n. 35, art. 1, comma 2, sulla base dei principi di diritto indicati dalla Consulta; giunge così assiomaticamente alla conclusione che l'assolvimento dell'obbligo di leva comporta "la sospensione del rapporto di lavoro", ma non la "maturazione di un servizio effettivo e continuativo", cui sarebbe legata la corresponsione del "premio per il raggiungimento del ventesimo anno di servizio continuativo"; in tal modo finisce contraddittoriamente per applicare al periodo trascorso in servizio militare di leva la medesima disciplina dell'aspettativa volontaria. Sussistono quindi i vizi denunciati di insufficienza e contraddittorietà della decisione.
In ordine al secondo motivo si osserva che, ai sensi della L. 24 dicembre 1986, n. 958 art. 20, il periodo di servizio militare "è valido a tutti gli effetti per l'inquadramento economico e per la determinazione dell'anzianità lavorativa ai fini del trattamento economico del settore pubblico"; la norma non trova applicazione nei confronti dei dipendenti di datori di lavoro privati, come ha già precisato la giurisprudenza nettamente prevalente della Corte (Cass. n. 7697/03; 12258/99). Questa disposizione però riguarda soltanto il periodo di servizio militare in corso alla data di entrata in vigore della legge o prestato successivamente, come precisato in via di interpretazione autentica dalla L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 7, comma 1, (Cass. n. 6811/03). Per il periodo precedente valgono i principi sanciti dalla pronuncia della Consulta n. 8 del 16/2/63, secondo cui è costituzionalmente illegittimo il D.Lgs. C.P.S. 13 settembre 1943, n. 303, art. 1, comma 2, ratificato con L. 5 gennaio 1963, n. 35, nella parte in cui esclude che il periodo in servizio militare debba essere computato nell'anzianità di servizio. A seguito di questa pronuncia il diritto alla conservazione del posto va inteso non come semplice conservazione del posto, ma come unica "posizione di lavoro", a tutti gli effetti retributivi legati all'anzianità. Ne consegue che l'interruzione del servizio effettivo dal 17/8/1978 ed il 10/9/1979 non influisce sulla continuità del rapporto di lavoro e quindi il ventennio di servizio necessario per la maturazione del diritto al beneficio richiesto si matura alla data del 5/9/97.
Il ricorso è quindi fondato e va accolto. Sussistono le condizioni ex art. 384 c.p.c. per la pronuncia di merito da parte della Corte ed il rigetto dell'opposizione al decreto ingiuntivo proposto dall'attuale resistente, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Le spese vanno regolate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'opposizione a decreto ingiuntivo proposte dall'attuale resistente.
Conferma le statuizioni sulle spese delle sentenze di merito e condanna la resistente alla rifusione delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 19,00 oltre ad Euro 2000,00 per onorario, nonchè alle spese generali IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 15 novembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2008

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